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mercoledì 30 aprile 2014

Una scintillina in più...


E L'ECO RISPOSE
di Khaled Hosseini

 
Non posso affermare che Hosseini non mi piaccia, ed infatti continuo a leggerlo. In generale, però, l'impressione che ho avuto sia con “Il cacciatore di aquilone” sia con l'ancora più bello “Mille splendidi soli” è che l'autore sia un tantino sopravvalutato. Non che di per sé non sia meritevole: lo è. Ma le sue trame hanno un qualcosa di artificioso, di troppo facile, di scontato, di superficiale, che mi fanno pensare, al di là degli importanti temi toccati e all'intensa e vivida realtà che descrivono, alla “letteratura commerciale”, confezionata ad hoc per compiacere le masse.

Tuttavia “E l'eco rispose” mi sembra avere una scintillina in più, rispetto ai precedenti: è più ambizioso. Soprattutto a livello di “montaggio”, con tutti questi passaggi di testimone, con questo puzzle che ci fa saltare da un personaggio all'altro, da un paese all'altro, unito ai precedenti da un filo rosso più o meno sottile. Però (dato che in fin dei conti nella “massa” ci sono anche io) l'ho apprezzato meno rispetto agli altri. E' meno coinvolgente, specie in ordine ai capitoli centrali, e spesso ho interrotto la lettura per periodi lunghi, tornando ad aprire il volume solo con lo scopo di finirlo e “toglierlo di lì”. Effetto che, ad esempio, non mi fa David Mitchell, benché, in generale, abbia un modo simile di costruire le trame (con la differenza che spesso il filo rosso che unisce le sue storie è talmente esile che si intravede appena). Eppure la voglia di leggerlo non scema mai. Certo, quando poi ho ripreso “L'eco” in mano ho impiegato appena poche righe per reimmergermi nella narrazione e a faticare ad abbandonarla. Ma terminato il capitolo e passata quindi ad un personaggio nuovo, bon, di nuovo sono tornata a chiudere senza esitazioni e senza rimpianti.

Però... ecco, dopo che finalmente sono arrivata in fondo, mi è parso che mi abbia lasciato qualcosa in più dei suoi precedenti best sellers. Non l'ho dimenticato istantaneamente, come gli altri, e ogni tanto un pensiero o una suggestioni mi si affaccia alla mente. Forse ciò dipende solo dal fatto che abbia impiegato assai più tempo per leggerlo, o dalla mia disposizione d'animo, o ai libri che ho iniziato nel mezzo. Ma forse, invece, Hosseini ha fatto un passo in più nel suo percorso di scrittore.

E l'eco rispose” non si limita ad avere solo due o tre volti: presenta un mondo screziato, intimista e sfaccettato in cui i ribaltamenti di prospettiva sono molteplici, ricreando la complessità dei sentimenti, dell'umanità, e dell'amore in particolare, che possono portare a scelte discutibili, a modi diversi di sacrificio, che però non si rivelano ad un primo sguardo, tanto che, per comprenderli, è necessario ascoltare la voce di tutti, ricostruendone le motivazioni.

E' vero, sotto alcuni aspetti il libro risulta disorganico, forzato. Ma anche la vita la è, e difficilmente riesce ad essere lineare e bilanciata.

E forse è sostanzialmente questo il punto: questa volta al lettore è richiesto qualcosa in più che seguire supinamente la narrazione, immedesimarsi, e soffrire.

Qui il lettore deve mettere insieme i pezzi e comprendere. Scavare. Riesaminare.

Il romanzo inizia con una favola afghana su un bimbo ceduto ad un mostro per la salvezza dei familiari, continua con una bimba strappata al suo fratellino e venduta ad una famiglia ricca ad opera dello zio e del papà, e poi con la testimonianza dello zio che ci racconta perché la soluzione gli sembrava la migliore per tutti, specie per la bambina, la piccola Pari... Si andrà avanti negli anni, sino alla vecchiaia dei due bimbi, ci si sposterà in vari paesi, si intersecheranno altre storie, di parenti, conoscenti, amici...

Rispetto ai precedenti successi di Hosseini ci saranno meno violenza, meno sopraffazioni. E forse anche meno Afghanistan, nel senso che la sua realtà non verrà catturata con forza, ma lasciata in secondo piano, come uno sfondo, e noi non la sentiremo nostra. Anzi, non la sentiremo e basta, fungerà solo da contesto.

Ma può darsi che questa non sia una mancanza, ma un tentativo di rappresentare l'universalità dell'amore, di rinnovare le proprie tematiche, di evitare la ripetizione.

Se, ex post, dovessi scegliere di leggere uno solo dei romanzi di Hosseini opterei senza indugio per “Mille splendidi soli” o per “Il cacciatore di aquiloni”, e considererei questo trascurabile. Ma se dovessi rileggerne uno solo tra essi tra dieci anni, credo che la mia scelta cadrebbe su “E l'eco rispose”, perché è possibile che si debba riassaporare più di una volta per capirlo davvero, mentre gli altri due sono assolutamente immediati.

martedì 29 aprile 2014

Potrebbe risucchiarvi...


ALBEROCCHIO

 
Era da un po' che non ammorbavo l'umanità con un mio disegno... Questo, in particolare, ha un titolo orribilino, ma le congiunture astrali lo hanno reso misteriosamente inevitabile. E' ispirato ad una stampa giapponese, o ad un dipinto, forse, non ricordo... Risale ai tempi dell'Università: all'epoca mi divertivo a sfogliare raccolte di capolavori casuali, senza nessi fra loro, in cui si privilegiava l'immagine al contesto artistico. Ecco dove avevo reperito la mia Musa, ma non rammento altro. Probabilmente se mi impegnassi potrei identificare l'opera, ma ci sono giorni in cui la contingenza te lo impedisce. Oggi è uno di quei funesti dì.

L'orignale era senza mostri, naturalmente. E senza occhio (forse al suo posto c'era la luna piena, ma non ci giurerei).

Per una volta ho usato anche le matite – e me ne sono pentita, sono troppo chiare: blé! E io non sono brava ad usarle, specie se acquarellabili –, mentre lo sfondo nero, dato che ero a corto di colori, è stato realizzato con il sacrificio del mio fido pennarello da lavagna magnetica (ne avevo – e va beh, ne ho! – due di Dylan Dog... La nerditudine mi ha spesso indotta ad uno spropositato numero di acquisti svergognati ed inutili, incluso lo zerbino di Dylan. Fortuna che non avevano fatto anche la carta igienica di DD o me la sarei dovuta procurare), e per questo l'originale cartaceo risulta brillante in controluce.

Attenti. Se lo fissate troppo a lungo potrebbe risucchiarvi.

Ho deciso che ha questa proprietà.

lunedì 28 aprile 2014

Molto femminile


LA RAGAZZA CON L'ORECCHINO DI PERLA
di Tracy Chevalier

 
In cui facciamo la conoscenza del pittore Jan Vermeer e di uno dei suoi quadri più famosi (ma non soltanto): quello del titolo, appunto, e della fanciulla che lo ha ispirato. Ma non si tratta di un'opera noiosa e didascalica: al contrario è piena di pathos e quotidianità, anche se i sentimenti non vengono proclamati a voce alta, ma si celano nelle sfumature, nelle piccole attenzioni. In gesti che solo due anime affini possono cogliere e da cui gli altri sono esclusi, anche se hanno sposato l'artista o fanno parte della sua famiglia da anni. E quando se ne accorgono non comprendono, se non parzialmente, ma in un senso sbagliato. E si scatenano invidie e gelosie.

XVII Secolo, siamo a Delft, in Olanda. Griet, la nostra protagonista, è una fanciulla tranquilla, pacata, che quando taglia le verdure si premura di disporle secondo un'armonia cromatica. Verrà così notata da Vermeer, non ricco, magari, ma benestante, il quale la prenderà a servizio presso la sua famiglia. Presto la composta servetta verrà ammessa nel suo laboratorio, partecipando alla sua attività artistica più di quanto abbia mai fatto chiunque altro prima...

Questo romanzo mi è piaciuto per molti motivi: per la trama, di una delicatezza e di una sensibilità sublimi, per lo stile dell'autrice, diretto, scorrevole, ed al contempo denso di minuzie e di suggestioni, per la possibilità che ci offre di respirare l'aria autentica del tempo e di sbirciare nell'atelier di un grande pittore, ma soprattutto per i personaggi, che ci vengono mostrati nella loro interiorità, più che descritti, lasciando a noi le conclusioni, come in tutte le opere migliori.

Ed è proprio la complicità tra Griet, che finirà per posare per lui, e Jan Vermeer il motore del romanzo. E può sembrare che non accada nulla, ma la verità è che succede di tutto. E commuove, ma con grazia, con misura, senza gli eccessi facili e scontati dei polpettoni strappalacrime.

Un'opera molto femminile, che definisco storica (nei tag) solo per la collocazione temporale e da cui, nel 2003, è stato tratto l'omonimo film di Peter Webber, con Colin Firth e Scarlett Johansson. In cui, per una volta, la tragica immobilità facciale dell'attrice ha giocato a suo favore rendendola un'interprete perfetta per il ruolo di Griet e i suoi silenzi.

domenica 27 aprile 2014

Parecchi misteri


ALDEBARAN
di Léo
Fumetto interessante, che mescola avventura e fantascienza nella sua accezione più fantasiosa e poetica. Ci porta in un futuro lontano in cui abbiamo colonizzato lo spazio, e quindi Aldebaran, un mondo bellissimo, ma ricco di problemi (tra cui la scarsità della popolazione e un governo dittatoriale con forti connotati religiosi) e un bel po' di mostri. Sono quasi tutti bellissimi, e spesso hanno un aspetto affettuoso, che ci fa pensare più a bestiole esotiche (che poi è proprio quel che sono) che ad un vero pericolo. Ma se tanti sono utili, molti sono letali.
La nostra storia comincia in un villaggio costiero, che presto verrà distrutto da una creatura marina sconosciuta. I nostri protagonisti, Marc e Kim, riusciranno a mala pena a scamparla e si dirigeranno verso la capitale. Lungo la via faranno varie conoscenze e scopriranno che la creatura marina si chiama Mantrisse, di cui approfondiranno la conoscenza.
Perché la Mantrisse cela parecchi segreti e parecchi misteri...
Sebbene Marc si presenti come il classico ragazzotto idiota e superficiale, apprezzeremo subito la giovane Kim, di cui pure non comprenderemo i gusti in fatto di uomini, e ci legheremo a loro, vedendoli crescere, evolvere, e diventare adulti. Incontreremo (e rincontreremo) una moltitudine di altri personaggi, assai ben delineati sul piano psicologico, mentre la storia, in principio semplice e lineare, acquisirà sempre maggior complessità, anche a livello di rapporti umani, dando luogo, per il momento, a tre cicli consecutivi: dopo Aldébaran, in cinque volumi, Bételgeuse e Antares.
Una serie emozionante, con una buona dimensione ecologica e, in misura minore, fantapolitica, personaggi azzeccati, una trama avvincente, dei bei disegni a colori (anche se le persone appaiono un po' legnose nei movimenti e in certe espressioni), molto dettagliati, specie a livello “naturistico”, e soprattutto degli animali-mostri stupendi e pieni di sorprese.
Nel prosieguo la storia, che pure mantiene sempre un impianto di base fantascientifico-avventuroso, vira nel fantastico divenendo ancora più entusiasmante, tanto che, forse, il secondo ciclo, è persino più bello del primo.

sabato 26 aprile 2014

La solita imbranatella


FROZEN – Il Regno di ghiaccio

Walt Disney

(2013)


Io proprio non capisco: c'è una sorella bellissima, Elsa, con un carattere complesso e interessante, dilaniata dal dubbio, che ha un sacco di poteri che farebbero invidia agli X-men (non solo la “manipolazione del ghiaccio”, ma anche la capacità, tra le altre, di dare la vita) notevoli doti artistiche, sia in ambito architettonico che stilistico e... che si fa? Ci si sofferma sull'altra, Anna, che, okay, è simpatica e graziosa, ma alla fine è la solita imbranatella svampita, tenera e affamata d'amore... Sic!

Lo dico sinceramente, la prima mezz'ora l'ho un po' patita: canzoni orrende, fini a se stesse, e descrittive (ancora ancora quella introduttiva sul ghiaccio, ma le altre!), e comunque in eccesso, scene diluite, lenteeeeezza... Per fortuna poi la pellicola si riprende, e così la colonna sonora (che meraviglia “All'alba sorgerò” alias “Let it go”!), arriva qualche personaggio adorabile (il venditore di ghiaccio Kristoff con la renna Sven – riguardo al pupazzo di neve Olaf, invece, sono combattuta) e la trama decolla davvero, privilegiando dramma e azione.

La storia nel complesso è davvero carina, anche se di Andersen c'è giusto il profumo, ed è percorsa da tematiche degne di interesse e in parte innovative, ad esempio: il rapporto fra le due sorelle, la crescita personale di Elsa in relazione al suo potere (tra il dono e il maleficio), il concetto di amore nella sua accezione più ampia (grazie a dio, abbiamo fatto un bel po' di passi avanti dai tempi di Cenerentola!), la principessa che si salva da sola, il principe rimpiazzato dallo spiantato di turno (dopo Shrek, si fa così!), l'amore fraterno che ruba la scena all'amore romantico... e via dicendo.

Anche i personaggi, in generale, sono apprezzabili: avrei fatto a meno dei Troll (il cui capo anziano sembra una copia del grande Puffo) e, come già rilevato, ho delle riserve su Olaf, ma ho apprezzato il fatto che, per una volta, non tutto sia come sempre ed anzi fiocchino lati oscuri e ribaltamenti.

In quanto ai disegni: sono stupendi, come sempre nella tradizione Disney. Non solo per quanto concerne la realizzazione dei personaggi, e di Elsa in particolare, sempre ben caratterizzati, e più simpatici che nei classici ante anni '80, ma altresì per le ambientazioni, per gli sfondi e via dicendo.

Trovo invece ridicola e priva di fondamento la polemica sul presupposto inno all'omosessualità legata all'amicizia tra Sven e Kristoff. La zelante mamma che l'ha scatenata non ha notato che Sven è una renna? Una renna maschio, va bene, ma sempre una bestiola!!! Misericordia!!! E allora perché non si accusa la Disney di proporre ai bambini del sesso zoofilo? Bah...

venerdì 25 aprile 2014

Un volume prezioso


FATE
di Froud e Lee


A metà tra il saggio e il libro di fiabe, uno dei volumi più incantevoli che abbia mai avuto fra le mani: tanto che, davvero, non pare possibile possa essere di questo mondo!

A colpire sono innanzitutto le illustrazioni: piene di grazia, di bellezza distillata, con un tocco di ferocia ed inquietudine quando è necessaria, o di malizia, o di tristezza, cromaticamente ineccepibili.

Ma anche il testo è pregevole e raccoglie un sacco di curiosità e aneddoti, per lo più tratti dal folklore anglosassone, irlandese e nordico (con tanti ammiccamenti e citazioni da Shakespeare), relativi al Piccolo Popolo. Non solo fate, dunque, ma anche folletti, elfi, mostri e sirene...

Il libro non è noioso, né didascalico, ed è ben lungi dallo schematismo di un dizionario: il sapore è quello della favola, raccontata con garbo, soffusa di un delicato stupore, come se gli autori ti accompagnassero in un percorso di meraviglie e trabocchetti, tenendoti per mano.

Prima il Piccolo Popolo ci viene introdotto attraverso le sue abitudini e tradizioni, poi tramite i suoi rappresentanti più caratteristici. Non tutte le creature sono benevole, però. E non tutte sono belle in senso classico. Alcune sono malvagie e ripugnanti, altre solo buffe e dispettose. Ad esempio, io ho trovato particolarmente suggestivi il terribile Berretto Rosso, uno dei Folletti più antichi, il cui cappellino è tinto e ritinto nel sangue umano, o il Saltatore d'acqua, una sorta di rana alata con l'occhio bieco che depreda i pescatori gallesi.

In generale, quello delle fate è comunque un mondo ambiguo, in cui persino l'azione più innocua, come ballare, può rivelarsi pericolosa, se non addirittura mortale. Compresi i casi in cui, in se per sé, le creature non sono animate da cattive intenzioni.

Sia come sia, questo è senz'altro un volume prezioso, incredibile da leggere e da sfogliare.

Trastullandomi su Amazon inglese ho notato che sono molti altri volumi di Froud e Lee (o del solo Froud) sullo stesso genere... Arriveranno mai in Italia? La speranza è sempre l'ultima a morire...

Curiosità: il Dylan Dog n. 41, “Golconda”, di Tiziano Scalvi e Luigi Piccatto (ai pennelli), è disseminato da disegni che sono evidentemente ispirati da “Fate” (per non dire spudoratamente copiati)...

giovedì 24 aprile 2014

Un futuro distopico


LA STRADA
di Cormac McCarthy

 
Questo romanzo, dalla prosa secca e incisiva, a volte distaccata e volutamente incolore, ti mozzerà il fiato, lasciandoti prostrato, senza speranza, a chiederti perché, se il mondo è ridotto come è ridotto, devi costringerti a fare la fatica di continuare a vivere visto che tanto non ti aspetta niente, se non altra fame, altra paura, altro freddo, e altro dolore.

E al contempo lo sai perché, lo sai benissimo, e questa consapevolezza ti spezza ancora di più, il cuore e l'anima, con la sua fiducia e la sua tenerezza, nell'istante stesso in cui ti dà forza. Il perché è tuo figlio, che è piccolo e ancora innocente e pieno di domande, che sta diventando rachitico per la mancanza di vitamine e che non conosce nemmeno la luce del sole.

Perché è da dieci anni che il sole non si vede.

Siamo in un futuro distopico, il mondo è sull'orlo della fine (o è già finito, e devi solo riuscire ad accettarlo), tu marci in un perenne pulviscolo, senza quasi vederti i piedi, con tutti i tuoi averi raccolti in un vecchio carrello della spesa. Il tuo oggi è determinato esclusivamente dalla sopravvivenza, tua e di tuo figlio. Ma vuoi che restiate fedeli a voi stessi, integri, onesti. Perché è importante che il piccolo non perda il concetto di che cosa è giusto e di che cosa non lo è, non importa se le circostanze invocano altre leggi. Non importa se l'umanità, per quella che è la tua esperienza, che si rinnova ogni giorno, è davvero andata in malora. E ogni giorno, ti sembra, un poco più prossima al baratro.

E nonostante il panorama non offra niente, salvo una strada spoglia, il viaggio non sarà mai noioso: la paura è troppa, eternamente vigile. E in qualche modo le sei persino grato, perché se lei si assopisse ci sarebbero la pena e lo scoramento ad affliggerti. E i loro morsi sono più feroci.

Racconti a tuo figlio del passato che non ha vissuto, di sua madre che si è suicidata, perché, semplicemente non ce la faceva (e come potresti biasimarla?) ed era terrorizzata, ma lucida. E tu, lettore, soffri, empatizzi, stai male per loro, ma al contempo sei avido, e vorresti sapere di più sul disastro nucleare che ha messo la natura in ginocchio, e non ti bastano mai i dettagli, e mai sei sazio, e quelli che ti verranno dati in pasto ti sembreranno solo brandelli e mai soddisferanno la tua curiosità. Eppure, dentro di te lo sai, che diavolo c'è da dire di più?

E incontrerai di tutto, e diffiderai, e forse questo ti salverà la vita. Forse no. Ma attento, il cibo scarseggia è c'è il buon vecchio sistema per risolvere il problema... No, non mi riferisco solo a rapinare e a uccidere, benché anche questi siano mezzi inflazionati... No, ci sono sistemi più primitivi, più famelici, più oscuri...

Un romanzo intenso, fatto di compensazioni tra ciò che si è perduto e ciò che si deve conservare, tra il grigiore esterno e la forza del legame che continua a illuminarci, a unire, a sostenere, tra il disfacimento morale, la violenza e la disumanità e il tuo equilibrio interiore. Un romanzo bellissimo, che però richiede lunghe pause per mandare giù i bocconi più amari, più brutali, più truci.

Che sono parecchi.

Spesso queste trame di tipo post-apocalittico attirano scrittori commerciali, dando luogo ad un intrattenimento facile, o meno facile, magari condito con qualche intuizione interessante, o da uno stile che si accontenta di essere scorrevole.

Questa volta, invece, a cimentarsi nell'impresa è un autore immortale.

Ma se non hai la forza di stringere i denti fino a che li senti scricchiolare, beh, allora non provarci neanche a leggerlo: ti farà solo male.

mercoledì 23 aprile 2014

Teatraleggiante


NUDI E CRUDI
di Alan Bennett

 
Tornate a casa e trovate il vuoto. Non un semplice furto: non c'è più nulla di nulla, manco la carta igienica. Dunque? Che è, una candid camera? Un tumore al cervello? State sognando?

Siete una coppia anzianotta, benestante, che non fa faville, ma è abituata ad un certo piatto decoro. Lo smacco è notevole e mette in discussione tante realtà che davate per scontate... Seguiranno colpi di scena, satira pungente, dialoghi surreali, sorrisi a profusione...

Il libro, un romanzetto “teatraleggiante” leggero e gradevole, parte in pompa magna, stralunato e spassoso, giocando con il paradosso, mescolando dramma e comicità, stupendoci con grazia brillante e un tocco di graffiante cinismo, rallegrandoci ed angustiandoci, insieme a qualche spunto di riflessione. Solo che, dopo alcune pagine perfette, si appanna un po', eccede, esagera, sfiora la gratuità, moraleggia e si involve, sino a sfiorare la monotonia, accartocciandosi in un finale stiracchiato.

L'opera non è comunque da buttare via, anzi. E la scrittura è simpatica, compassata al punto giusto, con momenti di delizia e di incanto. Però l'incipit ci fa pensare ad un novello Beckett e quando ci accorgiamo che Bennett non lo è, inevitabilmente, ci restiamo male.

Forse l'errore è stato cercare di razionalizzare, di fornire una spiegazione credibile... E l'autore è abbastanza onesto, in questo, solo che la credibilità è relativa. E allora, magari, sarebbe stato meglio prendere una strada diversa e abbandonarci nello sconcerto.

Inoltre, davvero, il climax fa presto ad inciampare, e proprio quando avrebbe dovuto crescere di più...

Occasione perduta, viene da sentenziare. Peccato.

Ma non abbastanza, visto che la voglia di dare allo scrittore una seconda possibilità rimane. E anche la curiosità di conoscerlo meglio.

Perché di potenziale, a giudicare dall'intuizione di base, qui ce n'è davvero tanto.

martedì 22 aprile 2014

Indispensabili


THE EDGE KNIGHT

di George R. R. Martin, Ben Avery e Mike Miller

Mi riferisco al fumetto (per ora due volumi), non ai racconti (benché sia validissimi anche quelli).

Ambientato nel mondo dei Sette Regni, ma circa settanta-ottanta anni prima dell'eptalogia de “Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco”, narra di due personaggi, Duncan ed Egg, che verranno menzionati solo di passaggio, in una manciata di righe, nell'opera maxima.

E che sono una meraviglia.

Divisi e insieme. Ma insieme li preferisco.

Duncan è uno scudiero che ha appena seppellito l'anziano cavaliere errante che gli ha fatto da mentore e da amico per una vita, scovandolo, bambino, a Fondo delle Pulci. Non uno di quelli particolarmente famosi, magari, o nobili, ma valoroso e onorevole, che ha insegnato tutto al suo pupillo, non solo l'uso della spada, e che dunque, prima del trapasso, ha nominato Duncan Cavaliere (ma senza testimoni, la faccenda non è così scontata).

Egg, invece, è un povero ragazzino pelato, vivace e irruento... Ma solo in apparenza. In realtà ha un segreto piuttosto ingombrante da custodire. Quello che lo ha indotto a tagliersi i capelli a zero.

I due si incontrano e Duncan prenderà Egg come suo scudiero...

Come al solito, con Martin, si inizia con lentezza, contestualizzando, delineando bene i personaggi, le loro motivazioni, e il mondo in cui si muovono, con le sue regole ed implicazioni. Si conosce un mucchio di gente, e tanta di questa ci sconvolgerà, seppur per motivi diversi, arrivando a commuoverci, a farci inorridire, o a provocare la nostra ira. Ma siamo in un racconto, non in un'avventura spalmata su sette romanzi, quindi i nodi non impiegheranno troppo tempo per giungere al pettine. La fine del primo volume, in particolare (corrispondente al primo racconto), è davvero trascinante, con qualche rimando, molte emozioni, colpi di scena, ma soprattutto con tanti, tantissimi momenti di pathos, esaltazione, giustizia! E meraviglia...

Anche il secondo volume non è male, e, volendo, si può leggere indipendentemente dal primo, sebbene il suo pregio maggiore sia di farci ritrovare i protagonisti cui tanto ci siamo legati. E che vogliamo conoscere meglio, e accompagnare lungo il loro non semplice cammino.

Ottima anche la rappresentazione grafica.

Indispensabile per ogni fan di Martin.

O anche per chi non lo è.

lunedì 21 aprile 2014

L'Apocalisse! Wow!!!


FACCIAMOLA FINITA
di Seth Rogen ed Evan Goldberg

(2012)

 
Non sapevo nulla di questo film, non avevo nemmeno visto il trailer. Appena ho sentito il titolo del blu-ray ho insultato il Mio Perfido Marito, reo di propinarmi una cretinata totale.

Quindi mon amour ha premuto PLAY.

Mi ha fatto sorridere il fatto che gli attori (Seth Rogen, Jay Baruchel, James Franco, Michael Cera, Jonah Hill, Paul Rudd, Jason Segel...e solo per menzionarne alcuni) interpretassero se stessi con autoironia nerd. Ma era troppo esasperata per strapparmi una vera risata, e alla lunga (cinque minuti) ho iniziato ad odiarli tutti. Poi a disprezzarli. Poi a disprezzarli di più. Ho continuato dunque a brontolare, a lamentarmi, auspicando che venissero massacrati da un serial killer di passaggio, mentre mon amour cercava di ammansirmi, invocandomi di avere pazienza. E fiducia.

Io ne ho poca, dell'una e dell'altra, e non ne potevo più: sballo fine a se stesso, dialoghi vuoti, stereotipi, le tristi dinamiche dei rapporti umani privi di sostanza, ma soprattutto: noia, noia, noia...

Finalizzata a che? Ad uno scorcio di vita di una banda di poveri di spirito invitati all'inaugurazione della casa di James Franco? Baaaaaaaahhhhhhhhhh!

Ma all'improvviso... è accaduto!!! E' iniziata l'Apocalisse!

Maddài!!! Eppure sì, a sorpresa, è successo! L'Apocalisse! Wow!!!

Gente che viene risucchiata in cielo da raggi blu (non gli attori), incendi, gente che precipita in una voragine di fuoco o viene trafitta da robe aguzze uscite dalla terra (gli attori, yeah!)... Spaziale!!! Spazialissimo!!!!!!!!

E io mi sono dovuta scusare con il MPM: è davvero entusiasmante vedere gli stupidi e insulsi personaggi, che nell'arco di un quarto d'ora hai imparato ad odiare (secondo i desideri dei loro interpreti), scoprire la loro natura più marrone e crepare in vari adorabili modi, in preda al terrore e allo sconcerto... Non ti senti neppure troppo sadico!

I pochi superstiti e si ritrovano a casa di Franco: lo stesso James, Seth Rogen, Jay Baruchel, Jonah Hill, Craig Robinson... E presto si aggiunge loro lo sgradevolissimo Danny McBride. Magari non ci si sganascia dalle risate, ma qualche ghignata autentica questa volta c'è. E ci sono pure creature demoniache affamate di carne. In molti sensi.

I personaggi-parodia sono tremendi, benché capaci di evolvere (eppure ormai non dispiacciono nemmeno, anzi, quasi quasi ci si affeziona), e la commedia avrebbe potuto essere più frizzante, più arguta, più spiritosa, però l'idea di base è geniale, ed è bello assistere all'alternanza di demenza e paura, con una spruzzatina di splatter! Tra i momenti più alti: l'esorcismo di Jonah Hill (effettuato da attori senza preparazione cattolica, e quindi a suon di frasi de “L'esorcista”), il non tentato stupro di Emma Watson, e l'assunzione celeste di James Franco...

C'è anche Channing Tatum, che qui ci regala la più elevata e la più romantica fra le sue interpretazioni!!!

Insomma, un film carino, graziosamente scorretto e diverso dal solito, che si prende in giro da solo, senza grazia, ma con tanta simpatia.

domenica 20 aprile 2014

BUONA PASQUA A TUTTI!!!


UOVA DI PASQUA...







Non importa se abbiamo la casa piena di uova pasquali (in eccesso rispetto al nostro fabbisogno) e io la vigilia spasimo perché bramo nutrirmi di cioccolato... Le uova si aprono a Pasqua! Non un minutino prima! E pazienza se poi non sapremo dove metterci i Kinder & Company e finiremo col trascinarci scatole piene di frammenti di cioccolato fino all'estate (e fino alla nausea)... Prima della mattina di Pasqua le uova non si aprono, così ha stabilito la Psicopolizia, ops... il Mio Perfido Marito...

La mattina di Pasqua, peraltro, illudendomi che staremo abbracciati almeno qualche quarto d'ora prima di alzarci, appena mi distraggo mon amour sparisce (non sono neanche le 7.15), sgattaiola via furtivo. Dov'è? In cucina a baloccarsi con suo ovetto di Superman, come un cucciolino.

Il bello è che quando siamo andati a comprare le uova e io ho detto che non ne volevo per me, che sono grande, e che ne abbiamo già ricevuto abbastanza, lui – che, povera stella, aveva puntato quello di Superman già da un mesetto – ha risposto che allora anche lui è grande, e non ne vuole...

Aveva gli occhioni seri, grandi, dolci e consapevoli, mentre lo affermava, ma sentivo il suo cuoricino incrinarsi al pensiero di perdersi le “supersorprese da supereroi”... Fortuna che gliel'ho comprato lo stesso. Perché, anche se ha sei anni più di me, per certe cose mon amour è più picculo: sembrava un bimbo, oggi, mentre si rimirava la cancelleria di Superman (e se la fotogravafa)...
 
Con tutto che, di nascosto, il MPM ha comprato un ovetto anche per me. Uno piccino picciò, molto carino, a forma di coniglietto. Anche a Dado è piaciuto, ed infatti è andato subito a rendergli omaggio.

Forse un po' perplesso.
 
 
Del resto, l'anno scorso, mon amour ha comprato un coniglietto della Lindt, glielo ha mostrato, lo ha scartato, e lo ha avvertito: «Guarda Dado: adesso ti mangio!». E ha divorato il coniglietto di cioccolato, partendo dalle orecchie, proprio davanti al tunnel del nostro pelosetto. C'era un retrogusto di sadico cannibalismo, in quell'azione. Di tabù violato, di oltraggio.

Anche se, ad essere onesti, Dado non vi ha badato molto: più che altro ha trovato traumatizzante il fatto che in seguito io abbia cercato di mettergli al collo il grazioso fiocchetto rosso col campanello che aveva il coniglio-Lindt. Dado è stato molto eloquente nel comunicarmi il suo disprezzo a riguardo. Scusa, baby!

Che altro?

Dopo tanto strepitare, oggi il cioccolato non mi va... Ehm, no, non volevo dire questo, ma... BUONA PASQUA A TUTTI!!!

P.S.

Dobbiamo ancora andare dai miei per il pranzo di famiglia... Là ci sarà almeno una bimba vera ad aprire le uova: la patapiccula, la mia nipotina. Ma so già che non avrà gli occhioni sognanti del mio anziano supereroe, mentre scarta le uova... (I bambini di due anni e mezzo, ormai, sono troppo avanti per la nostra generazione). Quindi sono contenta di essermi goduta almeno il mio “bimbo grande”.

sabato 19 aprile 2014

Una prospettiva di felicità


IL CONTE DI MONTECRISTO
di Alexandre Dumas
 

Romanzo monumentale, ma ricco di pathos, incentrato sulla vendetta. Una di quelle allegramente complesse, atte a colpire più soggetti, che non si gustano fredde, ma direttamente gelate. E che ti esaltano, inebriandoti di sadismo, che fa rima con giustizia, con imperativo categorico, e con dovere morale. Che sono necessarie, dunque. Irrinunciabili. Fino a che assumono un sapore amaro, e allora il nostro eroe (che comunque nel frattempo ha “messo un po' di cose a posto”) comprenderà la vanità delle sue azioni e riuscirà davvero a ritrovare se stesso, insieme alla forza di perdonare. E, finalmente, ad una prospettiva di felicità.

Per fortuna o avrebbe rischiato di dannarsi da solo. Perché è questa la controindicazione principale della missione.

Il protagonista è Edmond Dantès, che diverrà, appunto, il Conte di Montecristo grazie all'immenso tesoro che recupererà su indicazione del compagno di carcere, abate e scienziato, Faria. Ma come è finito dentro, Edmond? E' proprio questo il punto: il giovane è stato vilmente incastrato (niente meno che il giorno delle sue nozze) con la falsa accusa di bonapartismo (siamo nel 1815, in Francia) e pertanto imprigionato nel Castello di If.

Per quattordici, lunghissimi anni.

In condizioni disumane.

Comprensibile che dopo essere riuscito ingegnosamente a scappare sia un po' adiratello... Ma anche pieno di creatività, visto che si diverte ad assumere diverse sembianze e a recitare più parti...

L'opera è decisamente di ampio respiro, a tratti prolissuccia, ma ben strutturata e densa di avventura, di personaggi, di emozioni, di scene strappalacrime (del resto è la classica rappresentante del romanzo d'appendice), e quindi scorre velocemente, nonostante il linguaggio piacevolmente un po' arcaico (ma tanto dipende dalle traduzioni) e le fiorite descrizioni, non sempre eccezionali.

Gli unici elementi che ho trovato veramente fastidiosi sono l'insistito paternalismo di certi ragionamenti e il patetismo imperante di molte situazioni, esasperato all'eccesso, ma, una volta contestualizzati, sono comunque quasi perdonabili.

La trama è coinvolgente, il protagonista fascinoso e carismatico, e tutti i personaggi, inclusi quelli minori, sono caratterizzati con cura e analizzati con il cesello a livello psicologico. Invero, non ho apprezzato tutti gli sviluppi né sempre ho condiviso il risentimento di Edmond: ad esempio in riferimento al rapporto con Mercedes, la sua innamorata storica, per cui avrei bramato una conclusione diversa e più romantica (a questo riguardo, Eddy caro, mi sei parso davvero uno stolto ed un egoista miope)... O la questione di Haydée, la principessa greca, che vedo (ingiustamente) come un'usurpatrice, ma è un opinione del tutto personale.

Nel complesso, ad ogni modo, un bel romanzo, che si scolpisce nella mente e nel cuore di chi legge.

venerdì 18 aprile 2014

Un riuscitissimo mix di personalità


RUMBLE TUMBLE
di Joe R. Lansdale

 
Quarto romanzo della serie di Hap e Leonard, che io sto leggendo nella più totale e crassa anarchia cronologica: prima “Mucho Mojo”, il secondo (al momento quello che ho preferito), poi “Una coppia perfetta”, raccolta di tre racconti di relativamente recente pubblicazione, e ora “Rumble Tumble”.

Probabilmente in ordine sono meglio, ma anche così si difendono bene...

Seppure, a prescindere dal filone noir, ci siano tantissimi elementi in comune con altri romanzi di Lansdale. A livello generale, ad esempio: l'umorismo sfrontato e tagliente, piacevolmente volgare (ma lontano dai picchi della trilogia del Drive-in), l'esuberanza narrativa (qui leggermente più contenuta e incline a momenti vagamente malinconici), la tendenza a sdrammatizzare, le sparatorie, i cattivacci di turno, il ritmo vorticoso, le battute di spirito, le situazioni disperate affrontate con grazia ed una punta di incoscienza, un po' di sganassoni ben dati... Su un piano più mirato, invece, ho notato un bel po' di somiglianze con “La Foresta”, ad esempio: il nano venduto al circo che si accompagna al tipo grosso e forzuto (sebbene in un ruolo completamente diverso), la fanciulla in pericolo, il parente che va a salvarla (qui la madre, anziché il fratello), l'atmosfera e gli sviluppi narrativi...

Ma non importa, le risate, l'azione e la tensione sono comunque assicurate!

Ma chi sono Hap e Leonard?

La più irresistibile coppia di protagonisti maschili dai tempi di... Sherlock e Watson?

Leonard è grosso, nero e gay, fantastico nel fare a botte, ordinato e precisino. Hap, l'io narrante e suo migliore amico, è bianco, intellettuale, disordinato, con una mira infallibile.

Sono un riuscitissimo mix di personalità ed esempio di amicizia e complicità virile, in cui i due “duri inossidabili” si completano a vicenda, dando luogo a dialoghi brillanti e ad un'intesa senza sbavature. O con qualche sbavatura amena.

Poi c'è Brett, la donna di Hap, la cui figlia, prostituta e prigioniera, è il motore della vicenda. Brett è perfetta: sexy, coraggiosa, pratica, intelligente, spiritosa... Bla, bla, bla... Spesso mi stanca, e di rado mi convince del tutto... Sembra un uomo con le poppe. Ma pazienza. La verità è che le ragazze di Lansdale, a meno che non siano giovani e innocenti, non mi entusiasmano mai molto. E ad ogni modo, se Brett piace ad Hap, va bene anche a me (del resto come potrebbe non piacergli?).

Ad ogni modo, “Rumbe Tumble” è davvero carino, specie per i personaggi e le situazioni, ma queste ultime si rivelano un po' ripetitive se rapportate a l'opera completa dell'autore, tanto che nelle prime pagine sono stata assalita dal dubbio di aver comprato un libro già letto... Amen. Vale ugualmente la pena di acquistare anche il resto, solo, magari, avendo cura di lasciar passare abbastanza tempo tra un avventura e l'altra.

In definitiva, che cosa ho preferito di più in questo romanzo?

Leonard con il suo armadillo!!! Un amorissimo!

(ma un poquito mi ricorda il maiale de “La Foresta”...)

giovedì 17 aprile 2014

Ben costruito


L'EVOCAZIONE – THE CONJURING
di James Wan
(2013)


La trama è quella classica della casa infestata, tipica della filmografia Horror, molto simile ad Amityville, con qualche rimando a l'Esorcista e, se proprio vogliamo, a Paranormal Activity...
Ma se la serie di Amityville (contando anche il remake) e il relativo reportage (o era un romanzo?) non mi avevano entusiasmato, apparendomi piatti e fini a se stessi, The Conjuring, invece, è ben costruito, e dotato di molta suspense calibrata con sapienza.
E ciò sin dal prologo, sul cosiddetto caso “Annabelle” (una bella bambolona indemoniata, che farebbe più paura di Chucky, la bambola assassina – in realtà un bambolotto in salopette – anche senza bisogno di essere posseduta): semplice, ma d'effetto, e in particolare la rivelazione sulle vere intenzioni e l'identità della presunta innocua bambina che la anima...
Niente di che, si può obiettare, tutta roba già sentita... E' vero, ma qui, anche quando viene rivelato l'ovvio, quello che qualunque fan dell'horror ha capito dalla prima scena, la sensazione è comunque sempre d'inquietudine, subdola e splendidamente insinuante.
Poi parte la storia vera (anche nel senso di ispirata ad una storia vera, pare... Come Amityville... che sia la stessa? Il periodo è quello, inizio anni '70...). Si gioca con le porte che sbattono, sui rumori improvvisi, sulle streghe dalle chiome fluenti e bisognose di un parrucchiere... Ma ci sono anche quelle manine che appaiono dal buio, quell'angosciante “battimani”, e la tizia che compare sull'armadio, che con quella “delicata espressione di gioia estatica” fa la sua dannata peppapiggosa figura...
Ho urlato un più volte, e un paio abbastanza forte.
Il ritmo è ottimo, con un crescendo notevole, che però permette anche di prendere fiato ogni tanto... L'elemento più bello e innovativo, però sono i personaggi: profondamente umani, realistici, dolci, che in qualche modo recano conforto. Il cliché vuole che non si veda l'ora che vengano massacrati, dando luogo ad un climax di angosce e orrori: qui, invece, si solidarizza, ci si immedesima, si patisce per loro. Sia per la famiglia che subisce l'infestazione, i Perron (con le deliziose cinque figlie) che non si riduce a stereotipo, ma ispira tenerezza e compassione, sia per la coppia di demonologi, Ed e Lorraine Warren, affiatati, colti, gentili, interpretati da attori all'altezza dei ruoli.
Davvero un bel film, uno di quei rari horror che si possono vedere con piacere più volte, anche quando si sa già come vanno a finire.
P.S.
Una menzione speciale alla stanza-museo che raccoglie gli oggetti demoniaci... I coniugi Warren la faranno pure benedire una volta al mese tenendola chiusa col lucchetto, ma... tanto di cappello a riuscire a dormire con questa bella bomba al piano di sotto, pronta a deflagrare proprio nella tua abitazione.

mercoledì 16 aprile 2014

Un onesto esperimento


UN SABATO, CON GLI AMICI
di Andrea Camilleri

 
Ci viene proposta una carrellata di bambini, rappresentati ognuno in una situazione spinosa o sgradevole. Li ritroviamo adulti, borghesi e accoppiati (tranne uno), un sabato sera, tutti insieme, a godersi la reciproca compagnia giacché sono amici di lunga data. Ma non si gode poi tanto, né ci si rilassa perché, come si suol dire, la vita e i traumi subiti (e non troppo difficilmente immaginati) presentano il conto. Nella parte finale, che si ricongiunge alla prima, scopriamo nel dettaglio quali traumi, attingendo a piene mani dalla realtà della cronaca nera.

Questo libro è stato oggetto di una “serata letteraria” cui avevo partecipato e che si era rivelata particolarmente interessante per i pareri controversi suscitati.

C'era chi aveva tacciato Camilleri di aver tradito se stesso e di essersi prestato ad una squallida operazione commerciale, chi aveva trovato il romanzo confuso e sterile, e chi si era sentito vilipeso per la morbosità e gratuità dei temi trattati, che lungi dall'essere analizzati e approfonditi sono volti esclusivamente a disturbare.

In effetti, i personaggi non vengono indagati nella loro psiche o nel loro percorso di crescita (o involuzione) a seguito del trauma subito: sono semplicemente dati in pasto al lettore in modo lapidario e schematico, tanto che, al di là dei numerosi comportamenti sensurabili per se stessi, non è prevista la formulazione di una condanna, quanto piuttosto un non-giudizio.

Per quanto mi riguarda, il romanzo non chiede più di quanto non dia: è brevissimo, scritto con estrema semplicità, e porta via al massimo un paio d'ore. La trama non è originalissima, ma la struttura narrativa è apprezzabile, e può risultare caotica giusto nelle pagine iniziali, perché appena si entra nel meccanismo orientarsi diviene facile.

Nel complesso non mi è dispiaciuto. Magari non mi ha lasciato granché, però mi ha intrattenuta, incuriosita e avvinta, non senza un certo magnetismo.

E' pur vero che era il mio primo libro di Camilleri e non potevo fare confronti. Adesso posso affermare che sì, è sui generis nella sua produzione: non solo mancano il dialetto e Montalbano (come peraltro in altre sue opere), ma anche la Sicilia, l'umanità e l'ironia, allegra e sorniona, per quanto graffiante, tipiche di Camilleri.

La scrittura è fredda, asettica, atta a immortalare istantanee, ma scevra di qualsivoglia indulgenza o comprensione. I sette protagonisti paiono delle maschere prive di personalità, riducendosi a fatti e a stereotipi vuoti, esagerati, morbosi, senza valori né speranze. Il senso genarale è di claustrofobica desolazione: non c'è spazio per il sorriso, nemmeno a denti stretti.

Ma un brutto libro? No...

Semmai un onesto esperimento dal montaggio ineccepibile, che ammicca al teatro e campa su contenuti crudi e portati all'eccesso. Carino, ma cui non è il caso di dare troppa importanza.

martedì 15 aprile 2014

PUM!


FRASI CARINE DEL RAGNO DA PICCOLO III

 
Io: «Ma non sei piccolo per usare il profumo?»

Ragno: «No. Ledi che è piccola la boccettina? Luol dile che è pe' i piccoli!» (No. Vedi che è piccola la boccettina? Vuol dire che è per i piccoli!)



Osservando il Presepe...

R.: «Queccia è la Madonna! Cià pe' cadele!» (Questa è la Madonna! Sta per cadere!)

Io: «No, Ragno. E' solo lievemente inclinata...»

R.: «Cì! Gadda: PUM!» (Sì! Guarda: PUM!)

La butta giù.



Ragno vede che mater fa fatica a spostar il divano (sta lavando per terra): «Te lo spoccio io, quando ciono gande!» (Te lo sposto io, quando sono grande!)



Chicca (riferendosi a non so che): «Che cos'è questa cosa schifosa?»

R.: «Io?»

C.: «No, Etto, tu non sei una cosa schifosa.» (Etto è il Ragno, sta per Ettore)

R.: «Ah. E' Otta?»



Ragno: «Pecché non facciamo l'abbelo di Pasqua?» (Perché non facciamo l'albero di Pasqua?)



R.: «Non loglio che mi tagli 'e unghie pecché cianno lumole.» (Non voglio che mi tagli le unghie perché fanno rumore.)



R.: «Papà ha detto una palolaccia.» (Papà ha detto una parolaccia)

Mater: «Quale?»

R.: «Ciubido. Bisogna compale un alto papà, pecché queccio dice le palolacce e non la bene.» (Stupido. Bisogna comprare un altro papà, perché questo dice le parolacce e non va bene.)



Ragno, rivolto a me: «Tu quando ciai il copeanno?» (Tu quando fai il compleanno?)

Io: «Il 13 luglio, in estate.»

R.: «Io quando ci ciono 'e candele!» (Io quando ci sono le candele!)



Finisco di fare il bagnetto al Ragno... Lui è preoccupato, chiede: «Mi hai lalato bene?» (Mi hai lavato bene?)



«Non ne stai prendendo troppe?» Domanda Mater al Ragno mentre il cucciolo fa razzia di caramelle a casa della nonna.

R.: «No. Noi ciamo in tanti. Io ho: la Otta, il ciatello, Chicca, mamma, papà, Addea, le ciolelle, Ciccio... E ho anche me.» (No. Noi siamo in tanti. Io ho: la Otta, il fratello, Chicca, mamma, papà, Andrea, le sorelle, Ciccio... E ho anche me.) Il fratello è Andrea (Androide), le sorelle siamo solo io e Chicca. Ciccio è un peluche.



R.: «Ola ciono gande: gadda cogia ciò ciale!» (Ora sono grande: guarda cosa so fare!)

Ragno accavalla le gambette.



Domanda: «Chi è la Madonna?»

R.: «E' una con la cogia (la cosa, il velo) in testa e sulla 'chiena (la schiena) e ciotto i' (e sotto il) culo.»



R.: «Pecché lai a Genola?» (Perché vai a Genova? - sede dell'Università)

Io: «Perché devo studiare.»

R.: «Ce no ti mettono in pigione?» (Se no ti mettono in prigione?)

Io: «No. (...) Vuoi venire a Genova con me un giorno?»

R.: «No. Non poccio. Ce no mi delo pottale un libo da giugghiale, pecché lì giugghiano ciolo.» (No. Non posso. Se no mi devo portare un libro da studiare, perché lì studiano solo.)



Io: «Mi dai un bacio?»

R.: «Ti do quello caduto pel tella.» (Ti do quello caduto per terra.)



Chicca chiede dei soldi alla mamma. Ragno interviene: «Guadda che 'i ho anche io, i cioddi!» (Guarda che li ho anche io, i soldi!)

C.: «Bene. Me li dai?»

R.: «Eh, ma non ciono quelli che luoi te...» (Eh, ma non sono quelli che vuoi tu...)


 

Dopo aver visto il Cartone Animato di “Bambi”:

R.: «Ma pecché i cacciatoli ammacciano i cevvi? Io non mangio canne di cevvo... Ciolo canne di polli, di gegato...» (Ma perché i cacciatori ammazzano i cervi? Io non mangio carne di cervo... Solo carne di polli, di fegato...»

Io: «Ma il fegato è un animale?»

R.: «Eh cì. Il giegato è quello da ciale in padella...» (Eh, sì. Il fegato è quello da fare in padella...)