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martedì 28 febbraio 2017

Emozioni non scontate

STORIA DEL NUOVO COGNOME
di Elena Ferrante


Secondo appuntamento della saga de “L'Amica Geniale”, dedicato alla giovinezza di Lila e Lenù, contraltare e completamento l'una dell'altra.
Nuove sfumature si aggiungono alla loro amicizia, nuove rivalità, legate all'amore e al loro, diversissimo, percorso intellettuale: e dunque da un lato le imprevedibili turbolenze di Lila, dall'altro invece la narratrice, Lenù, al secolo Elena Greco, che segue il suo percorso dalla direzione precisa, con i limiti, le gioie, le asperità e le sicurezze che questo comporta, più qualche gradita sorpresa.
I caratteri delle due protagoniste si fanno sempre più definiti, più multiformi e sfaccettati, i comprimari crescono e modificano ulteriormente relazioni ed equilibri in quel mondo in perenne fermento che è il Rione, nella Napoli anni 60, vivissimo e vivace, all'insegna di eventi e dolori, scandali, diffidenze e grandi prove d'affetto (chi l'avrebbe detto di come si sarebbe ridotto Antonio? E di come sarebbe diventato Nino Sarratore, per tacere della sua infuocata parentesi romantica con chi mai ci saremmo aspettati – oppure sì, se fossimo stati attenti – ? Ed Enzo? Ma quanto è diventato spettacolare Enzo?) 
Un romanzo stupendo, trepidante, ricco di emozioni non scontate e perfino più appassionante del primo. E che tuttavia non è solo sentimento, ma innanzitutto una  fulgente lettera d'amore nei confronti del privilegio di poter studiare, a dispetto della fatica e del rigore che richiede, nonché del senso di inadeguatezza che talvolta questo suscita, in più direzioni (verso chi sa più, verso chi sa meno). Privilegio che viene rimarcato sovente, e che viene affrontato in modo famelico, bramoso, con la consapevolezza, spesso reiterata, che non ci si può fermare ai confini scolastici, ma è necessario puntare sempre oltre, pure oltre noi stessi.  
La cultura vista come redenzione e come modo di affrancarsi dal destino, di affermare e scoprire chi si è davvero, di sviluppare compiutamente la propria personalità, elevandosi al di sopra di quello che, a rigore, avrebbe dovuto riservarci il nostro squallido e depauperante ambiente di appartenenza. 
Un romanzo potente, salvifico, che sarebbe da leggere anche solo per questo.

lunedì 27 febbraio 2017

Un horror retrò

CAT EYED BOY
di Kazuo Umezz


Ci voleva proprio.
Se, come me, da piccoli siete rimasti terrorizzati dal cartone animato di “Bem - il mostro umano”, e poi da grandi ne siete rimasti parimenti delusi senza capire perché diavolo in allora vi facesse paura, questo fumetto fa per voi.
Perché, al di là del ragazzino con gli occhi da gatto protagonista, che comunque incarna una figura di riferimento positiva, l’opera mantiene le promesse e spaventa, inquieta, disturba e disorienta.
Non arriva all’estremismo disgustoso di autori come Maruo o Kago, ma è cupo, violento, con tocchi morbosi  e pieno di mostri, fantasmi, demoni e malvagità, la cui resa è davvero efficacie, sin dai disegni, assai comunicativi (può apparire scontato, per un horror, ma non lo è. Alcuni spettri della tradizione giapponese, se non realizzati ad arte, si prestano ad essere ridicolizzati, più che ad incutere timore: ad esempio il Karakasa, alias vecchio ombrello, una sorta di ombrello, appunto, animato e monocolo… Qui, invece, fanno tutti paura, andando a solleticare qualcosa di arcano e viscerale).
E’ un manga del 1967, ma non risulta obsoleto o troppo verboso. Al contrario l’aria retrò lo impreziosisce e si privilegia l’azione.
Le storie sono brevi, auto-conclusive, raccolte in quattro tankobon (io, per ora, ho letto solo il primo). Hanno come trait d’union il protagonista, questo povero Cat Eyed Boy, mezzo umano e mezzo demone, e pertanto odiato e perseguitato dalle persone come dagli esseri soprannaturali. Sempre in movimento, e sempre costretto ad assistere ad eventi allucinanti, che, in un modo o nell’altro, finiranno per coinvolgerlo.
Le trame sono interessanti, non banali, varie per temi, impostazioni e sfruttamento delle icone dell’immaginario. Conservano, nonostante l’età, qualche colpo di scena ben assestato, suscitando nel fruitore sentimenti forti, reazioni dure.
Gli uomini qui rappresentati, infatti, in linea di massima sono peggiori e più accaniti dei mostri e siamo lieti che il nostro piccolo eroe cerchi di mettere, per quanto può, a posto le cose, schierandosi ogni volta dalla parte giusta…

venerdì 24 febbraio 2017

Una storia vera

STORTURE BANCARIE


Questa è una storia vera, appresa da fonte diretta ed attendibile, ed è kafkiana quanto allucinante: 
Nell’anno 20XX la signora Y viene ingiustamente accusata di estorsione da una mitomane già nota al Tribunale.
Ciò nondimeno la Signora Y viene arrestata, deve affrontare il giudizio penale (non proprio un processino leggero, visto che la pena prevista è la reclusione da cinque a dieci anni, più la pena pecuniaria) e procacciarsi un bravo avvocato. 
Ci vogliono mesi di ansie e patimenti, ma fortunatamente la Signora Y viene assolta.
Il passo successivo è denunciare la mitomane per calunnia.
Passa altro tempo, la mitomane viene condannata e alla signora Y, costituitasi parte civile, viene riconosciuto un sostanzioso risarcimento che le viene pagato con assegno.
Evviva, la giustizia esiste!!!
La signora Y, però, l’assegno non riesce ad incassarlo.
Non perché sia scoperto, ma perché non è titolare di alcun conto corrente.
No problem, dice la signora, apro un conto corrente e ci verso su l’assegno.
Ma il problem c’è.
La signora Y non può aprirsi nessun conto: la Banca non glielo consente.
Nessuna Banca. 
Inutile provare in tre istituti di credito differenti come tentare in altre città.
La signora è bandita, bollata come indesiderata, e deve morire.
Perché?
La Banca non è tenuta a rivelarlo.
Quindi?
Quindi la signora Y si deve attaccare. Magari può incorniciarsi l’assegno in salotto e farci un bel quadretto.
A questo punto, uno degli avvocati che l’aveva difesa nel penale (e che non è ancora stato retribuito) si interessa della vicenda e, grazie a Dio, riesce a scoprire il motivo di tanta ostilità (che alla signora Y mai sarebbe stato rivelato).
Il motivo è un articolo di giornale del 20XX.
Un articolo di giornale, non un ordine del Magistrato.
L’articolo viene rammostrato all’allibito avvocato come se fosse una santa reliquia.  
E’ quello in cui si informa che la signora Y viene accusata – accusata, non condannata – del reato di cui sopra.
Ma la signora è stata assolta anni fa!!!, obietta l’avvocato.
Ah sì? Ma guarda! Solo che questo il giornale non l’ha scritto (oppure sì, e nessuno vi ha fatto caso).
E dunque?
Dunque speriamo che producendo la sentenza di assoluzione la Banca consenta alla signora Y di incassare il suo meritato assegno…
Però, gente, siamo davvero alla frutta!!!
Frutta marcia.

giovedì 23 febbraio 2017

Pop al punto giusto

THE LEGEND OF TARZAN
di David Yates
(2016)


Il film parte da un punto di vista diverso rispetto a quello tradizionale, quello di Lord Greystoke: la storia di Tarzan e Jane è già compiuta, loro sono sposati e civilizzati in Inghilterra... Si presenta però la necessità di tornare e, mentre viviamo una nuova rocambolesca avventura di stampo anticolonialista (siamo nel Congo di “Cuore di Tenebra”), scopriamo, attraverso una serie di flashback, che cosa cela il passato, a partire dalla genesi del nostro recalcitrante eroe.
Nel complesso la pellicola è godibile, votata all'intrattenimento più che all'introspezione, eppure permeata da tocchi nostalgici che inneggiano alla natura primigenia e incontaminata come soluzione di tutti i mali, inclusa la difficoltà a concepire. Ci sono discrete scene d'azione, qualche momento comico, una trama-pretesto accettabile e tanti buoni sentimenti.
Magari dispiace un po' vedere la splendida Margot Robbie senza la mazza e i codini, mentre il cattivo (il carismatico Cristoph Waltz, niente meno) ruba un po' la scena all'eroe (che avrei preferito un po' più simpatico ed espressivo), facendosi odiare come si conviene... Gli effetti speciali ogni tanto vacillano e si dà troppo spazio agli inserti matrimoniali, ma... Sì, il film è apprezzabile, moderno, arioso e pop al punto giusto. Tarzan, infatti, è quasi un dio, amato, rispettato, temuto e pressoché onnipotente. Tuttavia la dimensione epica, che comunque c'è e si respira, avrebbe potuto essere maggiormente sfruttata.
La storia, nel complesso, è prevedibile, ma funziona, coinvolge, e tanto basta. Anzi, se la conclusione fosse stata diversa sarei rimasta delusa.
Particolare gradito: si dà molto risalto al personaggio di Jane, un'eroina femminile, ma attuale ed emancipata, anche quando ricopre il ruolo di bella in pericolo.

mercoledì 22 febbraio 2017

Le sorprese fioccano

GUIDA ALLA LETTERATURA ESOTERICA
di Claudio Asciuti


Questa è la terza guida Odoya che leggo e devo riconoscere che, in generale, sono fatte dannatamente bene.
La “Guida alla Letteratura Esoterica” ne è una conferma: dettagliata, completa, esaustiva. Sviscera ogni argomento nel modo migliore, prestando attenzione a protagonisti, temi e movimenti, ma solo dopo aver fornito le coordinate per cominciare questa sorta di viaggio iniziatico, ad esempio spiegando la differenza tra esoterismo ed occultismo, in modo abbastanza tecnico, ma non preclusivo (si badi, non è una guida all'esoterismo, ma alla letteratura esoterica, appunto: non si “impara” a realizzare la pietra filosofale, si racconta di chi era Nicolas Flamel).
Persino i riassunti – spesso di opere ormai introvabili – più che abbozzi di trame sono un'esperienza, nel senso che sono tanto particolareggiati che alla fine ti sembra di aver fruito dell'opera originale senza intermediari, con godimento integrale, però avendo saltato le parti poco succulente (peraltro, i passi fondamentali vengono effettivamente riportati).
Anche in quanto a voci non manca nulla, inclusi gli impensabili: non solo, per dire, i soliti Guénon, Machen e Alesteir Crowley, ma pure Fanco Battiato (sì, il cantante), Balzac (sì, quel Balzac), il mio Borges e Somerset Maugham (non lo sospettavo proprio...), oltre, ovviamente, al mitico Lovecraft.
Insomma, le sorprese fioccano, e, quando è il caso, pure le critiche, peraltro piacevolmente sornione: ad esempio al semplificatore Paulo Coelho, reo di buggerare il pubblico con concetti rubati a destra e sinistra e poi filtrati, impoveriti e ben confezionati per il popolino, come viene compiutamente illustrato nelle pagine dedicategli. 
Il concetto di esoterismo, dunque, è inteso nell'ottica più vasta possibile, comprensivo di tutto ciò che è paranormale, sia pure di matrice prettamente fantastica. Senza generi, quindi, come recita la descrizione del tomo, ma capace di attraversarli tutti, spaziando oltre i confini di... qualunque cosa.
Un libro unico, favoloso, affascinante e ricco di stimoli e connessioni, che se non ci fosse si dovrebbe inventare.

martedì 21 febbraio 2017

Una serie di gag irresistibili

SANTA CLARITA DIET


Che delizia! E non in senso alimentare...
In senso alimentare la dieta cui occhieggia il titolo consiste nel papparsi carne umana fresca: la nostra Sheila Hammond/Drew Barrymore, infatti, agente immobiliare in carriera e madre di adolescente ribelle, a seguito di una scatologica vomitata come dio la manda in un momento assai poco opportuno, è morta e non-morta, ossia è diventata una sorta di zombie senziente con discreto appetito. Il marito, il tenero Joel/Timothy Olyphant, la aiuta nella sua lotta per la sopravvivenza (mica si può resistere a lungo digiunando), ma l'insopportabile poliziotto vicino di casa sospetta qualcosa...
Non un horror, ma un'allegra commedia splatter, divertente, grottesca, strepitosa!
Oltre ai dialoghi effervescenti e sopra le righe e il gustoso mix fra i generi, il grande punto di forza della serie sono gli interpreti: la coppia Barrymore/Olyphant è supersimpatica, affiatata, glamour e spassosissima! Lei è sempre lei, dolce, esagerata, determinata e spiritosa, lui... qui è in una veste inedita: io, almeno, sono abituata a vedere Olyphant nei panni del killer spietato, del duro ruvido che non deve chiedere mai, dell'uomo tutto d'un pezzo... In Santa Clarita, invece, è adorabile quanto imbranato e sopraffatto dalla situazione, eppure deciso a supportare la moglie, di cui è follemente innamorato (tra una faccetta buffa e l'altra). 
Abbiamo quindi una serie di gag irresistibili, che fanno ridere come fremere di disgusto (sarà una commedia, ma, a livello di gore non si va tanto per il sottile, anzi a tratti risulta quasi disturbante). Meno strutturata è invece la trama sul piano della continuity: non è che non ce ne sia, ma le spiegazioni latitano e si procede senza troppi colpi di scena. Del resto è soprattutto la nuova quotidianità sballata della famiglia Hammond ad interessarci, specie considerati gli sforzi di tutti di rimanere comunque “brave persone” e di conservare una patina di normalità. 
Carini anche i comprimari, con tante sorprese per gli appassionati di serie Tv...

lunedì 20 febbraio 2017

Sprazzi di luce e di ombra

PAROLE
di Antonia Pozzi


E’ un libro che mi ha regalato Gian. E ne sono lieta, perché non conoscevo questa sensibile poetessa dalle mille fragilità, morta suicida all’età di ventisei anni...
Non posso dire che mi faccia uscire di testa come Dylan Thomas o Blake, trovo la sua personalità un po' esasperata, troppo legata ad amori sventurati e ad insicurezze di fondo, ma di certo l'opera mi piace: regala immagini preziose, piene di fiori stracolorati, di contrasti e di tensioni irrisolte.
Forse Antonia non è una “ladra di fuoco”, ma di sicuro ha buon gusto, un cuore enorme e pieno di aspettative, sa come catturare sprazzi di luce e di ombra, e lo fa in modo semplice, immediato, che la preserva dall'invecchiamento della lingua. Al contempo sa essere elegante, originale, delicata e non priva di raffinatezza intellettuale.
I componimenti sono brevi, ma non lapidari, e percorsi dalla sofferenza a più livelli. Oltre a quel che direttamente emerge, infatti, legato al momento o all'occasione, si percepisce una corrente di angoscia più profonda e dolorosa, sottile, ma incessante, esistenziale, che si annida  tra gli spazi bianchi e vi germoglia. 
“Parole” raccoglie tutte le sue poesie, è completa di appunti biografici e attenta sotto il profilo filologico. Di norma io non amo soffermarmi su commenti e introduzioni, ma in questo caso credo sia necessario, perché nella vita di quest'autrice si nasconde la cifra del suo canto. Nei suoi amori, soprattutto... Amori difficili, contrastati e a volte non corrisposti.  

Viene voglia di averla conosciuta, questa ragazza degli anni 30, di aver goduto direttamente della sua intelligenza, brillantezza e affetto, anche perché sembra proprio il tipo di persona che quando è amica, è amica per davvero.

venerdì 17 febbraio 2017

La dipendenza è una malattia

A NEW FEAR. FOTOCRONACA DELL’HORROR CONTEMPORANEO
A cura di Daniele Francardi


Ho trovato l’edizione deluxe, esclusiva Romics 2016, in vendita nella mia fumetteria. 
246 pagine, formato orizzontale, cartonato, medio-piccolo.
€ 24,90.
Tre pagine di introduzione e per il resto una raccolta di foto a colori, in ordine più o meno alfabetico, con immagini da film horror usciti tra il 2000 e il 2015.
Questa non è una recensione, ma, approssimativamente, una ricostruzione del dialogo che c’è stato tra me e il mio venditore di fiducia dopo che l’ho presa in mano:

Lui: Sapevo che ti avrebbe attirata, ci avrei messo la mano sul fuoco! 
Io: Maddài, che è sta roba? Ti rendi conto di quanto costa? E non c’è scritto niente, ci sono solo foto: ci compro tre romanzi in brossura con € 24.90 e probabilmente mi danno il resto…
(intanto, però, comincio a sfogliarla)
Lui: A me sembra ti piaccia…
Io (con degnazione): Sto solo dando un’occhiata. Certo, non è brutta. Ha un formato interessante. Le foto sono tante, grandi, ben fatte… Ci sono film che non ho nemmeno mai sentito nominare, e altri così schifosi e sciapi che pensavo di averli visti solo io… Cavoli, persino Zombeavers. Dead Snow. E Grace – Posseduta. Black Sheep. E Innkeepers, che immondizia! E The Atticus Institute. E The Bay. Ma € 24.90… E’ un furto, che me ne importa se è una variant? Troppo cara, davvero… E poi che me ne faccio? E’ un libro inutile.
Lui: Ne convengo. Ma immagino possa avere i suoi estimatori…
Io: Magari, costasse tipo dieci Euro la prenderei… Sarebbe assurdo, però. E poi cinque minuti e l’ho finita. Ecco, vedi, l’ho finita.
Lui: Allora lascia, ti mostro…
Io: Un attimo, scusa. E’ che mi viene voglia di ricominciare… Ricomincio, va. Mica la compro, solo devo capire come faccia uno ad essere così scemo da acquistarla. A me mica interessa. Anche se è interessante… Insomma, è bella ricca. Completa.
Lui: Vuoi che ti faccia vedere i nuovi arrivi?
Io: No, no. Grazie. Dopo. Adesso voglio guardare questa. Toh, c’è anche Planet Terror... E Quella Casa nel Bosco... E Drag me to Hell… Mi sono piaciuti, questi. E Oculus, e Orphan... E The Others. 
Lui: In effetti pare molto completa…
Io: Non mi piace, eh. E’ ipnotica, ma non ne vale la pena. Bisogna essere stupidi per comprare una cosa così a sto prezzo. Degli sprovveduti. Non dovevi prenderla a catalogo, non la venderai mai. Povero. Mi spiace per te. 
Lui: Non-
Io: Non capisco proprio come tu possa averla ordinata. La deluxe, poi…
Lui: Se vuoi posso ordinarti l’edizione economica…
Io: No, grazie. Non mi interessa. Uhm, questi titoli dovrei segnarmeli... Aspetta: Bad Milo, Absentia, Antiviral, Atrocious, Byzantium, Cannibal Love – Mangiata Viva... 
Costasse anche la metà è sempre troppo, in effetti.
Lui: Mah, a me sembrava carina. Non sono un fan dell’horror, però…
Io: Io sì, dannazione. Dannazione. Va beh, senti, la prendo per non lasciartela sulla schiena. La mia buona azione del giorno. Massì. Alla fine l’ho sfogliata sino adesso. Ma bada, lo faccio per te. Perché ti voglio troppo bene e mi dispiace che tu sia stato tanto ingenuo…
Lui: Non c’è bisogno. Su questa ho il reso. Se non la vendo la mando indietro. Non preoccuparti.
Io: Davvero?
Lui: Sì, tranquilla. 
Io: Ah. Va be’, la prendo lo stesso.
Lui: Perchè? Non c’è bisogno… E poi posso ordinarti l’altra, quella economica.
Io: No. Voglio questa. 
Lui: Ma…
Io: Ormai, la devo avere, dannazione. E la voglio subito. Questa. Non vedo l’ora di rileggerla a casa. Con calma.
Lui: Ma sei sicura? Fino ad un attimo fa…
Io: Lo so che cosa dicevo. Non sono pazza, ma non posso farci niente. La voglio. E’ inutile, ma la voglio. Anzi, la voglio proprio perché è inutile. Deve essere mia. Ora e subito. Non voglio l’altra edizione. Per fortuna me l’hai fatta vedere. 
(…)
Gesù, ma come sto? Sono una tossica. Una drogata. Non dovrei comprarla…
(…)
Dammela!!!
(…)
Sì, la voglio. 
(...)
Certo.
(...)
No, niente sacchetto. La devo tenere in mano. Accarezzarla.
(…)
E' stupenda...

Ovviamente l’ho comprata.
La dipendenza è una malattia.
Non ci si può opporre.

giovedì 16 febbraio 2017

Senza calzamaglie e tutine

LO CHIAMAVANO JEEG ROBOT
di Gabriele Mainetti
(2015)


Mi aspettavo un film diverso, più nerd, con altri temi e senza superpoteri.
Mi è toccato vederlo con i sottotitoli, per non farmi sfuggire il 20% dei dialoghi...
Però l’ho apprezzato tantissimo!
Intanto mi è piaciuta la storia: di redenzione dolente, urbana e miserabile, fatta di squallori e solitudini di periferia, ma per questo più vera, più genuina, senza calzamaglie e tutine scintillanti.
E realistica. Perché in effetti non è che tutti quelli dotati oltre l’umano si mettano a fare i supereroi come prima cosa… Perché magari ci devono arrivare e prima vanno a scassinare un bancomat… 
E fa tenerezza che la strada per giungervi sia l’amore. Non quello con la A maiuscola (anche se invece lo è, lo sono tutti), ma uno sfortunato, che a tratti sfiora l’abuso, lo sfruttamento, a tratti la pietà; che è ingenuo, poetico, puro e inconsapevole, e in buona parte dovuto al caso.
E naturalmente mi piacciono i personaggi: Enzo/Hiroshi/Claudio Santamaria, con la sua aria perennemente frastornata, che non è cattivo, ma nemmeno buono, e fa cose cattive, ma anche no; Alessia/Ilenia Pastorelli, dolce quanto bruttarella, donna quanto bambina, piena di sogni interrotti e tanta generosità; e poi lui, lo Zingaro/Luca Marinelli, senza limiti, senza pietà, grottesco, pulp, esagerato ed esteta, che spacca lo schermo (fantastico quando canta. Ma non perché canti bene).
Che diavolo, ho apprezzato pure i comprimari: da Cosima, la malavitosa napoletana (una femmina, evviva), a Marcellone, che compare in una scena sola, ma mi ha fatto morire.
E poi, sì, c’è la genialata di Jeeg.
Che è poco più di una metafora, di una traslazione della realtà, di un passatempo e di una strizzata d’occhio. Ma geniale, soprattutto quando (seppur in modo non troppo originale) viene usato per filtrare la realtà tremenda di Alessia, che così rimane in bilico, finché può, tra verità e fantasia.     
Un film dal budget povero, a metà tra il noir e il supereroistico, senza grandi effetti speciali, ma intenso, potente, grazie anche al cast perfetto, e che alla fine riesce persino ad emozionare.

Curiosità: nel Blu-ray, tra i contenuti speciali, il corto di venti minuti “Tiger Boy”, che presenta vaghe assonanze con “L'Uomo Tigre” ed è davvero notevole, toccante e di forte impatto.

mercoledì 15 febbraio 2017

3 GRAPHIC NOVELS

Ci sono settimane in cui arrivo a leggere una quindicina abbondante di fumetti nuovi e, mi spiace, non posso recensirli tutti. Del resto, anche aspettare per passarli in rassegna può rivelarsi un errore perché tanti concetti nella mia testa finiscono per conservarsi con meno fragranza. Ecco perché periodicamente propino post cumulativi. Cerco il giusto mezzo. E per tre graphic novels che seleziono, ce ne sono trenta a cui rinuncio... quindi godetevi queste con intensità: 


UNA NOTTE A ROMA
di Jim
Una storia d'amore? No. Non è amore questo, ma il suo contrario, perché il sentimento – ma è un sentimento? – che esalta è superficiale, per quanto intenso, edonistico, frammisto ad altri impulsi non particolarmente nobili e non alludo al sesso – per quanto ci sia anche questo – quanto piuttosto all'autogratificazione, con un protagonista odioso, debole, fedifrago e stupido. 
Eppure ho apprezzato l'opera: il tratto è accattivante, valorizzato dal colore, il montaggio ineccepibile, la storia coraggiosa e in molti passaggi sa di verità, catturando non solo stati d'animo, ma anche l'ebrezza delle emozioni, l'urgenza del desiderio e gli afflati della giovinezza, quando ormai la giovinezza è consapevolmente perduta. 


POLINA
di Bastien Vivès
Irrinunciabile se si amano la danza e i romanzi di formazione perché racconta la storia di una ballerina che diventa se stessa, attraverso i vari modi di muoversi e di essere, sperimentando come lavorando sui fondamentali, imparando dagli insegnanti e dai compagni, e trovando, soprattutto, tra rigore e improvvisazione, la propria personale strada sganciandosi dai percorsi già tracciati e dipingendone uno suo, un po' per fortuna, un po' grazie al talento, che chiedeva solo di essere incanalato.
Si alternano dunque gioie e dolori, riflessioni e shock, attraverso disegni dinamici ed espressivi, plastici e flessuosi, che ci fanno sentire sulla pelle e nel cuore la disciplina di Tersicore, ma pure l'incedere della vita, fatto di lunghe stasi e di improvvise accelerazioni. 


DUE FRATELLI
di Fàbio Moon e Gabriel Bà 
Trasposizione di un romanzo di Milton Hatoum, è una saga familiare ambientata a Manaus incentrata su due gemelli che più diversi non possono essere e che finiscono per odiarsi, sconvolgendo l'esistenza di tutti i loro familiari.
Una storia di contrasti e corrispondenze, di vendetta e struggimento, intensa, focosa, ben costruita. Che avvince da subito per le tavole stilizzate e peculiari, ma conquista definitivamente per la forza narrativa. La trama, infatti, segue la sua via liberamente, senza farsi imbrigliare da regole non scritte, sottraendosi alla prevedibilità senza rinunciare alla passione. Grazie a Luca che me lo ha consigliato.

martedì 14 febbraio 2017

L'assurdo della violenza

CALIGOLA
di Albert Camus


Ci sono tre versioni di quest'opera teatrale, molto diverse fra loro, e a leggere l'introduzione e l'appendice dell'edizione Bompiani in cui ne vengono evidenziate le differenze (personaggi nuovi o con un risalto diverso, ma pure varianti importanti in ordine al sottotesto) viene voglia di approfondirle tutte quante.
Quella che ho letto io è la seconda, con in più, rispetto alla precedente, il personaggio di Elicone, amico e alter ego di Caligola, il folle imperatore romano succeduto a Tiberio. Inoltre c'è un rafforzamento della figura di Cherea, che da comprimario da sfondo diviene affascinante antagonista.
Lo stile è quello di Camus: asciutto, scabro, ma pregno di significato, che va al di là della vicenda in sé, assurgendo a metafora. E, ovviamente, sottolineandone l'assurdo, e in particolare l'assurdo della violenza, nata come reazione al rifiuto della realtà, e poi sempre più incontenibile fino a che non fagocita se stessa.  
I dialoghi sono vivi, lirici e terrificanti, sanno di azione anziché di parola, e sottolineano la pazzia e l'imprevedibilità del più truce e sanguinario dei Cesari, che, come ci viene illustrato da Franco Cuomo, rappresenta “la lotta tra la presa di coscienza da parte dell'individuo e l'incapacità di ribellarsi al tiranno di una classe politica e intellettuale che ha perso la propria identità culturale”. Da molti accostato a Hitler.
Ad ogni modo, volendo restare sul piano del mero godimento da lettore, senza indulgere su riflessioni di critica letteraria (che comunque vengono guidati e facilitati dagli apparati sopra menzionati), l'opera è piacevolissima da leggere, fulminante e cruda, apparentemente semplice, immediata, ma con picchi di luminosa bellezza, di pensieri titanici e di lucida angoscia.   
Dopo “Lo Straniero” e “La Peste”, ne sentivo ineluttabile la necessità.

lunedì 13 febbraio 2017

Fantascienza senza limiti

DIRK GENTLY – AGENZIA DI INVESTIGAZIONE OLISTICA


Otto episodi: divertimento assurdo, rocambolesca immaginazione, dialoghi spettacolari.
Tratto dai romanzi di Douglas Adams (quello di “Guida Galattica per gli Autostoppisti”, per capirsi, di cui “Dirk Gently” replica lo spirito), ne esalta l’esplosiva freschezza e la verve fantasiosa, risucchiandoci in un meraviglioso loop temporale con più morti (e più creativi) che in un film di Tarantino… Ad esempio? Per mezzo di uno squalo martello. Nella suite di un albergo. Senza acquario. 
In altri termini: fantascienza senza limiti, votata allo spasso, ma coerente e ben congegnata, che non lesina sulla violenza e l’azione, e in cui, con il procedere degli episodi, il ritmo si fa sempre più incalzante.
In apparenza ci vengono presentate diverse sottotrame con pochi contatti tra loro… in pratica, però, tutto è connesso e l’intreccio è un tripudio di incastri, garbugli e meraviglie.
Anche se, la cosa migliore, sono proprio i personaggi.
In primis lui, Dirk Gently: scanzonato, eccentrico, irresponsabile, con adorabili tendenze di tipo sociopatico, ma non privo di fragilità emotive, e ciò per merito non solo del retaggio di Adams, ma soprattutto dell’attore che lo interpreta, Samuel Barnett, che riesce a conferirgli grande spessore, oltreché che infantile tenerezza e un tocco di delicata ingenuità. 
Poi Todd/Elijah Wood, in continua evoluzione. E pensare che nei panni di Frodo, Elijah non mi piaceva: qui, invece, è fenomenale, così eternamente spaesato e (in principio) vile, nevrotico e compassato, perfetto contraltare di Dirk… 
Tenerissima Amanda (Hannah Marks), affetta da una malattia pazzesca, la pararibulite, che le provoca allucinazioni semi-ingovernabili, e i vampiri psichici, che pure lì per lì sembrano solo degli spostati ex giovani con tendenze delinquenziali. E poi Bart (Fiona Dourif), che ci regala alcune fra le scene più belle, godibili e allucinanti…
In più ci si fa un mucchio di risate!!! Non sorrisi, non risatine! Risate vere, da lacrime agli occhi, con qualche sfumatura gioiosamente demenziale!


P.S.
Esiste pure la versione a fumetti… Ho letto il primo volume, edito da Saldapress. Piacevole, spumeggiante, ma apparentemente non c’entra più di tanto con la Serie Tv: altra avventura, altri protagonisti. Solo Dirk rimane, ma è diverso, persino sul piano fisico (credo che rispecchi la versione inglese della Serie, mentre quella di cui parlo è il remake americano), ma è comunque interessante scoprirne altre declinazioni…


P.P.S.
Pare però che, anche in tal senso – romanzi, serie americana, serie inglese, fumetti – tutto sia connesso!

venerdì 10 febbraio 2017

Le declinazioni della vita

LA CASA ROSSA
di Mark Haddon


Due famiglie, parenti stretti che si conoscono poco, una casa per le vacanze, nella campagna del Galles, tanti segreti, quasi uno ciascuno, che a furia di stare in insieme vengono fuori, e a volte deflagrano, altre vengono semplicemente affrontati.
La vicenda è interessante, seppur non in senso tradizionale (non ci sono un vero e proprio inizio e una vera e propria conclusione) ma ancor più avvincono il modo di raccontarla – a spizzichi, a brani, per piccoli passi, con una buona introspezione psicologica e qualche suggestione – e lo stile dell’autore, pacato, scarno, ma puntuale, ricco di calore umano.
La trama potrebbe infatti risolversi in un’accozzaglia di scontri e situazioni pruriginose, alimentate dal gusto del peccato e dello scandalo bigotto, ma qui le varie scelte/inclinazioni/sventure vengono invece analizzate come declinazioni della vita, che possono capitare come no, ma che non devono per forza essere foriere di condanna. Semplicemente la gente è quello che è, nel bene e nel male. Sbaglia, e non sempre per colpa. Sovente sì, e in quel caso può giusto assumersi le sue responsabilità e andare avanti cercando di migliorarsi.  
Un romanzo che scorre via veloce, che coinvolge, ma non sconvolge. Piuttosto pungola e fa riflettere, indulgendo, talvolta, sul rimpianto e sulla nostalgia, ma finalizzata alla rielaborazione e all’autoanalisi, in cui il lettore deve impegnarsi almeno quanto l’autore.
Se devo dirla tutta all’inizio i passaggi repentini dalla soggettiva di un personaggio all’altro – sempre molto brevi, oltretutto – mi spaesavano un po’, rendendomi la lettura difficoltosa.
Ma basta abituarsi per rendersi conto che questo modo di procedere è più efficace nel rappresentare la realtà poliedrica di un gruppo di individui sententi, i cui ruoli, peraltro, hanno il vantaggio di essere chiari e ben definiti.
Indubbiamente “Lo Strano Caso del Cane Ucciso a Mezzanotte”, il grande successo di Mark Haddon, è assai più peculiare, tenero, allegro, tragico e brillante. 
Qui ci sono meno effetti speciali, colpi di scena più sommessi, e siamo più vincolati alla quotidianità e all’intimismo ordinari.
Ma se non si è in cerca di un emulo, si trova un buon libro.

giovedì 9 febbraio 2017

Un sette più

LA TERRA DEI FIGLI
di Gipi


Da questo fumetto mi aspettavo di più. Forse troppo di più, perché ne avevo sentito parlare davvero bene.
Di positivo ci sono l’ambientazione (specie se, come me, si adora il genere post apocalittico), il bianco e nero, la fluidità del linguaggio, non necessariamente basato sulle parole, e il connubio di ingenuità/crudeltà dei protagonisti e della situazione che vivono (per certi versi mi hanno fatto pensare ad Agota Kristof, un’autrice che ormai considero fondamentale, e in particolare al suo “Il grande quaderno”).
Mi piacciono anche i disegni, per quanto sembrino appena sbozzati, e l’atmosfera.
Apprezzo il non sapere che cosa accadrà nella pagina successiva, mentre la circostanza che una trama vera e propria non ci sia non mi disturba, anzi, lo squarcio sulla vita dei protagonisti, i figli del titolo (laddove quasi tutti, invece di allevarli, i bambini li hanno soppressi), mi ha sedotta parecchio con la sua linearità, così a metà tra un’indagine ipotetica del mondo futuro e un romanzo di formazione. 
Inoltre amo la perenne sensazione di non detto, di sottinteso, che permea ogni tavola e lascia presagire più di quanto mostra. Così come mi ha conquistata la frase-incipit (“Sulle cause e i motivi che portarono alla fine si sarebbero potuti scrivere interi capitoli nei libri di storia. Ma dopo la fine nessun libro venne scritto più”) e il non ricevere spiegazioni su come il mondo sia finito.
Mondo finito, che, nonostante tutto, è interessante, sa di Italia, ed è denso di sorprese, per quanto non ci sia mai nulla di veramente nuovo.
Però…
Ecco, non è che questa sia una recensione negativa.
Il fumetto è bello, migliore di tanti letti negli ultimi tempi.
Solo, l’ho detto, le mie aspettative erano alte.
E mancano veri elementi di originalità o di genio. Non c’è un’indicibile purezza del linguaggio (inteso in senso ampio), neanche a considerarne le sue componenti singolarmente. Né tanto meno la lettura mi suscita vere e proprie emozioni, tutt’al più una diffusa curiosità, desolazione e malessere. Che è tanto, ma non l’apice.
I protagonisti, poi, sono insopportabili. Pazienza, non è una gran pecca, questa. E forse è voluto: come ci viene spiegato, devono essere cattivi per adattarsi ad un mondo cattivo.
Tuttavia… ecco, non sono cattivi in modo profondamente affascinante.
L’opera è pregevole, ma… assegnargli un dieci? Indicarlo come fumetto migliore del 2016?
No.
E’ un buon fumetto, sono contenta di averlo comprato e mi ha fatto venir voglia di leggere altro di Gipi, ma se proprio bisogna attribuirgli un voto, io sarei più orientata per un sette più.
Ma chissà, forse se me lo avessero proposto come “da sette più” ora mi starei sperticando in lodi.

mercoledì 8 febbraio 2017

Le sfighe di Johnny

LA ZONA MORTA
di Stephen King


Uno dei romanzi cardine di King: tra i più parodiati, citati, ricordati (si vedano, ad esempio, I Simpson e Dylan Dog) e ciò persino nella stessa mitologia kinghiana (anche se di norma, in questo caso, si tratta per lo più di ammiccamenti e riferimenti marginali, non di menzioni imprescindibili).
Uno dei suoi successi più risalenti, peraltro, scritto nel 1979…
E, per quanto mi riguarda, uno dei più noiosi, lenti e brutti.
Non sul piano letterario generale.
Sul piano letterario generale è comunque un libro sopra la media grazie agli ormai noti favolosi pregi della prosa del Maestro: ottimo stile, mirabile approfondimento psicologico dei personaggi, bella atmosfera (nonostante la sua cupezza)…
E pure il protagonista, tutto sommato, Johnny Smith, è simpatico e favorisce l’empatia.
Il problema è innanzitutto la trama, che proprio non mi ha mai preso, per quanto non sia totalmente scevra di spunti interessanti, e, in secondo luogo, il suo incedere bradipesco, con troppe digressioni inutili e fini a se stesse, che sviano e fanno scemare l’interesse.  
Questo, ben inteso, per quanto rammento (l’avevo letto alle Medie)…
Per cui la colpa può essere mia, tanto più che nemmeno il tema alla base, la chiaroveggenza del protagonista con le sue drammatiche implicazioni morali, mi ha mai attirata molto, così come il fatto che, per quanto teoricamente appartenga al genere horror, il romanzo a me suoni semmai come un thriller...
Senza contare che ho patito atrocemente tutte le sfighe che capitano a sto povero disgraziato (quasi peggio di Fantozzi) che prima finisce in coma per cinque anni, poi scopre che l’amore della sua vita ha sposato un altro, che sua madre ha iniziato a sbroccare, e in più a lui ora toccano ste cavolo di visioni incomplete di passato e futuro, con le dannate responsabilità e ansie che comportano (non rivelo di più perché sarebbe un peccato).
La fine, ad ogni modo, non sarà più rosea…
Del resto, se il romanzo non mi ha entusiasmata, il film del 1983 mi era piaciuto ancora meno (e sì che è di David Cronemberg).
Amen.
E’ un’opera del re, quindi bisogna leggerla.
Per una volta, sono contenta di averlo già fatto.

martedì 7 febbraio 2017

Un meraviglioso fascino vintage

IL TALISMANO DELLA FELICITA’
di Ada Boni


A casa mia, sin da quando ero un’implume fanciullina, è sempre stato chiamato semplicemente “Il Talismano”, come se fosse un manufatto magico o contenesse qualche segreto oscuro, fatto glifi e caratteri perduti.
In realtà è un libro di ricette, bello corposo, i fogli bruniti, la copertina blu, alcune pagine strappate (tanto che non riesco a trovare né casa editrice né anno di pubblicazione), la copertina malamente scotchata e poche foto raminghe.
Però il Pater (il vero cuoco di casa), che i libri di ricette si diverte a collezionarli (possiede altresì volumacci disgustosi che sembrano film dell’orrore a base di suggerimenti per utilizzare viscere e frattaglie), l’ha sempre stimato alla stregua di una Bibbia del settore, della serie: qualunque cosa tu debba preparare, in qualunque modo, cercala sul Talismano: c’è tutto.
Io non ho l’animo cuciniero (ho l’animo goloso da divoratrice scansafatiche) e non l’ho mai considerato.
Ma poi l’ho sentito citare dalla Valentina di Crepax.
A quel punto una leggiucchiata è diventata doverosa.
Non sono razzista con i libri di ricette, in fondo posso considerare anche loro, sempre libri sono, e hanno il pregio di farmi sognare senza ingrassarmi.
Questo, poi, oltre a rammentarmi l’infanzia, si fregia anche di un meraviglioso fascino vintage, nonché di un’incommensurabile varietà di piatti (consta di più di mille pagine).
Non solo compaiono cosette buffe, quali il braciato, i lardelli, il mascherpone e la pollastina; non solo elenca cibi misteriosi quali la pagliata, la galantina, la ghiaccia e la principesca, ma sfoggia pure uno stile aulico, elegiaco, persino, che resta pratico e colloquiale, ma che presenta impennate materne e note sfiziose, consigli e vezzeggiativi sensuali, mescolandoli a spiegazioni, chiose e precisazioni, sempre di cucina, ma magari attinenti al costume o al buon mangiare.
Per esempio, prima di illustrare come servire i fagioli, si sente in dovere di ammonirci: “sono tra gli alimenti vegetali più gustosi e più ricchi di sostanze nutritive”.  Oh, ben gentile! Grazie per l’informazione, viene da rispondere.  
Per giunta lo stile è di una fluidità unica, da gran romanzo classico, farcito com’è di amene espressioni tipo “in modo da avere una pasta molletta” (si veda la pinza alla Bertoldese, ossia un dolce natalizio del Bolognese, a base di cacao in polvere, fichi secchi e zibibbo macerato nel rum).
Insomma, uno si pensa di sfogliare un libro di ricette, invece no! Invece trova poesia e ammiccamenti arguti, emozioni autentiche e il sapore della vita!
Se mai deciderò di dedicarmi seriamente all’arte culinaria, mio sarà “Il Talismano della Felicità”…  Stupendo, e azzeccato anche nel nome!!!
O magari, perché no, sarà il mio prossimo libro di lettura…

P.S.
Da una rapida ricerca su Internet, ecco che ho trovato:
"Di Voi, Signore e Signorine, molte sanno suonare bene il pianoforte o cantare con grazia squisita, molte altre hanno ambitissimi titoli di studi superiori, conoscono le lingue moderne, sono piacevoli letterate o fini pittrici, ed altre ancora sono esperte nel tennis o nel golf, o guidano con salda mano il volante di una lussuosa automobile. Ma, ahimè, non certo tutte, facendo un piccolo esame di coscienza, potreste affermare di saper cuocere alla perfezione due uova al guscio." Ada Boni così iniziava, quasi settanta anni or sono, la dedica alle lettrici in una delle prime edizioni de "Il Talismano della Felicità" manuale di cucina, che raccoglieva in maniera ordinata e sistematica tutte le ricette da lei pubblicate, sin dal 1915.
Edizioni Colombo


Purtroppo il libro che gira dai miei comincia a tradimento a pagina nove…

lunedì 6 febbraio 2017

Il film funziona

SUICIDE SQUAD
di David Ayer
(2016)


Carino.
Va bene, non è particolarmente originale, il nemico fa schifo per fascino e caratterizzazione, alcune soluzioni narrative sono forzate, altre banali, ai limiti dell’ovvio, ma chi se ne importa: il film funziona, ha un gran ritmo, tanta azione, ed è divertente, persino all’inizio, quando presenta un andamento schematico.
A sollevarlo ulteriormente, poi, ci sono alcune battute felici e… i personaggi! Harley Quinn/Margot Robbie, soprattutto: fenomenale! Non solo perché è bellissima, ma perché, per dirla alla Nietzsche, sembra davvero fatta per partorire stelle danzanti.
E il Joker di Jared Leto?
L’ho sentito criticare in lungo e in largo, ma a me aggrada un sacco. Da solo e in coppia con Harley. Lo ammetto, di per sé non dice né fa granché, ed è persino un po’ repellente con quei dentini osceni, però… ehi, non è facile dopo Heat Ledger, e comunque mi fa impazzire il modo acido in cui è squinternato. Ma squinternato sul serio.
Certamente si poteva fare di più.
Certamente si poteva osare di più: con cattivi veramente cattivi, e non all’acqua di rose e con diecimila giustificazioni/esimenti/attenuanti morali.
Ma dopo i vari e molteplici scempi Marvel, questa piccola gioia DC, non troppo ammiccante, non troppo stupida e infantile, ma neanche eccessivamente pesante, verbosa o drammatica, abbastanza violenta e con una buona dose di simpatia, con in più un cameo di Batman (va beh, il Batman di Ben Affleck, ma quello passa il convento) sa davvero di fresco e godibile.
Sono persino disposta a perdonare il finalino buonista, scontato e sbrigativo.
La verità è che, semplicemente, ho trascorso una bella serata e ne sono stata lieta.
Non avevo, peraltro, preconcetti: conoscevo i personaggi in modo generico e non ho mai letto i relativi comics, quindi, in tal senso, non posso effettuare confronti.

Però posso apprezzare il film in quanto film, a prescindere dai riferimenti, e confermo: carino. E ci aggiungo una faccina sorridente e la precisazione che sono stata entusiasta anche a livello estetico.

venerdì 3 febbraio 2017

Il disincanto del paradiso

I SETTE PECCATI DI HOLLYWOOD
di Oriana Fallaci


Sarà pure passato qualche decennio, ma a leggere quest’inchiesta si resta basiti: con la sua prosa umana, ma temprata nel fuoco, Oriana Fallaci ci rivela i retroscena della  Hollywood di fine anni 50, splendida e sporca, evidenziando ipocrisie, fragilità, tragedie e contraddizioni – spesso con corollari da commedia – raccontandoci di Star del calibro di Cecil B. De Mille, Elvis, William Holden, Kim Novak, Judy Garland e Jayne Mansfield. (Ad esempio. Non della Monroe, però. Questo è un tasto dolente: Oriana non è riuscita ad incontrarla, a dispetto di quel che si è scatenato per lei... Ci accontentiamo di suo marito, Arthur Miller) e di quel che c’è dietro…
Non si tratta di gossip, però, sebbene qualche amena curiosità emerga, quanto piuttosto di un’analisi disincantata che ci aiuta a scoprire che quello che normalmente favoleggiamo come un Paradiso dorato è in realtà un inferno grottesco. Il quadro che ne esce, infatti, sa di make up e desolazione interiore e rischia di condurci  (purtroppo è accaduto) dritti al manicomio… 
Tanti ne esaminiamo (attori, produttori, registi, giornaliste vipere), pochi si salvano. La prosa della Fallaci è brillante, ironica, spigliata, ma mette in luce con crudezza tutte le ombre, dipinge spaccati, ci racconta storie, analizza l’insieme e si sofferma sul contorno come sul dettaglio, insegnandoci, per reazione, ad amare le nostre esistenze squisitamente ordinarie, senza ricchezze spropositate, fama e successo… ma anche piene di affetti, di valori e di drammi proporzionati alla nostra capacità di gestione.
Ad Hollywood si fabbricano sogni, ma anche nevrosi, scandali, angosce…
Visitiamo la Chiesa delle Star e le loro case, la loro vita, o gli scampoli di essa che  costoro ci permettono di sbirciare, magari dopo un’energica lustratina. Scopriamo i loro risvolti umani (troppo umani), beceri e puritani, le loro squallide finzioni, ma anche fortuna, dolori, ambizioni, come pensano e come agiscono…
Rimaniamo incantati. Ma non vediamo l’ora di fuggire a gambe levate.

giovedì 2 febbraio 2017

Alla fine torna tutto

WESTWORLD – DOVE TUTTO È CONCESSO


Ispirata a “Il Mondo dei Robot” di Michael Crichton, questa serie tv sorprende per l'intensa carica innovativa e per l'arricchimento sostanziale ed emotivo che ha subito il plot, aggiornato e più attento alla psicologia dei (moltiplicati) personaggi (inclusi gli androidi), alle potenzialità dell'intreccio, ai risvolti umani, tanto che anziché l'ennesimo rifacimento, sembra semmai un'opera nuova, più complessa, densa di sottotrame ed infiniti riverberi e sfumature.
Senza dubbio denota grande sensibilità e sebbene proceda, specie nei primi episodi, con passo lento e cadenzato, è sufficientemente affascinante da spingere lo spettatore a proseguire senza esitazioni.
Coinvolgente la storia, brutale e corale, ma con molti protagonisti di spicco, dentro e fuori la finzione, ma soprattutto fruibile su più livelli, ghiotta sul piano concettuale e filosofico, persino etico, pone l'accento su diverse questioni esistenziali che si sovrascrivono alla trama in modo naturale, fornendole spunti continui e dando luogo – inevitabilmente – a numerosi e sconcertanti (seppur leali, e come tali intuibili) colpi di scena.
A tratti è quasi difficile da seguire, anche a causa del sovrapporsi di sequenze e linee temporali non denunciate, di squisiti ribaltamenti e di inversioni di ruolo, nonché di improvvisi (ma non gratuiti e ingiustificati) mutamenti di personalità. Si ha sempre l'impressione che qualcosa ci sfugga, di aver perso un passaggio, ma alla fine torna tutto e tutto trova la sua collocazione...
Nel cast spiccano Anthony Hopkins nei panni di Ford (che in principio ci parrà solo un innocuo e bravo vecchietto, ma che in realtà... è molto di più e molto di meno), Ed Harris, che veste il ruolo del crudele Uomo in Nero, e Thandie Newton/Maeve che, come tutti i protagonisti, sarà in continua evoluzione.
Serie stupenda, adulta, che si presenta come di matrice fantascientifica, ma che in realtà è soprattutto incentrata sull'uomo, sull'amore, sulla violenza, sulla vita e sulla morte, e sul loro significare.

P.S.
Da notarsi il cameo dello pseudo Yul Brynner sullo sfondo di uno dei vecchi laboratori...

mercoledì 1 febbraio 2017

Una sensualità senza pari

BARBARELLA
di Jean-Claude Forest


Eroina bellissima e femminile, nei modi, negli atteggiamenti, come nelle soluzioni adottate, ispirata alle fattezze di Brigitte Bardot, coincide altresì con una delle tappe fondamentali nella storia del fumetto, soprattutto per la libertà morale che esprime.
Disinibita e discinta (fa l’amore e non la guerra), Barbarella è infatti portatrice di una sensualità senza pari (un tempo, forse, si sarebbe detto di erotismo, ma ormai, in questo senso, la ragazza ci appare fin troppo morigerata, al di là della sua facilità a mostrarsi senza veli), che meraviglia ancora oggi a livello concettuale per  disinvoltura mentale, generosità, indipendenza, tolleranza e ampiezza di vedute. Si badi, non è una vittima alla Justine: sceglie lei i suoi partner, come e quando vuole, anche solo per non annoiarsi, senza complessi o nevrosi, semplicemente perché è viva e felice di esserlo, oltre che deliziosamente perversa. Al contempo, però, è dolce e progredita, spiritosa e ironica, e... finalmente ne esce l'edizione integrale! 
L'opera, di genere fantascientifico, è del 1962 e qualche annetto sulla schiena lo comincia a sentire (talvolta stupisce per verbosità, spesso i passaggi da una scena all’altra risultano troppo repentini, persino sbrigativi, specie nell'ambito delle storie brevi), ma è comunque godibile, i disegni sono morbidi e sinuosi, i costumi stupendi, inoltre è interessante sul piano antropologico-sociale, per tacere della circostanza che ha fatto epoca ed è da leggere anche solo per ragioni culturali. 
Peraltro pure sul piano fantascientifico/immaginifico ci sono elementi interessanti: dalla varietà delle popolazioni aliene allo strepitoso Orecchio gigante carnivoro.
Per giunta, quando passiamo dalle storie brevi ad un'avventura di più ampio respiro, il salto si sente e la situazione migliora moltissimo.
Assai gustosi, a fine volume, gli omaggi di Guido Crepax, con la sua conturbante Valentina, e di Milo Manara.