mercoledì 16 aprile 2014

Un onesto esperimento


UN SABATO, CON GLI AMICI
di Andrea Camilleri

 
Ci viene proposta una carrellata di bambini, rappresentati ognuno in una situazione spinosa o sgradevole. Li ritroviamo adulti, borghesi e accoppiati (tranne uno), un sabato sera, tutti insieme, a godersi la reciproca compagnia giacché sono amici di lunga data. Ma non si gode poi tanto, né ci si rilassa perché, come si suol dire, la vita e i traumi subiti (e non troppo difficilmente immaginati) presentano il conto. Nella parte finale, che si ricongiunge alla prima, scopriamo nel dettaglio quali traumi, attingendo a piene mani dalla realtà della cronaca nera.

Questo libro è stato oggetto di una “serata letteraria” cui avevo partecipato e che si era rivelata particolarmente interessante per i pareri controversi suscitati.

C'era chi aveva tacciato Camilleri di aver tradito se stesso e di essersi prestato ad una squallida operazione commerciale, chi aveva trovato il romanzo confuso e sterile, e chi si era sentito vilipeso per la morbosità e gratuità dei temi trattati, che lungi dall'essere analizzati e approfonditi sono volti esclusivamente a disturbare.

In effetti, i personaggi non vengono indagati nella loro psiche o nel loro percorso di crescita (o involuzione) a seguito del trauma subito: sono semplicemente dati in pasto al lettore in modo lapidario e schematico, tanto che, al di là dei numerosi comportamenti sensurabili per se stessi, non è prevista la formulazione di una condanna, quanto piuttosto un non-giudizio.

Per quanto mi riguarda, il romanzo non chiede più di quanto non dia: è brevissimo, scritto con estrema semplicità, e porta via al massimo un paio d'ore. La trama non è originalissima, ma la struttura narrativa è apprezzabile, e può risultare caotica giusto nelle pagine iniziali, perché appena si entra nel meccanismo orientarsi diviene facile.

Nel complesso non mi è dispiaciuto. Magari non mi ha lasciato granché, però mi ha intrattenuta, incuriosita e avvinta, non senza un certo magnetismo.

E' pur vero che era il mio primo libro di Camilleri e non potevo fare confronti. Adesso posso affermare che sì, è sui generis nella sua produzione: non solo mancano il dialetto e Montalbano (come peraltro in altre sue opere), ma anche la Sicilia, l'umanità e l'ironia, allegra e sorniona, per quanto graffiante, tipiche di Camilleri.

La scrittura è fredda, asettica, atta a immortalare istantanee, ma scevra di qualsivoglia indulgenza o comprensione. I sette protagonisti paiono delle maschere prive di personalità, riducendosi a fatti e a stereotipi vuoti, esagerati, morbosi, senza valori né speranze. Il senso genarale è di claustrofobica desolazione: non c'è spazio per il sorriso, nemmeno a denti stretti.

Ma un brutto libro? No...

Semmai un onesto esperimento dal montaggio ineccepibile, che ammicca al teatro e campa su contenuti crudi e portati all'eccesso. Carino, ma cui non è il caso di dare troppa importanza.

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