UN
SABATO, CON GLI AMICI
di Andrea Camilleri
Ci
viene proposta una carrellata di bambini, rappresentati ognuno in una
situazione spinosa o sgradevole. Li ritroviamo adulti, borghesi e
accoppiati (tranne uno), un sabato sera, tutti insieme, a godersi la
reciproca compagnia giacché sono amici di lunga data. Ma non si gode
poi tanto, né ci si rilassa perché, come si suol dire, la vita e i
traumi subiti (e non troppo difficilmente immaginati) presentano il
conto. Nella parte finale, che si ricongiunge alla prima, scopriamo
nel dettaglio quali traumi, attingendo a piene mani dalla realtà
della cronaca nera.
Questo
libro è stato oggetto di una “serata letteraria” cui avevo
partecipato e che si era rivelata particolarmente interessante per i
pareri controversi suscitati.
C'era
chi aveva tacciato Camilleri di aver tradito se stesso e di essersi
prestato ad una squallida operazione commerciale, chi aveva trovato
il romanzo confuso e sterile, e chi si era sentito vilipeso per la
morbosità e gratuità dei temi trattati, che lungi dall'essere
analizzati e approfonditi sono volti esclusivamente a disturbare.
In
effetti, i personaggi non vengono indagati nella loro psiche o nel
loro percorso di crescita (o involuzione) a seguito del trauma
subito: sono semplicemente dati in pasto al lettore in modo lapidario
e schematico, tanto che, al di là dei numerosi comportamenti
sensurabili per se stessi, non è prevista la formulazione di una
condanna, quanto piuttosto un non-giudizio.
Per
quanto mi riguarda, il romanzo non chiede più di quanto non dia: è
brevissimo, scritto con estrema semplicità, e porta via al massimo
un paio d'ore. La trama non è originalissima, ma la struttura
narrativa è apprezzabile, e può risultare caotica giusto nelle
pagine iniziali, perché appena si entra nel meccanismo orientarsi
diviene facile.
Nel
complesso non mi è dispiaciuto. Magari non mi ha lasciato granché,
però mi ha intrattenuta, incuriosita e avvinta, non senza un certo
magnetismo.
E'
pur vero che era il mio primo libro di Camilleri e non potevo fare
confronti. Adesso posso affermare che sì, è sui generis nella sua
produzione: non solo mancano il dialetto e Montalbano (come peraltro
in altre sue opere), ma anche la Sicilia, l'umanità e l'ironia,
allegra e sorniona, per quanto graffiante, tipiche di Camilleri.
La
scrittura è fredda, asettica, atta a immortalare istantanee, ma
scevra di qualsivoglia indulgenza o comprensione. I sette
protagonisti paiono delle maschere prive di personalità, riducendosi
a fatti e a stereotipi vuoti, esagerati, morbosi, senza valori né
speranze. Il senso genarale è di claustrofobica desolazione: non c'è
spazio per il sorriso, nemmeno a denti stretti.
Ma
un brutto libro? No...
Semmai
un onesto esperimento dal montaggio ineccepibile, che ammicca al
teatro e campa su contenuti crudi e portati all'eccesso. Carino, ma
cui non è il caso di dare troppa importanza.
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