Se ti è piaciuto il mio blog


web

mercoledì 31 agosto 2016

Un conflitto doloroso

PRIMO SANGUE - RAMBO
di David Morrell


Splendido!
Davvero, è stata una sorpresa, tanto più che le similitudini con il film sono relative e non toccano il cuore dell'opera... La fine, intanto, è completamente diversa, assai più drammatica, ma anche gli stessi personaggi principali, Rambo (con tutto che preferisco chiamarlo “il ragazzo”, perché immensamente più tenero), lo sceriffo Teasle, e la loro evoluzione.
Se il primo non è eroico e innocente come nella pellicola, per quanto resti una favolosa macchina da guerra, il secondo non è poi così cattivo. Anzi, non lo è per niente e la bellezza del libro sta proprio in questo: nella circostanza che comprendiamo le motivazioni di entrambi, quasi speculari fra loro, e che in fin dei conti li giustifichiamo tutti e due, ammirandoli e provando pena per loro. Anche se forse – contrariamente che nel film – quasi parteggio per Teasle che per il vero protagonista, di cui scuso il disagio e la rabbia, ma solo fino a che non va a colpire degli innocenti...
Non che mi dispiaccia la sua assenza di etica: è perfettamente coerente, e comunque non risulta fastidiosa, quanto piuttosto necessaria. Il punto, però, è che Teasle, che nel film mi era antipatico e che ricordo come un uomo gretto e spregevole, è ricco di umanità, contraddizioni e problematiche, le quali non restano in superficie, ma vengono approfondite almeno quanto le criticità di Rambo.
Niente accenti manichei, dunque, ma un conflitto doloroso tra due prospettive differenti, ma sostenibili.
Lo stile dell'autore, poi, è perfetto: fluido, asciutto, preciso, ma anche “morbido”, nel senso che accompagna il lettore con dolcezza, creando atmosfera e poesia, come in un canto antico, mentre procede con soggettive alternate, dando spazio in egual misura a Rambo e a Teasle.

Insomma, un romanzo assolutamente da leggere, sia per i fan della pellicola con Stallone, sia per quelli a cui il film non ha detto granché.

lunedì 29 agosto 2016

Dorato, femminile, patinato

IL BRACCIALETTO DELLA FELICITA’
di Melissa Hill


Questo è un libro che mi ha regalato una persona che non conosco e che non ho mai visto in vita mia. Trovo il pensiero straordinariamente curioso e il gesto dolce e commovente, tanto che ho dovuto subito ricambiare con l’ultimo (per scoprire successivamente che è il primo, e che anzi sono due distinti) doppio romanzo di Murakami, Vento & Flipper, (se tu mi dai un pezzetto di te, io ti do un pezzetto di me!), quindi, a prescindere, lo considererò sempre uno dei miei volumi più preziosi.
A parte ciò…
Quando, a pagina dodici, la protagonista dice: “Una ragazza a cui non piacciano le borse deve ancora nascere, tesoro.”, ho capito che il libro non faceva per me.
Ed in effetti mi sembrava tutto troppo glamour, troppo dorato, femminile, patinato, frivolo ed eccessivamente ben confezionato per poter destare il mio interesse...
Anche se, devo ammetterlo, le descrizioni (magari un po’ tantine, per i miei gusti) possiedono un bel frasario, che non è solo funzionale, ma accurato, preciso, forte di un tripudio di aggettivi che rifuggono la ripetizione, ma riescono sempre a dare contezza di ciò che rappresentano.
Inoltre, sebbene, sì, siamo nel mezzo di un romanzo di intrattenimento, luccicoso e pseudo-romantico, la storia d’amore non comincia mai, e, per giunta, non sono tutte rose e fiori: si toccano tematiche quali il lutto e la caduta delle Torri Gemelle, l’adozione e la mancanza di una figura paterna di riferimento… Va bene, tutto resta più o meno sullo sfondo, con leggerezza, ma non esattamente con superficialità, perché spesso l’angoscia e lo smarrimento sono palpabili e inquietano.
E comunque la verità è che ci sono momenti in cui un romanzo così – fresco, poco impegnativo, scorrevole e fluido – ci può volere. Nonostante i flashback, l’ho trovato (unico vero neo) dannatamente lineare, ma non piatto. E comunque il colpo di scena finale mi ha sorpresa…
Carina anche la circostanza che, per una volta, la vicenda non ruoti attorno ad abiti alla moda, ma ad intramontabili classici vintage con una storia (benché l’idea di indossarli proprio non mi accarezzi)…
A parte ciò… l’opera avrebbe potuto essere assai più frizzante e godibile con una spruzzata di umorismo, ma pazienza.

Nel complesso è piacevole e delicata.

sabato 27 agosto 2016

Germogli di autentica bellezza

IL RACCONTO DEI RACCONTI
di Matteo Garrone
(2015)


Non sono sicura che il film mi sia piaciuto, ma senza dubbio l'ho trovato interessante.
Ha molti pregi: l'atmosfera che ti seduce da subito avviluppandoti in un mondo fatato, fortemente simbolico, ma non esente dal male e dalla crudeltà, che sovente sorprende e che di certo caratterizza l'opera imprimendole una sua originale personalità; la morale di fondo, che denuncia l'amore quando si distorce divenendo ossessione, e che di norma proprio amore non è; la fotografia curata, l'attenzione cromatica, la potenza delle immagini; le inclinazioni splatter e spietate che danno colore alla trama, con variazioni grottesche e carnacialesche, che tuttavia si mantengono in armonia tra loro, senza esagerare; le tre storie che si intrecciano, scambiandosi corrispondenze e significati, diversi particolari succulenti e il cast... Il tema stesso, la fiaba, mi è congeniale, e in particolare la circostanza che si tratti di un adattamento de “Lo cunto de li cunti” di Giambattista Basile, che non ho letto per intero, ma che avevo studiato con gioia al Liceo.
I difetti, invece, si riducono a uno: la prolissità. Il film è troppo lungo, ma soprattutto è il ritmo che in molti punti finisce per stagnare... E che talvolta mi ha indotta, se non a sonnecchiare, a ridurre l'attenzione. Ci si perde, infatti, e se non si arriva a confondersi è solo perché fondamentalmente i passaggi sono semplici, per quanto non sempre prevedibili e mai banali.
A differenza del MPM, ad ogni modo, non ne ho patito la visione, ma se in principio ero carica di meraviglia, entusiasta e con l'acquolina in bocca, presto il mio sentimento si è ridimensionato, e sono arrivata a giudicare la pellicola come complessivamente buona, ma non eccezionale, e ciò a dispetto degli svariati elementi di eccezionalità.

Me ne rammarico perché ci sono diversi germogli di autentica bellezza, che tuttavia, affiancati nella composizione generale, vengono inglobati dalle ambizioni dell'opera, che sì, è grandiosa, ma sarebbe risultata più incisiva rinunciando a qualche descrizione.

giovedì 25 agosto 2016

Lansdale è Lansdale

ACQUA BUIA
di Joe R. Lansdale


Romanzo apprezzabile, che può entusiasmare se non si è mai letto nulla di Lansdale, ma che sembrerà una simpatica ripetizione di schemi già visti laddove con l'autore si ha invece maggior confidenza.
Trattasi infatti del suo filone “giovanilistico”, che per molti versi (protagonisti e tematiche) mi ha ricordato “La sottile linea scura”, ma che, tuttavia, non eguaglia il volume precedente, forse per il solo fatto che arrivi dopo... oppure, come credo, perché ne “La sottile linea scura” c'è un elemento struggente e nostalgico che impreziosisce le atmosfere e che qui risulta meno accentuato.
Naturalmente, però, Lansdale è Lansdale e ci si appassiona, comunque. La trama incuriosisce, lo stile è gustoso e veloce, il ritmo è ottimo, solo che, hey, sa davvero troppo di già sperimentato.
Anche in “Acqua buia”, infatti, abbiamo un omicidio di cui individuare il colpevole, una visione disincantata e al contempo innocente del mondo, splatter, toni crudi, ma non scevri di ironia e divertimento, e diversi misteri da risolvere, che spesso affondano le radici nel passato, nonché qualche suggestione horror...
Gli stessi personaggi (di per sé indovinati e molto carini) ci fanno pensare a soggetti già incontrati e proprio per questo, per quanto ci piacciano, non ci rimarranno più di tanto impressi, finendo col confondersi con altri.
Certo, delle peculiarità ci sono, ma suonano marginali, di maniera.
Perciò credo che mi prenderò una pausa da Lansdale e tornerò tra un po'.

Forse. 

martedì 23 agosto 2016

Quando scatta il CLIC

OSSESSIONE
di Stephen King


Uno dei suoi romanzi meno conosciuti, uno dei primi, pubblicato con lo pseudonimo di Richard Bachman, successivamente ritirato dal mercato per evitare scriteriate emulazioni.
Se non uno dei più belli (non mi sbilancio solo perché è passato troppo tempo da quando l'ho letto), per quanto mi riguarda, uno dei più interessanti, proprio per via dell'argomento.
Charlie Decker, un liceale, apparentemente come tutti gli altri, va a scuola, uccide il suo professore di matematica e tiene in ostaggio la sua classe costringendola ad una sorta di liberatoria terapia di gruppo, con al centro la sua vita, a base di flashback e rivelazioni, fatte di normali solitudini e di incomprensioni familiari. E mentre le forze dell'ordine si assiepano all'esterno gli studenti si sfogano, esternando a loro volta le loro problematiche, che di norma se ne stanno ben nascoste nell'oscurità, proprio in quanto normali e, in un qualche modo, alimentano quella che è la finzione generale, ossia la vita.
Okay, lo ammetto, la faccenda del disagio giovanile e di quel “clic” che, quando scatta, a prescindere dall'età, ti porta a sbroccare mi affascina.
Tuttavia non si tratta solo di questo, ma altresì dell'approfondimento psicologico e sociologico che di norma connota il miglior King, il quale, quando si affranca dalle etichette che gli sono state imposte, rende al meglio, e va davvero in profondità. Inoltre, in questo caso, riuscendo addirittura ad emanciparsi dalle sue inclinazioni all'autocompiaciuto virtuosismo in favore di uno stile più sobrio ed essenziale, risulta pure più efficace.
E' vero che ho letto questo romanzo quando ero alle Medie, che è passato un mucchio di tempo e che forse è anche per via dell'età che ne ero stata tanto attratta, ma è uno di quei pochi libri che intendo, prima o poi, rileggere.
Nonostante l'amarezza dei sogni infranti e il canto dolente della precarietà degli equilibri della condizione umana, infatti, l'avevo trovato catartico, intenso e scioccante, e pur faticando ad immedesimarmi (mea culpa: non mi sono mai sentita molto normale. Mi sono sempre considerata solo io, con le mie regole e la mia direzione, avulsa dal mondo, quindi sta faccenda della patina di finzione mi era suonata un po' estranea) mi era sembrato onesto e rivelatorio.
Ma se scrivo questo post non è tanto per farne una recensione, quanto perché trovo assurdo, ipocrita e vigliacco che si possa imputare ad un romanzo quel famigerato clic che induce uno studente ad una strage.
Se uno compie un massacro non è certo perché ha letto King, ma perché ha altri problemi, ben più radicati, che di norma si celano in seno alla famiglia o nei meandri della sua psiche.

Io la mia copia ce l'ho, ma sarebbe giusto rimettere il volume a catalogo. Tanto se un deviato lo vuole leggere per rafforzare le sue determinazioni folli, un modo lo trova comunque. E così non si precluderebbe agli altri, che magari avrebbero bisogno di leggerlo proprio per elaborare le proprie angosce, o semplicemente necessitano di soddisfare una curiosità intellettuale, la possibilità di conoscerlo e discuterne in modo produttivo.

domenica 21 agosto 2016

Una piccola imperfetta delizia

LA PRINCIPESSA SPAVENTAPASSERI
di Federico Rossi Edrighi


La storia inizia con questa fanciulla, Morrigan Moore, e la sua stramba famiglia (madre e fratello scrittori in cerca di materiale per il loro nuovo libro), che si trasferiscono in un ameno paesino inglese, afflitto, secondo la leggenda, dal malvagio Re dei Corvi, che periodicamente si diverte a compiere razzie. Il solo a poterlo sconfiggere è il Principe Spaventapasseri. Non che a Morrigan importi, lei vuole solo stringere nuove amicizie e attirare l'attenzione dei suoi, da cui si sente trascurata, almeno finché non torna a casa e scopre che sono scomparsi e che il Re dei Corvi non è semplice leggenda...
Originale fumetto fantasy per ragazzi ed al contempo peculiare romanzo di formazione, alimentato da spunti suggestivi, immaginativi e inquietanti, che trova il suo punto di forza nel ritmo non lineare e nei dialoghi brillanti, sebbene in qualche punto un po' inflazionati (troppe frasi prevedibili e già sentite altrove).
Nel complesso una piccola imperfetta delizia, che si fa notare per i disegni sbarazzini, simpatici e accurati, seppur piacevolmente stilizzati ed angolosi (in cui, in particolare, i capelli della protagonista sono ipnotici e godono di vita indipendente), ma che si ferma nel cuore dei lettori per la sostanza, la freschezza e per la capacità di seguire percorsi propri. Specialmente quelli tipicamente adolescenziali, fatti di grandi cose straordinarie (e in particolare il confronto con il Re dei Corvi – di cui peraltro Morrigan accusa il fascino e che ne rispecchia l'interiorità – le proprie paure e insicurezze e l'antinomia Bene/Male) e di cose piccole che compongono il tessuto della quotidianità, come le amicizie in boccio e i primi approcci romantici... Le prime metafora delle seconde.

Graziosissime anche l'ambientazione e quell'atmosfera incantata che permea i luoghi, ma che è soprattutto legata all'innocenza della protagonista e al suo modo incontaminato di guardare il mondo e affrontare le avversità, con conflittualità, ma pure coraggio e determinazione.

venerdì 19 agosto 2016

Una delizia da vedere in famiglia

MAVERICK
di Richard Donner
(1994)


Questo film è spasso puro: un fioccare di colpi di scena e un mare di divertimento, con situazioni semi drammatiche, ma sempre uno sbaffo sopra le righe, spumeggiante, scanzonato, appassionante, ricco di tensione, seppur spesso stemperata da una battuta ironica.
La trama ruota attorno ad una partita a poker, quella della vita, per così dire, e alla necessità di raggranellare i soldi per i scriversi al torneo in cui verrà giocata...
La pellicola è travestita da western, ma è in realtà molto di più, fondendo azione e commedia, alimentata com’è da tocchi surreali e strizzate d’occhio, e, sopra ogni altra cosa, da personaggi strepitosi, che insieme fanno faville.
Da chi cominciare?
C’è Maverick/Mel Gibson, all’apice del suo fascino e della sua simpatia. Sornione, tenero, sfortunato, eroico e pavido, imbroglione, ma di buon cuore… ma in realtà un passo avanti a noi, anche quando temiamo di no.
C’è Annabelle Bransford./Jodie Foster e… chi l’ha mai vista tanto irresistibile? Una gattina furiosa, che sprizza femminilità e simpatia, persino quando ci dà sui nervi, ma ha le unghie più affilate di quanto non sembri e sempre un asso nascosto nella manica…
C’è lo sceriffo Cooper/James Garner che sul momento non mi ha elettrizzata, ma poi ci scioccherà…
E poi un sacco di spettacolari comprimari! Non tanto il cattivone, quanto, ad esempio, il Commodoro (James Coburn) o Angel lo spagnolo (Alfred Molina)…
Il segreto per sopravvivere qui dentro?
Non fidarsi di nessuno!
Una delizia da vedere in famiglia, anche se il film è forse un po’ troppo lunghetto, e qualche taglio, specie nella parte iniziale, ci sarebbe stato bene...

Curiosità:
C’è una scena con un cameo piuttosto gustoso, in aria di ammiccamento. Ad un certo punto, infatti, avviene una rapina e uno dei malviventi viene interpretato da Danny Glover, che nella serie di “Arma Letale” (sempre di Richard Donner) era l’inseparabile collega/amico del protagonista, Martin Riggs/Mel Gibson… Ebbene, in “Maverick” i due… si “riconoscono”! Per tacere del fatto che il rapinatore/Danny Glover in fuga ripete la stessa frase tormentone che caratterizzava il suo personaggio in “Arma Letale”…

P.S.
L’altro rapinatore è Corey Feldman…

mercoledì 17 agosto 2016

Una dimensione trascendente

NIENTE E COSI' SIA
di Oriana Fallaci


Non è il suo primo libro che leggo, ma il primo, “Lettera ad un bambino mai nato”, risale a cento anni fa e non era stato seguito da altri.
Mi era piaciuto, più per contenuti che per stile, ma non entusiasmato (probabilmente ero troppo giovane e acerba per apprezzare).
Ecco perché “Niente e così sia” è stato una folgorazione.
Trattasi di un reportage sulla Guerra nel Vietnam, ma, pur non essendo romanzato, ha un grande spessore narrativo per via di digressioni, riflessioni e parentesi.
Si potrebbe crederlo ruotare attorno ad un argomento ormai datato, ma la verità è che il Vietnam è pura occasione.
Le vere questioni qui dibattute sono la vita, la morte, il loro significare, la guerra e il mistero intrinseco dell'uomo. E sono dotate di una tale universalità da rendere quest'opera intramontabile.
I nostri sentimenti oscillano: c'è l'orrore, lo smembramento di corpi, sentimenti e famiglie, la sofferenza, ma ci sono anche gli ideali e la struggente umanità. Poi gli ideali crollano e ci restano interessi economici e giochi di potere. Lo sdegno e la rabbia e la frustrazione. E tuttavia ci rimane la forza di commuoverci per le imprese dei singoli, che talvolta quasi non hanno nome e sono pregne di poesia e di bellezza. E infine comprendiamo che persino coloro che ci appaiono come vacui meccanismi dell'ingranaggio non hanno una dimensione barbara e univoca, e in fin dei conti non ci sentiamo di giudicare più nessuno.
Quello che ci viene regalato è dunque un percorso di crescita interiore, che però ustiona la pelle. Quella di una persona intelligente e sensibile, ma anche fortemente sentente, che ci colpisce per tensione intellettuale ed emotiva e che, per sua stessa indomita natura, non può accontentarsi di risposte facili.
E così ci travolge, per forza espressiva ed enegia, per incisività e dolore, poiché non solo ci narra, ma si inserisce nei fatti, li forgia e ne diviene parte, motore, facendosi carico di ogni gravame su di sé.

Un'esperienza che ci arricchisce immensamente e che ci eleva al di sopra di noi stessi imponendoci una dimensione trascendente.

lunedì 15 agosto 2016

I raccontini che incombono

RIDUZIONE ANNUALE


Come sempre, infatti, in questo periodo (15 agosto – 15 settembre) i miei post si quasi-dimezzeranno poiché sarò alle prese con il mio librino annuale...
Non un romanzillo, purtroppo, ma una seconda raccolta di raccontini malati.
Mi piace scriverli, beninteso, ma un'opera di più ampio respiro ti concede una dimensione diversa e ti regala un'altra vita in cui essere dio e tutte le creature... I raccontini, invece, sono semplicemente divertenti e di norma occupano uno spazio più cerebrale. Insomma, preferisco il romanzillo.
Il punto, però, è che i raccontini richiedono poco impegno e contando che quest'anno ho due settimane di ferie in meno e sono assai scarsamente concentrata tanto vale che mi butti su qualcosa di più abbordabile, che comunque mi aggrada e che avevo in cantiere da un po'.
Dubito che riuscirò a terminare l'ambaradam entro settembre, ma è pur vero che un raccontino a week-end è gestibilissimo anche durante l'anno, sia pure sommato ai post settimanali, pertanto ho fino a maggio 2017 per continuare!
Ad ogni modo, riepilogando, fino al 15 p.v. avremo un post nuovo un giorno sì e uno no, inclusi sabato e domenica.
Ovviamente a meno che MPM non decida di colmare lui i giorni saltati con qualche articoletto a sorpresa (ci sono anche altri umani cui ho proposto ospitalità sul blog, ma alla fin fine sono tutti pigri e/o timidelli. MPM quanto meno è solo pigro, indi tanto vale confidare in lui).

Baci e buone vacanze a tutti!!!

venerdì 12 agosto 2016

Le Olimpiadi che vorrei

Buongiorno, non sono la Otta, anche se dalla voce magari non lo direste (la sto imitando, cambiate sistema operativo se non ci credete!). Sono qui in veste di tuttologo sportivo, per battere i cerchi finché sono caldi. Eh, già, perché, ogni quattro anni mi ritrovo a pensare a quello che potrebbe essere stato ed invece non è. Anche questa volta ho deciso quindi di dare i miei personali suggerimenti per migliorare la prossima edizione delle... Olimpiadi!
Ecco perciò la lista, frutto di certosina meditazione, dei quattro sport che sono mancati a Rio 2016...


1) Walking Cats
La disciplina utilizza le piscine degli sport acquatici, naturalmente svuotate dalle acque. I concorrenti di ogni nazione vengono cosparsi di erba gatta e fatti scendere  all'interno di esse. Scopo del gioco è resistere il più possibile all'assalto di una cinquantina di gatti liberati subito dopo. In caso di finali si potrebbe utilizzare anche un puma.

2) Cerchi nel Grano
Le squadre devono appostarsi nei dintorni di una fattoria e, approfittando dell'oscurità, disegnare dei cerchi con i trattori messi a disposizione dal Comitato Olimpico. La classifica finale terrà conto del tempo impiegato dai concorrenti nel creare le suddette figure geometriche. Le eventuali ferite da arma da fuoco, frutto eventualmente del poco spirito sportivo dei padroni dei campi, verranno conteggiate come penalità.

3) Pokemon Go
Il gioco, ideale successore dell'ormai vetusta maratona, consiste nel far correre i partecipanti nelle vie adiacenti lo stadio, armati di smartphone forniti dall'Organizzazione. Verrà dichiarato vincitore colui che si presenterà all'arrivo con il maggior numero di Pokemon catturati. Nel caso gli atleti, durante la gara, vengano scippati del telefonino dagli spettatori, potranno richiederne immediatamente un altro, previo pagamento con carta di credito su un conto corrente messo a disposizione dal Comitato Olimpico.

4) Subbuteo
Questo sport si svolge sulla spiaggia. I due giocatori hanno a disposizione ciascuno undici compagni a cui sono state immobilizzate le estremità in blocchi di cemento. Scopo del gioco è spostare a turno i blocchi in modo da colpire il pallone. Le regole sono le stesse del calcio. Per la realizzazione dei blocchi di cemento si consiglia l'utilizzo di ditte italo-americane.

Ci risentiamo tra quattro anni!

MPM
(la sto ancora imitando)

giovedì 11 agosto 2016

Un patrimonio incredibile

ELFI, FATE E POOKA
di Wirt Sikes


Vale a dire “Folklore, mitologia, leggende e tradizioni fatate del Galles”.
Si parla, dunque, dei Tylwyth Teg, cercando di darne una classificazione, per quanto arbitraria (Elfi, Fate delle Miniere, Fate delle case, fate dei laghi e dei corsi d’acqua, Fate delle Montagne) ed al contempo di non perdere la meraviglia del racconto, indugiando su storie e testimonianze, effettuando confronti con Shakespeare, e prestando attenzione a varianti e motivi ricorrenti, soffermandosi altresì sulle abitudini delle Fate, sulle loro origini, su musiche e anelli fatati.
Un patrimonio incredibile, che può avere connotazioni fiabesche e gentili, come buffe e bizzose, o addirittura virare in contesti diabolici, quasi in stile horror, sicuramente inquietanti, che possono far rabbrividire più di una novella di Stephen King...
E se in principio la prosa dell’autore potrà apparirci desueta e datata, appena ci addentreremo nella materia la troveremo invece scorrevole, semplice e perfettamente adatta all’argomento. Con un tocco antico, a colorir le trame, ma tale da non comprometterne la freschezza e la magia.
Lettura gradevole, quindi, curiosa, per un volume breve ma esauriente, che vanta pure qualche illustrazione in bianco e nero. Unica difficoltà, forse, i nomi gallesi, spesso impronunciabili e poveri di vocali, ma suggestivi e non privi di una loro melodiosità.

Un’opera peculiare, che sa di svago, ma anche di erudizione, che può essere letta dai neofiti – il lettore viene infatti guidato con pazienza nei meandri delle leggende e dei miti – come da chi del tutto a digiuno di folklore non è, visto che è abbastanza dettagliata da rivelare, magari, qualcosa di nuovo, e che comunque ha il pregio di essere sistematica e puntuale.

mercoledì 10 agosto 2016

Odio tutti!

LE PIETRE DELLA LUNA
di Marco Buticchi


L’ho letto molti anni fa, il mio primo libro di Buticchi.
E anche l’ultimo.
Lì per lì può non sembrare malaccio: a metà tra Wilbur Smith e Clive Cussler, cerca di sfruttarne la formula: avventura, mistero, amore, un po’ di sesso… Di buono c’è che la trama è un poco più complessa del solito, più stimolante, non lineare, con frequenti salti temporali, più personaggi e vicende che scorrono in parallelo, e quindi riesce a tenere vivo l’interesse, balzando, in particolare, tra la Roma delle Vestali (la parte migliore) e i giorni nostri, con retroscena storici approfonditi e suggestivi.
Invero, non sono mai stata una gran fan di Cussler. Con Wilbur Smith siamo partiti meglio, ma poi, quando ho realizzato che i suoi romanzi sono tutti oscenamente uguali a se stessi (cambia giusto lo schema narrativo), mi sono serenamente scocciata e l’ho bandito dai miei acquisti futuri.
Il problema di Buticchi, però, è più intimo e non è dovuto alla mancanza di innovazione.
Chi se ne cale dell’innovazione.
Si tratta di intrattenimento, e se mi diverto, tanto quanto. Mi basta evitare la spirale del copia e incolla.
No, il problema sono innanzitutto i personaggi.
Odiosi, non se ne salva uno.
Non facevo che sperare che le cose andassero loro male, e se andavano male... auspicavo il peggio. Arroganti, presuntuosi, autoreferenziali. Bleargh!!!
In secondo luogo c’è il problema dello stile.
Non posso affermare che Buticchi scriva male, di per sé. E’ rapido, scorrevole. Ma non c’è bellezza, e soprattutto, mi spiace, ma mi è antipatico pure lui. Non che sappia niente dell’autore-uomo… manco ne conosco la faccia, non ho preconcetti, né lo associo a nulla… E’ solo che dalla tua prosa qualcosa di te trapela, e quel che trapela qui non mi piace. Mi sa di supponenza. E sento l’avversione.
La trama alla base, però, non è brutta. Anzi, si nota un certo sforzo, una certa capacità di elaborazione. La storia riserva persino qualche sorpresa e la frammentazione la salva dalla mediocrità, anzi, se la paragono agli altri esponenti del genere direi persino che è cinque o sei gradini più su.
Solo che per me stile e personaggi sono più importanti. E nella fattispecie non “quagliano”.
Mi chiedo se, qualora leggessi ora il romanzo, con quindici, se non venti, anni in più sulla schiena, cambierebbe qualcosa.

Ma è una domanda oziosa, perché la voglia di verificarlo proprio non ce l’ho.

martedì 9 agosto 2016

Il film più bello di Tarantino

PULP FICTION
di Quentin Tarantino
(1994)


Film di ultraculto con un cast stellare, una trama pazzesca, molti momenti topici, dialoghi da urlo, personaggi straordinari e definiti con poche pennellate salienti, che però rivelano testi e sottotesti, e restano impressi per l'eternità, ma... l'elemento più incredibile è il montaggio! Non lineare e denso di colpi di scena, capace di raccontare contemporaneamente più storie che si intrecciano e si completano a vicenda, senza mai dire troppo. O troppo poco.
La nostra attenzione, quindi, è sempre a mille, ansiosa di inseguire gli episodi e di formare il puzzle, fatto di emozioni cerebrali e casualità, perché non sai mai se riderai o inorridirai, se ti sentirai deliziato o colpito a morte, né come si evolverà la vicenda, almeno finché non farà il botto. E di norma lo fa. Uno dopo l'altro. A ripetizione.
Al di là di ciò, il divertimento non manca, ed anzi è calibrato con maestria, tra un'overdose e un ammazzamento, un twist e una frase biblica... Insomma, questa volta Tarantino riesce a tenere a freno la sua anima ribelle e geniale, il suo amore per la parola e per le esplosioni di sangue, tanto che ogni elemento, per quanto estremo ed esasperato, resta in perfetto equilibrio, armonizzando con gli altri, senza sbavature.
In effetti, benché il mio cuore sia consacrato a “Kill Bill”, questo è forse il film più bello di Tarantino sotto un profilo squisitamente cinematografico, sia livello di regia che di sceneggiatura.
Originale mix di citazioni, generi e registri, di raffinatezze e trivialità, dà luogo a qualcosa di totalmente innovativo e stimolante, che spacca, ma poi ricostruisce.

Cambiando per sempre il volto del Cinema.

lunedì 8 agosto 2016

Il superomismo romantico

LA CASTA DEI META-BARONI
di Alejandro Jodorowsky e Juan Giménez


Originato da una costola de “L'Incal”, ma di fatto a sé stante e indipendente, approfondisce uno dei personaggi più interessanti di questa saga fantascientifica: il sovrumano Meta-Barone, l'imbattibile guerriero spaziale di cui andiamo a scoprire antenati, motivazioni e origini, tra risonanze filosofiche ed echi religiosi.
Rispetto al fumetto capostipite, però, l'atmosfera si appesandisce, diviene più cupa, mentre epicità, crudeltà, onore e determinazione si mescolano a riferimenti mitologici e all'inesorabile ciclicità del destino... Il tutto amplificato dai disegni ricchi, caldi, iperbolici e corposi di Giménez.
Un'epopea ad alto contenuto “testosteronico”, all'insegna del sacrificio e del cambiamento, della solitudine e del superomismo, ma fondamentalmente romantica (in senso classico), in cui ogni cosa, e in primis i sentimenti – specie quando vengono negati –, rischia di apparirci troppo carica ed eccessiva, ma ciò solo se decidiamo di non lasciarci coinvolgere, senza rispettare la mentalità di questi uomini e donne pronti a tutto, anche a rinunciare a pezzi di sé, pur di raggiungere i loro obiettivi, e per i quali esiste soltanto l'assoluto.
Affascinante e complesso altresì l'universo narrativo in cui ci si muove, quello de “L'Incal”, appunto, a metà tra suggestioni magiche, tecnologiche e deliri di onnipotenza, altamente immaginifico, ma non privo di accenti satirici, di cui qui conosciamo nuove sfumature, nuove regole, nuove prospettive.
E poco importa che alcuni passaggi della trama siano prevedibili: sono molti di più quelli che ci sorprendono, frantumando quanto possono di corpo e spirito!
Per quanto mi riguarda, l'unico vero difetto è dato da i robottini che dovrebbero alleggerire la tensione, Tonto e Lothar, che fanno da cornice e da narratori. Insopportabili.
P.S.

L'opera, che io ho comprato in volumi splendidi, ma costosi, pubblicati a distanze siderali l'uno dall'altro, è ora disponibile in una bella edizione integrale edita da Magic Press (che di primo acchito potrebbe risultare cara, ma che in realtà è straeconomica).

venerdì 5 agosto 2016

Empatizzando con Florindo

IL MISTERO DELLA SEDIA A ROTELLE
di Laura Mancinelli


Vale a dire la prima avventura del Commissario Florindo Flores... Un giallo, quindi. E che ci fa qui, giacché il giallo non è il mio genere?
Diciamo che ci è capitato per caso, ma che comunque il libro è carino, oltre che brevissimo.
La trama stessa è abbastanza sui generis, con tocchi surreali: nel Po vengono trovati tre cadaveri. Tutti uguali, salvo che per un porro che si sposta o non c'è. Riconosciuti come il più famoso semiologo italiano (immagino che all'epoca Umberto Eco si sia fatto quattro risate), ma di fatto non identificati ufficialmente.
E infatti il semiologo non è morto e non è stato commesso alcun omicidio...
Incomprensibile? Apparentemente sì, ma la figura imbacuccata (uomo o donna?) che si aggira nei paraggi sulla sedia a rotelle può fornirci tutte le spiegazioni.
Un romanzo carino, appunto, forse un po' pedante in alcuni passaggi (non c'è bisogno di riepilogare la vicenda di continuo), ma estremamente snello, semplice, curioso, con una scrittura ironica e tranquilla, molte macchiette e pochi fronzoli, che ci strapperanno diversi sorrisi.
In quanto a lui, a Florindo Flores, non arriviamo a conoscerlo fino in fondo, ma empatizziamo: perché è un tipo qualsiasi, stanco, ingenuo, amante dei fiori, imbranato, ma lavoratore. Alle prese, per giunta, con problemi assurdi, quali lo smaltimento di cadaveri che... proprio cadaveri non sono. Quindi né i cimiteri né gli obitori li vogliono.

Una perfetta lettura estiva.

giovedì 4 agosto 2016

Studi sociologici


LA FAUNA DEI TRENI: I TRE TIPI DI BRUTI


fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza

Così scrive Dante nel XXVI canto dell’Inferno, ma solo perché non era uso prendere il treno.
Sul treno viaggiano i bruti.
Ce ne sono di tre tipi.
Il primo tipo, il più molesto, è denominato “le bestie”, e di norma è costituito di adolescenti, per lo più maschi, di età compresa fra i quattordici e vent’anni circa, che si spostano in branco (da 4 a 10 membri). Fanno – intenzionalmente e al dichiarato scopo di disturbare – un chiasso indiavolato, starnazzano a voce alta, indulgono al turpiloquio e alla bestemmia gratuita, mettono le scarpe sui sedili e ascoltano musica da discoteca a tutto volume. Sono arroganti, prepotenti e maleducati, e si notano soprattutto in estate, avvolti direttamente nei teli da spiaggia, sovente sguarniti di biglietto e/o denaro e/o documenti. Unico rimedio se li si incontra: spostarsi. Non è giusto, ma è inutile spendere parole con loro. E’ come interloquire con uno scarafaggio. Spero che nell’aldilà vengano scorticati vivi e cosparsi di sale.
Il secondo tipo, altrettanto desolante, ma senza colpa, è costituito dai minus habens, e denominato esattamente così: minus habens. Possono essere uomini o donne, e in media di età compresa tra i venti e i trentacinque anni. Il loro quoziente di intelligenza è rasoterra, i loro riferimenti culturali attingono alla Tv spazzatura (possibilmente reality-show), al calcio, al sesso, alla palestra e al gossip. Non vanno oltre. Non sono in grado.
Di per sé sono innocui, salvo che non si capiti a portata di udito in una giornata di stanchezza colossale in cui non si ha la forza di sottrarsi al loro tragico livello di conversazione. Tendenzialmente, infatti, parlano a voce alta. E ti azzerano i neuroni con la loro pochezza. Tra i possibili rimedi: le telefonate. Se parlate, forse, riuscite a non sentirli. E potrete tranquillamente lamentarvi della loro condizione, tanto non capiranno e non si sentiranno chiamati in causa. Di norma non recepiscono nemmeno di essere loro i minus habens cui fate cenno. Se riuscissi a non disprezzarli mi farebbero tenerezza.
Il terzo tipo è formato dai “classici senza biglietto”. Questo è il gruppo più eterogeneo, formato da soggetti puzzolenti coperti da strati di sporcizia, tizi ubriachi, e strafottenti vari, furbescamente privi di documenti d’identità. A volte sono solo dei disperati colti da sventura, più spesso degli infami approfittatori. Possono viaggiare soli o in gruppi esigui, sanno che le minacce del controllore sono vane per loro, poiché nel nostro bel paese civile, se non hai niente da perdere, non ci sono i mezzi per far rispettare nulla. Salvo aumentare le scomodità e i costi del biglietto per quelli che lo pagano e lo hanno sempre pagato.

Di positivo c’è che in linea di principio costoro si fanno i fatti propri, senza insolentire – quantomeno non deliberatamente – gli altri passeggeri. Salvo quando impongono la loro musica orribile a tutto volume con quelle radioline marce e gracchianti con cui girano, o si mettono a fumare di nascosto, bellamente seduti, senza neanche aprire il finestrino. Ma questo è il caso di uno su trenta.

mercoledì 3 agosto 2016

Bilancia il male con il bene

LA LISTA DI SCHINDLER
di Thomas Keneally


L’ho letto mille anni fa, ma ricordo che mi era piaciuto e mi aveva chiarito alcune cose che nel film di Spielberg avevo intuito ma senza certezza (ad esempio, la questione della bimba con il cappotto rosso), permettendomi di approfondirne altre e rendendo ai miei occhi la figura dicotomica del protagonista ancora più sfumata e affascinante.
La trama la conoscono tutti, quindi glisso.
Dico solo che alla pellicola ho preferito il romanzo, sia perché in generale lo prediligo come mezzo, sia perché nel complesso mi è risultato meno patinato, più genuino, più autentico e sincero, e, anche se in alcuni passaggi è più vivido e cupo, mi ha dato l’impressione di esserlo meno, per il semplice fatto che, per sua stessa natura, il libro è rispettoso dei tempi dei miei stati d’animo e non mi impone una visione lunghissima e soffocante, che mi sopraffà.
Il romanzo, poi, ci consente di osservare meglio le storie degli altri personaggi, incluse le più fugaci, di individuarle e comprenderle meglio, intessendo un affresco più vasto. Ci offre maggiori dettagli storici e ci permette, in sostanza, di apprezzare la vicenda in modo più completo, a tutto tondo.
L’inizio è lento, ma presto diviene coinvolgente, unendo i pregi tipici di un best seller (scorrevolezza, forte connotazione dei personaggi) con quelli di un’opera impegnativa (ad esempio la molteplicità di sfumature), in primis sotto il profilo emotivo. Arriverà a commuoverci, com’è naturale, ma prima susciterà il nostro stupore e la nostra indignazione.
Si potrebbe obiettare che sull’Olocausto si è già raccontato tutto, che come tema ormai è inflazionato… Ma non è così, tanto più che la trama, oltre ad essere ispirata ad una storia vera, oltre ad essere originale e vantare un punto di vista inedito e multiforme, bilancia il male con il bene, dà e toglie, e talvolta ci sembra che segua un disegno più grande, altre ci pare che proceda di pari passo con il fato, casualmente… Più spesso ci restituisce qualcosa che nelle pagine precedenti ci era stato tolto, o addirittura strappato via.

Intenso e profondo.

martedì 2 agosto 2016

Un'opera fresca

SCREAM QUEENS


Si parte in quarta, ma poi si incespica: la serie diventa davvero troppo sopra le righe e sfiora il ridicolo, risultando sempre godibile, ma assai poco convincente... Questo alla quinta puntata (dove al momento sono rimasta), quindi chissà che nel prosieguo la faccenda non torni a migliorare.
Ad ogni modo, è da vedere!
Nasce sulla scia di “Scream” di Wes Craven ed è ambientata all'Università, concentrandosi, in particolare, su una confraternita femminile. E anche qui abbiamo il sangue che sprizza, le fighette e il serial killer mascherato (che forse non è uno), sia pure con il look rinnovato, solo che... buttiamo tutto sul demenziale andante!
Ogni cosa è caricaturale, esagerata, grottesca, perversa e il più possibile politicamente scorretta. Inorridiamo – volutamente e godutamente – più a livello psicologico che per il gore, che tuttavia non manca e spesso è creativo, parodizzando l'horror in generale. In questo senso la serie merita il nostro plauso, e ci provocherà persino qualche allegra risata: grazie soprattutto alle protagoniste, che – con qualche rara eccezione – sono egoiste, fatue, viziate, antipatiche e cattive fino al midollo, senza redenzione.
Da notare, inoltre, il cast, da leccarsi le dita: intanto c'è Jamie Lee Curtis, strepitosa nei panni del Decano dell'Università, padronissima del ruolo, divertita, e capace di rubare la scena a chiunque; la bella Emma Roberts, ancora più spietata che in American Horror Story; la brava Abigail Breslin e quella povera cofana di Lea Michele, che, almeno nelle prime puntate, è finalmente conciata in armonia con il suo aspetto sgraziato, risultando così meno stridente e fastidiosa...

Insomma, non un capolavoro, ma un'opera fresca, con una sua personalità, ammiccante e leggera, sicuramente più interessante della Serie Tv di “Scream”, che invece non è che un pallido aggiornamento in salsa diluita dell'omonimo di Wes Craven (ma MPM non sarebbe d'accordo).

lunedì 1 agosto 2016

La visione apocalittica del mondo

MAZE RUNNER LA MUTAZIONE
di James Dashner


Okay, di questo libro si può fare a meno.
Non aggiunge niente, non toglie niente alla trama. C’è un piccolo colpo di scena verso la fine, riguardo a Deedee, ma non è eccelso e non sconvolge.
In più si accentuano i difetti scritturali dell’autore: la prosa è scialba, legnosa, quasi brutta, funzionale, ma non scorrevole; i personaggi piatti, sentimentaloidi, ma in modo vuoto (possono vivere o morire che nulla ci cambia), e ci costringiamo a frequenti pause per riprendere il respiro…
Però, ciò nonostante, non mi è dispiaciuto leggerlo.
Ad interessarmi è soprattutto la visione apocalittica del mondo quando comincia a diffondersi il virus… Ci sono alcuni passaggi logici un po’ semplificati, qualche buchetto narrativo, ma nel complesso la rappresentazione dei fanatici e dell’evoluzione dell’Eruzione mi piacciono e li ho trovati stimolanti.
Alcune immagini sono grandiose, primitive.
E’ stata la curiosità, principalmente, a spingermi a continuare, e anche se non è stata, in ultimo, pienamente soddisfatta, a livello di azione e concitazione il romanzo non ha nulla da invidiare ai precedenti… o seguenti.
In teoria, infatti, siamo al cospetto di un prequel, per cui la vicenda è ambientata prima della trilogia di Maze Runner, e, in particolare, prima de “Il labirinto”. Una decina di anni, prima, direi.
Anche i protagonisti sono diversi, tuttavia apprendiamo qualcosa in più sul reclutamento di Thomas e Teresa, sulla diffusione del virus e sullo sviluppo della malattia. E naturalmente sulla C.A.T.T.I.V.O. (che questa volta non ci lascerà molti dubbi circa bontà o malvagità).
Questioni descrittive, più che sostanziali, ma sufficienti a tener desta l’attenzione.

Consigliato ai nerd dell’approfondimento, agli appassionati della saga, e ai fan del dinamismo.