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giovedì 31 agosto 2017

Pulsa di vita

CAPITALE – PEPYS ROAD
di John Lanchester


Un romanzo che inganna, e da cui volentieri ci si fa ingannare, perché alla fine ci si accorge che, zitto zitto, l'autore ci ha dato ben altro rispetto a quanto ci aspettavamo.
All'inizio la questione, che poi è anche il maggiore trait-d'union fra i personaggi, nonché il motivo ricorrente della narrazione, pare incentrata su queste misteriose cartoline che arrivano agli abitanti dell'elegante quartiere residenziale di Pepys Road,  Londra. Cartoline che recitano: “Vogliamo Quello che Avete Voi”.
Si potrebbe ignorarle, se non fosse che ne giungono con costanza a tutti i residenti, e che poi, dopo un momento di stasi, si fanno più aggressive e minacciose, accompagnate da insulti, atti di vandalismo e uccelli morti...
Ebbene, ci chiediamo chi le invii e perché, che cosa voglia e se pensi davvero di poterlo conseguire. E mentre cerchiamo di scoprirlo facciamo la conoscenza con i vari inquilini. Il panorama umano che ci viene fornito è vastissimo e diversificato (un rampante uomo d'affari con la sua orribile famiglia, la tata sexy ungherese, un giovane senegalese campione di calcio in ascesa, una colorita famiglia di arabi, il tuttofare polacco che ci piace chiamare Bogdan ma ha un altro nome, un'anziana signora con un tumore, un'ausiliaria del traffico che lavora illegalmente e che è un'immigrata clandestina...), descritto magistralmente e sempre in movimento. Pur in un arco temporale di pochi mesi, infatti, a 'sti poveretti capita di tutto: c'è chi va in rovina, chi muore, chi finisce in carcere, chi si innamora... Eppure il sottotesto non è drammatico, ha invece l'incedere lemme lemme della vita ordinaria e di volta in volta viene accettato e affrontato senza troppi strepiti, ma egualmente risulta foriero di crescita interiore, di evoluzioni e consapevolezze, come se seguisse un meraviglioso percorso sotterraneo. 
E poi scopriamo chi è l'autore delle cartoline. E perché. E a che pro. Ma... non è che non ce ne importi più, non proprio. E' che ormai è secondario, perché abbiamo preferito il resto. Il contorno. L'excursus sui personaggi. Che è sostanza. E vale più di un thriller o di un mistero. E' variegata umanità, corale e cosmopolita, fatta di similitudini e corrispondenze. Di differenze e di contrasti. Di contraddizioni e sentimenti. In tre parole: pulsa di vita.

P.S.
Ho visto pure la mini televisiva, “Capital -  Mistero a Pepys Road”. E' ben fatta e abbastanza fedele (anche se manca completamente la parte dedicata a Freddy Kamo, il calciatore), ma purtroppo la trama senza le avvolgenti atmosfere della scrittura perde metà del suo fascino.

martedì 29 agosto 2017

La bellezza limpida dei dettagli

1Q84 – Libro II
di Haruki Murakami


Di nuovo parte lento, in sordina, prendendo le cose alla lontana e quasi facendosele sfuggire di mano. 
Ma presto diventa un fiume in piena, pur mantenendo il suo passo cadenzato, estasiandoci con rivelazioni, corrispondenze, e brividi.
Scopriamo di più sulla setta dei Testimoni, sul Leader (assai diverso da come me lo figuravo), sui Little People, che divengono vieppiù inquietanti, terrifici e affascinanti, e naturalmente su Fukaeri, Tengo e Aomame.
Gli interrogativi restano tanti, le suggestioni persino di più, e le due lune in cielo conquistano la nostra attenzione in modo quasi ossessivo.
Ma va bene così.
Va benissimo, anzi.
Specie perché, finalmente, apprendiamo il contenuto del romanzo “Crisalide d’aria”,  che getta nuova luce su tutto e che da solo vale l'intero libro.
E mi dico che forse l’opera sarebbe più efficace se fosse più snella, ma al contempo come si potrebbe rinunciare alla bellezza limpida dei dettagli, alle riflessioni superflue, che superflue non sono, già che contribuiscono a creare quest’atmosfera di sospensione, aspettativa e incanto, aiutandoci a meglio comprendere la sfera intima dei protagonisti?
Questo romanzo è poesia pura, e puro terrore. 
Per come è scritto e per come lo racconta e a volte, come sempre fa il miglior Murakami, mi fa girare la testa e fa vorticare il mondo attorno a me. Per la forza e la ricchezza della sua trama, per la genialità delle sue idee e per come le amalgama, che non sai mai se stanno immergendoti in un fantasy o nelle profondità dei misteri umani.  
Oggi inizio il terzo e ultimo volume.
Invidiatemi ;).

domenica 27 agosto 2017

Donne volitive e ambiziose

IL GIULLARE DELLA REGINA
di Philippa Gregory


Ogni tanto sento la necessità di rituffarmi tra le vicissitudini dei passati reali inglesi… E qui, nel nella seconda metà del 1500, conosciamo le due figlie di Enrico VIII: la Regina Maria, che poi verrà detta la sanguinaria, e sua sorella minore, Elisabetta, futura Elisabetta I. Ma i caratteri sono assai diversi da quel che ci si potrebbe aspettare, e se Elisabetta è una affascinante e insidiosa vipera, Maria ha il cuore d’oro, destinato, però, ad essere spezzato.
La protagonista, tuttavia, non è nessuna delle due. Il punto di vista è più defilato e permette così di spaziare e immaginare di più, ed appartiene ad Hannah Green, personaggio inventato, Giullare di Corte, dotata della veggenza e per giunta estremamente moderna. 
Le caratteristiche precipue  dell’opera, quindi, sono sempre le stesse: donne volitive e ambiziose, contesto storico ben documentato, il peso della corona, e un po’ di soprannaturale, cui si aggiungono i sentimenti, sia pur molto vari (amicizia, devozione, passione, amore, tradimento), importanti, ma non preponderanti.
Il romanzo, per quel che mi consta, è uno dei più belli della Gregory: più vivace e fresco del solito, vuoi per il carisma delle due sorelle, vuoi per la scelta della protagonista, non troppo vincolata alla Storia, stimolante, corretta, e dotata di buon senso. Che, dono della seconda vista a parte, non è una ragazza comune per l’epoca: è erudita, orgogliosa, indipendente e veste con brache da uomo. E infatti rischia di essere tacciata di stregoneria.
In più abbiamo roghi e persecuzioni (la parte ambientata nelle sale della tortura, per quanto attenta a non indulgere sulla morbosità, è suggestiva e terrificante), l’inquisizione, la battaglia di Calais e niente meno che John Dee, che chiunque si diletta di esoterismo sarà lieto di incontrare (anche se non è magnetico quanto il consumato seduttore Lord Dudley).
Insomma, quando pensavo che ormai la Gregory mi avesse dato tutto quel che aveva mi sorprende con un romanzo avvincente, capace di ritagliarsi uno spazio proprio nel panorama delle opere della scrittrice, oltre che di intrattenere e invogliare il piacere degli studi storici.

venerdì 25 agosto 2017

Crederci fino alla fine

STREET DANCE 3D e STREET DANCE 2
di Max Giwa e Dania Pasquini
(2010 e 2012)


Lo so quello che state per dire, e non me ne cale.
Avete ragione: la sceneggiatura è tremenda e prevedibile sino all'imbarazzo, gli attori spesso poco convincenti, i personaggi quasi degli stereotipi tagliati con il coltello, i dialoghi ovvi, con momenti di umorismo involontario, quasi obbligatoria, quanto inutile, poi, è la parentesi sentimentale... Ma, ve l'ho detto, non me ne cale.
Tutto ciò che conta in questi film sono i balli, il ritmo e le coreografie, la padronanza dei corpi e l'armonia e la fluidità dei movimenti, e mi sono piaciuti un mondo, emozionandomi. E, alla fine, mi ha emozionato persino la storia, e forse la circostanza che sia così banale ha contribuito positivamente, perché ho ricevuto esattamente quello che mi aspettavo, come quando mi rileggo una fiaba (o un sillogisma, nel senso che il modulo del racconto pare imperniato su tesi, antitesi e sintesi, con svolte drammatiche opportunamente tipizzate).
A parte ciò, tra le due pellicole è decisamente meglio la seconda.


Nella prima (non capisco come sia possibile) spicca Charlotte Rampling, mentre la fusion rivoluzionaria è tra street dance e danza classica. Non è malvagia, ma non mi fa impazzire, e sotto molti aspetti il film sembra un clone di Step Up. I personaggi sono a mala pena abbozzati, la protagonista antipatica, e la final dance in principio risulta un po' barbosa, anche se poi si riprende (e c'è un momento spiritoso in mezzo, che mi ha entusiasmata per il suo valore di rottura dei canoni).


Il secondo film, invece, nei confini del genere di appartenenza, è una bomba. 
L'unico legame con il primo è il personaggio di Eddie (George Sampson), che qui ha un ruolo più importante e si improvvisa manager e motivatore. Per il resto,  collegamenti e riferimenti tra i due capitoli sono inesistenti, e si può benissimo vedere solo il 2. Che, in effetti, sembra un remake del primo, con i ruoli ribaltati, ma migliorato. I protagonisti sono meglio caratterizzati (non sul piano umano – non sia mai – ma come tipologia di soggetti, più curati nel look, nel background e negli atteggiamenti), e colpiscono tutti, tanto che ognuno di loro sarebbe credibile come  leader. Il meno carismatico, in effetti, è proprio lui, il protagonista, ma non ci importa, perché balla bene. E soprattutto la fusion tra street dance e latin dance è davvero una meraviglia. E ci sono più danze, più sfide, e alcune sembrano battaglie, le coreografie sono più variegate, osano di più, mentre la protagonista femminile (Sofia Boutella, la mummia del film con Tom Cruise, tu pensa) spacca. Non tanto, per quanto mi riguarda, per la sua sovraccarica sensualità, quanto perché mi piace come balla, è intensa, e i suoi insegnamenti riguardo allo spirito della latin dance celano in sé riflessioni spicciole non disprezzabili. Inoltre il ritmo è migliore, così la colonna sonora, assai più melodica e trascinante, priva di forzature. La danza qui emerge come un qualcosa di vivo e inafferrabile attraverso cui esprimere se stessi e divenire un tutt'uno con i compagni (rectius con la propria crew) rinunciando e al contempo esaltando la propria individualità. 
Il sottotesto, invece, è lottare per i propri sogni e crederci fino alla fine, e addirittura oltre. 
Per certi versi è ridicolo, è vero. 
Ma, come ho già detto, chi se cale.
Voglio crederci anche io.

mercoledì 23 agosto 2017

Duro e lapidario

L'AMORE MOLESTO
di Elena Ferrante


Questo romanzo può essere recensito in due modi: procedendo con oppure evitando accuratamente il paragone con la tetralogia de “L'amica geniale”, della medesima autrice.
Ebbene, nel primo caso patiremo il divario tra le due opere (nettamente a favore della tetralogia), tanto sul piano stilistico quanto su quello contenutistico.
Ne “L'amore molesto” non ci sono personaggi che travalicano lo scritto divenendo fidi compagni dei nostri giorni più lieti, mancano la complessità di tematiche e riflessioni, la contezza e del linguaggio, la polifonia di toni e stati d'animo proprie della storia di Lila e Lenù. A confronto, anzi, mancano vertigini e vibrazioni, brividi e speranze. Ma a confronto, appunto.
Perché se invece consideriamo “L'amore molesto” come un libro a se stante non saremo così severi.
D'accordo, lo stile è più semplice, ma non banale e non involuto o scadente. E' funzionale, invece, pratico, veloce, a tratti duro e lapidario, incisivo, con qualche momento particolarmente ispirato, ma sempre denota forza, carattere, con un misto dolente di rabbia e rassegnazione. La trama inoltre è affascinante, coinvolge e incuriosisce. Perché la madre si è suicidata? Perché indossava biancheria intima costosa, laddove di norma si vestiva con approssimazione e slip slabbrati? Chi è 'sto Caserta? Che ruolo ha avuto? Le domande che ci sospingono in avanti sono molte e per giunta la storia è orchestrata bene, delineata con un buon montaggio, un buon ritmo, e un significativo impianto architettonico. E pure il ritratto di Napoli mi piace, con il suo brulicare di brutti ceffi e contraddizioni, così come trovo interessante il rapporto madre-figlia, l'incedere non lineare, la composizione scomposta della trama.
Il punto focale del libro, costituito, come rivela il titolo, dall’amore malato e distorto, peraltro, mi disturba un po', lo patisco. Ma questo è un problema mio e non deve inficiare il giudizio complessivo dell'opera. 
Che non è un capolavoro immortale, ma che è breve, rapida, non chiede molto al lettore, ed è due gradini più in su del mero intrattenimento. Offre infatti molti spunti di discussione e in qualche modo aggiunge un tassello alla personalità dell'autrice, che accarezza il tema principale anche nella tetralogia, sia pure in mezzo a mille altre questioni e con suscitando in noi maggior empatia, già che amiamo le protagoniste.

lunedì 21 agosto 2017

Un Forrest Gump vecchio e sbevazzone

IL CENTENARIO CHE SALTO' DALLA FINESTRA E SCOMPARVE 
di Jonas Jonasson


A volte il giudizio che diamo di un libro può essere più o meno severo a seconda delle nostre aspettative. Purtroppo, in questo caso, le mie erano troppo alte.
La copertina è stupenda, le recensioni che ho letto ottime. Il romanzo, ad un primo sguardo, sembrava davvero promettente, ironico, scorrevole, con tutti gli ingredienti per essere eccezionale.
In realtà, ecco, è carino, ma nulla più. Non mi ha presa. 
E non mi ha fatto sganasciare dal ridere. 
In effetti sembra una versione alternativa di Forrest Gump, con la differenza che qui, anziché un quoziente intellettivo basso, abbiamo un vecchio dinamitardo spregiudicato e sbevazzone.
Di buono c'è che, tra un flashback e l'altro, attraversiamo il mondo e un secolo di storia, avendo a che fare con Presidenti e Capi di Stato, oltre che con simpatici e bizzarri soggetti (ad esempio il fratello scemo di Albert Einstein), mentre nel presente veniamo coinvolti in situazioni surreali, potenzialmente ricche di tensione, ma sempre accomodate con garbo e fortuna.
Allan, il protagonista (rectius il centenario) è simpatico, e così i comprimari. E sono belli i legami che si creano tra loro.
Però...
Intanto mi aspettavo più mordente, a livello di sviluppi, tempi comici e stile. Si sorride, ma a denti stretti. La voglia di stupire a tutti i costi diviene spesso penalizzante per la trama, che in molti punti traballa, nonostante il felicissimo incipit, anche a voler accettare la sua inverosimiglianza di fondo rinunciando ad obiettare. I personaggi non suscitano affetto, sono macchiette, eccessive e calcate, prive di spessore. E soprattutto, nella loro presunta imprevedibilità, prevedibilissimi. Il ritmo talvolta arranca, subisce rallentamenti. L'interesse scema.
Non è un brutto romanzo, ma nell'insieme è un po' banale. 
Intrattiene, ma in modo discontinuo e senza  lasciare molto dietro di sé.

sabato 19 agosto 2017

Pura lussuria mitologica

MITOLOGIE – GUIDA AI MONDI IMMAGINATI
di Christopher Dell


Di Dell avevo già letto “Mostri – Bestiario del Bizzarro”, ma questo… questo è davvero tanto!!!
La formula è la stessa, solo che parliamo di miti anziché di teratologia: si individuano argomenti e linee guida, si introduce succintamente la questione, e ci vengono offerte splendide e ricercate immagini colorate e a tutta pagina attinte dal mondo dell’arte (dipinti, maschere, frontoni, statue)..
Si badi, per “succintamente” intendo in modo stringato, non certo manchevole o carente. Anzi, l’opera ha il grande pregio di parlare di mitologia universale, non solo di miti greci e latini, e per giunta di farlo... nel modo più universale possibile: non limitandosi a comprendere i soliti miti norreni, egizi e indiani, ma spaziando ovunque e andando a scovare di tutto e di più, senza perdersi in ciance, ma mirando con precisione alla sostanza.  
L’idea di base – ottima – è quella di enucleare i punti in comune fra le varie religioni/mitologie e di lanciarsi in un’appassionante trattazione per argomenti, anziché procedere in ordine alfabetico, con elenchi di dei ed eroi.
Il vantaggio, oltre la maggior fluidità, è che se uno mastica un po’ la materia, potrà trovare qualcosa di diverso dal consueto. una comparazione immediata, agevole, con cui destreggiarsi in tutti i mondi.
Sia chiaro, questa è una guida, non un saggio, e infatti, coerentemente, i miti non ci vengono narrati tutti nel dettaglio. Quella che ci viene fornita è piuttosto una mappa concettuale ragionata dallo svolgimento discorsivo che, peraltro, potrà essere un ottimo punto di partenza per individuare quello che davvero ci attrae, così da approfondire specificamente quello, a colpo sicuro, anche solo con l’ausilio di Wikipedia. I capitoli sono otto: Regno Soprannaturale, la Terra (creazione e componenti), il genere umano, i doni degli dei, il regno animale, simboli, eroi ed epopee. In appendice la rassegna delle mitologie del mondo con i Pantheon rappresentati in pratici alberi genealogici.
E vogliamo parlare dell’edizione?
L’edizione è pura lussuria, tanto che viene la tentazione di classificare questo volume tra i libri di arte. Le pagine – 350 circa – sono grandi, spesse, patinate, la qualità delle immagini eccellente, la copertina rigida. Inoltre il formato è insolito, splendidamente largo, per valorizzare il più possibile le illustrazioni. Che sono davvero tante e distribuite con generosità.
Insomma, come fate a vivere senza?

giovedì 17 agosto 2017

Il diabolico Lucifero

I DOLORI DI UNA MOGLIE TRASCURATA
O LE MALVAGITA’ DI MPM


Non mi interessa se siete tra quelli che pensano che il Mio Perfido Marito sia un santo (nel caso, comunque, dovreste martirizzarlo per aiutarlo a conseguire il suo obiettivo celeste).
Non lo è, e non è neppure un buon coniuge (benché, lo ammetto, gli farei ottime referenze come maggiordomo).
Il problema è che MPM ha caldo.
Come tutti, si dirà, questa è un’estate bollente (almeno mentre scrivo, con Lucifero che imperversa e non nel senso diabolico).
No, MPM ne ha di più e rischia di crepare ogni volta che esce di casa. O che non esce di casa. O che si muove, o che sta fermo.
Il risultato è che non mi vuole vicino.
Gli faccio caldo.
Niente abbracci, niente baci. Giusto una pacca sulla testa, se proprio lo imploro guardandolo con gli occhioni. Con la stessa travolgente passionalità con cui la fa a Paco, il nostro coniglietto. Con la differenza che Paco viene appellato “amore mio”, mentre io sono soltanto Otta.
E sì che Paco è più peloso di me.
Emette più caldo lui.
Io probabilmente sono più appiccicosa, è vero, specie in caso di horror alla Tv, ma ci sono volte che vengo allontanata addirittura col piede!!! 
Ho provato a lamentarmene con una mia amica, che si è messa a ridere e ha commentato che tanto io non ho bisogno di coccole. Basto a me stessa ed è sufficiente il mio ego a deliziarmi.
Beh, non è colpa mia se sono adorabile…
Però MPM è malvagio e se mi troverò un secondo consorte sarò giustificata.

P.S.
In realtà l’ho già trovato. Si chiama Pablo, è alto, muscoloso ed è immaginario.
Almeno quando leggo non disturba.

martedì 15 agosto 2017

Spaventosamente glamour

RIVIERA


Serie Tv in dieci episodi ambientata in Costa Azzurra e scritta e diretta niente meno che dall’irlandesissimo Neil Jordan, il Neil Jordan de “La moglie del soldato”, nonché, sul piano narrativo, del meraviglioso romanzo “Ombre” e di “Aurora con mostro marino” (quest’ultimo non mi aveva entusiasmata, ma il titolo è così bello che avevo bisogno di menzionarlo).
Resta il fatto che qui di Jordan c’è ben poco, almeno per come lo conosco io. Al di là di un po’ di torbide angosce familiari, infatti, non mi sembra di ravvisare nessuna delle caratteristiche che ho imparato ad associargli e che ho sempre interpretato come sue peculiari. 
L’atmosfera, in particolare, è spaventosamente glamour, mentre la parte sentimentale (ma non romantica) prevale sull’impianto noir e su quello drammatico.
La serie, comunque, si vede volentieri: ha un buon ritmo e vanta un discreto cast, tra cui spiccano Iwan Rheon (che abbiamo amato in “Misfits” e odiato ne “il Trono di Spade”) e la fascinosissima Lena Olin. Anche se, ammettiamolo, nonostante quella orrida faccia da bulldog, finiamo per apprezzare pure Julia Stiles, alias la determinata Giorgina, la protagonista principale.
Che perde il marito in un tragico incidente, il miliardario Constantine Clios… solo che non è un incidente, ma una bomba.     
E che non è un marito qualsiasi, dato che, salta fuori, aveva in piedi traffici assai poco puliti in cui Giorgina e la sua famiglia (ossia la prima moglie/L. Olin e i tre figli nati da quel matrimonio: Christos – sì, come ha più volte osservato MPM, pare una bestemmia ogni volta che qualcuno lo chiama –, Adam – che pare il più tranquillo, ma è Iwan Rheon, indi stiamo in guardia – e Adriana, adolescente autolesionista lesbica e fragile, con la passione di spogliarsi) finiscono invischiati… 
I personaggi potevano essere abbozzati meglio, non coinvolgono mai davvero lo spettatore a livello emotivo, ma si resta travolti lo stesso. Dal lusso, l’arte, l’intrigo, e… dalla sequela di delitti e inganni, che ad un certo punto ci insinuano persino il dubbio che il defunto sia vivo.

P.S.
Nel cast anche Nicholas Rowe, il giovane Sherlock Holmes di “Piramide di Paura”.

domenica 13 agosto 2017

La fusione perfetta tra testo e immagine

CACCIATORI DI PTERODATTILI NELLA CITTA' DORATA
di Brendan Leach


E' innanzitutto l'idea a piacermi da matti: gli pterodattili a infestare la New York del 1904. Realizzati con un disegno simpatico, sono in realtà feroci predatori, e ogni tanto catturano qualcuno e lo portano via. Di norma decretandone la morte nel momento stesso in cui lo afferrano.
L'obiettivo, però, è puntato sui cacciatori: sulla loro vita, le loro motivazioni, i loro rapporti... Specie quando, come Declan e suo fratello Eamon, vivono nella stessa casa e sono in conflitto tra loro, oltre che diversissimi.
La verità è che in questo primo (???) volume, forse, non succede tantissimo. Ma sono l'atmosfera (con suggestioni steampunk) e il modo di narrare a conquistare, unitamente ai disegni: puliti, ma irti di irregolarità e segmenti, che donano alle cose i contorni della fiaba, ma al contempo sono ingannevoli e stemperano la drammaticità, per accentuarla a tradimento l'attimo dopo. 
Adoro, inoltre, l'assenza di verbosità, la fusione perfetta tra testo e immagine, senza l'ossessione per la didascalia o per l'ovvio, snella, efficace, cruda, talvolta.
Ma non algida. C'è tanto sentimento, qua dentro. Tuttavia non sulla superficie, più sotto. Non scontato. Fatto di tremiti e di silenzi, di pensieri che sentiamo soprattutto quando non vengono espressi. 
Fantastico, immaginifico, intimistico.

venerdì 11 agosto 2017

Più coerente del film

THE DRESSMAKER
di Rosalie Ham


Il film mi è piaciuto (si veda post 18 maggio 2017), ma era altamente imperfetto: vulnerato da schematismi, pretestuosità e da un'eccessiva accelerazione verso il finale. 
Il romanzo è diverso: migliore in molti passaggi, più fluido, più coerente ed equilibrato, specie riguardo alla trama, benché alcuni dei cambiamenti apportati nella pellicola siano azzeccati, utili a creare colpi di scena e a fomentare curiosità e interesse. 
Nel libro, d'altro canto, alcune questioni vengono meglio delineate (ad esempio il motivo per cui Tilly decide di tornare) e risultano più plausibili, così come certi destini, o i dettagli relativi ai personaggi. 
In quanto a questi ultimi, peraltro, si rimpiangono le performaces degli interpreti – la maggior parte dei membri del cast si è prodotta in caratterizzazioni di rara maestria, che superano le capacità di Rosalie Ham in ordine all'approfondimento psicologico –, così come alcune scene (ad esempio, Marygold alla riscossa) sono senz'altro più d'effetto rese in maniera visiva, e ciò in riferimento tanto a momenti scioccanti, come a gag comiche. 
In linea di massima, tuttavia, il romanzo è piacevole, scorrevole, ed emozionante, con meno pecche e meno scivoloni rispetto alla pellicola. La vicenda, a grandi linee, è la medesima e alterna sorriso, lutto e indignazione, senza cali di ritmo, divertendo e coinvolgendo. 
Le angherie che è costretta a subire Tilly, sin dall'infanzia, sono indecenti... se avesse avuto un registratore, altro che le tredici cassette di Hannah Becker: ne avrebbe dovute incidere almeno il doppio, e per torti veri e gravi, non per paturnie adolescenziali!!! Anche se, per fortuna, prima o poi, ognuno ha quel che si merita.
In ultimo, rilevo che anche qui la fine è un po' sbrigativa. Non tanto in merito alla costruzione dell'azione, che va benissimo, quanto perché avrei preferito ancora un paio di pagine, dopo la conclusione, che ci mostrassero i pensieri e i propositi di Tilly. Non che non siano intuibili, ma... li avrei voluti leggere ugualmente.

P.S.
Non fidatevi né della copertina, né della tagline... Sono svianti!

mercoledì 9 agosto 2017

Una bufera di rabbia e passione

LA GATTA SUL TETTO CHE SCOTTA
di Richard Brooks
(1958)


Ho sempre desiderato leggere l'omonima pièce di Tennessee Williams, ma è da anni che è fuori catalogo, per cui, alla fine, ho ripiegato sul film. Ebbene, è stupendo, come è stupenda Liz Taylor nel ruolo di Maggie la gatta: la qualità della recitazione è altissima (benché Paul Newman/Brick, seppur perfetto per la parte, in sé per sé non mi entusiasmi), valorizzata da un doppiaggio senza sbavature.
Al di là di ciò, sin dal principio sono evidenti quei tipi umani cui l'autore ama ricorrere (ad esempio, in “Un tram che si chiama desiderio”, che avevo letto al Liceo): l'alcolista rude e burbero, ma ardente di passione, e la femmina (femmina, sì, non donna) focosa e affascinante, con i nervi a fior di pelle e qualche lato oscuro.
Anche qui abbiamo una situazione familiare potenzialmente esplosiva, alimentata da rancori, invidie, odi e rimpianti, ulteriormente complicata dall'imminenza della morte dell'anziano patriarca Harvey e da ambizioni ereditarie, esasperate dall'orribilevolezza dei cognati – la nuora, specialmente, con le sue allucinanti sopracciglia incrociate – e dei loro figli senza collo, continuamente esibiti.
La combinazione di tutto ciò, unita alla sublimità dei dialoghi, ricchi di pathos anche quando sono imperniati sulla quotidianità, consente di superare agevolmente la rigidezza dell'impostazione teatrale, che quindi non grava sull'economia della pellicola.
Non è un melò, semmai una bufera, e la passione e la rabbia divampano furiose (Maggie: Il temporale ha fatto molti danni?/ Harvey: Di quale temporale parli? Di quello fuori, o di quello che si è scatenato qui dentro?), ammaliando lo spettatore, fino a coinvolgerlo nelle turbolente dinamiche familiari di questo gruppo di ricchi americani, ignoranti e barbari accumulatori seriali, che concepiscono la donna come una mera fattrice o un oggetto sessuale, e sono tanto attaccati al denaro... Tutti tranne Brick, uomo tormentato, che non riesce a vivere il presente perché troppo legato ad un passato frainteso. 
MPM ha giudicato il film datato, quanto meno sul piano tecnico, patendo i limiti della scenografia e del teatro di posa... Io non me ne sono nemmeno accorta. Per quel che mi riguarda è la sceneggiatura a prevalere: eccezionale ed intensa, con un finale superbo.
E dunque... in definitiva che cosa vuole una gatta in bilico su un tetto che scotta?
Resisterci sopra il più a lungo possibile.

lunedì 7 agosto 2017

"una sgualdrina, ma di classe"

DE LEMPICKA
di Gillés Neret


Di solito non recensisco queste, pur splendide, monografie della Taschen... Perché ne leggo tante, da tossica quale sono, e rischio, poi, di diventare ripetitiva. Le caratteristiche pregnanti, infatti, sono sempre le stesse: meravigliose immagini, uno stile tecnico, ma fluido, divulgativo, ma colto, e una buona commistione tra biografia, contestualizzazione storica, critica e descrittività, che non risultano troppo impegnative, ma che, senz'altro, arricchiscono e ammaliano il lettore, facendo luce sulle questioni principali. 
Nel caso del volume su Tamara De Lempicka, però, devo fare un'eccezione. Non tanto motivata dal richiamo dell'arte, quanto dalla vita dell'artista (che comunque alla sua arte si fonde).
Se i dipinti, infatti, con questa sorta di cubismo soft, raffinato e sontuoso, che si dibatte tra cruda oggettività e algida sensualità, mi piacciono molto e mi hanno determinata nel mio acquisto, a deliziarmi davvero è proprio lei, l'aristocratica Tamara. Soprattutto perché è una sgualdrina, ma di classe. E non sono parole mie (se fossero le mie, avrei aggiunto “insopportabile” sgualdrina), ma di Gabriele D'Annunzio, che con la pittrice si è dilettato in uno spassosissimo gioco di seduzione, che ci viene amabilmente raccontato all'incirca a metà libro... 
In effetti sta Tamara è davvero un bel tipo: incantevole, arrivista, amante del lusso, e decisa ad ottenerlo. E', però, anche focosa, talentuosa, vibrante, ed emancipata. E ha avuto una vita avventurosa, iniziata a Varsavia, in Polonia, nel 1898, e conclusasi a Cuernavaca, in Messico (con le sue ceneri successivamente consegnate al vulcano Popocatépetl), nel 1980, passando per Parigi e New York... A dire il vero sono affascinanti persino gli anni della sua formazione, e non tanto per gli eventi in sé, quanto per la sua personalità, che Gillés Neret si diverte a mettere in luce, in quanto, a sua volta, è utile per illustrare il di lei percorso pittorico. E vogliamo parlare di quando il primo marito viene arrestato dai Bolscevichi, durante la Rivoluzione Russa, ma lei lo fa liberare?
Per quel che mi concerne, considererei Tamara De Lempicka un'artista anche se non avesse dipinto alcuna tela.
Ma fortunatamente le ha dipinte.

sabato 5 agosto 2017

E' tutto troppo veloce

ANOTHER WORLD
di Banana Yoshimoto


Niente, sono a tappo. 
La colpa è mia: di solito, quando un autore mi satura, aspetto un po' a comprare un altro suo libro (perché è qui il nocciolo del problema: una volta che inizio, continuo a comprare, per una questione di feticistica completezza). In questo caso, però, mi sentivo obbligata, visto che Another World è il quarto e ultimo volume della tetralogia “Il Regno”. E quindi, a maggior ragione, la mia smania di completezza ha preso a mordermi, inoltre mi incuriosiva il destino dei personaggi, o comunque la prosecuzione della trama. Che peraltro subisce un salto, nel senso che Suzukuishi è morta e la narrazione prosegue con sua figlia, Kataoka Noni, figlia di due papà: Kataoka, appunto, e Kaede.
Niente di male in questo, anzi, ho colto la novità in modo positivo, confidando in un rinnovamento, in una rivitalizzazione dell'opera. 
Ma no, non c'è stata.
Intendiamoci, la lettura è piacevole, vellutata, e scorre argentina, trattando con leggerezza, ma senza superficialità, temi importanti e dolorosi. L'atmosfera è dolce, misurata, impreziosita di sapori, sfumature e fragranze, mentre lo stile luminoso le conferisce freschezza e lucidità.  
Il busillis sta proprio lì. Non ne posso più.
I romanzi della Yoshimoto sono carini, ma labili, tutti uguali e, di fatto, privi di sostanza. E' tutto troppo veloce, troppo semplice. E privo di fondamenta.
Ancora ancora quando almeno hanno il pregio di immergermi nel mondo e nella mentalità giapponese, ma qui, fino a metà libro siamo a Mykonos, in Grecia, e beviamo ouzo invece che sakè (e anche se poi torniamo ad Okinawa, finiamo per andare a Lanzarote).
La colpa è mia, l'ho ammesso. Non ero pronta.
Ma a questo punto me lo impongo: basta Banana Yoshimoto se non passano almeno tre anni.

giovedì 3 agosto 2017

La molteplicità delle soggettive

REVOLUTIONARY ROAD
di Richard Yates


Opera scritta nel 1961, ambientata negli anni 50 e invecchiata magnificamente, che unisce i pregi del classico senza tempo e del romanzo popolare.
Come il secondo, infatti, ha uno stile immediato, fluente, che coinvolge da subito, in modo semplice e diretto. Al contempo, tuttavia, è dettagliato, minuzioso, scevro di fronzoli, ma capillare, capace di creare atmosfera e farci sentire il sapore delle cose. Come il primo è profondo, va oltre il mero consumo, oltre l'intrattenimento, è scioccante, ma coerente e privo di clamore, incentrato su una lenta autodistruzione e su profili psicologici perfetti e ineccepibili.
Il suo tessuto è la quotidianità, ed in essa, ahimè, i suoi protagonisti finiranno per smarrirsi, fino ad esserne inghiottiti. 
I Wheeler, April e Frank, sono una bella coppia giovane. Che non vuole assomigliare a tutte le altre. Vuole essere di più. Ed è giusto, in effetti, perchè gli Wheeler sono speciali, rifuggono la mediocrità, necessitano di stimoli, le aspettative nei loro confronti sono maggiori rispetto a quelle che si nutrono per gli altri...
Ma fin da subito ci appaiono mal riposte. Fin dallo spettacolo teatrale amatoriale che ci viene presentato nelle prime pagine e in cui April recita, lei che aveva studiato come attrice, è che alla fine non è certo migliore dei dilettanti...
Gli Wheeler, dunque, non sono felici. Non riescono a comunicare, si sentono travolti dal grigiore, dall'ordinarietà, sono nevrotici e insoddisfatti. Litigano, si tradiscono, vivono di tensioni represse... ma forse c'è una soluzione: trasferirsi in Francia. Piantare tutto, vendere la casa, e andare in cerca di fortuna.  
Loro sono speciali, ecco perché possono realizzare con successo quella che per tutti, in particolare per i loro amici, è un'idea bislacca e senza senso. Perché loro sono gli Wheeler. E sono coraggiosi, audaci, pieni di potenzialità.
Solo che non partono...
E allora la crisi, precedentemente arginata, si spiega in tutta la sua potenza.  
Un romanzo sottile, arguto, reso più interessante dalla molteplicità delle soggettive. Non si alternano, infatti, solo quelle di April e Frank, ma pure quelle dei loro amici, i Campbell e della signora Givings. Tutte indagate alla perfezione. Impossibili da dimenticare.

martedì 1 agosto 2017

Tagli e programmini

TAGLIO DI MEZZA ESTATE


Il solito, direte voi. Quello che investe i post tra agosto e settembre per darmi modo di scrivere il mio romanzillo annuale.
Giusto. 
E sbagliato. 
Quest'anno, infatti, sarà più lungo del solito.
Sorry. 
Al momento l'ho programmato sino al 20 settembre, ma mi riservo, se è il caso, di prolungarlo. Comincerà da domani.
Sono dolente, ma pure stanca. 
Avrò meno ferie di quel che avevo previsto (tanto per cambiare), ma soprattutto il romanzo di quest'anno si presenta più impegnativo del solito, e, benché non veda l'ora di cominciarlo (ed anzi, avendo già scribacchiato qualcosa), sono anche un po' in ansia.
Non solo. Ho anche un altro progettino in mente... Una cosa per cui devo attrezzarmi e che richiederà, come sempre, un grande aiuto da MPM, che, di fatto, lo renderà possibile. Ci sto già lavorando, e presto vi saprò dire. 
Bacioni.

P.S.
Da domani e fino al venti settembre, quindi, riepilogando, avrete diritto a un post un giorno sì e uno no, inclusi sabato e domenica. Il prossimo appuntamento, dunque, è per il 3 agosto. 
Ciriciao!