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venerdì 28 giugno 2019

Al mio segnale...


GENTAGLIA!


Ogni tanto devo sfogarmi e quindi mi concedo un’invettiva. Ma credo che se Dante fosse stato aduso a viaggiare sui treni qualche strale lo avrebbe scagliato anche lui…
Ebbene, dopo tre giorni di peregrinazioni tra Alassio e Genova, non ho potuto che ravvisare un cosa: il livello di educazione dei passeggeri va peggiorando. Un nuovo mal costume sta, infatti, dilagando di recente e consiste nell’abitudine (vissuta nella più totale tranquillità) di ascoltarsi video, canzoni, messaggi vocali, e fare telefonate in vivavoce, a volume altissimo, senza cuffie, e in spregio di tutti gli altri viaggiatori. Naturalmente non è detto che lo faccia un idiota per volta. Potrebbero essere anche tre o quattro contemporaneamente, così chi sta in mezzo, che già magari ha gusti musicali diversi dal cerebroleso di turno e in generale non ama i suoni gracchianti o dalla qualità discutibile, si ritrova in mezzo al caos più nero e, in breve, un mal di testa coi fiocchi.
Giovinastri!, si potrebbe replicare.
Errando.
Non sono solo ragazzi a comportarsi in modo tanto deprecabile, ma persone di tutte le età, dalla vecchiaccia lagnosa al signore di mezz’età con scarse attitudini alla pulizia. Ma che sta succedendo, mi domando? Le cuffiette sono incluse più o meno in tutti i dispositivi cellulari, è tanto difficile portarsele appresso e usarle? Possibile che non ci si rappresenti la possibilità di disturbare gli altri?
Ogni tanto un controllore interviene, e fa presente che trattasi di comportamento poco urbano. Le reazioni sono le più variopinte, e vanno dal genuino stupore alla stizza.
Ma come si fa?
A me avevano spiegato, da piccola, che la mia libertà finisce dove inizia quella degli altri. Questi soggetti non hanno avuto dei genitori, degli insegnanti o delle figure di riferimento?
Selvaggi.
Spero che finiscano nell’inferno dell’inquinamento acustico per contrappasso, anche solo per una settimana di rieducazione. Ammesso, date le premesse, che siano in grado di elaborare un ragionamento e correggersi. Ma dato il livello non ne sono tanto sicura, perciò andrebbe bene anche la dannazione eterna.

mercoledì 26 giugno 2019

Il concetto di tradimento

FEDELTA'
di Marco Missiroli


Romanzo provocatorio, dicotomico, dalla moralità apparentemente fluida ed inconsistente, che, tuttavia, nel momento stesso in cui afferma smentisce, portandoci alla conclusione opposta. 
L'assunto su cui si basa è la relatività sottesa al concetto di tradimento, in base alla quale: se tradisci sei, in realtà, fedele a te stesso, se non, addirittura, ancora più fedele a tua moglie. Segue un inanellarsi di miserie umane, rese ancora più squallide dalla loro quieta ordinarietà, dalla totale assenza di valori, come anche di cattiveria, di passione, di conflitto, ma semplicemente banali e tristi, svuotate di significato ed ancorate alla mera soddisfazione di un bisogno, di una pulsione, di un desiderio.
Ed è questo il fascino dell'opera: perché mentre il ragionamento sulla fedeltà inizia a  sedurci rischiando quasi di convincerci, il vissuto dei personaggi lo nega, rivelandone la tragica farraginosità. Nessuno dei protagonisti, infatti, riesce ad essere fedele a se stesso, ed anzi, nemmeno ha una vaga idea di chi è, ma solo di che cosa vuole, ed unicamente nell'immediato, senza riflettere sulle conseguenze o sul lungo periodo. E non solo sul piano sentimentale (si vedano la questione della casa e le scelte lavorative). I personaggi sono tutti allo sbando, sostanzialmente privi di identità, incapaci di costruire, di edificare, ridotti ad impulsi istantanei, non fanno che scivolare sulla superficie delle loro esistenze, senza lasciare dietro di sé altro che le proprie deiezioni. Persino la prosa di Missiroli lo sottolinea, con le sue dissolvenze che a volte portano i personaggi quasi a confondersi fra loro. Con la sua scrittura fatta di verbi e parca di aggettivi, come a voler evitare non solo i giudizi, ma anche le valutazioni; fredda, analitica, chirurgica, in cui persino le scene erotiche sono crude e meccaniche, addirittura fastidiose. 
E per quanto il romanzo sia volutamente poco dialettico, rifuggendo tanto la retorica quanto ragionamenti più profondi, scegliendo deliberatamente di mostrare, invece che  di descrivere, ed evitando accuratamente di trarre conclusioni esplicite, ci porta a comprendere la vacuità di fondo della sua tesi, che al contempo, però, non è un esercizio di stile, piuttosto il drammatico specchio dei tempi, riflesso di quell'amore liquido che privilegia le emozioni a scapito dei sentimenti, le connessioni a scapito dei legami (Zygmunt Bauman docet).        
Pruriginoso? No, tremendamente sociologico.

lunedì 24 giugno 2019

I miei (a)mici

IL MIO ORGOGLIOSO ESSERE SOCIALMENTE INADATTA


Non amo uscire, è risaputo: la mia giornata ideale, quella di godimento estremo, è quella che trascorro in casa, a dedicarmi alla vita contemplativa.
Non perché con gli amici non mi diverta. 
Mi diverto, e in generale non mi dispiace conoscere persone nuove, stare all'aria aperta, chiacchierare e compiere attività varie. 
E' che con i libri mi diverto di più.
Non è colpa di nessuno: sono fatta così.
Salvo qualche sporadico moto di ribellione, i miei amici, in linea di massima, lo accettano e mi amano lo stesso, lasciandomi i miei spazi (non menziono MPM perché, brontola, protesta, ma alla fine è peggio di me, e comunque lo comprendo nel pacchetto libri). 
Quello che mi ha stupito è che recentemente mi è capitato di conversare con una mia amica che, sconfortata, ha confessato: “Sto diventando come te: l'umanità mi ha delusa, non sopporto più nessuno. Mi sento troppo diversa dagli altri, fuori dal mondo, non riesco ad amalgamarmi... Allora tanto vale che me ne stia in casa e legga.”
Ho dovuto spiegarle che io non sono così. E' solo che preferisco leggere e scrivere a qualunque altra cosa (mentre scrivo, MPM, bramoso di considerazione, mi dice: “Salve! Io sono un libro!”. Lo ammetto, come direbbe Silvia Piccula, MPM fa scassare). Il fatto di sentirmi diversa non mi deprime, ma mi dà la dimensione della mia meravigliosa unicità, facendomi venire voglia di essere ancora più io. E – cosa buffa – di solito agli altri va bene così. Anche se magari si lagnano un po' o mi giudicano straaaana
In effetti, io non ho problemi ad amalgamarmi. 
Se voglio ci riesco. 
E' che di norma non voglio. 
Perché non me ne importa nulla. 
E nel 97% dei casi le persone finiscono per accettarmi per come sono, tutt'al più menandomela un po' per il fatto di non avere filtri, ma con tenerezza e simpatia. “Sono certa”, le dico, “che accetterebbero anche te. Io, di fondo, accetto tutti, incluse le persone più marroni. E loro, tu compresa, tutto sommato, fanno esattamente lo stesso. E accettano me, che pure sono marroncella”.
L'importante, di fondo, è imparare ad accettarsi da soli. 
E non sentirsi costretti a conformarsi. 
Perché alla fine della fiera sono tutti straaaaani
Ed è bello così.

venerdì 21 giugno 2019

Noioso ed illeggibile

IL DIRITTO DI CONTARE
di Margot Lee Shetterly


Pollice verso.
Verso il suolo.
La storia è interessante, e suscettibile di essere divertente quanto toccante ed impegnata.
Ma, ahimè, è solo impegnata. Oltre che semi-illeggibile ed ultra noiosa.
E sì che non ho scelto questo romanzo a caso: prima ho visto il film che ne è stato tratto. E che è delizioso: un piacere per la mente e per lo spirito.
Il romanzo no.
Il romanzo, purtroppo, privilegia l'aspetto documentaristico della vicenda (le prime donne di colore alla Nasa, tra sessismo e discriminazione razziale) a scapito di tutto il resto. 
Eppure trattasi di una storia vera dall'indiscusso fascino, fatta di persone, contesti ed eventi eccezionali.
Ma resi con questo stile sciatto ed ammorbato di note (manco a pié di pagina, ma da andarsi a cercare in fondo al volume, giusto per essere più comodi) la lettura diviene pura fatica e uccide tutto quello che c'è di buono attorno.
Occasione mancata.
L'unico punto che ho apprezzato è quello dedicato a Star Trek. Non in senso fantascientifico, ma sotto il profilo storico-sociale. Ovviamente alludo al confronto fra Nichelle Nichols, l'interprete del Tenente Uhura, e Martin Luther King. 
Ma sono appena una manciata di righe, decisamente poco per riscattare l'opera.
Quel che più dispiace è che le stesse protagoniste, sebbene indubbiamente persone fuori dal comune, vengano rese alla stregua di nomi cui vengono appiccicati addosso dati e accadimenti.
Non so se l'autrice abbia scritto altro.
Ma auspico sinceramente di no.

mercoledì 19 giugno 2019

Un eroe moderno

ULYSSE
di Jacques Lob e Georges Pichard


Non una trasposizione dell'Odissea, ma il racconto in versione fumettistica del periplo di Ulisse di ritorno dalla Guerra di Troia, rimontato e sfrondato di tutte le parti noiose. Si taglia, dunque, tutta la telemachia, mentre la parte che Omero dedica all'ingresso ad Itaca, ai Proci e a Penelope è grandemente ridimensionata, condensata in poche vignette. Persino il finale è diverso: più moderno, forse, più disincantato, ma, mio malgrado, è l'unica cosa che non mi è piaciuta (eccetto l'ultima pagina, che strizza un po' l'occhio a Dante).
Ma le differenze non si esauriscono qui: Omero è un membro dell'equipaggio e viaggia al fianco di Ulysse, di cui è uno dei migliori amici: la rappresentazione degli dei greci è molto fantasiosa, anche sotto l'aspetto concettuale, mentre la storia, altresì sul piano dei dettagli, è stata personalizzata e rivisitata, da punto di vista estetico e contenutistico, e persino tecnologico, con tanto di concessioni fantascientifiche (astronavi comprese) e quasi erotiche (ma molto soft). 
Più snella, lisergica e meno truce (in tal senso, l'episodio di Polifemo non fa eccezione).
Mutano topoi e archetipi, si vivacizzano, si aggiornano, ma rimangono l'avventura, l'imprevisto e l'immaginazione.
E anche le giunoniche donnone discinte di Georges Pichard, dalle labbra carnose e una profusione di lentiggini, ad esprimere, con la loro libertà di costumi e di intenti, qualcosa dell'animo sessantottino degli autori, che, peraltro, sia pur mitigato dai riferimenti classici, si respira in tutta l'opera. 
Seducente.

lunedì 17 giugno 2019

Estate in bianco

NIENTE ROMANZILLO QUEST'ESTATE


Qualcosa avevo già accennato, ma oggi vi do la conferma ufficiale: quest'estate non pubblico niente. 
Sarebbe stato il turno del quinto volume della Saga delle Fanciulle del Mare, ossia il penultimo, “Catarsi”.
Ma salta.
E il bello è che l'ho pure già scritto.
Ma poi è rimasto lì, per quasi un anno, nel pc, ancora da stampare, senza più essere stato toccato. O riletto.
Quindi non è pronto. Non credo, almeno (di norma lo rileggo e correggo circa un milione di volte).
Il punto è che, come già annunciato, quest'estate affronterò il mio primo trasloco lavorativo. E proprio nel mese di agosto, quando di solito mi godo le mie tre settimane di ferie e mi chiudo in casa a scrivere.
Ma quest'anno dubito che riuscirò a buttare giù un romanzo, per quanto breve, e in particolare “Il Segreto del Sangue”, il volume conclusivo della saga, anche se ho già steso il canovaccio e pure parecchio dettagliato. 
In fin dei conti, è risaputo, io sono per il tutto o niente. La scrittura, in particolare, per me è sacra, e non ne voglio sapere di fare le cose a metà. Tra l'altro, come diavolo faccio, con 'sto trasloco in corso, ad uscire dall'ottica lavorativa ed entrare nella modalità immaginifica?
Impossibile. 
Però, potrebbe essere un ottimo periodo per dedicarmi alla correzione di Catarsi. 
Quindi, ecco il programma: ad agosto mi concentro su Catarsi, che, presumibilmente, uscirà entro Natale (MPM permettendo).
Durante l'estate 2020, salvo inghippi e/o impedimenti, invece, concluderò la Saga. Ma il volume finale, visti i tempi tecnici, vedrà la luce solo nel 2021... Non so se per l'estate o prima.
Se siete seccati mi dispiace, ma la verità è che, oltre alle difficoltà oggettive ed occasionali, per me questi due librini finali non sono così semplici da scrivere, soprattutto perché ho deciso di dar loro un taglio corale, cambiando sovente il punto di vista. E, insomma, voglio cercare di farlo meglio che posso, al meglio delle mie possibilità. 
Inoltre, anche se fino ad ora mi sono scapicollata per rispettare le scadenze, io non ho un editore che mi fiata sul collo. Quindi, al diavolo, approfitterò dell'unico vantaggio che mi offre il fatto di non essere sotto contratto di nessuno: la libertà!
Baci e squali.

venerdì 14 giugno 2019

Una carrellata di ingiustizie ed orrori

LA NOTTE
di Elie Wiesel


Un romanzo breve, toccante, crudo e sincero, che ha come tema l'esperienza autobiografica in un campo di concentramento nazista. 
Oltre alla classica carrellata di ingiustizie ed orrori, a colpire sono lo stile dell'autore, carico di lirismo e struggimento, nonostante tutto, e il rapporto che lo lega all'anziano padre.
E ti strazia, questo. 
Ti strazia, perché non sei abituato a pensare alle vittime come a persone che, se sono sopravvissute, è perché hanno dovuto lottare e combattere, abbruttite al punto tale da pensare solo alle razioni e alla bieca sopravvivenza.
E, dato il contesto, capisci perfettamente il loro comportamento. Capisci come si possa arrivare ad uccidere per un tozzo di pane sporco gettato ai tuoi piedi. Capisci che le vittime devono sopraffare altre vittime se vogliono in qualche modo tirare avanti.
E dunque è tremenda la consapevolezza che acquisisce man mano il protagonista: che suo padre è la sua forza, l'ultimo legame affettivo che ha potuto conservare, l'unico vero centro di affetti che gli è rimasto, compagno di sventura e di privazioni, ma anche un tragico peso. Di cui, a volte, contro i suoi stessi impulsi, desidera sbarazzarsi.
E si duole di questo, si amareggia, ma l'istinto sovente è più forte, e il desiderio ritorna.
Un libro stupendo, brevissimo, che riesce a trattare un tema su cui si è già detto tanto, in modo diverso, onesto e catartico, senza fronzoli e senza manierismi.
Una testimonianza importante, dalla prosa inappuntabile, ma anche un tentativo di espiazione, forse, da parte di un figlio colpevole di essersi solo sforzato di sopravvivere.

mercoledì 12 giugno 2019

La rottura della quarta parete

FLEABAG


Che serie Tv!  
Pillole di malvagità e scorrettezza, collocate in una cornice drammatica, fatta di colpe, ma anche di reazioni, che alla fine dimostrano... Beh, che un triangolo ha molti lati.
E ci viene da grattarci, ma anche un po' da commuoverci.
Perché, nonostante i temi affrontati (il lutto, in particolare, ma anche il rimorso e la deriva della propria esistenza) la serie è leggera, frizzante, divertente (da risate vere), ma anche triste, tanto che spesso ti fa sentire il vuoto cosmico e la voglia di rifugiarti sotto le lenzuola, senza uscirne mai più. 
Situazioni grottesche, ma anche realistiche, in un certo qual modo, estetismi da urlo (la scena in metropolitana, quella che coinvolge tutti i passeggeri, è superba), gli interpreti magnifici, specie Phoebe Waller-Bridge (eccezionale) e Olivia Colman, che sfoggia la sua ricca espressività in un ruolo odioso quanto ben riuscito.
E poi c'è la rottura della quarta parete (che nella seconda stagione sfiora quasi traguardi metafisici), il ritmo vertiginoso, l'imprevedibilità, che però non è finalizzata a stupire, in quanto presenta un quadro ben concepito, con tanti ritorni, rimandi, cerchi che si chiudono.
E se all'inizio può sembrare la solita sitcom, magari con qualche inclinazione in più del solito al politicamente scorretto, graffiante e dissacrante, presto ci si rende conto che è molto di più, perché si rifiuta di restare in superficie, ma esplora tutto quello che c'è sotto.
Due stagioni, di sei episodi ciascuna, ognuno di circa ventiquattro minuti.  
Un gioiello.

lunedì 10 giugno 2019

I misteri di Emerenc

LA PORTA
di Magda Szabò


Stile corposo, caldo, tracimante di fascino e di sfaccettature, capace in poche righe di catturare qualsiasi dubbio, ripensamento, paura.
E poi la trama, edificata sul rapporto di queste due donne: la scrittrice ungherese di successo e la sua anziana governante, Emerenc, donna umile, ignorante, ma dalla volizione inattaccabile, tra numerose fisime e la sua rigidezza – talvolta incoerente – morale, e che infatti finisce per dettare tutte le regole. 
Una relazione burrascosa, la loro, conflittuale, piena di doveri, di segreti e di silenzi, che ci fanno soffrire, ma che ci danno anche tanto, fino ad accorgerci che si tratta proprio di un'amicizia, questa, profonda, intensa e ricca di riverberi. 
Un romanzo bellissimo, avvolgente, in cui veniamo pungolati dalla curiosità (perché Emerenc non lascia entrare nessuno in casa sua? Che cosa vuol dire la narratrice quando afferma di averla uccisa? Che senso ha la paura dei temporali?), ma in cui a sostenerci è invece la forza della magnifica Emerenc, con le sue certezze, intemperanze ed innumerevoli contraddizioni, che però non si possono mettere in discussione, o si subirà certamente un castigo. Chiunque noi siamo.
Più andiamo avanti più ci sentiamo tiranneggiati da lei, e più ciò avviene, più ci affezioniamo e cerchiamo la sua approvazione.
Ma la storia non è statica, anzi si susseguono avvenimenti, dalle risonanze diverse, ma non ponderabili con il metro usuale, e a poco a poco scopriamo i misteri di Emerenc, uno per uno, e incominciamo, se non a capirla, almeno a comprendere come ragiona.
Uno dei romanzi migliori letti quest'anno.

venerdì 7 giugno 2019

Letteratura vera

PICCOLA GUIDA TASCABILE AGLI ANIMALI PERICOLOSI IN LETTERATURA


Ho acquistato questo volumetto alla cieca, innamorata della sua veste grafica: di piccolo, inusuale, formato, opportunamente inquietante, con risonanze arcane e una carta di qualità, oltre a disegni anticheggianti, preziosi, e brevi appendici d'effetto sugli animali protagonisti, tali da mescolare biologia, iconografia, curiosità e mito in un pot-pourri da libro delle ombre. 
A solleticarmi anche il sottotitolo: “ovvero la zoologia come espediente per la letteratura”, che mi ha suscitato un bel “mumble mumble”.
In effetti, si tratta di una raccolta di raccontini classici, tra l'horror e il gotico, molto suggestivi (letteratura vera, quindi, non intrattenimento spicciolo), tra cui spicca quel gioiellino di crudele ironia che è “La zampa di Scimmia” di William Wymarc Jacobs (il mio preferito!), ma non trascura autori del calibro di Guy de Maupassant, Joseph Sheridan Le Fanu, Montague Rhodes James, Ambrose Bierce (delizioso il suo “L'uomo e il Serpente”), Franz Kafka e (chi se lo aspettava?) l'arguta Katherine Mansfield, più altri meno noti. 
Il leitmotiv dell'antologia è dato, ovviamente, dalla presenza di bestiole pericolose (davvero, per maleficio o per convincimento), e trattandosi per lo più di classici, se siete amanti del genere è possibile che li abbiate già letti tutti. Ma si sa, i racconti cambiano a seconda di come vengono accostati e, al di là del contenuto (di gran classe) come si diceva il volumetto è davvero stuzzicante.      
Tanto che mi sono già procacciata i fratellini: “Piccola Guida Tascabile ai Mestieri Sconsigliabili in Letteratura” e “Piccola Guida Tascabile ai Luoghi da non frequentare in Letteratura”.

mercoledì 5 giugno 2019

Il cammino dell'eroe

CREED
di Ryan Coogler
(2015)


Che potremmo chiamare Rocky VII, se non fosse che il nostro pugile preferito, ormai acciaccato e troppo in là con gli anni, cede i guantoni al figlio di Apollo, il suo storico nemico-amico, e ne diviene l'allenatore... 
In effetti, più che un sequel è uno spin-off, complessivamente più che accettabile, nonostante il modulo narrativo sia sempre lo stesso dei vecchi film, e, a tratti, suoni più come un remake, con i personaggi che si scambiano i ruoli, ma, fondamentalmente, fanno sempre le stesse cose. 
A differenza di tanti ricicli dagli anni 80, però, un remake dignitoso, godibile, che aggiunge qualcosa di suo alla serie e allo stesso Rocky Balboa, personalizzando quel che può, in modo rispettoso, e bissando quel che deve senza infastidire, forse perché la saga dello Stallone Italiano è un po' come una fiaba e la ripetizione non la guasta, anzi la rende più digeribile ed esaltante. Per dirla tutta: più il suo andamento è scontato, più ce lo godiamo. 
Tuttavia la pellicola non è perfetta: il cammino dell'eroe e la sua evoluzione come atleta e come uomo sono ben delineate, così il background di Adonis Creed e il rapporto con il suo neo eletto mentore, gli incontri sono avvincenti e movimentati, ma... ci sono alcune forzature specie a livello di continuity con la saga di Rocky, il film è eccessivamente lungo, maledizione (più di due ore, ma come si fa?), inoltre,  nonostante il magnifico corpo scultoreo, Michael B. Jordan è inguardabile, specie di profilo, ma soprattutto non lo si può sentire chiamare Rocky “zio” (ma che è, un torinese?!).
In ultimo, la colonna sonora è atroce. Se la saga di Rocky ci ha regalato successi immortali e traboccanti pathos, qui 'sta musicaccia fracassona ammazza l'epos e fa venir voglia di togliere il volume. De gustibus, certo. Ma per me è quasi indecente e la vivo come puro rumore (non che Bianca, la fidanzata di Adonis, che tenta la carriera di cantante, sia meglio coi suoi vocalizzi infernali).
Che altro?
Ho iniziato Creed 2, in cui torna niente meno che Ivan Drago, e Adonis deve combattere con suo figlio Victor... Vi saprò dire.

lunedì 3 giugno 2019

Una meravigliosa positività

QUALCUNO CON CUI CORRERE
di David Grossman


Splendido questo romanzo (grazie E.). 
Per la prosa calda, carica di atmosfera e dettagli, densa, profonda, autoriale, ma fluida e veloce, priva di esitazioni, capace di scavare nell'animo dei suoi protagonisti e di rendere vibrante ogni loro azione (quando Tamar canta, per dire, avvertiamo il diaframma agitarsi e la mente friggere, mentre il cuore si commuove).
Splendido per la prosa, dunque, si diceva, ma anche per la trama. 
Che ti prende da subito, e procede in modo misurato, ma pieno di sentimento, di tensione, con questo incipit assurdo in cui cerchiamo “la femme”, in una missione impossibile al seguito di un cane sconosciuto, che ci conduce ovunque, infilandoci in un mucchio di guai, come pure in casa (si fa per dire) di amici che prima d'ora non avevamo mai incontrato.
Le storie sono due, in realtà, e scorrono in parallelo per poi ricongiungersi, acquisendo ricchezza e spessore lungo il cammino, e insegnandoci tante cose, sul mondo e su di noi, sugli altri e sul coraggio, come sulla vita in generale.
La verità è che, nonostante non manchino la paura, lo sconforto e una banda di squallidi criminali, questa è un'opera che lenisce lo spirito, e gli infonde una meravigliosa positività, non solo dopo che si è finita, ma in ogni pagina, mentre si legge, perché ci fa sentire parte di qualcosa di importante, di audace e di giusto, ci fa venir voglia di rischiare e ci fa sentire l'amore, forte e chiaro, senza equivoci (quello familiare, quello per il nostro cane, quello per chi ci ascolta... e, sì, nonostante l'approccio sui generis, anche quello intimo, che si costruisce a piccoli passi, anche prima di imbattersi l'una nell'altro).
Eccezionale.