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giovedì 28 febbraio 2019

Sentimentaloide e tristanzuolo

A STAR IS BORN
di Bradley Cooper


Un film che mi ha lasciata un po' tiepidina, nonostante i numerosi pregi, e che, nel complesso ho trovato eccessivamente sentimentaloide e tristanzuolo (MPM sostiene che sia perché io sono agra), con tante svolte che si sarebbero potute evitare, se solo si fossero spese due parole di più e magari si fossero tenuti i piedi più aderenti a terra. E, sì, l'ho trovato un po' lentino, specie nella prima parte, e decisamente troppo lungo in generale (l'ho dovuto vedere in tre serate perché continuava a mandarmi in catalessi). Tuttavia... 
Tuttavia è realizzato bene, non si può negare, in quasi molti suoi aspetti. La trama, per quanto semplice e sbrodolante, non lascia indifferenti, ma soprattutto gli interpreti sono eccezionali (chi l'avrebbe mai detto? Non solo Bradley Cooper, ma persino, e forse di più, Lady Gaga, spendida al naturale, nella sua dolcissima asimmetria, di una radiosità celestiale... D'altro canto, però, altra sorpresa, Bradley Cooper canta meglio di lei e ha una voce più gastrica e melodiosa – in effetti la voce di Lady Gaga non mi pare sta gran cosa... A tratti mi suona persino un po' stridulina!), mentre la colonna sonora è godibile, ma non invadente. Inoltre entrambi i protagonisti, per quanto siano quasi l'incarnazione di uno stereotipo, riescono a conferire un tale spessore al loro essere se stessi, in tutta la loro trita prevedibilità, da risultare invece autentici, sofferti e vulnerabili, anziché banali. 
Tra i comprimari, infine, devo citare Sam Elliott, che ha poche scene, ma, quando compare, attira tutti gli sguardi.
Insomma, un film discreto, che, nonostante ci provi, si salva dall'annegare tragicamente nella noia, nel vacuo sentimentalismo e nell'effimero.

mercoledì 27 febbraio 2019

Un piacere insperato

DYLAN DOG INDEX 1-25
di Francesco Manetti e Nicola Magnolia


Un'analisi, statistica e non, dei primi 25 albi mensili di Dylan (si saltano quindi, per dire, gli speciali estivi). Un'analisi imperfetta (a volte ci si dilunga troppo su aspetti secondari ed incidentali, o noti a chiunque, e per contro si trascurano riferimenti importanti e più nascosti, ad esempio le varie tavole che nel numero 10, “Attraverso lo Specchio”, sono ispirate alle opere di Magritte), dal taglio insolito e lo stile spigliato, che costringono il lettore a fare un tuffo nel passato. Quel passato ormai mitico e lontano in cui Dylan era un capolavoro di innovazione e intelligenza, a metà tra fumetto d'autore e fumetto popolare, non ancora vittima del politicamente corretto a tutti i costi, ma nemmeno del tutto messo a punto. Ed infatti, a riscoprire adesso le prime storie, si evidenziano un po' di tormentoni di repertorio ormai dimenticati o fobie che ancora non erano in essere (Dylan non è sempre stato vegetariano, praticamente astemio e con il mal di mare), che risultano divertenti e curiose.
E viene malinconia a leggere queste pagine, a ricordare i bei tempi in cui Sclavi era Sclavi, e Dylan era sostanzialmente una sua emanazione con i caratteri dell'eccezionalità, non solo perché si ritorna a quelle trame imprevedibili e iconoclaste, ma anche perché ci si reimmerge in quegli anni, fino a ritrovare uno spaccato della propria giovinezza (della serie serendipità).
L'approccio, poi, è un po' diverso dai soliti saggi: non si limita a reperire le fonti Sclaviane o ai riassunti dei vari episodi, a elencare comparse e protagonisti: è attento ai dati tecnici e agli autori, e non si limita a sciorinarli, ma li contestualizza e approfondisce, analizzando testi e disegni (a volte con eccessiva generosità di giudizio, per quanto mi riguarda), oltre a segnalare pubblicità, i contenuti delle rubriche (in modo un po' impersonale, invero, questa volta, senza riuscire a catturare quella complicità e quel calore umano che le pervadeva all'epoca) e gli inserti (chi se lo ricordava il Giornale di Sergio Bonelli?). 
Insomma, un volumetto insolito, che, se si è fan di vecchia data, è un piacere insperato leggere, intenso e dolce, con risvolti galvanizzanti e consolatori.
A quando il secondo volume?

martedì 26 febbraio 2019

La leggiadria tipica dei grandi classici

HERZOG
di Saul Bellow


Romanzo di spessore, questo, che è soprattutto un viaggio nella mente del protagonista e narratore, Moses Herzog, appunto, non proprio un simpaticone (eppure sì), ma di certo un soggetto interessante, intellettuale, colto, traboccante di contraddizioni, di fisime, ma pure di un particolare umorismo non privo di elementi autobiografici, utili per tentare di interpretare quel complicato congegno che è la mente – geniale, ma astrusa – di Bellow, ma che, contemporaneamente, pare offrirci altresì qualche tassello spaiato di Philip Roth, che di Bellow era l'allievo e che, infatti, del libro ha scritto la postfazione.
L'opera non mi ha presa da subito, nonostante l'incipit potente: prima ho dovuto familiarizzare con lo stile e soprattutto col personaggio. Che alla fine, tuttavia, conquista (specie quando è più vulnerabile, alla Stazione di Polizia o in rapporto alla bambina o all'ex moglie) ed è capace, non solo di lanciare strali ed invettive, ma pure di evolvere e di dubitare, come di mettersi in discussione, di fare autocritica, tanto che diventa sempre più vivido e sincero. Personaggio che si diverte a scrivere lettere assurde (oppure no?) a varie celebrità – non necessariamente in grado di rispondergli, a prescindere dalla circostanza di spedire o no le missive – riversandoci abbondanti porzioni di se stesso, che elucubra, cogita, racconta. La solitudine, la sconfitta, la propria logorata esistenza. 
Un lungo monologo, dunque, depresso, ma non deprimente, infarcito di riflessioni e digressioni, ma curiosamente coeso, alla fin fine, strutturalmente equilibrato, dalla prosa ipnotica ed ammiccante che ha la leggiadria tipica dei grandi classici. E che, come i grandi classici, è fatto di strati sovrapposti e conserva qualcosa di magico che resiste al tempo e varia con lo stato d'animo di chi legge.  
Prossimo appuntamento: “Le Avventure di Augie March”.

lunedì 25 febbraio 2019

IL RITORNO DEGLI ZOMBACCI

SGORBIONS


Erano figurine trash-demenziali, a cavallo tra splatter, mostruosità e disgusto, che spopolavano tra i ragazzini negli anni 90. Manco a dirlo, mio fratello le collezionava, ma, lo ammetto, anche a me piaceva sfogliare gli album (ne erano usciti tre).
Insomma che, spazza e riordina, un paio di mesi fa il Droide ne ritrova due fra i suoi cimeli: il primo (Le Bande degli Sgorbions) addirittura finito – ci si era impegnato parecchio – e il secondo (A Scuola con gli Sgorbions), a cui mancano 7 figurine per essere completato.
Me li ha fatti vedere e mi ha chiesto se li volevo, che se no lui li avrebbe buttati. 


Ho detto di sì, in fondo sono un pezzo anche della mia giovinezza e buttarli mi pareva criminale. Li ho presi, ma poi me ne sono dimenticata.
L'altro giorno col Frater ci siamo ritrovati a pranzo e siamo tornati a parlarne. Androide sostiene che io l'abbia drogato perché non si ricorda di avermi ceduto gli album. In effetti non è da lui essere tanto generoso, ma io, tendenzialmente, non drogo nessuno. 
Rispondo che se li rivuole per sé glieli rendo, ma se li può scordare se l'obiettivo è farne un uso diverso (tipo venderli). Ovviamente vorrebbe farne un uso diverso (vederli, appunto). In questo caso, replico, ormai sono miei. Il Droide, genuinamente sorpreso e con una punta di tacita ammirazione, mi domanda di nuovo come ho fatto a drogarlo. Mi tocca insultarlo fraternamente e ciancicarlo finché non smette di insistere.
Ad ogni modo mi viene voglia di riprendere gli album in mano e di sfogliarli... Sono spaziali! Orrendi! Spettacolari! (Ai tempi, avevano trovato addirittura posto in un servizio sull'Almanacco della Paura di Dylan Dog) Suddivisi per bande vomitevoli, nel primo album, e per materie scolastiche nel secondo, ci sono Anita Inviperita, Dante Mutante, Angelino Spazzolino, Decalco Maria, Annibale Cannibale, Lella Tremarella, Rosa Cenere... I miei preferiti ovviamente sono gli Zombacci, specie Clemente Mortovivente, Anita Dimagrita e Ciro Vampiro (primo album) e Walter Closed (secondo). E a me pare di tornare indietro di mille anni. Soprattutto quando mi imbatto nelle due me (Carlotta Pagnotta e Carlotta Poliglotta), che mi erano rimaste particolarmente impresse.
Solo che guardando le immagini con più attenzione mi accorgo di alcune cosette che in gioventù avevo ignorato, e che mi han fatto concludere che plausibilmente non sempre le traduzioni italiane sono precise... Vi pare che questo possa chiamarsi Danilo Sul filo? E' chiaramente una femmina!!! E che mi dite di Cristina all'Avena? E' un maschio! E dubito che in America conoscano la cantante! Per tacere di Amanda Senza Mutanda, Augusta Supposta o Greta Messa a Dieta... E Battista Elettricista? E' chiaramente Benjamin Franklin!
Insomma, sarebbe carino che, almeno sull'album, fosse riportato anche il nome originale. 
A parte ciò, ogni volta che li riguardo mi sembra di tornare alle Medie, perciò temo che se il Droide non mi assicura di conservarli per l'eternità dovrà farne a meno.

Bleargh a tutti.

venerdì 22 febbraio 2019

La prima Messa Nera

LAGGIU', NELL'ABISSO
di Karl-Joris Huysmans


Avevo studiato Huysmans al Liceo come precursore del Decadentismo e autore del romanzo “À Rebours”, A Ritroso. Non immaginavo che potesse anche aver modellato l'immaginario demoniaco mondiale descrivendo per la prima volta una Messa Nera.
E, insomma, mi sono incuriosita.
Il romanzo, ultimato nel 1891, si legge volentieri, ha una struttura classica e, a tratti, didascalico-filosofica, con molti riferimenti a Gilles De Rais – noto per essere stato un valente condottiero al fianco di Giovanna D'Arco, come per essere stato identificato come il primo serial killer della Storia – e alla letteratura esoterica (non sempre ben documentati, come ci spiegano le note a fine di ogni capitolo, ma sicuramente suggestivi). 
Per il resto, la trama prosegue con cautela, percorsa da sottili venature erotiche e svariate dissertazioni concettuali, quasi a voler giustificare quello che avverrà dopo, e in qualche modo, quasi dissociarsene. In effetti, la faccenda della Messa Nera, cui si giunge verso il finale, è un po' disturbante e assai disgustosa, e, in fin dei conti anche alcuni dei precedenti passaggi dedicati alle pratiche sadiche poste in essere da Gilles De Rais, dalla natura tormentata e dicotomica, lo sono.  
Il linguaggio è raffinato, desueto, estetizzante, ma non inficia il piacere della lettura, semmai la rafforza, aggiungendo carattere alla scorrevolezza. 
Segnalo, infine, che “À Rebours” viene citato, creando una sorta di continuità narrativa con il suo protagonista e la sua trama, almeno fino a che non si sprofonda, appunto, nell'abisso. L'orrore, tuttavia, è più che altro descrittivo, evocativo, parco di avvenimenti, eccettuata la partecipazione defilata alla cerimonia satanica e i riferimenti storici, comunque mediati dalle riflessioni del narratore.  
Da riscoprire, se si amano i classici e se si ama l'horror, ma solo se non si è di spirito fragile e se non si è in cerca di vuoto sensazionalismo fine a se stesso.

giovedì 21 febbraio 2019

Un'opera bonellicentrica

GUIDA AL FUMETTO ITALIANO
di Marco Prandi e Paolo Ferrari


Ha ragione Alfredo Castelli nell'introduzione: questa non è una guida al fumetto italiano, quanto piuttosto una serie di trenta monografie su disegnatori italiani  (quindi, per intenderci, ci troviamo Hugo Pratt – autore completo – e Angelo Stano – disegnatore –, ma non Tiziano Sclavi, che è uno sceneggiatore). Il che è anche meglio, visto che di guide al fumetto italiano ce ne sono abbastanza, mentre di raccolte monografico-panoramiche molte meno. 
Tuttavia, se le singole voci sono esaurienti e ben scritte, e talvolta rivelano preziose curiosità persino ad un appassionato di vecchia data (per esempio, io mica lo sapevo che il Piccolo Mugnaio Bianco e la bella Clementina delle pubblicità delle merendine anni 80 fossero una creazione di Grazia Nidasio), non posso non riscontrare due difetti: il primo, trascurabile, afferente alla ripetitività. Spesso, per ciascun autore, vengono ribaditi, a distanza di poche facciate, gli stessi concetti, ad esempio in ordine alla cifra stilistica o ai dati biografici. Ma, come dicevo, questo è un neo di poco conto, e facilmente superabile se, ad esempio, anziché leggere le pagine consecutivamente si procede in parallelo, leggendo la voce dedicata ad autori diversi contemporaneamente. Anzi, a questo punto, sentir rimarcare i concetti farà persino piacere.
Più grave il secondo problema, ossia il bonellicentrismo dell'opera. Non ci sono Paolo Eleuteri-Serpieri e Tanino Liberatore, ma ci sono Stano (che adoro) Galep e Camuncoli (che, okay, mi piace ed è internazionale, ma non ha ancora fatto la Storia)? Ma come state???
E Leo Ortolani (okay, i suoi testi sono meglio dei suoi disegni, però...)? E Cinzia Ghigliano? 
Intendiamoci, non ho nulla contro Galeppini e soci, e non sto proponendo di rimuoverli dall'opera, solo... non si potevano inserire un paio di voci in più?
Ad ogni modo, la guida, a dispetto del titolo sviante, è valida e leggerla è un stato un diletto, un accrescimento e mi è servito in qualità di utile puntualizzazione.

mercoledì 20 febbraio 2019

Coinvolgente e magnetica

I MEDICI


Mi riferisco alla serie televisiva, e in particolare alle prime due stagioni: “Masters of Florence”, incentrata su Cosimo (Richard Madden), figlio di Giovanni (Dustin Hoffman) e padre di Piero, e “The Magnificent”, su Lorenzo il Magnifico (Daniel Sharman), figlio di Piero/Julian Sands, anche se, in realtà, trattasi di un racconto corale, con molti protagonisti e molti comprimari.
Orbene, sono entusiasta. E sì che nel 2016, quando MPM mi aveva proposto i primi episodi li avevo bocciati... Fortuna che il Ragno mi ha costretta al ravvedimento! Fortuna perché mi è piaciuto pressoché tutto: dalle algide sonorità della sigla iniziale, che si innalzano lentamente sino a divenire incalzanti e tracimanti di passione, alla ricostruzione storica scrupolosa e alle tematiche fondanti della serie, che pongono innanzi a tutto la famiglia, la cultura, e l'amore per Firenze. Inoltre adoro i personaggi, tra cui spiccano tante facce conosciute (c'è chi viene da “Il Trono di Spade” e chi da “Il Miracolo”...), quasi tutti, donne incluse, dotati di un carattere forte e focoso. Adoro Marco Bello/Guido Caprino, ruvido e sanguigno, Cosimo, disposto ai compromessi, ma bramoso di redenzione, e Lorenzo/Stuart Martin, il suo impetuoso fratello. Ma la mia prediletta è Contessina/Annabel Scholey – sì, questo è il nome proprio – fiera e saggia, col coraggio di una leonessa, benché a volte paia troppo giovane vicina alla nuora Lucrezia/Valentina Bellé, che, dal canto suo, è brava, ma fa delle espressioni, misericordia, che spesso ricordano Clarabella di Topolino. 
La Serie trasuda abbondanza: di colori, di dettagli, mentre la trama, appena un poco romanzata, è coinvolgente e magnetica (oltre ai Medici ci troviamo Brunelleschi/Alessandro Preziosi – il più incisivo e penetrante – Botticelli, Poliziano...). Solo al principio della seconda stagione, a decenni di distanza, ci troviamo un po' spaesati. Rimpiangiamo i vecchi protagonisti, non sembrandoci i nuovi (compreso Sean Bean/Jacopo Pazzi, che pure poi si rivelerà più fosco di Albizzi) all'altezza dei precedenti. Specie Lorenzo, carino, gentile, ma non abbastanza carismatico. Ma è solo questione di affezionarci, ed anzi, forse la seconda serie ci piacerà più della prima, grazie alla morale luminosa, più umana, improntata alla correttezza. E alla conclusione, così ricca di pathos e di trepidazione. E adoreremo Lorenzo/Daniel Sharman, col suo equilibrio e la sua rettitudine, e Giuliano/Bradley James con le sue intemperanze e la sua vitalità, e Jacopo, untuoso e bestiale, e Francesco/Matteo Martari, tenebroso e crudele, nonostante i suoi cambi di idea. Fino a che non matura la congiura, che un po' ci riporta alle Nozze Rosse di Martin, ma che è preparata con maggior pazienza e ha un sapore meno favolistico, sia pure egualmente cruento.


E' in cantiere una terza stagione... speriamo non deluda.

martedì 19 febbraio 2019

I problemi di (ieri) oggi

LUI E' TORNATO
di Timur Vermes


Lui è niente meno che Adolf Hitler, in tutto il suo grigio splendore, risvegliatosi nella Germania di pochi anni fa, fresco di bunker, e subito preso per un cabarettista che crede nell'immedesimazione totale. 
L'effetto comico, neanche a dirlo, è immediato, specie quando Hitler – che è altresì il narratore – inizia a sproloquiare mettendo in rilievo i problemi di oggi, con brutalità e ironia, senza dimenticare, peraltro, che il nostro protagonista, rigido, macchiettistico e fanatico come non mai, non è affatto una bella persona. Inoltre i riferimenti storici risultano accurati (con tanto di note esplicative in fondo al volume), mentre un sorriso aleggia sulle nostre labbra persino quando si sfiora il parossismo. 
Però.
Però mi aspettavo di più. 
Ad essere intelligente e mordace, è soprattutto l'idea di base, tuttavia, per quanto non sia stata sviluppata male, il volume manca un po' di verve. Dovrebbe essere più pungente, più incisivo. Invece si limita ad essere simpatico e garbatamente grottesco, sia sul piano narrativo, sia sotto il profilo stilistico.
Timur Vermes non scrive in modo atroce, ma è come se i suoi tempi comici fossero leggermente sfasati, rallentati, così quelle che potenzialmente potrebbero essere risate a crepapelle si trasformano in sorrisi fugaci, gravati, per giunta, da sporadiche risacche e da qualche brano insulso, che, indebolendo l'aspetto satirico e appesantendo l'architettura del romanzo, potrebbero, vista la delicatezza del tema, essere fraintesi e divenire forieri di superficialità, se non addirittura di messaggi offensivi. 
Insomma, libro interessante e acuto, specie dal punto di vista dell'analisi sociale, ma non sempre incalzante e non sempre impeccabile.

P.S.
Da questo romanzo è stato tratto un film, che, in Italia, è stato oggetto di un remake, in cui a tornare, però, è Mussolini.

lunedì 18 febbraio 2019

Johnny English al femminile

IL TUO EX NON MUORE MAI
di Susanna Fogel
(2018)


Non fatevi ingannare dal titolo imbarazzante: non è una commediola sentimentale, e nemmeno un'idiozia di vendette amorose. Si tratta di un action-movie, semmai, con connotati spionistici e molto, molto buonumore. In effetti, era da parecchio che non ridevo così!
Ad essere onesti, l'inizio non è molto effervescente. Al contrario, sembrano cliché sommati a scene di repertorio, con qualche bizzarria sopra le righe e un po' di sparatorie. Ma la pellicola non impiega molto ad ingranare, e da quando lo fa continua a crescere. Soprattutto sul piano del divertimento. Non tanto per la trama – una sorta di Johnny English al femminile, meno demenziale, forse, ma più sottilmente dissacrante, ovviamente con Mila Kunis al posto di Rowan Atkinson – quanto per le situazioni (spassose al cubo) e per i dialoghi, che toccano il loro apice quando rivelano fantasie sessuali sui Minion. 
Per quanto assurde, surreali ed improbabili, oltretutto, le varie gag non ci fanno sentire ingannati, non ci sanno di mirabolante presa in giro, e sembrano quasi naturali, date certe deliranti premesse, edificate soprattutto sull'alchimia e la bravura delle  protagoniste – la già menzionata Kunis e la assai più esuberante Kate McKinnon –: insieme lavorano alla grande, divise... pure. Denotando personalità e autoironia, ma anche la capacità di evolvere, di sostenersi, e di completarsi a vicenda, spesso l'una in funzione dell'altra. La prospettiva è decisamente femminile, e punta molto su una combinazione di amicizia, temerarietà e imbranataggine, ma fa centro pieno, inducendo risate, ma anche sporadici attimi di commozione, per quanto non lesini su violenza, sparatorie e combattimenti (è il caso di dirlo) acrobatici.   
Non esagero se affermo che è il film migliore – per ora – che ho visto quest'anno. Non a livello tecnico, magari, ma per intrattenimento sicuramente sì.

venerdì 15 febbraio 2019

Consigli utili, a volte crudeli

LA BIBLIOTECA DI CASA
di Enrico Guida


Amo i libri, e quindi anche i volumi sui libri. 
Questo, in particolare, che fa eco a “Come Governare la Carta” di Ambrogio Borsani, ci insegna a gestire la nostra biblioteca domestica. 
Anche se un po' inganna... Perché proprio quando si fa più interessante rivela che è pensato per biblioteche piccine, con meno di 5.000 volumi (e quindi non per la mia, che ne conta oltre il doppio).
Tuttavia dà consigli utili – a volte crudeli, che non ho intenzione di prendere in considerazione, ad esempio sul decrescimento della biblioteca, altri potenzialmente salvifici, come conservare in orizzontale i volumi di grande formato per evitare che il peso gravi sul dorso – è ben strutturato, e spesso simpatico.
Specie all'inizio quando mi spiega che MPM è un filisteo.
E pure Mater.
E così il Ragno.
(Pater no. Pater capisce.)
Filistei!!! 
E' bello chiamarli così, e liberatorio. 
O quando, tra i nemici dei libri, annovera i malvagi eredi. Nel senso dei miei eredi, che come minimo vorranno smembrare la mia biblioteca.
Mostri. E filistei.
Sono cose belle, queste, che ti fanno sentire meno sola. Meno fuori del mondo. (Anche se a me, tutto sommato, piace essere fuori del mondo). 
Per il resto il volume, oltre a titillarmi e deliziarmi, con agilità e sintesi, fornisce suggerimenti, curiosità e rivela un macrocosmo, quello della biblioteconomia, con il suo linguaggio e le sue regole, di cui qui riceviamo un'infarinatura.
In altri termini, i punti nodali sono: organizzare la biblioteca (si comincia col misurare e suddividere gli spazi) e classificare i libri (si veda il sistema Thema). 
In mezzo c'è altro (valutare i libri, storia della catalogazione...). Ma soprattutto amore per i libri.
E se si è come me, si ha l'impressione di trovare un amico (uno di quelli sinceri, che ci fa arrabbiare, ma ci dice le cose come stanno. Anche quando non vogliamo sentirle).

giovedì 14 febbraio 2019

Sprazzi di tenebra degni di nota

CERIMONIA DI SANGUE
di T.E.D. Klein


Ci tenevo talmente a leggere 'sto mattonazzo, probabilmente attratta dall'argomento (sette sataniche), che alla fine ho ceduto – è fuori catalogo da anni – e l'ho comprato su e-Bay, con le pagine brunite e la copertina imperfetta.
Ebbene, non è un capolavoro, e nemmeno un capolavoro del genere horror. E' troppo lungo e scritto in modo funzionale, senza guizzi di bellezza, e senza scene o momenti che restino impressi nella memoria.
Tuttavia, non è neanche male. Lo stile, per quanto non brillante, dopo un po' ti avvolge nelle sue spire, e ti tiene compagnia in modo onesto e più che dignitoso. L'ambientazione rurale è affascinante e anche se la trama non spicca mai veramente il volo, si segue volentieri, senza troppi ristagni, un po' tremebondi e un po' curiosi. 
Le soggettive sono pessime, con un eccesso di aggettivi e di manierismi che si fa sentire. Ma i personaggi fanno simpatia, tutto sommato, e dispiace quando finiscono... come finiscono (sebbene...)! E poi ci sono un sacco di splendidi riferimenti letterari (soprattutto horror/esoterici, in particolare ad Arthur Machen) spesso in prospettiva critica, che, condivisibile o meno, aggiunge parecchio pepe alla storia. Inoltre, per quanto non fulminanti, ci sono diversi sprazzi di tenebra degni di nota. Specie quelli connessi ai rituali, di cui intuiamo – ovviamente – la portata malefica, ma che paiono innocui lì per lì, tanto da produrre, così, per sentimento del contrario, un apprezzabile senso di incombenza, di oppressione. Che ti porta a dubitare o a temere anche delle cose più irrilevanti.
Certamente si può vivere anche senza leggere questo romanzo.
Ma, la verità, è che quando l'ho terminato ne ho sentito la mancanza.
E non capita con tutti i libri.

mercoledì 13 febbraio 2019

Avere fiducia

RUMORE BIANCO
di Don DeLillo


Quanta roba! 
Sul serio, questo è un romanzo saturo e saturante che ti manda in overdose. C'è di tutto: dalla polemica contro il consumismo all'ironia cosparsa di genialità, dall'analisi della paura della morte all'introspezione sociale che punta il dito sulla famiglia media americana, dall'immaginazione colorita e scioccante (con tanto di Dipartimento sugli Studi Hitleriani) alla nube tossica che minaccia la città.
Un'opera complessa, pluristratificata, che alterna momenti drammatici ad altri più grotteschi o più leggeri. Un'opera che spiazza, ma incanta, anche, e alterna passaggi statici e riflessioni arzigogolate a scene che ti incidono prima la pelle e poi il cervello – e paiono scritte con l'acido – a riflessioni filosofiche stimolanti, ma con un retrogusto delirante.
I protagonisti, poi, sono assurdi, nevrotici, caricaturali, molto definiti e sempre problematici, ma  tanto complicati e contraddittori da sembrare persone vere. 
Il segreto, a mio avviso, è lasciarsi trasportare. Avere fiducia. La prosa che in principio ci attrarrà, ma poi diverrà un po' ostica, presto diventerà liquida e scorrerà dentro di noi. E' solo questione di avere il tempo di sintonizzarsi. Mentre la trama, che all'inizio ci parrà un po' incerta e poco articolata, prenderà una direzione precisa, pur nella sua assenza di confini.
Fantascienza?
Forse.
Ma sui generis e che scavalca il genere. 
Prossimo obiettivo: Underworld.

martedì 12 febbraio 2019

La fine vale tutto

LA SAGA DI GRIMR
di Jérémie Moreau


Ha fatto incetta di premi e recensioni entusiaste, ma non l'ho comprato subito.
Quando è arrivato in fumetteria l'ho sfogliato e l'ho lasciato lì: i disegni non mi piacevano. Le persone, più che altro. Anche se i colori erano belli e le tavole esercitavano un certo fascino in me, specie i paesaggi mozzafiato.
Due volte sono tornata per esaminare il volume.
Due volte l'ho lasciato lì.
Poi la curiosità ha vinto. 
Per fortuna.
Ed è buffo, perché non l'ho pensato fino a che sono arrivata alla fine. I temi erano originali, inconsueti, a cavallo fra fiaba e mito, l'ambientazioni storico-geografica mi piaceva (l'Islanda del 1783, sfranta dalla povertà e schiacciata dalla Danimarca), e mi induceva approfondimenti e ricerche, ma... un capolavoro? Davvero? 
Sì.
E non per i ghiacciai e i vulcani, non per l'affresco storico o le tematiche sottese. 
Per la fine. 
La fine vale tutto.
E tutto valorizza e sublima e rende eterno.
Anche il protagonista, Grimr, che pure mi ha urtato sino all'ultimo – benché a tratti mi facesse pena, poveretto – con i suoi modi e la sua rozzezza e quei labbroni carnosi ed inguadabili.
La fine è veramente superba. Epica.
E certamente non è l'unica dote del volume: superbe sono anche la fluidità del racconto, la sintesi sinergica tra testo e immagini, la maturità architettonica della costruzione della storia... E sì, anche i disegni.
Ma non sempre basta la prima occhiata per apprezzare qualcosa. 

lunedì 11 febbraio 2019

La triste imitazione di se stessa

ANNA DAI CAPELLI ROSSI – LA GRANDE CASA
di Lucy M. Montgomery


Sesto e ultimo volume dedicato ad Anna dai Capelli Rossi (anche se seguono altri due libri, presumo incentrati sui figli di lei, con tutto che, alla fin fine, pure questo lo è), ormai madre di numerosa prole e ridotta ad essere niente più che la bella ed elegante moglie del dottore. Snif.
Mi spiace, ma io sta cosa la patisco: Anna sembrava così moderna e anticonvenzionale, così libera, indipendente e ribelle... E invece, studi o non studi, si riduce a fare la mamma e niente più. Mater obietterebbe che è il mestiere più bello del mondo, ma io lo trovo davvero deprimente (e non sono una ragazzina), tanto più che la nostra Anna da protagonista assoluta diviene quasi una presenza sullo sfondo, stile Genitrice Marsh in Piccole Donne, saggia e confortante, certo, ferma e dolce, va bene, ma tutto sommato trascurabile, se non a livello di memoria nostalgica (salvo negli ultimi capitoli, in cui, effettivamente, Anna alza la testa, la patina da zuccherosa famiglia del Mulino Bianco si scrosta, e, finalmente, l'interesse del lettore si risveglia).
E, per carità, 'sta pletora di infanti è pure carina, ma la maggior parte delle loro avventure (non tutte) è stucchevole e stantia, troppo artificiale per intenerire, e sovente troppo ingenua e prevedibile per suscitare altro che noia. E' vero, i problemi che affrontano sono a misura di bambino, e rendono bene gli “ingigantimenti drammatici” tipici dell'infanzia. Però il troppo stroppia e il romanzo diviene la triste imitazione di se stesso, relegando ad un mero ricordo o poco più anche tutti i personaggi di Avonlea (solo Diana fa una comparsata nei primi capitoli).
In sostanza, se il primo volume è una delizia, se i successivi, in generale, si seguono per affetto, dal quarto volume iniziano i primi cedimenti sino a che, al sesto, non se ne può più.
Peccato.
Ci rivedremo con i prossimi due, auspicando che il cambio di testimone porti qualche miglioramento (ma, sinceramente, se non fosse che li ho già, lascerei perdere).

venerdì 8 febbraio 2019

Le difficoltà della gioventù

SEX EDUCATION


È quello che, per motivi diversi, non sono riusciti ad essere “Tredici”, “Glee” e “Riverdale”: una serie TV convincente sui teenagers, che supera ogni paturnia e ogni tabù e riesce a raccontare con genuinità, leggerezza e tanto divertimento – ma nessuna superficialità a dispetto del tono sopra le righe – delle insicurezze, amicizie e amori, tipiche di quell'età, del bisogno di aprirsi e comunicare (anche per gli adulti), e di come sia difficile e naturale allo stesso tempo essere se stessi. 
Spesso si ride, ma a volte gli accenti divengono elegiaci. In più la colonna sonora è eccezionale, e così la banda della scuola (e il suo direttore d'orchestra). 
L'andamento della trama è regolare, ma non schematico, talvolta imprevedibile, tal'altra più classico, ma sempre ben calibrato (la scena di rivendicazione della vagina è persino commovente). E ben presto – direi sin dalla seconda puntata – si va al di là del gusto di scandalizzare e si toccano corde profonde, ma con simpatia, schiettezza, allegramente, procedendo per contrasti, senza sbrodolate retoriche o pateticamente strappalacrime. I cattivi ci sono, e restano tali, nonostante i momenti di vulnerabilità. E si alternano esclusioni e accettazioni, ma mai in modo pretestuoso.
La verità è che la serie va al nocciolo. E' onesta e scalcia. E sottolinea, nel bene e nel male, le difficoltà della gioventù, attraverso il sesso, sì, ma pure attraverso mille varie  sfaccettature. Senza stucchevolezza, senza deprimere o adottare accenti artificiali e costruiti. Nemmeno i personaggi sono leccati (e forse sono i peggio vestiti di sempre), mentre i comprimari, anche quelli più di contorno, sono divini. E in più... in più c'è Gillian Anderson. 
Su Netflix, solo otto episodi.

giovedì 7 febbraio 2019

Libri in attesa

AGGIORNAMENTO LETTURE


Essendo trascorsi (all'incirca) altri tre mesi (si veda post del 1 novembre 2018), ecco che procedo a fare il punto delle mie letture, sperando di non affliggere nessuno, ma di dare, se mai, un condensato di spunti di possibili letture.
Ebbene, 
In corso:
Di 11 ne restano 3:

  • Il Declino della Violenza di Steven Pinker (sono a pagina 400, indi neanche a metà);
  • Herzog di Saul Bellow; 
  • Metro 2033 di D. Glukhovsky;


                Più, dal secondo elenco (più impegnativo) oltre ai cinque già finiti:

  • Intervista con la Storia di Oriana Fallaci;


                                           Dal terzo, a parte i 10 già finiti:
  
  • Quello che rimane di Paula Fox;
  • Tony & Susan di A. Wright;
  • La Quinta Onda – L'Ultima Stella di Rick Yancey;
  • Abbiamo sempre vissuto nel castello di S. Jackson;
  • Lui è tornato di T. Vermes;
  • La famiglia Aubrey  di Rebecca West;
  • Anna dai Capelli Rossi – La Grande Casa di L. M. Montgomery.


In totale, quindi, ne sto leggendo 11, ma conto di cominciarne almeno altri cinque il prossimo weekend.


Restano nel secondo elenco, questi 5 da iniziare, che mi suonano come più impegnativi, meno ludici:

  • I Racconti di Malà Strana di Jan Neruda;
  • Qualcuno con cui Correre di David Grossman;
  • Altrove, forse di Amos Oz;
  • Augustus di John Williams;
  • Amatissima di Tony Morrison;


a cui si sono aggiunti i seguenti 27, migrati dal comodino al divano, o arrivati qui direttamente:

  • La Piccola Città di Thornton Wilder;
  • Guida Tascabile per Maniaci dei Libri;
  • The 100 vol 2 - Day 21 di Kass Morgan;
  • Berta Isla di Marìas;
  • Stranger Things (saggio);
  • Dylan Dog Index 1-25 ed. Phasar;
  • Per ultimo il Cuore di Margaret Atwood;
  • Sei passeggiate nei boschi narrativi di U. Eco;
  • Guida alla Letteratura Tedesca ed. Odoya;
  • Wonder tutte le storie di R.J. Palacio;
  • Miti del Nord di N. Gaiman;
  • Guida ai Luoghi della Terra di Mezzo di J. Howe;
  • L'incredibile Marvel Ed Comicon (saggio);
  • Atlante dei luoghi misteriosi d'Italia ed. Bompiani;
  • L'Altro Mondo di G. Duprat;
  • Star Wars Atlante Galattico;
  • Fuoco e Sangue di G. R. R. Martin;
  • Vincoli di K. Haruf;
  • Un Cammino Primitivo di De Ferrari;
  • Il Diritto di Contare di Margot Lee Shetterly;
  • Storia di una Balena Bianca... di Luis Sepùlveda;
  • Tutto è possibile di E. Strout;
  • Mythos di S. Fry;
  • Grimori e Istruzioni Magiche Ed. Mimesis
  • Basta così di Szymborska;
  • Canti Orfici e altre poesie di Dino Campana;
  • L'opera da tre soldi di Bertold Brecht.


Alcuni di questi sono molto brevi, o incredibilmente curiosi, quindi immagino che li terminerò velocemente. Non credo che li recensirò tutti, più che altro perché alcuni (tipo il volume sui Grimori) temo possono interessare giusto a me. 

Sul comodino ne restano 44 (ma ce ne sono già altri sei in arrivo).
Ci si vede a maggio (spero)!!!
Baci.

mercoledì 6 febbraio 2019

Una persona tridimensionale

CINZIA
di Leo Ortolani


Cinzia Otherside è il simpatico trans che compare nelle storie di Rat-Man.
Credevo che il fumetto dedicato a lei mi avrebbe fatto sorridere, come sempre, magari persino sghignazzare o ridere a crepapelle. Ma non immaginavo che mi avrebbe commossa e indotta alla riflessione. Non immaginavo che mi avrebbe stretto il cuore, pur con leggerezza, e scatenato sensazioni profonde. 
L'equilibrio narrativo è perfetto: è una storia comica, ed è divertente. E fa davvero sorridere, sghignazzare e ridere. Ma in mezzo c'è molto di più. 
In mezzo ci sono altri piani di lettura. 
In mezzo ci sono amarezza, sofferenza, bisogno di accettazione, di affermazione, sogni, paure, desideri, e consapevolezza di sé.
Trattati con grazia, con sensibilità, che volendo si possono ignorare, fermandosi al lato spassoso della trama, ma da cui sarebbe un peccato prescindere, perché è lì che sta la vera bellezza del fumetto.
Ed è lì il quid che trasforma una storia amena in una perla.
La miscela è potente e impeccabilmente calibrata: non appesantisce la trama, ma ne esalta le componenti, rendendole uniche, gravide di risonanze e di accenti. Che finiscono per conferire a Cinzia un altro status. Non più un semplice personaggio comico, non più una macchietta ben riuscita, ma una persona tridimensionale e complessa, dolente, ma piena di forza e ottimismo, che, sia come sia, si fa coraggio e chiama le cose con il loro nome.
Imperdibile. 
E – chi l'avrebbe mai sospettato – infinitamente migliore di Rat-Man.

martedì 5 febbraio 2019

Un affresco agghiacciante

HEREDITARY – LE RADICI DEL MALE
di Ari Aster
(2018)


L'horror migliore che ho visto lo scorso anno, benché a MPM non sia piaciuto granché e si sia persino addormentato.
Ma ci si accorge subito che la pellicola è autoriale, ben realizzata, curata nei dettagli (quei diorami...), con un cast valente – tra cui spicca l'espressiva Toni Collette – e una trama che si dipana lenta, ma inesorabile, scomodando temi non troppo sfruttati e sempre suggestivi, che crescono a poco a poco, ma che poi esplodono. 
In effetti in principio, più che come horror, il film si presenta come semplicemente drammatico, con venature oscure. Solo che quando le cose accadono ti travolgono, per crudezza e per imprevedibilità, anche le prime. E persino dopo la scena topica resti lì, allibito, tremante, a tentare di assimilarla. A chiederti se era un sogno o se è successo davvero e a cercare di scacciarla dalle tue pupille (vogliamo parlare della piccola Charlie?).
E poi ci sono tutti quei particolari inquietanti che si sommano gradatamente, fino a che l'affresco si completa e diventa agghiacciante su più livelli, senza fermarsi al filone narrativo, ma scavando più a fondo, nel subcosciente, nell'ancestrale, nel tuo retaggio e nei tuoi ricordi. Così, anche quando la piega soprannaturale diviene inarrestabile e spudorata, noi non siamo increduli. Al contrario: siamo così avvinti dalla trama che ci dichiariamo disposti a seguirla fino in fondo. Nel suo orrore più tragico e irredento. 
É vero, il film non è perfetto. È troppo lungo, e forse alla fine c'è persino troppa roba. Ma l'angoscia che mi ha trasmesso non è finita con il the end. Un po' dura ancora adesso e l'ho guardato oltre un mese fa.
Wow. 

lunedì 4 febbraio 2019

Un microcosmo mostruoso

 UNDERGROUND
di Haruki Murakami


Il sarin è un gas nervino classificato come arma di distruzione di massa.
Il 20 marzo 1995 è stato usato in forma liquida per l'attacco terroristico alla metropolitana di Tokyo ad opera della setta di Aum, provocando morti e feriti.
Murakami ha dunque raccolto queste interviste per far chiarezza, non tanto sugli eventi, quanto piuttosto sulle reazioni umane di chi vi era coinvolto. Come vittima (nella prima parte) o in quanto membro di Aum (nella seconda), non solo il giorno del dramma, ma anche nei periodi successivi.
Nonostante a volte risulti un po' ripetitivo – i fatti, necessariamente, sono sempre quelli – il volume è interessante e coinvolgente e, in un certo senso, riesce nella difficile impresa di far diventare vero un episodio di cronaca. Mi spiego: personalmente un evento di oltre vent'anni orsono, avvenuto in un altro continente, per quanto impressionante e spaventoso, mi appare come fasciato da una patina di irrealtà, almeno se lo leggo sui giornali o ne sento parlare su internet. Mi sembra lontano, remoto. E probabilmente me lo sembrerebbe anche se fosse accaduto oggi in Italia. Così no. A leggere i resoconti di chi lo ha vissuto sulla pelle no. Diventa vero, appunto. Specie perché vere diventano le persone intervistate, in quanto Murakami, prima di dar loro voce, ce le fa conoscere. E la tragedia si coglie così da tanti lati diversi, anche quando le testimonianze sono simili, nella sua immediatezza e nei suoi tremendi strascichi. E si finisce non solo per empatizzare, ma addirittura, in un qualche modo, per essere lì. Per vedere e sentire tutto mentre accade. 
E se la prima parte a tratti è dolce, coraggiosa, e dà forza, oltre che suscitare indignazione e dispiacere per chi è stato meno fortunato, la seconda impensierisce, atterrisce, sconcerta, talvolta rivelando percezioni contrastanti, risvolti abietti e  atroci. Anche riguardo alla Setta di Aum: per alcuni un paradiso spirituale, per altri un microcosmo mostruoso in cui si parla di lavaggio del cervello e tortura.
E alla fine quello che scopriamo è che la verità è molteplice, anche quando è una sola. 
E alla fine underground è la metropolitana, ma anche l'insieme di sentimenti e sensazioni oscure che viaggiano sotto la superficie degli uomini.

venerdì 1 febbraio 2019

Stupendamente ambiguo

YOU


Mancava una serie tv su uno stalker. 
Et voilà: dieci episodi lisci lisci, caratterizzati da buoni dialoghi, qualche buco narrativo (che cavolo, non è possibile che Joe la faccia sempre franca),  ritmo incalzante e una conclusione frettolosa (peccato). Ma soprattutto... da un'ambientazione spettacolare: una grossa libreria di New York. Con qualche godibile riferimento libresco (ad esempio a “Quello che rimane” di Paula Fox, benché, per dire, “Il Conte di Montecristo” che viene regalato al ragazzino Paco, non possa essere quello di Dumas: mica è un romanzetto da trecento pagine, è un tomo considerevole! Ma queste, mi rendo conto, sono considerazioni da nerd...). Ad ogni modo la scrittura ha una parte importante nella trama, dato che la protagonista ha velleità letterarie, e contribuisce a stimolare la visione... Trama che, però, non è originalissima e si basa soprattutto sui personaggi. Ben delineati, a partire dallo stalker (che a tratti incontra persino la nostra simpatia, benché poi finisca per scivolare nell'eccesso indifendibile), stupendamente ambiguo e duplice, e a continuare con Beck, la sua vittima. Sebbene, ammettiamolo, sia vagamente insopportabile e vagamente scemolina. In effetti, la mia prediletta è la sua (perfida) amica Peach. Quasi una caricatura di donna, odiosa, irritante come poche, ma abilissima a far da propulsione alla vicenda. Che però diviene più interessante quando si passa ad altro.
In pratica, non si sta parlando di un capolavoro, non ci sono grandi colpi di scena, e nemmeno grandi colpi di genio, il climax è altalenante, la coerenza pure, per cui se ne può fare a meno. Ma l'intrattenimento è assicurato; i momenti di ristagno sono pochi – e già questa è una gran cosa –, nonostante gli inciampi smielati; le tematiche sottese di grande attualità (la strumentalizzazione malata dei social, il concetto distorto di amore che sfocia nella follia...); i dialoghi – e i monologhi della voce narrante, alias Joe – vivaci, freschi e costellati di umorismo. E di riferimenti gustosi. La violenza c'è, ma si mantiene nel giusto equilibrio: né troppa, né poca, almeno sul piano estetico. E anche se, per altri versi, il sapore è superficiale... si arriva alla fine dignitosamente e senza fatica. Rimanendo delusi, ma non troppo.