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venerdì 30 novembre 2018

Due su due

L'ODISSEA DELLA PUNTURA 2


Sembra incredibile, ma è successo. 
Lunedì mi hanno dimessa, come previsto. 
Prima di andarmene ho controllato bene di non aver lasciato nulla nell'armadio, nel comodino, in bagno o sul letto. Ho fatto una pausa. Mi sono vestita con cura. Altra pausa. Ho ricontrollato tutto una seconda volta. Ho salutato la mia nuova compagna di stanza, appena operata. Sono andata all'accettazione per farmi fare il foglio di degenza (hanno impiegato solo dieci minuti per scrivere quattro righe e io mi sono dovuta sedere in sala d'attesa per non stramazzare per terra), ho salutato e sono uscita.
Mentre eravamo sulla via del ritorno, guadagnata con fatica, mi è sorto un dubbio: ma non mi danno le punture da fare a casa? Che strano. L'altra volta le avevo fatte. E fino a ieri le facevo anche questa volta. E le infermiere nel reparto mi dicevano che a casa avrei dovuto continuare a farmele io... Dunque?  
Provo a chiamare l'ospedale (tanto ormai ho il numero diretto).
Fortuna vuole che rispondano quasi subito: mi dicono che in effetti sì, le punture devo farle. Si sono dimenticati. Posso tornare indietro?
Posso. Ci vuole quasi un'ora, ma posso.
Torno indietro.
All'accettazione mi dicono che non sono sicuri che debba prendere l'eparina. Forse no. Io chiedo, senza alzare la voce, e con somma serenità: “Quindi mi avete fatto tornare indietro per niente?”
L'infermiera (gentile) si agita. Argomenta che non lo sa, mi chiede con chi ho parlato. Io dico che la sua collega non si è qualificata, ma mi ha chiamata per nome. Allora lei controlla meglio. Mi siedo in sala d'attesa. In capo ad un quarto d'ora scoprono che sì, devo farmi sei punture, una al giorno per sei giorni. Mi consegnano la scatola, avendo la grazia di scusarsi. Io ringrazio a mia volta e me ne vado. Dio, che sarebbe successo se non mi fosse venuto in mente? Se fossi una donna anziana o solo una persona meno attenta?
A sera faccio per iniettarmi la prima puntura. Apro la scatola. Ce ne sono solo cinque. Ne manca una. 
Dio.
Chiamo in ospedale. Entro un quarto d'ora riesco a prendere la linea. Chiedo se devo fare cinque iniezioni, contrariamente a quel che mi hanno detto, o se invece manca davvero una siringa.
Manca una siringa. 
“Torni indietro e gliela diamo, signora!”
“Impiego tre ore a venire e tre ore a tornare. Non c'è un'altra soluzione? Non posso comprarla?”, chiedo, prossima all'esasperazione. 
“Eh, senza ricetta non gliela danno. Deve andare dal suo medico di base”.
Okay, Mater mi fa la cortesia di andarmi a procacciare la ricetta. (Ma che farei se fossi da sola? Se non avessi nessuno?)
Quando Mater torna dal centro medico mi dice che entro mercoledì avrò la ricetta, quindi tutto bene. Solo un dubbio... L'impiegata del centro si è stranita, perché di solito il dosaggio  è diverso. Misericordia. Vuoi vedere che hanno sbagliato anche quello? Oltretutto, medito, le punture che mi facevano in ospedale erano diverse da quelle che mi hanno dato. Erano più grandi. 
Ritelefono. 
Risponde un'infermiera, abbastanza celermente, e mi sbuffa in faccia. Mi dice: “Signora, se le han dato quelle, vuol dire che vanno bene quelle...”
“Signora”, le faccio il verso io con tutta la calma che riesco ad invocare, “non può farmi la cortesia di controllare?”
“Se le han dato quelle, van bene quelle...”
“Senta, ne avete già cannate due su due. Mi scusi, ma la mia fiducia comincia un po' a scemare... Vorrei che verificasse.”
“Come?”
“'Sta mattina vi siete dimenticati di darmi le punture. Poi me le avete date e ne mancava una. Ora, se fosse pure sbagliato il dosaggio non mi stupirei. Mi fa il favore di controllare? Grazie.”
L'infermiera sbuffa, ma controlla. Mi chiede quanto peso. Il dosaggio corrisponde. Questa volta ci hanno azzeccato, pare. 
E voglio sperare che sia così, dato che ieri ho fatto l'ultima iniezione e ancora non sono morta. 
Che fatica, però!
Finite le mie disavventure ospedaliere, da lunedì, torniamo ai post “normali”.
Bacioni!!!

giovedì 29 novembre 2018

Come nel Paese delle Meraviglie

LA BIZZARRA LOGICA DEL CIBO OSPEDALIERO


Questo è un post che ho promesso a Vi, la quale, per ragioni misteriose, ci teneva particolarmente.
Il fatto è che io sapevo già che funziona così, per cui non mi sono stupita. Lei, ignara, sì. E ha faticato a credermi.
Ebbene, sul serio, oggi si sceglie il menu dell'indomani. 
E se l'indomani si viene dimessi? 
Il tuo menu se lo becca il paziente che ti sostituisce. 
Ma che senso ha? 
Nessuno, questa è la logica ospedaliera. 
Ma mica è detto che abbiate gli stessi gusti... 
Lo so, ma che devo farci? 
Magari ti disgusta quello che è stato ordinato da un altro... Pensa se ti portassero del pesce..
Vi, stai facendo osservazioni razionali in un luogo irrazionale. Qui è come nel Paese delle Meraviglie. Con la differenza che non ci sono Meraviglie. Non devi chiederti il senso delle cose. Le cose accadono e basta e tu devi accettarle. 
Ma è assurdo!
Esatto. Come nel Paese delle Meraviglie.

E dunque, volete sapere che cosa è stato scelto per il mio primo pasto dopo l'intervento? Pizza, Arista di Maiale al Latte (discreta, peraltro), e zucchini bolliti. Niente male, eh? 
In quanto a me, io ho scelto con amore il pasto di chi mi ha sostituito: Minestrina in brodo (io la adoro), polpette al pomodoro (ottime, già provate), e insalatina verde.
Vi mi ha detto che chi verrà dopo di me mi odierà a morte e mi maledirà: le polpette non si ordinano mai, sono fatte con gli avanzi. Mai. In quanto all'insalata e la minestrina non piacciono a nessuno. Il mio è praticamente stato un atto di crudeltà. Io non sono d'accordo. Anzi, sicuramente chi è venuto dopo di me avrà apprezzato il menu bilanciato, sano e leggero, e i sofisticati accostamenti.

P.S.
Bah, a me non dispiaceva il cibo dell'ospedale. A parte le cose stracotte e quelle insipide era piuttosto buono.
Vi, però, che è venuta a trovarmi tutti i giorni (abita a Genova, si dirà... che ci vuole? Ci vuole che con la faccenda del ponte rotto, impiegava un'ora e mezza ad andare ed un'ora e mezza a tornare, quindi cuori a Vi) e ha assistito a tutte le mie cene, non ha voluto crederci e mi ha portato una brioches di contrabbando. 
Che mi sogno ancora adesso tanto era squisita.

mercoledì 28 novembre 2018

No tassativo

ORGANIZZAZIONE FILINI


Ho fatto tutti i preoperatori il 30 ottobre, in pieno allarme maltempo, e mi è toccato tornare apposta a Genova il 13 novembre per il colloquio con l'anestesista, durato circa 45 secondi – dopo oltre due ore di attesa (domande principali: chi è lei? Quando la operano e di che cosa?)... Premesso ciò, ho chiesto se, per favore, considerato che vengo da fuori e ho già fatto tutti gli esami prodromici, il giorno dell'operazione sarei potuta venire in ospedale per le otto, anziché per le sette. 
Mi han detto di no, tassativo.
Ho spiegato che per me sarebbe cambiato molto: nel primo caso sarei potuta venire con calma la mattina stessa, nel secondo, con 'sta storia del ponte distrutto, non mi sarei arrischiata e mi sarebbe toccato prendere un albergo a Genova e dormire fuori, con la conseguenza che, per giunta, mi sarei bruciata un ulteriore pomeriggio lavorativo. 
Mi ha detto che dovevo venire alle sette e punto.
Va bene.
Prenoto l'hotel, mi organizzo il lavoro, MPM, poveretto, si organizza a sua volta per accompagnarmi, e il giorno 16, alle 6.30 spaccate, siamo in ospedale. 
L'infermiere mi dice di prendere il numero, che si va in base a quello.
Va be', dico, se non altro ha avuto un senso sottoporci a 'sto calvario. Sarò la prima.
Alle 7.00 cominciano ad arrivare altre pazienti in attesa di ricovero. Prendono il numero. Alle 7.30 ne arrivano altre. Prendono il numero. 
Alle 7.40 cominciano a far passare quelle delle 7.00. Capisco che il numero non serve a niente. E poi passano quelle delle 7.30. E poi quelle che sono arrivate alle 8.00. 
Alle 8.30 sono rimasta solo io. Mi dicono che ci sarà un po' da aspettare. Che la mia operazione è prevista per ultima. Che ci vorrà un tempo non precisato per farmi passare. Quindi l'ordine non dipende dai numeri, ma da come hanno programmato le operazioni. Quindi sapevano già che io prima di una certa ora non sarei passata e di sicuro non alle sette. Di sicuro manco alle otto.  
A questo punto insulto l'infermiere e gli dico che cosa penso di lui e del fatto di avermi fatto venire qui alle sette. A quello non è che venga in mente di scusarsi, piuttosto bofonchia cose prive di senso compiuto con voce arrabbiata, deciso ad avere ragione, ma non si capisce in base a quali presupposti. Io mi infurio ancora di più. MPM mi accarezza la manina per acquietarmi e mi consiglia, con dolce fare mammesco, di farmi prima operare e poi di insultarli. L'infermiere ne approfitta per andarsene. Io mi consolo prendendo il modulo per i reclami.
Alle nove mi danno la stanza e mi dicono di spicciarmi, che sono la prossima e quando arrivano i dottori devo essere pronta.
In effetti impiegano solo due ore e un quarto per venire a chiamarmi.
Immagino che se fossi arrivata in ospedale alle 8.00, come avevo chiesto di poter fare, avrei creato un grande disagio a tutti. 

P.S.
Ammetto, però, che dopo l'operazione sono stata un po' cattiva e ingiustamente. Ma non con l'infermiere barbaro, con la povera anestesista (diversa da quella del colloquio). 
Appena tornata dalla sala operatoria, mentre ancora non riuscivo nemmeno a parlare, mi è occorsa un'emergenza lavorativa. Quando è arrivata l'anestesista ero in piena crisi. E questa, carina e allegra, sembrava appena uscita dall'uovo di Pasqua. Le ho detto che andava tutto bene in ordine all'anestesia, di non preoccuparsi, ma adesso avevo altro a cui pensare, grazie. 
Questa poverina, decisa a farmi perdere tempo e le staffe, ha cinguettato tutta allegra e innocente, con studiato tono new age, che adesso dovevo pensare a me stessa e non al lavoro. Pace e amore per tutti. Fratellanza e libertà. Al che, con estremo incontrollato disprezzo, le ho sibilato un bel: “Gesù, si vede troppo che lei è una dipendente pubblica”. La poveretta ha cambiato faccia, e mi ha chiesto, severa: “Mi sta giudicando?” E io, sempre sibilando: “Ma no. Che cosa vuole che mi importi (grazie al cielo mi sono morsa la lingua prima di aggiungere “della sua miserevole vita”). Il visino della Dottoressa è ritornato a risplendere radioso e lei ha cinguettato altro sulla sua condizione di donna che lavora. Di cui, ovviamente, continuava a non importarmi nulla, visto che io avevo altre questioni da risolvere e manco riuscivo ad articolare decentemente le parole. Allora l'ho ringraziata di nuovo, sperando che la capisse e se ne andasse. 
Fortunatamente l'ha fatto. 
Ma poi mi sono sentita in colpa per tutta la sera per averla maltrattata. In effetti era gentile e premurosa, poverina. E non ho avuto nemmeno l'occasione di scusarmi. Mi dispiace!!! 

P.P.S.
M.P.M. era presente ed è stato maltrattato anche lui. 
L'indomani mattina, quando mi ha telefonato per sapere come era andata la nottata, mi ha chiesto: “Sei riuscita a non insultare più nessuno?”
Per la cronaca, a quel punto sono stata un amore fino a che non sono uscita dall'ospedale. Del resto sabato e domenica per me non sono giorni lavorativi.  

P.P.P.S.
Quando è arrivata, la mia amica Vi ha preso le mie parti, sostenendo che se ero così inviperita poteva essere un effetto dell'anestesia...

martedì 27 novembre 2018

L'ago nel pagliaio

L'ODISSEA DELLA PUNTURA


Dovete sapere che per il pomeriggio prima dell'operazione mi hanno dato una puntura di eparina da farmi da sola. 
“Nessun problema”, ho detto. “Me le sono già dovute fare due anni fa, sono in grado”.
“Tassativo per le 16.00”, si sono raccomandati, e me lo hanno pure scritto.
Il 15, alle 15.55, sono pronta: disinfettante, cotone, panza all'aria. Apro la confezione della puntura. Mi viene un infarto: non c'è l'ago. Che faccio? Provo a cliccare, a svitare, a tirare. Niente. Cerco le istruzioni. Non ci sono istruzioni. Che faccio? Forse dovevo comprare una siringa in farmacia e riversare lì il contenuto? Dio... Mica sono capace. Credevo che fosse come quelle di due anni fa. Ho i minuti contati, per giunta. La vasca già piena di acqua e di schiuma. Il treno in partenza alle 17.08. E intanto sono scattate le 16.00. Che faccio? Provo a contattare mia suocera che è infermiera. Ma non è raggiungibile. Chiamo MPM. Mi dice che sua madre è fuori Alassio e non è raggiungibile. A questo punto, la cosa più logica è chiamare l'ospedale. Provo. Dopo sei minuti di attesa riesco a parlare con la centralinista. Sbuffa. Spiego il problema. Sbuffa di nuovo, ma intanto cerca di passarmi il reparto. Nessuno risponde e la linea cade. Ovviamente non ho il numero diretto. Riprovo col centralino. Passano altri due minuti, questa volta mi risponde un ragazzo. Gentile, non sbuffa. Io però sono già mezza impanicata. Mi chiedo che succede se non mi faccio l'iniezione. Comincio a cristonare al telefono, a sfoggiare doppie zeta, e intanto spiego il mio problema. Mi aspetto che il ragazzo mi mandi a morire, visto che sono sgarbata e mezza isterica, ma lui è un tesoro. Quando al reparto non risponde nessuno mi passa tutti gli altri. Solo che continua a non rispondere nessuno. Mi dà il numero diretto, così che, qualora dovesse cadere la linea, possa provare direttamente io, ma non si arrende e riprova a passarmi tutti i reparti. Finalmente mi risponde un'infermiera. Alleluja. Ormai sono le 16.25, al treno ho rinunciato, mi toccherà prendere quello dopo, e ho il cervello che mi fischia a furia di stare al telefono. Amen. Almeno l'infermiera mi dirà che cosa devo fare. Ma l'infermiera non me lo dice. L'infermiera mi dice che ho sbagliato reparto. Replico che è irrilevante, a me basta che lei sappia fare una puntura. Lei insiste che ho sbagliato reparto e butta giù. Cristo. Mi attacco al telefono e intanto comincio a fare il bagno, se no, visto l'andazzo, finisce che mi perdo pure il treno successivo.
Impiego un ulteriore quarto d'ora per riuscire a parlare con un'infermiera del reparto giusto. Le dico che non c'è l'ago e non so come fare, la siringa appare mozza. E' diversa rispetto a quelle che avevo usato due anni fa e non so come fare. Lei mi dice che l'ago c'è, ma devo rimuovere il dispositivo di sicurezza. Mi spiega come. Lo rimuovo. Alla fine sono così felice di trovare effettivamente l'ago sotto il cappuccio che mi dimentico di disinfettare e me lo pianto direttamente nella pancia, tipo samurai che fa seppuku. Inietto il liquido. Estraggo. Dopo un paio di attimi comincio a sentire un male cane, ma non mi importa. Sono riuscita a farmi la maledetta puntura. Ahahaha. Ed è a questo punto che trovo questo sms nel cellulare: “Mi scusi. Sono il telefonista del XXXXXX, XXXXXX. Ci siamo sentiti alle ore XXXX. Volevo sapere, visto che l'ho sentita agitata, se aveva risolto. Mi scusi se mi permetto, ma quando succedono queste cose mi incXXXo e mi rovino le giornate anche se non conosco l'utente. Mi scusi ancora e non risponda al messaggio se non le va. Mi scusi ancora.”
Wow.
Sono mezza commossa.
Che tenero.
E aveva pure la voce figa e maschia.
Per un attimo penso di scrivergli: “Sposami!”, poi mi ricordo che sono già maritata. E gli rispondo facendo finta di non essere pazza, né innamorata. 
Snif. 

P.S.
Per la cronaca. Mentre accadeva tutto questo ho sentito suonare prima il citofono, poi la porta di casa. Non ho risposto. Ero ignuda e in ritardo e comunque ero a casa dei miei (al mattino ero stata in Tribunale a Savona, al pomeriggio dovevo andare all'Anagrafe di Pietra, e, siccome dovevo poi partire per Genova, tanto valeva evitare di tornare ad Alassio), loro non c'erano e di sicuro non era per me. Al diavolo. 
Dopo altri dieci minuti ho scoperto che era MPM. Si era precipitato immediatamente da Alassio per accertarsi che andasse tutto bene. Cuori cuori cuori, povero cucciolo.

P.P.S.
Lui mi rinfaccia ancora di averlo lasciato chiuso fuori dalla porta.

lunedì 26 novembre 2018

Una marea di cosette divertenti

DI NUOVO SEMI-OPERATIVA


Tutto bene!!! Sono stata dimessa e sono tornata a casa, e, quasi subito, pure al lavoro. Non sono però ancora al 100%, e infatti ho i punti che mi tirano ovunque, cammino lenta come una signora di 106 anni e non posso sollevare pressoché nulla, per tacere del fatto che sono sempre senza fiato. Però leggo a pieno regime e ho un sacco di post ospedalieri da scrivere, tanto che dedicherò a questi l'intera settimana. 
Eh, sì, perché in 'sti pochi giorni sono successe una marea di cosette divertenti. Divertenti col senno di poi, certo. Col senno di subito c'è da prendere un mitra e fare una strage, ma finché non mi tolgono almeno il diritto di critica qualche risvolto ameno, se non altro, si trova sempre.
Ci sono però state anche alcune faccenduole piacevoli e dunque comincio con queste, giusto per non dimenticarle...

1) Il giorno dell'operazione un'infermiera comincia a farmi le domande di profilassi. Poi si interrompe e viene sostituita da un collega. Mi chiede se mi hanno già fatto tutte le domande. Replico che mi hanno fatto delle domande, ma non sono in grado di dire se me le hanno sciorinate tutte. L'infermiere fa una smorfia e mi chiede: “Sei un avvocato?” Al che, allibita, rispondo di sì. Lui annuisce, saggio: “Eh, si vede. Questa è una risposta da avvocato”. Ho trovato la circostanza molto bizzarra, perché di solito gli umani (colleghe incluse) restano scioccati quando rivelo la professione che svolgo. Di solito mi prendono, nell'ordine, per una scrittrice (e qui, lo ammetto, godo), per una giornalista, per una fumettista, per una Prof. di lettere, per un'entomologa, per un medico, per un'artista o – più raramente – per un'attrice di oscura fama. Una volta – non so come sia potuto accadere – per una chef. Per un avvocato mai. 
2) Con l'infermiere in questione abbiamo fatto una stupenda discussione su libri, film e serie Tv di matrice fantascientifica. Non so, però, come sia andata a finire perché poi lui mi ha drogata e io ad un certo punto ricordo solo il nero.
3) Quando sono riemersa dal buio dell'anestesia non riuscivano a svegliarmi. Però io ero cosciente, sentivo e parlavo, sia pure con un filo di voce. Dicevo: “Lasciatemi stare. Non voglio tornare alla realtà. Lasciatemi stare”. Le donne accanto a me (presumo infermiere) commentavano: “Ma che strano... Di solito non succede... Parla... Chissà che cosa dice...”
4) La sera è venuta a cercarmi la paziente che mi aveva scortata in sala operatoria (niente letto, ci si va a piedi), giacché, essendomi tolta gli occhiali, non vedevo niente. Dato che i suoi hanno una pasticceria, mi ha spiegato, mi ha chiesto di fare colazione insieme l'indomani: le avrebbero portato un sacco di leccornie e sarebbe stato un peccato non dividere. Mio malgrado, ho dovuto rifiutare per evitare l'obesità (per un mese niente piscina e niente ellittica), ma il pensiero è stato davvero carino e mi ha fatto molto piacere. 
5) Sul comodino avevo, ovviamente, una dozzina di libri da leggere. Ecco le reazioni più interessanti che hanno suscitato:
Dottoressa: - Ma riesce a leggerli contemporaneamente? (Io: - Certo.)
Infermiera (erano le 3.00 circa del mattino): - Vuole finirli tutti 'sta notte?  (Io: - Spero proprio di no, se no poi che faccio?)
Signora delle Pulizie: - Ah, ma che meraviglia! Vediamo... Questi tre li ho letti anche io, questo l'ho comprato, questi due ce l'ho in lista... Che mi dice degli altri? Me li consiglia? Se sì mi annoto i titoli e magari ricambio, se le fa piacere. 
6) Grazie al cielo, a parte il primo e l'ultimo giorno, non ho avuto compagne di stanza, così non sono stata più di tanto esposta agli orrori della subcultura televisiva. 
7) L'ultimo giorno di degenza, non so come, sono riuscita a chiudermi a chiave nella toilette. Fortunatamente il marito della mia nuova compagna di stanza appena acquisita si è accorto dei miei vani tentativi di manomettere la serratura e ha chiamato aiuto. In tre, dieci minuti dopo, sono riusciti a tirarmi fuori sana e salva. Fiuuu!!!

Da domani comincio con le dolenti note.... Mentre da lunedì prossimo torniamo alla normalità (e finalmente farò la recensione di “The Outsider” di Stephen King).
Baci.

domenica 18 novembre 2018

Alla fine arriva Bill



Scrivo dall'ospedale, benché avessi detto che non lo avrei fatto, sul cellulare, per sfogare l'indignazione e per dovere civico. Pensavo che ormai il Mondo fosse cresciuto e questi tristi preconcetti fossero superati. Pensavo che ormai fosse chiaro che, come accade per libri e film, esistono fumetti per bambini e fumetti per adulti, fumetti di intrattenimento e letteratura disegnata. A quanto pare non è così, dato che questo soggetto pubblico, tale Bill Maher (mai sentito nominare prima di oggi), si è sentito in dovere dovere di commentare così la morte di Stan Lee:

«Il tizio che ha creato Spider-Man e Hulk è morto e l’America è in lutto. Una mattinata così dura per la morte di un uomo che ha ispirato milioni di persone a, non lo so, guardare un film immagino. Qualcuno su Reddit ha scritto: ‘Sono così incredibilmente grato di aver vissuto in un mondo che includeva Stan Lee.’ Personalmente, sono grato di aver vissuto in un mondo che includeva ossigeno e alberi, ma a ciascuno il suo. Ora, io non ho nulla contro i fumetti. Li leggo adesso e li leggevo quando ero un ragazzino, ma l’idea che tutti avevano allora – sia gli adulti che i più piccoli – era che i fumetti fossero una cosa per bambini, e quando crescevi passavi ai libri senza immagini. Ma poi vent’anni fa è successo qualcosa. Gli adulti hanno deciso che non dovevano rinunciare alle cose per bambini, e così hanno finto che i fumetti fossero in realtà una letteratura sofisticata. E dato che l’America ha oltre 4.500 college – il che significa che abbiamo bisogno di più professori nonostante manchino persone intelligenti – alcuni individui stupidi sono dovuti diventare professori scrivendo tesi su Silver Surfer.»

Ora, io sono stata la prima a dire, va be', dai, mi dispiace, ma è nella natura delle cose e infondo Stan Lee aveva 95 anni, la sua vita l'ha vissuta.
Ma qui ci sono altre questioni in ballo. Stan Lee non era solo un uomo e un simpatico signore attempato, era un'icona. E la è ancora (immortale, in effetti, in questo senso). E la era anche prima che la Marvel sbancasse al botteghino. Ha creato un mondo, una mitologia e la sua stessa esistenza, in qualche modo, ha dimostrato che i sogni si possono realizzare davvero e che poi possono andare oltre, perché finiscono per autoalimentarsi e prendere vita propria, dando luogo a multiversi meravigliosi, con le loro regole e la loro umanità, che spesso arrivano ad insegnarci qualcosa. Non sono mai stata una grande lettrice di fumetti supereroistici, e alla Marvel ho sempre preferito la DC. Però non posso non riconoscere che la Marvel ci abbia comunque regalato, accanto a storie più "popolari", capolavori che sono Arte pura.
Per tacere della mancanza di rispetto insita nel tempismo di certe osservazioni, offensive, gratuite e insensibili. E poi la crassa ignoranza: i fumetti non sono cose per bambini. Come ribadisco, ci sono fumetti per bambini e ci sono fumetti per adulti, con tante sfumature in mezzo. Non è che se uno legge solo Harmony, allora i romanzi sono passatempi per casalinghe sentimentali. E se il sig. Maher, per dire, legge solo Harmony è un problema suo. Io ho iniziato a leggere libri senza immagini a sei anni e continuo a farlo con un ritmo medio di tre volumi alla settimana, tra cui classici, anche latini e greci, volumi di poesie, saggi di filosofia e teatro. Quindi, secondo i parametri del sig. Maher, sono adulta. Ma leggo anche fumetti, circa quindici a settimana, credo, in media. Quindi? Sono stupida? Oppure ciò dimostra che i fumetti possono essere per adulti? Lo ammetto, non tutti quelli che leggo sono sofisticati e validi. A stupende graphic novel accosto fumetti seriali, ma il punto è che ognuno di essi, seppur in modo diverso, mi arricchisce e mi lascia qualcosa di sé in un modo o nell'altro. Perché a volte il punto non è solo quello che si legge, ma che cosa si è in grado di trarne in base alla propria intelligenza e cultura (ed ecco spiegato come si fa a scrivere una tesi di laurea su Silver Surfer). In ultimo, anche io sono grata per ossigeno e alberi. Ma questi mi assicurano giusto l'esistenza basica. Per essere viva io ho bisogno di libri. E i libri, caro sig. Maher, comprendono anche i fumetti. E non è stato forse Dante a scrivere: "fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza"?

venerdì 16 novembre 2018

Sotto i ferri

IN OSPEDALE!


Ci sarò oggi, se tutto va bene, e, quando MPM metterà su questo post, sarò già stata operata e, auspico, starò serenamente leggendo una dozzina di libri o mi starò riguardando una delle puntate di Rick & Morty che mon amour mi ha messo sul cellulare. 
Se tutto fosse andato meglio sarei stata ricoverata il 20 novembre e non vi sareste accorti di nulla perché io avrei avuto il tempo, nel weekend antecedente, di preparare le recensioni per la settimana. Invece, surprise!, mi hanno anticipato l'operazione, perciò nada, devo autodenunciarmi.
In altre parole, conto di saltare una settimana e di riprendere quella successiva, ovvero da lunedì 26 novembre.
In teoria dovrebbero dimettermi già il 19, ma l'ultima volta in cui mi hanno detto così, due anni fa, hanno finito per tenermi 12 giorni, invece che tre (ma in quell'occasione avevo già un mesetto di post di riserva), perciò non si sa mai, e comunque non è detto che una volta fuori sia subito in grado di scrivere recensioni.
Intendiamoci, se sono in ospedale non è per nulla di grave o preoccupante (e di certo non sono angosciosa come MPM al riguardo), ma mi han detto che dovrò stare almeno 20 giorni a riposo.
Ovviamente non starò mai 20 giorni a riposo – mica sono un dipendente pubblico, che diamine! – però immagino che qualche dì mi occorrerà per riprendermi, e comunque, per quanto odi essere una persona coscienziosa, prima viene il lavoro e poi il blog.   
Ciriciao, dunque, arrivedorci e omini col turbante.

giovedì 15 novembre 2018

Un autore sopravvalutato

IL LABIRINTO DEGLI SPIRITI
di Carlos Ruiz Zafòn


Quarto volume della tetralogia del cimitero dei libri dimenticati, sostanzialmente una mezza pizza.
Mi dispiace, ma ho sempre ritenuto Zafòn un autore sopravvalutato, capace di splendide descrizioni e magnifiche suggestioni, ma senza abbastanza immaginazione per sostenerle, trame convulse, eccessivamente morbose e barocche, e poche idee (che fanno rima con ossessione), per giunta destinate a ripetersi. I personaggi intensi lo riscattano un po', ma sovente assumono gli atteggiamenti della macchietta, smarrendo, purtroppo, ogni tridimensionalità. 
Questo volume non fa eccezione, e, per quanto mi riguarda, è assai meno interessante dei due predecessori, “L'ombra del vento” e “Il gioco dell'angelo”, e persino del terzo capitolo, il debole “Il prigioniero del cielo”. Forse la colpa è anche mia, che non ricordo i dettagli delle avventure passate e mi innervosisco sentendo di non cogliere tutti i riferimenti e le sfumature, ma la verità è anche che per le prime quattrocento pagine circa mi sono annoiata parecchio e solo dopo che il personaggio di Alicia Gris allaccia il suo destino con la famiglia Sempere riesce a conquistare la mia attenzione. Benché, diciamolo, nonostante l'emergere di complotti e vergogne storiche, non è che complessivamente succeda granché... C'è qualche lampo di luce, qualche frase memorabile e qualche momento riuscito, l'atmosfera è notevole e ammalia, però... Però il romanzo è statico, ripetitivo, fine a se stesso, se si va avanti è principalmente perché, comunque, Zafòn ha uno stile scorrevole, molto dialogico, e poco impegnativo. 
La parte finale, in particolare, quella dedicata a Juliàn, è veramente inutile e pesante e se ne poteva fare a meno.
In definitiva la domanda è: c'era davvero bisogno di un quarto capitolo?

mercoledì 14 novembre 2018

Un bieco esercizio di crudeltà?

MANIFEST


Lanciato come il nuovo “Lost”, somiglia di più a “4400”, ma resta una serie Tv interessante, con un buon ritmo e diverse tematiche sottese. 
Narra di un gruppo di persone salite su un normale aereo di linea e scese... 5 anni dopo, senza che per loro sia trascorsa più di qualche ora. Con tutto l'ovvio scompiglio che ne deriva (fidanzato sposato con la tua migliore amica, madre deceduta medio tempore, moglie che si è rifatta una vita, sorella gemella divenuta adolescente, mentre tu sei rimasto un bambino di nove anni...). Più amenità ulteriori, perché i passeggeri si ritrovano ad avere una voce – la propria – che impartisce ordini nella loro testa, che pare essere onnisciente e il cui fine non è sempre decifrabile. Unica certezza: è tutto collegato.
Al momento sono all'episodio sei, indi nemmeno a metà, ma posso affermare che la serie avvince fin da subito e rende facile l'immedesimazione, viste le forti risonanze drammatiche e umane che la vicenda comporta. E che, peraltro, è altresì stimolante sotto il profilo meramente fantastico.
Per quanto l'incipit non sia originalissimo, infatti, la storia riesce a seguire un suo percorso e lascia presagire sviluppi potenzialmente non troppo derivativi.
Unico neo, i personaggi: almeno per il momento, non sono troppo affascinanti e seppur simpatizziamo per loro, lo facciamo più per comune solidarietà che per specifica empatia. La protagonista, Michaela, poverina, sembra aver sbattuto la faccia contro un camion, ma, a parte questo, è – come suo fratello Ben, o sua cognata Grace, o l'ex fidanzato Detective – affetta da una personalità un po' spenta. La classica ragazza della porta accanto: brava, buona e senza mordente. E così gli altri personaggi, riscattati, però, dalla peculiarità e dalla difficoltà delle circostanze. Nonché da uno dei leitmotiv della serie: anche se ti trovi in una situazione disastrata, specie dal punto di vista sentimentale, non ci sono colpevoli e se pure sei comprensibilmente arrabbiato, non puoi prendertela con nessuno, ma solo accettare la cosa. In qualunque posizione ti trovi. Quella del marito cornuto, quella della moglie con un nuovo fidanzato, quella del nuovo fidanzato che viene cacciato tra la sera e il mattino per permettere alla famiglia di ricostituirsi.
Sul momento può sembrare un bieco esercizio di crudeltà, ma può essere altresì un modo per riflettere su se stessi, sull'amore e sui legami familiari e/o amicali, ed imparare ad incassare i colpi bassi della vita. Magari riuscendo addirittura a volgerli in positivo. Che si sia o meno dotati di strani poteri.

martedì 13 novembre 2018

Spaventoso, primordiale, atavico Male

CANI NERI
di Ian McEwan


McEwan mi piace. Per come scrive, per la sua eleganza e finezza, e perché riesce a dare alle sue trame sviluppi sinuosi e non sempre prevedibili, che parlano di una cosa, ma ne raccontano un'altra, più sotto e più indirettamente, che, alla fine, ti lascia un solco sottopelle, su cui ti ritrovi a rimuginare con te stesso, a lungo, con la consapevolezza che, forse, non hai nemmeno afferrato proprio tutto e che quindi ti conviene rifletterci ancora.
E se qui, infatti, si narra della biografia che sta redigendo Jeremy, della sua fame di affetto e quindi dei ricordi dei suoceri, June e Bernard Tremaine, legati alla seconda Guerra Mondiale, in realtà parliamo del Male, nella sua accezione più basilare e profonda, nonostante i connotati allegorici di fondo. Di come può manifestarsi, di come può cambiarci, anche se non ne facciamo direttamente parte, di come può ripercuotersi sulle nostre vite, fino a mutarne il corso naturale.
E ha una carica soprannaturale, questo Male, spaventosa, primordiale, atavica, per quanto, in realtà, sia tutto perfettamente spiegabile e quasi banale. Ma allo stesso tempo tracci linee contigue con questioni storiche e sociali cruciali per il Novecento, che vanno dal Comunismo al Nazismo, passando per il crollo del Muro di Berlino.
E poi, come sempre, è incredibile l'approfondimento psicologico che sta dietro ad ogni scena, la capacità di cogliere ogni dettaglio, ogni ripensamento, e di precipitarci nelle singole situazioni a più livelli, disegnandole direttamente nelle nostre menti.
E dunque pazienza se il romanzo è un po' dispersivo, un po' discontinuo, come se non avesse sempre chiaro dove andare a parare.
A completamento di ciò, nelle ultime pagine del volumetto, un prezioso saggio/intervista, che ci aiuta a focalizzare e analizzare alcuni passi del libro, chiarendocene, in parte, le motivazioni e il simbolismo.
Prossimi appuntamenti: "Il giardino di Cemento" e "Cortesie per gli Ospiti".

lunedì 12 novembre 2018

La plausibilità di un racconto

IL LIBRO DI HENRY
di Colin Trevorrow
(2017)


Che poi è un film, non un libro. 
E che per molti aspetti mi ha lasciata perplessa, incapace di capire se mi è piaciuto oppure no. 
Sicuramente è pieno di difetti, poco armonioso, approssimativo, e cambia pelle  troppo spesso e repentinamente, in modo forzato, artificiale. 
All'inizio è molto divertente, seppur affettato e zuccheroso, soprattutto per via di Henry, il protagonista, un adorabile ragazzino prodigio. Poi diventa ingiustamente triste, e io i film tristi li patisco. Quindi muta di nuovo e diviene altro, probabilmente quello che voleva essere. Ma si sviluppa in modo altalenante, come se fosse affetto da zoppia. E lo è, in effetti, affetto da zoppia. Perché pare un ibrido che non sa bene dove andare. 
Eppure non è nemmeno una brutta pellicola. Ci sono momenti dolci, altri gradevoli o persino divertenti. Henry è strepitoso e, in generale, gli interpreti sono ottimi. Non solo l'affermata Naomi Watts, ma anche i due bambini. E poi non è che annoi. Ci sono cali di ritmo, ma non vere e proprie stagnazioni. La trama ha una sua originalità ed è interessante, solo che appare raffazzonata, vulnerata da svariate ingenuità. E anche da attimi di eccessiva stucchevolezza.
Però non è che non mi abbia lasciato niente, quando è finito, tanto che mi è capitato di ripensarci. Ci sono tematiche stimolanti, solo amalgamate male. 
A ben rifletterci, ci sono anche diverse esagerazioni che a tratti mi hanno infastidita, specie nella seconda parte. Diciamo che uno deve impegnarsi per lasciarsi convincere della plausibilità di quello che avviene. 
Se riesce a farlo e se riesce a digerire la pateticità ricercata di certe situazioni senza cedere all'umorismo involontario, ecco, allora direi che il film può essere definito carino e può lasciare sensazioni positive nello spettatore.
Se no, ahimè, temo somigli di più ad una scemenzuola con rarefatti punti validi.

venerdì 9 novembre 2018

Un divertissement illustrato

LA DIVINA COMMEDIA – QUASI MILLE ANNI DOPO
INFERNO
un'opera di FEUDALESIMO E LIBERTA'


Un divertissement illustrato che fa il verso, ed al contempo aggiorna, la Commedia Dantesca, con tanto di corpose note a piè si pagina, modello Sapegno, e stile aulico (benché, purtroppo, le terzine di endecasillabi siano poche e si prediliga la prosa), infarcito di espressioni del tipo “il Duca mio” o “ed egli a me”, deliziosamente puntuali.
Al posto di Virgilio, dunque, troviamo Pierilio Agnola (alias Piero Angela), al fianco del quale incontriamo il fior fiore dei dannati, quasi tutti cadaveri eccellenti (e non necessariamente in oggi già defunti), da Brad Pitt a Steve Jobs, passando per i nostrani Tonio Cartonio e Gigi D'Alessio, oltre agli immancabili politici. Naturalmente ogni nome è “antichizzato”, spesso in modo creativo, ma sempre e comunque immediatamente riconoscibile, o in virtù del contesto o grazie alle note. 
Inoltre, l'occasione del viaggio nell'Oltretomba è, come insegna il Maestro, occasione di satira e invettiva nei confronti della società attuale, specie se nostrana, abbruttita da I-Phone, Reality e varie cialtronerie. Anche qui, per quanto identificabili senza fatica, passate attraverso un processo di “dantizzazione”, ma non per questo meno amene.
L'opera è simpatica, a tratti umoristica, con qualche colpo di genio a renderla più stuzzicante e, talvolta, ci concede vere e proprie risate.
Forse, in alcuni passi, appare – volutamente – un po' pedantella, ma nell'insieme si affronta volentieri, meglio se a piccoli brani.
Arriveremo mai al Purgatorio?

giovedì 8 novembre 2018

Una lunga fiaba su base storica

CENT'ANNI DI SOLITUDINE
di Gabriel Garçia Marquez


Scordatevi che mi metta a dissertare di realismo magico e di prolessi... Le mie sono recensioni di pancia, umorali e scarsamente tecniche, quindi vi basti sapere che questo romanzo è una bomba.
Una bomba di grazia e bellezza, umana e stilistica, che talvolta resta sospesa, o si interrompe, ma più spesso si avviluppa ad altre trame, una bomba punteggiata di espressioni sublimi come “sfranta di decrepitezza” o “il bulicare dell'agonia”, ma, soprattutto, pervasa di un'atmosfera meravigliosa, fatta di epifanie e di rivelazioni improvvise, di amori e di guerre, di soprusi e di incanti, senza limite alcuno a ciò che può accadere e personaggi incredibili – in particolare quelli femminili – che si avvicendano, e sempre lasciano il segno.
Lo so, in principio il romanzo pare ostico, involuto, specie considerando che i protagonisti han tutti lo stesso nome, e non è facile distinguere tra José Arcadio, Aureliano, Arcadio Secondo e Aureliano Secondo... Per tacere poi dei diciassette che verranno dopo... A me, a suo tempo, era stato consigliato di munirmi di foglio e matita e di disegnare man mano un albero genealogico, ma, a mio avviso, non è necessario: basta non incaponirsi troppo. Basta lasciarsi trasportare, seguire il flusso della corrente, e farsi stregare. Si susseguiranno emozioni fortissime, momenti di attonita bellezza e vertiginosa poesia, mentre noi verremo avvolti dalla dolcezza tutta latina di Macondo, nonostante le sue piogge e le sue formiche, e delle sette generazioni di Buendìa che andremo a conoscere e a veder morire.
Un classico del Novecento, certo, ma anche una lunga fiaba su base storica, immaginifica ed inesorabile, in cui ogni personaggio è mitico e immortale, a prescindere dal suo nome.
Un romanzo che va letto più volte, anche consecutive, perché cambia di continuo e sempre racchiude verità differenti.

mercoledì 7 novembre 2018

Una piccola gemma disegnata

IN CUCINA CON KAFKA
di Tom Gauld


Non in cucina (la cucina qui è davvero secondaria e occupa giusto lo spazio di una battuta)... più in biblioteca, dire, anzi, di più ancora in libreria. 
E non solo con Kafka, ma con tutti gli amanti dei libri. Più quelli che, per lavoro, ci hanno a che fare.
Un volumetto spassoso, ameno, giocherellone, fatto di vignette a tutta pagina, più o meno stilizzate. Che non sempre fanno sganasciare, ma che sicuramente portano a sorridere, ad ammiccare, a dire... ma guarda! Perché a volte ci sono cose che un semplice lettore non sospetta (a questo proposito, consiglio anche la lettura dell'introduzione...), anche se, sotto sotto, le sapeva già.
Più ironico che comico, è comunque una piccola gemma, disegnata in modo essenziale, ma colorata, efficace e d'effetto, specie se si leggono tutte le pagine di seguito, entrando nell'ottica che vogliono rappresentare, multivalente e polisemica, citazionistica, ma non troppo.
Un volume fatto per i lettori, ma forse ancora di più per gli addetti ai lavori, che sbeffeggia il mondo che ama, quello dell'editoria, e che al contempo lo esalta e lo canta, prendendosi gioco altresì del suo tramontare, del suo essere svilito e vilipeso a causa dello sviluppo della tecnologia.
Un'opera versatile, dunque, che solo casualmente appartiene al circuito fumettistico, essendo altresì adatta a chi diffida della letteratura disegnata, ma che comunque ama leggere...

martedì 6 novembre 2018

Una risata a fior di labbra

ZUCKERMAN SCATENATO
di Philip Roth


Roth sa essere perspicace, e rappresentare realtà, nevrosi e sentimenti in modo capillare e dicotomico, cogliendoli nella loro feroce interezza. Qui, però, come già nell'eccezionale “Il Lamento di Portnoy”, sceglie di essere soprattutto ironico – e autoironico – ed attraverso il suo alter ego letterario Nathan Zuckerman, ricorrente in diverse sue opere, tra cui “Pastorale Americana”, dileggia prevalentemente se stesso, scrittore finalmente giunto all'apice del successo, ma, non per questo, alla serenità. Anzi, la gestione dell'improvvisa celebrità risulta alquanto difficoltosa (tanto da ingenerare, oltre che i commenti e le conclusioni più assurdi, da parte di conoscenti come di perfetti sconosciuti che confondo Carnovsky, il protagonista del suo libro, con Zuckerman stesso, altresì reazioni bislacche, paranoie, e, addirittura, una “ragionevole” richiesta di riscatto).
E così Roth ci fa sorridere sin dalla prima riga, arrivando a farci sbellicare ogni volta in cui compare il logorroico Alvin Pepler (il nome è diverso, ma riguardatevi il film “Quiz Show”, diretto da Robert Redford nel 1994, per quanto successivo: è ispirato ad una storia realmente accaduta che, evidentemente, l'allievo più geniale di Saul Bellow ben conosceva), uno dei personaggi di Roth più riusciti in assoluto, tanto da sembrare vivo e pulsante persino attraverso la pagina scritta, il quale, tuttavia, ha altresì il potere di irritarci coi suoi monologhi interminabili e di suscitarci qualche legittimo sospetto.
Un romanzo imprevedibile, acuto, lucido e incisivo, ma anche breve e succinto, che procede rapidissimo, tra un'autoanalisi e una riflessione, ma sempre con una risata a fior di labbra. 
Un romanzo che intrattiene, che fa compagnia, ma che aiuta anche a crescere, che arricchisce, e mette la coscienza di Zuckerman sotto un microscopio, permettendoci di intravedere pure la nostra, senza retorica e senza lo scudo delle consuete difese.

lunedì 5 novembre 2018

Gli irrequieti adolescenti spagnoli

ELITE


Serie Tv in otto episodi che ha molto in comune con “La Casa di Carta” - l'ambientazione iberica e tre degli attori principali – ma ancora di più con “Big Little Lies – Piccole Grandi Bugie” (si vedano post 7 aprile 2017 e 28 aprile 2017) riguardo a impostazione narrativa (stralci di interrogatorio affiancati al susseguirsi dei fatti avvenuti in precedenza) e tema centrale: ossia: chi è morto (qua si scopre molto prima) e soprattutto chi lo ha ucciso e perché? Come nella serie tv con Nicole Kidman, inoltre, ad essere messa sotto il microscopio, con la scusa del giallo/thriller, è l'ipocrisia delle classi abbienti, specie quando le loro dinamiche e gerarchie vengono turbate a causa dell'inserimento di elementi estranei. La differenza è che, invece di mamme isteriche e bambini delle elementari, in “Elite” siamo alle prese con irrequieti – e spesso infelici – adolescenti spagnoli.
La serie non è perfetta e presenta molte sbavature e piccole illogicità (chi pesterebbe mai a sangue un malato di AIDS?), ma ha un ottimo ritmo, personaggi interessanti, specie quelli femminili – Nadia e Carla su tutti – che, sovente, hanno il pregio di cambiare o di non essere proprio come ci sono apparsi all'inizio – ovviamente alludo a Guzmàn e Lucrecia, ma pure a Christian e a Polo –  e ha il pregio di affrontare tematiche attuali e stimolanti, incluse alcune che, ultimamente, non sono più tanto modaiole (sieropositività). 
Precisazione: se Jaime Lorente/Nano è pressoché identico a Denver ne “La Casa di Carta” e così Marìa Pedraza/Marina ricalca il personaggio di Alison Parker, Miguel Herràn, nel passare da Rio a Chrstian, sembra invece un'altra persona. Anche fisicamente. Complimenti, ragazzo!

venerdì 2 novembre 2018

Il trasporto della mente

PROGETTO GIOVE
di Fredric Brown


Di Brown avevo letto e amato “Assurdo Universo”, ma non credo che sarei arrivata “su Giove” senza il consiglio di Luca, che quindi ringrazio, perché, oltre che di un classico della fantascienza, trattasi di un romanzo bellissimo e poco prevedibile in molti dei suoi sviluppi, che, in effetti, aderiscono al genere, ma, al contempo, se ne allontanano volutamente, dando luogo a qualcos'altro... Qualcosa che, più che ad un'avventura, assomiglia alla sua preparazione, all'elaborazione di un sogno stupendo, trascendentale, per il singolo e per l'umanità, ma faticoso e ricco di inciampi, e che, quindi, come tale, corrisponde ad un'avventura, ma disperatamente romantica, nell'accezione migliore del termine, e lirica e struggente, più che “avventurosa”.
Invero, i punti in comune col più famoso romanzo di Brown (che pure ad un certo punto viene inequivocabilmente citato con tante strizzate d'occhio) non sono tantissimi, nemmeno in ordine a stile e sottotesto (per quel che ricordo). Qui, al posto di assurdità, ironia e divertimento, ci sono i meccanismi della politica, la disillusione, l'amore, il lutto, e... Ed evito spoiler, ma è la fine, soprattutto, a rendere questo volume stupendo ed indimenticabile. Perché ne cambia il significato e ne altera l'umore, rendendolo più profondo e più alto di come pareva dovesse essere, permettendogli di superare i suoi stessi confini. 
La realtà distopica che viene presentata, dunque, per quanto “passata” (siamo quarant'anni nel futuro rispetto a quando l'autore ha stilato la prima versione del romanzo... ossia rispetto al 1953, in altri termini cominciamo la nostra vicenda nel 1997) è futuristica e alimentata dagli afflati progressisti e poetici dei protagonisti, che, però, affrontano la questione in modo concreto e realistico, nell'arco di più anni, in cui le questioni, pur appassionanti, non concernono viaggi spaziali, ma, appunto, la loro progettazione. 
L'opera è molto cerebrale, piena di riflessioni (meravigliose quelle misticheggianti sul trasporto della mente), ma ancora di più è prevalente l'umanità dei suoi protagonisti, e di Max Andrews, in particolare. Che non è il solito eroe tutto muscoli e animo immacolato, ma un tecnico di mezz'età, depresso e con la coscienza non sempre linda... che non potremo non amare. 
Ristampato nel 2017 da Urania.

giovedì 1 novembre 2018

Libri in attesa

AGGIORNAMENTO LETTURE


Faccio il verso al mio post del 24 luglio scorso, in cui mi lamentavo di essere in dietro rispetto alla mia tabella di marcia mentale. 
La verità è che sarò sempre in dietro rispetto alla mia tabella di marcia mentale: innumerevoli sono i libri che voglio leggere, tuttavia, da allora qualche progresso l'ho fatto, benché altri volumi si siano aggiunti alla mia lista e quindi, sostanzialmente, la mia situazione non sia davvero migliorata. Sotto altri profili, però, questa è una fortuna, perché mi permette di avvalermi sempre di uno dei diritti irrinunciabili del lettore: la scelta.

Ebbene, delle 18 letture che avevo in corso circa tre mesi orsono (scrivo la notte del 24 ottobre), ne sopravvivono 5, ossia: Fiabe di Andersen; La Divina Commedia – Inferno – Quasi Mille Anni Dopo (che ho quasi finito); Il Declino della Violenza di Steven Pinker; L'Altra Grace di Margaret Atwood e Il Labirinto degli Spiriti di Zafòn, a cui devono aggiungersi: 

  • Herzog di Saul Bellow;
  • Metro 2033 di D. Glukhovsky; 
  • Teatro Grottesco di Thomas Ligotti;
  • The Outsider di Stephen King;
  • Cent'anni di Solitudine di Marquez (quasi finito);
  • Guida al Cinema di Fantascienza;

In sostanza, ne ho portate a termine 13 su 18 e ne ho in corso 11 (di cui 5 attinte agli elenchi che nel vecchio post figuravano come successivi, ossia DA LEGGERE, IN ATTESA SUL BRACCIUOLO DEL DIVANO – che erano 26 – e DA LEGGERE, IN ATTESA SUL COMODINO – che erano 13 –.
Più precisamente, dei suddetti 26 ne ho terminati 12, mentre, appunto, 3 sono passati in lettura. Restano, dunque, del secondo elenco, questi 11 libri: 

  • I Racconti di Malà Strana di Jan Neruda;
  • Qualcuno con cui Correre di David Grossman;
  • Altrove, forse di Amos Oz;
  • Guida al Fumetto Italiano Odoya;
  • Dieci Autori Raccontano Feltrinelli;
  • Augustus di John Williams;
  • Amatissima di Tony Morrison;
  • Intervista con la Storia di Oriana Fallaci;
  • Bestiario di Cortàzar;
  • Rumore Bianco di Delillo;
  • L'Abisso di Huysmans;

Cui, nel frattempo si sono aggiunti questi ulteriori 17 (per un totale di 28):

  • Quello che rimane di Paula Fox;
  • Favole a colori di La Fontaine;
  • Tony & Susan di A. Wright;
  • La Quinta Onda – L'Ultima Stella di Rick Yancey;
  • Underground di Murakami;
  • Abbiamo sempre vissuto nel castello di S. Jackson;
  • The 100 di Kass Morgan;
  • Arte di Yasmina Reza;
  • I figli dell'invasione di J. Wyndham;
  • Lui è tornato di T. Vermes;
  • Suspiria De Profundis di Thomas De Quincey;
  • Cerimonia di Sangue di T.E.D. Klein;
  • La famiglia Aubrey  di Rebecca West;
  • Piccole Donne di L. M. Alcott;
  • Anna dai Capelli Rossi – La Grande Casa di L. M.. Montgomery;
  • Rinascimento Italiano di Rose-Marie e Rainer Hagen;
  • Nuova Enciclopedia degli Animali a cura del Touring Club Italiano.

Quelli in attesa sul comodino, invece, sono più o meno gli stessi 13 menzionati in luglio, meno i due passati in lettura.
Tra tre mesi circa farò un'altra verifica, sperando che ci sia anche qualche progresso in ordine ai poveri tomi abbandonati sul comodino... Se non saranno stati letti, poverelli, che almeno siano passati tra quelli di scelta più probabile sul bracciuolo del divano! 

P.S.
Perché dovrebbe interessarvi che cosa sto leggendo o sto per leggere? Perché devo affliggervi con questi cavolo di elenchi?
Beh, se non vi interessa che siete arrivati a fare sino a qui? 
Ad ogni modo, la risposta è che a me interessa sempre sapere che cosa leggono gli altri, quindi... perché no? 

Baci e omini col turbante.