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venerdì 30 marzo 2018

Due volumi completamente diversi

PALESTINA
di Joe Sacco 
Vs 
CAPIRE ISRAELE IN 60 GIORNI (E ANCHE MENO)
di Sarah Glidden


Due graphic novel che condividono (grosso modo) argomento e finalità, entrambe caratterizzate da un approccio critico e non dogmatico, autobiografico e volto a vincere i pregiudizi e gli stereotipi, capace di porre l'accento tanto sulle contraddizioni e le storture, quanto sulla bellezza. Entrambi portano a riflettere su torti e ragioni di israeliani e palestinesi, cercando di approfondire e comprendere, senza retorica, ma attraverso l'elaborazione personale, l'esperienza diretta e l'introspezione.
Eppure sono due volumi completamente diversi.
“Palestina” di Joe Sacco è un vero e proprio resoconto giornalistico, impegnativo, a tratti pesante, emotivamente e stilisticamente, solo in parte a fumetti. E' più scomodo, più adulto, meno di parte, più coraggioso, più tecnico e più brutale, ma trasmette al lettore un patrimonio di conoscenze maggiori in senso orizzontale quanto verticale. 
“Capire Israele” di Sarah Glidden, invece, è più leggero, più soave, meno reportage e più romanzo di formazione.
Sicuramente sono da leggere entrambi, ma io ho preferito quest'ultimo, dotato di un linguaggio più semplice, più universale, di maggior delicatezza (anche sotto il profilo estetico, con i suoi colori pastello e il tratto pulito, meno marcato e caricaturale). Più turistico, certamente, meno avventuroso, meno d'impatto e meno doloroso, più a misura di uomo comune, che metabolizza lentamente lo shock di ogni scoperta, che ha bisogno di imparare piano piano, senza l'urgenza martellante di chiedere, di indagare, di analizzare. “Capire Israele” trova con naturalezza il giusto equilibrio tra serietà e sdrammatizzazione, ma non rinuncia a sentimenti e profondità, riuscendo a proporre un racconto più personale e soggettivo.
Prossimo acquisto: “Cronache di Gerusalemme” di Guy Delisle.

giovedì 29 marzo 2018

Il passato di Murakami

VENTO & FLIPPER
di Haruki Murakami


Ahimè, niente di memorabile.
Due racconti lunghi, o romanzi brevi, l'uno il seguito dell'altro, recuperati dal passato (costituiscono, infatti, l'esordio di Murakami) e accorpati in un unico volume: “Ascolta la canzone del vento” e “Flipper”.
Entrambi sono carini e, come di tutte le cose “solo” carine, di entrambi si può fare a meno. Anche se si è fan di Murakami.
Il dato più prezioso è costituito dall'introduzione – di poche pagine – in cui l'autore ci illustra le origini delle due opere e un po' del suo vissuto.
Il dato più peculiare è che la prima stesura è stata fatta in inglese e poi Murakami si è autotradotto in giapponese, questo per sottrarsi alle pomposità della sua lingua madre e per inventarsi il proprio stile. 
C'è, inoltre, un richiamo ad Agota Kristof...
Ecco, nulla più.
I romanzetti sono caratterizzati dalla scioltezza della scrittura, dall'introspezione, e dall'atmosfera intima, ma non presentano quei tratti che rendono Murakami unico e capace di provocare vertigini in chi legge e sanno di abbozzato, incerto, incompiuto.
Non ci sono immaginazione, inventiva, né personaggi capaci di rimanere impressi.
La lettura è piacevole, si procede volentieri, ma poi non rimane granché, giusto qualche sensazione indefinita e un paio di riflessioni affascinanti.
Insomma, se fino ad ora non erano arrivati in Italia un motivo c'è.
La ragione, invece, per cui sono arrivati ora è che, avendo ormai l'autore una fama consolidata, si vendono comunque.
Non sono pentita dell'acquisto, Murakami mi piace e aspiro ad avere tutto quanto ha scritto.
Ma, oggettivamente, suggerisco altro di lui. 
Sia per chi non lo ha mai letto, sia per chi ha già consumato il resto.

mercoledì 28 marzo 2018

Vendetta, sofferenza, violenza

L'IMMORTALE
di Takashi Miike
(2017)


Ho letto il manga con piacere, e con piacere ho visto il film.
Qualche differenza c'è, le trame non sono identiche, la trasposizione cinematografica presenta variazioni, tagli e licenze, ma nel complesso il fumetto di Hiroaki Samura non è stato snaturato ed anzi si mantengono vivi tutti i suoi stilemi: vendetta, sofferenza, violenza, combattimenti bellissimi, ma imperniati, più che sulla perizia con la katana, sullo sfinimento e la tenacia dei contendenti.
Manji in carne e ossa è quasi identico al Manji disegnato, e anche gli altri personaggi sono esteticamente fedeli, nonostante le frequenti (e a volte simpatiche) virate sul grottesco.
L'Amore va a braccetto con la morte, ed è filiale o sororale, disperato e arrabbiato, tenero, indifeso, a volte struggente, ma mai romantico. 
Non mancano gli schizzi di sangue, i colpi di lama, le sanguisughe, eppure l'atmosfera è meno cupa che nel manga, più improntata alla speranza e meno sul macabro (ad esempio, manca tutta la parte del riassemblamento dei corpi e degli esperimenti alla Frankenstein).
Il ritmo del film è buono, ma a tratti risente un po' della pesantezza dei dialoghi, talvolta venati di umorismo involontario, e dell'eccessiva lunghezza della pellicola, che, comunque, merita un voto positivo.
Mi è piaciuto anche il contrasto tra l'inizio in bianco e nero (il passato, in cui Manji è ancora mortale) e il presente a colori, in cui il nostro eroe non teme più nulla – sebbene dovrebbe, invece, tanto che, sanguisughe magiche o no, noi non possiamo rilassarci e stare tranquilli nemmeno per un minuto: non si sa mai chi possiamo trovare sul nostro cammino. Manji, d'altro canto, tormentato com'è dai ricordi e dai sensi di colpa per il destino della sorella, non ne può più della sua lunga vita e vorrebbe solo l'oblio della morte... Finché i suoi servigi non sono richiesti dalla giovane Rin, i cui genitori sono stati massacrati dal temibile Anotsu e dall'Itto-ryu e i cui lineamenti sono simili a quelli della sorella scomparsa.  
Un bel film, percorso da sentimenti intensi, che evolvono e divengono motore e carburante per l'azione e il sangue. 
Gustoso.

martedì 27 marzo 2018

Un quadro più variegato

GRIMM - TUTTE LE FIABE
Prima edizione integrale 1812-1815
di Jacob e Wilhelm Grimm


Mi spiace, ho sbagliato. 
Non adesso, quando ho comprato Principessa Pel di Topo.
Non mi rimangio nulla, "la Pricipessa" è un volume bellissimo, ma questo di più, con molte più pagine, più fiabe… incluse quelle della precedente raccolta citata. Le ho confrontate una per una: persino la traduzione è identica e così le illustrazioni. 
La differenza sta nel fatto che qui ce ne sono di più.
Tutte le fiabe dei Grimm, appunto, spesso con accenti ancora più trucidi e grandguignoleschi, tra cannibali e raschiamenti di budella. 
(Anche se rammento un'antologia dei Grimm di quando ero bambina con una storia intitolata “Biancaneve e Rosarossa”, che non ho trovato, ad esempio… Ma potrebbe dipendere dal fatto che questa è la prima edizione e che complessivamente ce ne sono state sette, se non erro).
E dunque avrei potuto acquistare direttamente solo questo libro...
Pazienza.
In compenso trattasi di due tomi stupendi da contemplare nella propria biblioteca. 
E da leggere, ovviamente.
In particolare, qui troviamo altri grandi meravigliosi classici, quali Hansel e Gretel e Cappuccetto Rosso, ma altresì fiabe meno famose e belle pagine di introduzione.
Cambiandone l’ordine e gli accostamenti saltano fuori nuove sfumature, nuovi accenti, che denotano un quadro più variegato e complesso: non sempre le principesse aspettavano il Principe Azzurro. Talvolta avevano già l’abitudine di salvarsi da sole, o di salvare l’amato. Le prospettive cambiano in base alle trame, e a volte pare che i Grimm puntino sul darci una dimostrazione della stupidità umana. 
Tra l’altro, curiosità, tra i deus ex-machina, fanno capolino pure Dio e la Vergine Maria…   
Ad ogni modo, adesso che ho iniziato questo percorso di ritorno all’infanzia, sono ansiosa di recuperare tutto Andersen e tutto Perrault.
A presto con entrambi!

lunedì 26 marzo 2018

Cominciano a essere tanti

COMPLYBLOG


E siamo a cinque! Cinque anni, cavoli, che cominciano a essere tanti (il prossimo anno a scuola!). 
Così tanti che sono quasi senza parole… 
Un po’ anche perché MPM mi sabota tutti gli annunci speciali dato che non lavora ai miei libri come dovrebbe. Ho introdotto le frustate nel nostro ménage familiare, ma non stanno dando i risultati sperati. MPM- blé!!!
A parte questo, e a parte gli scherzi, come sempre ringrazio tutti coloro che mi sostengono, ciascuno a suo modo, e ne approfitto per buttare giù qualche dato… Nudo e crudo, causa mancanza di ispirazione e ora ormai tarda:
Visualizzazioni: 320.500 circa;
Net-Parade: Livello:  340;                    
Classifica dei blog migliori di sempre: 13;
EBook all’attivo: 7!!!
Per il resto… 
No, nessun resto. 
Non oggi. 
E dunque taccio e mando baci.
Grazie, e a domani!!!

venerdì 23 marzo 2018

Un’opera fatta di trame

I SEGRETI D’ITALIA
di Corrado Augias


Della stessa serie de “I segreti di…” Parigi, Londra, Roma, New York, ma, purtroppo, non alla medesima altezza.
Se le opere citate, infatti, sempre di Augias, sono ricche di avvenimenti, di fatti, di vicende appassionanti, avventura e Storia, che ruotano attorno alla città di turno, qui, in cui al centro poniamo il Bel Paese intero, ci sono poco più di dissertazioni circoscritte, un po’ di fatterelli noti, non eccessivamente approfonditi, connessioni variegate e qualche dissertazione piacevole, mentre l’autore persegue l’intento, in primis, di spiegarci chi sono gli italiani, visti da dentro e da fuori, piluccando di qua e di là. 
Intendiamoci, un volume piacevole, intelligente, che si legge in un lampo, con tanti aneddoti e testimonianze che viaggiano da Parma a Roma, da Palermo a Venezia. Un’opera fatta di trame, dallo stile pacato e scorrevole, che intrattiene e arricchisce, ma che non ha lo stesso carisma e potenza narrativa degli epigoni.
Augias appare sotto tono, invece, e non ci fa innamorare di nessuna città, meno che mai dell’Italia, nonostante i suoi pregi e le sue contraddizioni, concedendoci, semmai, qualche fugace, ameno flirt. Si limita a regalarci qualche momento gradevole, che, è vero, non sarà sterile e non mancherà di affascinarci… Ma senza indurci a chissà quali approfondimenti, a differenza dei predecessori, che invece ti portavano a documentarti ancora offrendo spunti succosi o, semplicemente, aprendo meravigliose porte segrete con grazia e sapienza.
Non lo so, potrebbe essere che non fosse il momento giusto per me, che sia più portata a concentrarmi su un luogo più ristretto con una personalità più definita, anziché girovagare per una nazione, oppure che le mie aspettative fossero troppo altre. 
Ma l’autore mi è parso stanco e demotivato, per quanto resti un interlocutore sagace e interessante.
Sarà per la prossima volta.

giovedì 22 marzo 2018

L'apocalisse non è per tutti

OBLIVION SONG
di Robert Kirkman e Lorenzo De Felici


Ci sono i mostri, uno scenario postapocalittico e Robert Kirkman alla sceneggiatura: una serie che sembra fatta per me.
Anche se, plausibilmente (“The Walking Dead” docet), la cosa importante non saranno i mostri e lo scenario postapocalittico – benché l'azione non manchi – quanto piuttosto le relazioni fra i personaggi, le motivazioni che li spingono ad agire e la complessità umana, anche se, per il momento, appare tutto ancora in embrione e un po' da definire.
In realtà pure come postapocalittico di Kirkman questo fumetto è particolare, nel senso che l'apocalisse è per molti, ma non per tutti.
E a quei molti la faccenda non dispiace.
La faccenda, infatti, è partita con una “trasposizione”: una bella fetta della città di Philadelphia si è volatilizzata, per ricomparire in una realtà alternativa (Oblivion), infestata da creature minacciose.
Perchè? Per come? 
Lo scopriremo, ma intanto sono dieci anni che cerchiamo di riportare indietro i superstiti... Solo che loro, di norma, si sono adattati e non sono d'accordo. 
E' questo il nodo gordiano, l'elemento di vero interesse: la tensione drammatica e la dicotomia tra il voler recuperare i propri cari e i cari che non vogliono essere recuperati, vissuta su scale personale e sotto il profilo della collettività. 
Le trasposizioni e i mondi paralleli, per quanto non fra gli escamotage più sfruttati, non sono una novità. La reticenza dei sopravvissuti a ritornare alla normalità... forse. E comunque trattasi di un tema assai ricco, che può originare fior di intrecci e sottotrame. Più degli zombie.
Ma siamo solo all'inizio.
Insomma, le premesse sono promettenti, ma la vera scommessa è come si svilupperanno. Non vedo l'ora di scoprirlo...

mercoledì 21 marzo 2018

Orribile e kitsch

LA THAILANDIA SECONDO L’ANDROIDE


Evidentemente il Droide non è stato nello stesso paradisiaco Paese in cui si è trattenuto il Ragno. 
Ecco che cosa ha raccontato:
“La Thailandia è sudicia, maleodorante, si mangia male e gli abitanti sono pessimi lavandai. Mi hanno rovinato tutti i miei capi in cachemire, facendoli diventare arancioni. Sono gentili, ma perché vogliono i tuoi soldi. Non in modo illecito, ma comunque li vogliono, e allora che gentilezza è? Solo nei piccoli centri trovi effettivamente persone genuinamente cortesi e disinteressate. Per il resto le uniche cose decenti sono la frutta e le spiagge, che pure sono infestate di meduse. Alcune mortali, ma di norma, in tal caso, la loro presenza è segnalata. I granchi, a proposito, sono enormi e bellissimi, e se li spaventi si infilano sotto la sabbia. Se però avanzano in gruppo formano come dei piccoli squadroni e marciano all’unisono, tipo antichi romani. Le scimmie, invece, sono delle operatrici di rettilineo. Mi hanno dato quattro morsi e sono dovuto andare in ospedale a fare l’antirabbica. E’ successo così: un cucciolo ha cercato di portarmi via lo zaino che avevo sulle spalle. Era piccolo e insignificante e l’ho lasciato stare, tanto non ce l’avrebbe mai fatta. Solo che poi sono arrivati i genitori, gli zii e i cugini e mi hanno attaccato. A quel punto io avrei dovuto abbassare gli occhi, così siamo stati istruiti, ma io non l’ho fatto. Col cavolo che abbasso gli occhi, stupide scimmie! Allora mi hanno morso. E’ intervenuto un mio amico e hanno morso pure lui. Maledette scimmie. Non ho visto molte altre bestie… A parte un milione di pesci e i ratti a Bangkok. Sono giganteschi e non temono nulla. 
Ho visto un paio di templi carini, ma per lo più le architetture sono orribili e kitsch. In compenso ci sono molte attività sportive stimolanti: quella che ho preferito è lo zip-line nella giungla: ti attacchi ad una fune e scivoli tipo Tarzan. E’ molto divertente e ci sono diversi possibili percorsi. 
Il mezzo con cui conviene spostarsi è il motorino, i tassisti guidano malissimo e dubito abbiano la licenza. Se vai nella foresta, però, ti imbatti in un mucchio di cobra. Non sono aggressivi, ma tanti, poveretti, muoiono schiacciati sotto le ruote.  
Nelle città ci sono più o meno dieci tipologie di negozi, tra cui spopolano quelli per massaggi, ma più che altro si vende chincaglieria per turisti. Il cibo era abbastanza buono, ma bisogna stare attenti allo zucchero e alle salsine piccanti, se no le infilano ovunque. Ho assaggiato gli insetti, e devo dire che non solo male: hanno lo stesso sapore dei gamberetti. Le cavallette, però, sono fastidiose da mangiare per via delle zampette, mentre i vermi bianchi sono squisiti e le larve hanno un sapore disgustoso. Non ho assaggiato né scorpioni né scarafaggi, quelli mi facevano un po’ senso. Non tanto per loro in sé, quanto per le condizioni igieniche del venditore. 
Altro flagello sono le zanzare: se ti cospargi di crema dimenticando la punta delle orecchie, sta sicuro che si accaniscono tutte lì.”
Quando gli ho chiesto come ha fatto a perdere il cellulare in mare, mi ha detto che gli si è ribaltata la canoa. E’ stata davvero sfortuna, perché è stata l’unica volta in cui gli è capitato. E l’unica in cui la borsina impermeabile si è aperta. Amen.
Sarà forse stato punito per la sua carica negativa?

martedì 20 marzo 2018

Fantascienza nostalgica

L’UOMO ILLUSTRATO
di Ray Bradbury


Diciotto racconti immaginifici più la succinta cornice dedicata ad un personaggio già apparso ne “Il Popolo dell’Autunno”…Sempre che sia lo stesso identico Uomo Illustrato e non un suo epigono…
Proprio lui, peraltro, mi ha tratta in inganno: speravo, infatti, che i racconti fossero orientati sull’horror, invece prevale la fantascienza. Anzi, talvolta il libro sembra una prosecuzione di “Cronache Marziane” (e, invero, “Le sfere di fuoco” compare in entrambe le antologie).
Ad ogni modo, trattasi di racconti piuttosto belli, di quella fantascienza nostalgica e dolce, solo talvolta venata di crudeltà, tipica di Bradbury, in cui si approfondiscono il sentire umano e le sue conseguenze.
Tra tutti, io ho amato particolarmente “Il veldt”, “Marionette S.p.A.” (più vicine al mio genere di elezione, seppure un po’ prevedibili per i canoni odierni – ma ricordiamo che sono stati scritti rispettivamente nel 1950 e nel 1949) e il citazionistico “Gli esuli”, tra i cui protagonisti spiccano Edgar Allan Poe, Ambrose Bierce, Charles Dickens, Algernon Blackwood e altri  simpatici maestri, occasionali o meno, dell’immaginario del terrore, in cui si alterna anche qualche ammiccamento ironico. 
Da notare, infine, per pura curiosità, che, oltre che nello stesso “Gli Esuli”, pure ne “La betoniera” ricorre, seppur con declinazioni diverse, il tema della letteratura data alle fiamme di “Fahrenheit 451”. 
In ultimo non posso non citare il terrifico e sottile “Ora zero”, il racconto breve che ha liberamente ispirato la serie Tv “The Whispers” con Lily Rabe. 
In generale posso dire che i racconti sarebbero più efficaci con qualche descrizione in meno, ma che le descrizioni sono bellissime e rinunciarvi, tutto sommato, sarebbe un peccato.

lunedì 19 marzo 2018

Troppi spiegoni

HOLLOW CITY – IL SECONDO LIBRO DI MISS PEREGRINE
di Ransom Riggs


Sarebbe più esatto il secondo libro degli Speciali, visto che Miss Peregrine neppure c'è. Non esattamente. 
Diciamo che si è trasformata in uccello (com'è proprio delle Ymbryne), ma che non può, senza l'aiuto di un'altra Ymbryne, recuperare le sembianze umane. Col rischio, se non si spiccia, di rimanere per sempre in forma di falco e divenire un animale in tutto e per tutto, scordandosi della sua identità umana.
Riusciranno i nostri eroi a salvarla?
Come sovente capita nelle trilogie, questo secondo romanzo è di transizione. Necessario affinché l'azione prosegua, ma poco emozionante.
C'è qualche colpo di scena, qualche attimo di stupore e meraviglia, come pure qualche stratagemma felice, ma i difetti già evidenziati nel primo tomo (vedi post 27.7.2016) si accentuano: ritmo scarso. Originalità dubbia. Troppi spiegoni. Ma soprattutto la difficoltà di costruire una storia vincolandosi a fotografie d'epoca. Belle, okay, sebbene non evocative quanto quelle del volume precedente. Ma non basta. Per quanto, in linea di massima, la schiavitù alle immagini si avverta meno.
Di buono, in compenso, abbiamo che conosciamo un po' di più i personaggi, per quanto non siamo eccessivamente legati ad essi e le loro peripezie non ci tocchino poi così da vicino.
Tuttavia la voglia di sapere come finirà la vicenda c'è, per cui siamo decisi ad andare avanti (sebbene preferiremmo un secondo film di Tim Burton alla lettura di Ransom Riggs).
Inoltre l'edizione è bellissima. Non solo per le foto di cui sopra, ma anche per i caratteri, la grafica e le pagine “antichizzate”.
E verso il finale c'è pure una bella impennata, stilistica e narrativa.
A presto con l'ultimo volume!

venerdì 16 marzo 2018

Aronofsky è un dannato genio

MADRE!
di Darren Aronofsky
(2017)


Una bomba. 
Uno dei film, delle storie, più geniali di sempre. Una di quelle che ti travolgono, ti cambiano, ti disturbano e a cui non puoi smettere di pensare e ripensare. Che sono metaforiche, simboliche, archetipiche. Straordinariamente vere. 
Ma che chiedono di essere capite, comprese. 
Diversamente sono scioccanti, estetizzanti, dense, ma non possono essere colte nella loro interezza.
Il consiglio è di vederlo (non da soli, con una persona di fiducia. Da soli è intollerabile). Magari intuirete, magari no. Certo coglierete che c'è un'allegoria sotto e che le cose non sono semplicemente quelle che appaiono. Una storia c'è, dall'inizio alla fine, eppure ce n'è una seconda nascosta, incredibilmente più bella. A quella dovrete tendere. Perchè se non sarete in grado di decifrare la chiave di lettura (che è una, nella sua totalità e contezza), allora le cose non quadreranno del tutto e alcuni interrogativi resteranno sospesi.
Dovete impegnarvi, cercare la soluzione. Se la scoverete non avrete dubbi, perchè è esaustiva e tutto filerà liscio, divenendo (miracolosamente) quasi ovvio. Ogni dettaglio, ogni particolare. Dalla ferita sul pavimento all'esigenza di sigillare lo studio. Dagli ospiti molesti alle reazioni apparentemente incongrue del Poeta. Dai saccheggi all'omofagia. 
Sì, c'è tutta questa roba. E molto di più.
E se il film inizialmente pare lento, che si sospetti o meno il suo segreto si resterà inchiodati dalla visione, incapaci di distogliere lo sguardo, eppure bramosi di fuggire. 
Per la rabbia, la sofferenza, il fastidio.
Non fatelo. Resistete sino alla fine.
A quel punto un suggerimento verrà dato. 
Potrà non essere sufficiente. Potrà non convincerci, parerci approssimativo.
Ma solo se ne trarremo le conclusioni sbagliate.
Sforzatevi di più, in questo caso. Spremetevi le meningi.
Se ancora non basterà (a me non è bastato), che diamine, cercate online. 
Ci sono diversi siti che forniscono spiegazioni. Leggetele. 
Avutele, vi sentirete consumare dalla magniloquenza e dalla bellezza. 
E finalmente qualcosa sboccerà dentro di voi a livello intellettuale e non potrete astenervi dal gridare dentro di voi che Aronofsky è un dannato genio.

P.S.
Senza fare spoiler, qualche aiutino:
Non è per caso che tutti danno del tu al personaggio di Jennifer Lawrence.
Il crollo del lavandino è importante e, se siete fan di Aronofsky, l'avete già vissuto.
Ci sono due parti perfettamente distinte sotto il profilo narrativo. Rifletteteci.
Ponetevi questo quesito: perché il Poeta/Javier Bardem non brucia?
Avete capito?
Ora vorrete rivederlo dal principio.   

P.P.S.
Lo spacciano per un horror, ma è un film drammatico. Le simiglianze con gli horror, a parte qualche scena forte, si limitano all'impostazione.

P.P.P.S.
Il titolo, esatta traduzione dell'originale, è sviante, e quel punto esclamativo è superfluo.

giovedì 15 marzo 2018

Un padre sui generis

FUN HOME
di Alison Bechdel


Non posso fare a meno di osservare che negli ultimi anni tra le storie a fumetti più intense si annoverano spesso quelle autobiografiche, esperienziali, magari ricostruite con un po' di ironia... Fun Home non è la prima, ma senza dubbio è una delle più riuscite, più toccanti e più... umoristiche. Capace di fondere nostalgia, autoanalisi, dolore, ma anche di strappare qualche risata senza cedere alla stucchevolezza del melodramma. Anzi.
Il nucleo pulsante di questo libro è il rapporto padre-figlia. 
Un padre sui generis, però.
Che è morto precocemente in un incidente, ma che, più probabilmente, si è suicidato.
E che non era un padre qualunque, ma uno difficile, assente, peculiare. Che nessuno dei suoi figli ha pianto. 
La vicenda si dipana a poco a poco, tra passato e presente, punteggiata di riflessioni incastonate nelle vignette. Complicata dal fatto che nemmeno la Bechdel è una figlia comune. Esaminando in che modo lei è divenuta se stessa in relazione ai genitori, e al padre soprattutto. Sforzandosi di decifrare se stessa e loro, procedendo per episodi che potremmo definire olistici. Nel senso che poi vanno sommati, per creare l'affresco completo, ma così finiscono per diventare qualcosa di più.
E ci conquista questo stile fluido, sincero, lucido. Questa capacità di dire le cose come stanno, anche quelle brutte, senza svicolare. Ma anche senza acrimonia, senza livore, solo animati dalla volontà di capire, di spiegare. Ma senza parole inutili. Senza prenderle di petto, ma arrivandoci per gradi, piano piano, ma in modo esatto, acuto, preciso. Talvolta attraverso parallelismi biografico-letterari.
Ci sono vecchie ferite, cose difficili da accettare, cose che quando si sanno cambiano tutto, persino a ritroso. Che ci vengono dette senza preamboli, analizzando reazioni ed emozioni.
Non è una storia ordinaria, quella della Bechdel.
E non è nemmeno un modo ordinario di esporla.
Il risultato, inevitabilmente, è un capolavoro.

P.S.
Fun Home. Casa divertente.
Sì.
Ma anche l'abbreviazione di Funeral Home. In riferimento all'agenzia di Pompe Funebri della famiglia. Solo per dire.

mercoledì 14 marzo 2018

Un romanzo di transizione

ANNA DAI CAPELLI ROSSI
LA CASA DEI SALICI AL VENTO -
di Lucy M. Montgomery


Quarto volume. Anna senza Gilbert – ma ufficialmente fidanzata con lui – e lontana da Avonlea. Tre anni di narrazione. 
Un romanzo di transizione, direi, che non mi ha entusiasmata e in cui le avventure della nostra beniamina perdono smalto e mordente. Le scene cominciano a farsi ripetitive e non coinvolgono più, persino i ribaltamenti divengono ovvi, quasi abusati. A volte si ha l'impressione di rimanere impiastricciati in un mondo bigotto in cui la cosa più importante è accalappiare un marito.
Non è questo il messaggio di Anna, ma la faccenda dello zitellaggio e dei matrimoni è talmente reiterata che finisce per passare come messaggio subliminale.
Per il resto, i difetti sono principalmente tre: la leziosità mielosa di alcuni passaggi (bastaaaa!!!), la circostanza che Anna (Anne) sia diventata troppo perfetta e troppo sovente faccia da dea ex-machina (una volta sbaglia, diamogliene atto, ma assuge comunque troppe volte a eroina-di-un'impresa-inarrivabile per non stancare) e la circostanza che siamo lontani da Avonlea.     
Anna, infatti, lavora lontano dai suoi verdi abbaini e per quanto i nuovi personaggi che la circondano, e che impariamo in fretta a conoscere, siano simpatici e pittoreschi, non riusciamo ad affezionarci più del necessario, tanto più che paiono solo una variazione di quelli già noti. I quali, invece, trascuriamo, laddove ci piacerebbe sapere come proseguono le loro vite.
Indubbiamente c'è qualche brano carino (quello sulla “conversione” dei Pringle, sulle monellerie gemelli Gerald e Geraldine, o sulla “redenzione” di Kathrine), ma ce ne sono assai di più che paiono compiaciuti e vacui, ridondanti di parole e vuoti blabla in cui ci vengono proposti sempre gli stessi tipi umani e le medesime situazioni che si replicano...
Insomma, un volume di cui si potrebbe tranquillamente fare a meno.
Speriamo che il quinto sia meglio, ma ora come ora non impazzisco dalla voglia di cominciarlo.

martedì 13 marzo 2018

La simpatica follia di Martin Riggs

LETHAL WEAPON


Basata sul ciclo di film “Arma Letale” di Richard Donner con Mel Gibson e Danny Glover, questa è invece una serie tv.
Che non avevo la benché minima voglia di vedere, nonostante le insistenze di MPM, dato che io adoravo Mel Gibson e Danny Glover e “Arma Letale” di Richard Donner  figura da sempre tra i miei miti cinematografici, alimentato com'è da battute brillanti, scene d'azione e qualche intenso momento drammatico.
Eppure...
Eppure, dopo i primi episodi, si smette di rimpiangere l'assenza dei nostri vecchi eroi, dato che i nuovi protagonisti, Clayne Crawford/Martin Riggs e Damon Wayans/Roger Murtaugh, sono una forza della natura e ci regalano qualcosa di quasi equivalente.
Riscrivono alcune caratteristiche dei personaggi (Roger reso più giovane e prestante, Riggs baffuto), lasciando intatte quelle fondamentali e il background di entrambi i detective della omicidi di Los Angeles. E quindi abbiamo simpatica follia e spavalda ironia, specchio deformante dei tormenti interiori e della solitudine di Martin, che ha perso la moglie in un tragico incidente, e che trova una nuova famiglia in quella del partner lavorativo dalla paterna e bonaria saggia cautela, che presto si fa più ardita, influenzata dal compagno.
Trattandosi di una serie televisiva, oltretutto abbastanza lunghetta (18 episodi la prima stagione), ogni elemento viene meglio approfondito, diluito e indagato, permettendoci di voler sempre più bene a questa coppia eterogenea e, suo malgrado, fantasticamente assortita, che seguiremmo volentieri anche se, semplicemente, andasse a fare la spesa... In questo il telefilm si rivela davvero vincente e riuscito, tanto più che, al contrario, l'intreccio poliziesco non è eccezionale. Non è solo per via della prevedibilità e della banalità degli sviluppi, è che proprio non ci importa nulla di venirne a capo, a meno che (come ogni tanto accade) non coinvolga direttamente i nostri eroi o alcuni dei comprimari della serie. Al di là di ciò, non siamo abituati – o almeno io non la sono più – a episodi autoconclusivi e preferiremmo una trama articolata di più ampio respiro.
E tuttavia... andiamo avanti con piacere, pur di vedere che combinano insieme, tra piccoli contrasti e battutacce, Riggs e Murtaugh, grazie altresì alla circostanza che comunque le puntate hanno un ritmo abbastanza buono e procedono senza troppi indugi, mescolando dramma e leggerezza.

lunedì 12 marzo 2018

Una full immersion nell'horror

GUIDA ALLA LETTERATURA HORROR
di Gian Filippo Pizzo


Realizzata benissimo, pazienza se non condivido sempre i giudizi espressi (ad esempio, per i miei gusti, troppo generosi con John Saul e troppo poco con Max Brooks). 
Procede in ordine alfabetico, senza affliggerci con un percorso storico che risulterebbe prevedibile, ma non è una pedante enciclopedia o un dizionario didascalico. Si sofferma sugli autori che giudica più interessanti per lo sviluppo del genere dal 1700 ai giorni nostri (tra i quali, con mio piacere, annovera anche Neil Gaiman e Jonathan Carroll, oltre ai soliti Stephen King e Lovecraft), dedicando ad ognuno uno spazio significativo, che può arrivare fino a qualche pagina, e prestando attenzione anche agli altri linguaggi artistici, dal Cinema al Fumetto. 
Ogni scrittore viene inquadrato sotto l'aspetto stilistico e si cerca di catturarne il paradigma, proponendo poi, per ciascuno, una bibliografia essenziale. Se ritenuto utile, si offrono altresì elementi biografici e storici, spiegando, ad esempio, perché un autore è da considerarsi una pietra miliare, un innovativo o un semplice mestierante, oppure, quando è il caso, si approfondiscono su varie tematiche cardine (sottogeneri, mode o “monografie mostruose”), menzionando così anche quegli scrittori cui non è stata riservata una voce ad hoc.
La guida si può leggere in ordine, come a casaccio, ma anche limitarsi a consultarla, tenendola a portata di mano. Tuttavia suggerisco una full immersion: è scritta bene, in modo scorrevole, personale, è puntuale e ricca di aneddoti, inoltre ha il pregio di “organizzare” quelle che altrimenti rischierebbero di rimanere conoscenze sparse, prive di struttura. 
Certo, viene un po' il nervoso quando si scopre un'opera di cui ci viene rivelato quanto basta per farcela desiderare, e si scopre che, ahimè, ormai è fuori catalogo (si veda, ad esempio, “La Camera di Sangue” di Angela Carter)... Ma pazienza, vorrà dire che aggiungeremo il titolo alla lista infinita di quei volumi che vorremmo un giorno poter acquistare.
Prossimamente su questi schermi “Guida al Grottesco”.

venerdì 9 marzo 2018

L'agghiacciante Lega di Sant'Alessandro

IL LIBRO DELLA POLVERE – LA BELLE SAUVAGE
di Philip Pullman


Prequel della trilogia “Queste Oscure Materie”, per il momento non vi aggiunge molto, se pure non ci si possa esimere dal leggerlo per completezza e curiosità. 
Ci sono infatti discussioni interessanti e ricche di sottintesi (sui daimon, sulla polvere, sull'aletiometro), molti ritorni graditi (personaggi che è un piacere ritrovare, benché sotto una veste diversa – Lyra neonata, Lord Asriel padre commosso e affettuoso...), nuovi splendidi protagonisti cui affezionarsi e trovate di grande fascino – una per tutte, l'agghiacciante Lega di Sant'Alessandro, efficace quanto insidiosa, subdola e ricca di implicazioni negative. 
Nell'insieme un libro discreto, gradevole, ma lontano dalla genialità e dalla forza visionaria della trilogia precedente. Certo il protagonista, Malcom, è più simpatico di quanto non fosse Lyra ragazzina, e la scrittura, sempre di buon livello, coniuga, come ne “La Bussola D'Oro” etc., speculazioni filosoficoreligioso a fantasia avventura e originalità, che vanno oltre il mero intrattenimento, ma senza guastarlo, anzi aggiungendovi pepe e sostanza. 
Tuttavia, se la prima parte del volume scorre bene e cattura l'immaginazione (solleticandoci ancor di più con un personaggio come Bonneville, il cui daimon-iena-odiosa in apparente contrasto con lui non può che farci scivolare in elaborate supposizioni a cascata), la seconda è piuttosto piatta e persino svogliata e ripetitiva. L'idea di base è suggestiva, ma viene sviluppata senza colpi di scena e con poche emozioni, riducendosi ad una sequela di incontri/scontri, che però portano a poco. 
In effetti io taglierei duecento pagine buone, anche se, così facendo, si rinuncerebbe all'evoluzione del rapporto Alice/Malcom e all'approfondimento, in particolare, del carattere della fanciulla. 
Naturalmente, visto che la storia è destinata a continuare, è possibile che queste siano solo premesse necessarie e che nei capitoli successivi sorprese e stimoli aumentino e che, insomma, la trama abbia solo bisogno di ingranare.
Speriamo!

giovedì 8 marzo 2018

Un mondo in cui le donne sono vittime

AVERCELA RETTANGOLARE A MILANO NEL 1956


MPM ha una passione per gli anni 50 e ciò si traduce nel costringermi a sorbire ignobili prodotti televisivi .
Uno di questi è “Il Paradiso delle Signore”, la storia di una pionieristico grande magazzino di Milano, tipo Rinascente, regno di tresche, intrallazzi e cappelliere, e delle sue commesse (dette Veneri, non sempre munite di nome).
Come fiction non sarebbe neanche terribile, nonostante la disarmante prevedibilità degli intrecci: le ricostruzioni di costumi e mode sono notevoli e alcuni dei personaggi suscitano simpatia. 
Quel che è esasperante è la protagonista, Teresa. Carina è carina, niente da dire. Ma non più di tutte le altre. Eppure… sono giunta alla conclusione che ce l’abbia rettangolare. Nonostante, infatti, sia una grezzona arrogante, aggressiva e ignorante, a tratti fastidiosa, ogni maschio papabile che compare nella serie  cade stecchito ai suoi piedi. E non è che voglia semplicemente carpirne la virtù: basta uno sguardo – magari livoroso – della fanciulla e già si medita una proposta di matrimonio.
Si può aver giurato di non amare mai più dopo aver perduto tragicamente la moglie, si può essere un brillante tombeur de femmes o il viziato delinquentello figlio del Sindaco del Paese (non Milano: il Paese)… sia come sia non c’è scampo, ci si innamora all’istante di lei. Di Teresa, alias Rettangolare.
Naturalmente, però, nulla può essere semplice e bisogna soffrire. Ci caliamo, dunque, in un bel supplizio melodrammatico e stucchevole che punta al patetismo, e vai di complicazioni giudiziarie e familiari, di dubbi scemi e di segreti oscuri (non molto interessanti) in un mondo in cui le donne sono vittime e gli uomini cattivi. Infatti mentono, manipolano, ingannano… L’unico dotato di una parvenza di senso dell’onore è il mafiosetto locale, se si eccettua il povero magazziniere Quinto, eternamente vinto, peggio che un Malavoglia. Uno dei tormentoni della serie, a proposito, è: “Ti sei concessa?”, “Guarda che sei rovinata…”, possibilmente sibilato.
La cosa più scioccante è che tutto ‘sto polpettone è tratto (molto liberamente) da un romanzo di Émile Zola. Sul serio. L’undicesimo del ciclo dei Rougon-Macquart, edito nel 1883. Il Paradiso delle Signore, appunto.
Sfrondato, però, della componente verista e caricato dei colpi di scena tipici del feuilleton.
In realtà, se non ci fosse Teresa sarebbe quasi apprezzabile. Così però rischia sovente l’umorismo involontario (lo sfincione docet).
Per fortuna.
Se no non mi divertirei così tanto a guardarlo.

P.S.
Se fossi lo sceneggiatore, aggiungerei un cagnolino tra i personaggi fissi e lo chiamerei Émile Zola. ;)

mercoledì 7 marzo 2018

I dipinti animati

LOVING VINCENT
di Dorota Kobiela e Hugh Welchman
(2016)


Non disegni, ma dipinti animati. 
Quelli di Van Gogh, riprodotti alla perfezione, e resi dinamici, brulicanti, vivi, con  suoi colori violenti e dolorosi che si aggrovigliano in vortici di meraviglia. Basterebbe questo per restare incantati, vedere il sig. Roulin muoversi e parlare, scoprire la notte stellata, assistere ai vari autoritratti fattisi carne avvicendarsi e dar corpo ad una storia. Si rimane abbagliati, avvinti, e si diviene tutt'occhi, per cercare di non perdere nulla, cercando di cogliere i riferimenti biografici e artistici, storici e pittorici, nella convinzione che comunque di Van Gogh si è già letto molto e si sa quasi tutto.  
Ma anche la trama è originale e presto ci si dimentica di essere in un lungometraggio e si diviene tutt'uno con l'intreccio, e con Vincent stesso. Ci si scorda di quello che si era convinti di sapere, e si diviene disponibili a rimettere tutto in discussione, aspettandoci dei risvolti nuovi, una nuova scoperta. 
In principio, infatti, pensiamo di essere in una sorta di documentario animato. Che inizia alla rovescia, magari, dalla morte del pittore, ma che, di fatto, raccoglie testimonianze e fornisce informazioni. Presto ci rendiamo conto che la struttura è invece quella del thriller e come tutti i thriller ruota attorno ad un delitto, ad un mistero. E se Van Gogh non si fosse suicidato? E se fosse stato ucciso? Era sereno negli ultimi giorni di vita e si è sparato allo stomaco. Chi si sparerebbe mai allo stomaco? La logica vorrebbe che l'arma si puntasse alla tempia o si mettesse in bocca...
Ascoltiamo, rapiti. Elucubriamo. Elaboriamo congetture, sposiamo quelle di altri.
E veniamo colpiti dal terzo punto di forza del film: il protagonista. Sentiamo il suo dolore, la sua sofferenza, ma anche il suo genio. Sentiamo lui, pur consci di non poter davvero raggiungere le profondità immense della sua anima. E alla fine comprendiamo. Comprendiamo il mistero e la morte, i motivi che l'hanno determinata.
Loving, Vincent.
Persino il titolo è perfetto.

martedì 6 marzo 2018

Brioso, effervescente e disinvolto

IO PRIMA DI TE
di Jojo Moyes


Intanto richiamo quello che avevo già detto nel post del 14 dicembre 2017 relativo al film: la trama e i personaggi sono pressoché identici, quindi è inutile che ripeta gli stessi concetti. Louisa Clark e Will Traynor hanno la medesima verve sulla carta che sullo schermo, la storia coincide e riserva le già esaminate sensazioni agrodolci, le tematiche di scottante attualità che ci divideranno e l'happy end sui generis di cui si è già parlato.
Eppure qualche differenza rispetto alla pellicola c'è, ed è ovvia, ma mi piace sottolinearla:
Leggendo il romanzo ci si addentra di più nella vicenda, si conoscono meglio i personaggi, i retroscena, si decifrano di più i caratteri e si facilita l'immedesimazione. E, naturalmente, si può assoggettare il tempo del racconto al proprio stato d'animo. 
Tuttavia il film è così vicino a questa narrazione che pare impossibile – se, come me, al romanzo si è arrivati dopo – immaginare i protagonisti come diversi dagli attori che li hanno interpretati. Più spazio, invece, si ha per i comprimari: Trina, ad esempio, la sorella di Louisa. Qui è meglio delineata, i rapporti familiari mi sembrano più vividi e conflittuali, e, alla fine, dell'attrice ho solo un ricordo vago, che tende a sparire, spazzato via dall'immagine mentale che ho di lei. Patrick, invece, l'odioso fidanzato di Lou... be', lui è identico. 
Nel libro, il punto di vista è quasi sempre quello di Louisa, ma, una volta ciascuno, si affacciano i genitori di Will, la madre e la sorella di Lou, e poi Nathan, il fisioterapista.
Lo stile è brioso, effervescente, disinvolto. Non mi ha presa subito, ma in capo a qualche pagina. Ad ogni modo è piacevole e non sembra improntato alla mera funzionalità. Di tanto in tanto regala qualcosa.
Più interessante ancora: il volume ha due seguiti. “Dopo di te” e “Sono sempre io”, quest'ultimo comparso da poco in libreria.
Se devo dirla sinceramente gli altri titoli di quest'autrice mi fanno pericolosamente pensare a triti romanzi rosa... Ma Louisa mi piace talmente come personaggio che ho già comprato “Dopo di te”.  
Vi saprò dire.

lunedì 5 marzo 2018

Un mondo arcobaleno

CRAWL SPACE
di Jesse Jacobs


A me costui piace.
Jesse Jacobs.
Solletica la mia anima lisergica senza bisogno di uccidermi i neuroni.
Già “Safari Honeymoon” e “E così conoscerai l’universo e gli dei” mi erano piaciuti. “Crawl Space”, se possibile, è ancora più pazzesco, benché abbia una minor potenza cosmica.
Forse proprio perché è più semplice, più lineare, benché resti un’opera pluristratificata e ricca di significati nascosti e parallelismi, sottintesi antropologici e filosofici, dubbi esistenziali e tematiche affascinanti.
Racconta la storia di una ragazzina che scopre un altro mondo nella sua lavatrice. Un mondo oltre a quello fisico in cui lei perde se stessa, sovrastrutture e ricordi, un mondo che è magia, bizzarria, gioco, ma ancora di più spiritualità adimensionale  densa di sensazioni espanse, fatte di colori e alterazioni. Che a volte continuano anche fuori, permeandoti corpo e pensieri. Divenendo tutt’uno con essi.
Un mondo arcobaleno, fantasmagorico, ingenuo, che, ad un certo punto, volente o nolente, Daisy, la ragazzina, condivide con i compagni di scuola.
Troppi e non tutti rispettosi e buoni.
Le conseguenze saranno molte, fuori e dentro la lavatrice. Ci permetteranno di scoprire di più sulla dimensione che abbiamo varcato, di sperimentare, di capire, ma anche di mettere in discussione noi stessi e l’umanità in generale, che, ahimè, ancora una volta si conferma bruta, egoista e predatoria.
Molto efficaci i disegni, specie nella rappresentazione delle transizioni e nel confronto tra la nostra realtà in bianco e nero e tre dimensioni e quella oltre l’oblò della lavatrice, in perenne divenire cromatico e con arcobaleni che si intrecciano a delicati equilibri morbidosi.
Un volume unico, dolce e crudele, che è un incredibile portale per fantasie e riflessioni. 
Psichedelico.
Ma anche profondo e illuminante.

venerdì 2 marzo 2018

Una ridda di personaggi bislacchi

30 ROCK


La sitcom di e con Tina Fey, incentrata sul backstage di uno show televisivo umoristico (i cui studi, quelli della NBC, si trovano al numero 30 di Rockfeller Plaza, New York) e conclusasi alla settima stagione, che da qualche tempo sto riguardando con MPM. 
Con parole diverse: tutte le declinazioni della comicità.
Di quella verbale, che fa leva sulla battuta o sull'espediente linguistico, e di quella che si basa sulle situazioni. Di quella imperniata sui personaggi e di quella sofisticata, sottile, che sfrutta riferimenti culturali, sociali o politici. Ogni tanto di quella rozza, triviale, ma pure di quella surreale, che sfiora l'assurdo...
Di norma i programmi comici mi provocano il sorriso, ma non la risata. 
30 Rock, invece, mi fa ridere, mi fa ridere sul serio. Non sempre, ma abbastanza spesso e a crepapelle.
E già questo basterebbe.
In più c'è il cast: una ridda di personaggi bislacchi e sopra le righe, un trionfo di fisime, idiosincrasie e persino disturbi borderline. Funzionano da soli, o in coppia o a gruppi... Sono ironici e autoironici, citazionistici (con una predilezione per Star Wars) e imprevedibili. Almeno fino a che non si impara a conoscerli.
Tra questi, spiccano, oltre a Tina Fey/Liz Lemon (forse l'unica autrice/produttrice di serie tv che non ne approfitta per far cadere tutti i maschi ai suoi piedi, ma si diverte soprattutto a scherzare su se stessa – benché tra le sue sporadiche conquiste si annoverino sia James Franco che Matt Damon...), il folle Tracy Morgan/Tracy Jordan e uno spettacolare Alec Baldwin/Jack Donaghy, particolarmente a proprio agio in un ruolo comico – assai più che nei panni del fighetto di turno (anni 80 e 90) o del cattivo (nuovo millennio), trasformandosi da inutile belloccio senza sugo a stilosa cicciobomba sexy! 
Americano sin nel midollo, 30 Rock vanta guest star d'eccezione (da Salma Hayeck a Robert De Niro)  e fa apparire il mondo più leggero, ma senza negare la sua bruttezza o i suoi lati negativi, che trapelano di continuo tra uno sketch e una freddura.
Strepitoso.

giovedì 1 marzo 2018

Un mosaico tremebondo

 LE VITE SEGRETE DI TWIN PEAKS
di Mark Frost


Non ho ancora letto “Twin Peaks - il Dossier Finale”, ma solo perché il mio libraio di fiducia non me lo ha ancora procurato (tirata d'orecchie, se mi sta leggendo). In compenso, nell'attesa, recensisco questo, anche se l'ho letto diversi mesi fa.
Ad essere sincera, in un primo momento l'avevo snobbato, ingannata dalla veste grafica: credevo fosse un mero prodotto commerciale. Tuttavia, in seguito al commento positivo di una persona di fiducia, i cui gusti spesso condivido, mi sono imposta di recuperarlo.
Ringrazio, dunque, L. P. e mi dichiaro soddisfatta: questo romanzo travestito da  dossier dell'F.B.I., condito di note e di precisazioni, è una vera chicca. 
Certamente è ben assemblato, con ricostruzioni, foto, lettere, articoli di giornale, e via dicendo, ma è proprio il testo a risultare interessante e a rivelare molti retroscena, in merito a fatti, ma anche a personaggi, delle passate stagioni di T.P. (inclusa la terza), di cui, in parte, offre un completamento, nonché la chiave per comprendere alcune questioni. 
Scopriamo quindi tante, tante cose che nella serie non sono state raccontate, benché fossero forse già sottintese. Scopriamo com'è nata la segheria, le origini di Josie Packard, il segreto della Signora Ceppo... Ma anche un mucchio di “tracce” ante-Twin Peaks relative ai misteri legati alla Loggia Nera, agli Ufo, alla Magia. Tra l'altro spesso strettamente connesse alla storia americana (tra gli altri, compare Aleister Crowley, l'esoterista, che conferisce nuove risonanze alla frase “Il Mago desidera vedere”. Risonanze che fanno venire le vertigini).  
Un libro curioso, apparentemente innocuo, ma prezioso, formato da tasselli, che, accostati, creano un mosaico tremebondo. Non ci sono, infatti, vere e proprie spiegazioni, quanto piuttosto un bel mix di indizi, miscelati ad altre cose, che fanno colore o contorno. Ma che complessivamente offrono spunti stimolanti e soluzioni.
Lo consiglio solo ai fan, però. Trovo difficile che un profano possa riuscire ad orientarcisi... lo troverebbe eccessivamente ermetico.