IL LABIRINTO DEGLI SPIRITI
di Carlos Ruiz Zafòn
Quarto volume della tetralogia del cimitero dei libri dimenticati, sostanzialmente una mezza pizza.
Mi dispiace, ma ho sempre ritenuto Zafòn un autore sopravvalutato, capace di splendide descrizioni e magnifiche suggestioni, ma senza abbastanza immaginazione per sostenerle, trame convulse, eccessivamente morbose e barocche, e poche idee (che fanno rima con ossessione), per giunta destinate a ripetersi. I personaggi intensi lo riscattano un po', ma sovente assumono gli atteggiamenti della macchietta, smarrendo, purtroppo, ogni tridimensionalità.
Questo volume non fa eccezione, e, per quanto mi riguarda, è assai meno interessante dei due predecessori, “L'ombra del vento” e “Il gioco dell'angelo”, e persino del terzo capitolo, il debole “Il prigioniero del cielo”. Forse la colpa è anche mia, che non ricordo i dettagli delle avventure passate e mi innervosisco sentendo di non cogliere tutti i riferimenti e le sfumature, ma la verità è anche che per le prime quattrocento pagine circa mi sono annoiata parecchio e solo dopo che il personaggio di Alicia Gris allaccia il suo destino con la famiglia Sempere riesce a conquistare la mia attenzione. Benché, diciamolo, nonostante l'emergere di complotti e vergogne storiche, non è che complessivamente succeda granché... C'è qualche lampo di luce, qualche frase memorabile e qualche momento riuscito, l'atmosfera è notevole e ammalia, però... Però il romanzo è statico, ripetitivo, fine a se stesso, se si va avanti è principalmente perché, comunque, Zafòn ha uno stile scorrevole, molto dialogico, e poco impegnativo.
La parte finale, in particolare, quella dedicata a Juliàn, è veramente inutile e pesante e se ne poteva fare a meno.
In definitiva la domanda è: c'era davvero bisogno di un quarto capitolo?
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