SINFONIE DELL'ATTESA
di Stefania Ughi
(su Ig @Fania4000)
Come si fa a conoscere davvero una persona?
Si legge quello che scrive, ecco come.
E magari alla fine non si conosce lo stesso davvero, nella sua interezza e variabilità, ma in quel preciso istante fotografato dalle parole, in quello sì. Nel modo più autentico possibile. Perché non ci sono filtri, ma solo essenza.
E in questo caso, per quanto evidentemente doloroso, si tratta di un istante fondamentale, pieno di umanità, di grazia, di eleganza e di bellezza.
Stefania è riuscita a trasporre tutto questo sulla carta.
L'intento era guarire, affrontare il suo dolore personale, legato ad un momento preciso dell'esistenza, ma quello cui ha dato vita non è un percorso di guarigione, quanto piuttosto un catalizzatore di emozioni. Mentre leggi ti senti sopraffare, più e più volte, e avverti il panteismo, la comunione trascendente col Tutto. E senti la sua anima bellissima, e senti la tua. E l'ineluttabilità, la finitezza dell'essere, ma anche la speranza e la dolcezza, e quindi l'escatologia.
E non basta soffrire per realizzare un libro così: bisogna saper incanalare la propria sensibilità, e mascherarla per renderla più vera attraverso la finzione. Bisogna saper scrivere, comunicare, trasmettere. E bisogna essere persone stupende, se no vengono fuori solo pianti.
Qui invece abbiamo una miniera di pietre preziose.
Che ogni volta in cui le riguardo luccicano in modo diverso.
E ogni sentimento è appena sussurrato e avanza in punta di piedi, fino a che ti pervade completamente e si fa strada in te, senza lasciarti più. Nemmeno dopo che hai finito il libro, l'hai classificato e messo insieme agli altri.
Mi è piaciuto tutto, a partire dalla prefazione di Cristiana Vettori: le poesie come i brani in prosa. Densi di significato, e brevissimi, ad eccezione dell'ultimo. Lungo ma con una sua orchestrata frammentarietà, fatta di lampi cristallizzati.
E divisi questi scritti sono preziosi e unici, ma insieme diventano di più: un universo che ci dà la vertigine, peggio (o meglio) del sublime kantiano.
Stratosferico.