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venerdì 30 settembre 2016

Impegnativo, intelligente, accurato

LA FAMIGLIA MOSKAT
di Isaac B. Singer


Che tripudio di vite, di personaggi, di situazioni! Che ricchezza umana!
Questa la bellezza del romanzo, ambientato nella Varsavia tra l'inizio Novecento e la Seconda Guerra Mondiale, che, letteralmente, traspone su carta una numerosissima e vivace famiglia ebrea, con tutti i suoi membri: il patriarca Meshulam Moskat, e i figli, nipoti, cognati, vicini... Con le sue tradizioni, ingenuità, cultura, aspirazioni e credenze... Che fotografa in uno spaccato brulicante e denso di umori, decadenze, amori e frustrazioni, con lo spettro del Nazismo che incombe e si avvicina...
Indubbiamente un capolavoro, impegnativo, intelligente, accurato, ma anche un'opera godibilissima e coinvolgente (specie da che la famiglia perde il suo patriarca e i movimenti divengono più frenetici), descritta con sguardo acuto e minuziosa contezza, ma altrettanta amena semplicità.
Non si corre nemmeno il rischio di smarrirsi con tutti questi nomi, sia perché i personaggi sono magistralmente caratterizzati, sia perché vengono presentati poco alla volta, non sempre con la stessa rilevanza. Alcuni ci colpiranno per simpatia (Abram, in particolare), di altri seguiremo le vicende con partecipazione e scoramento (Hadassah, Adele e quel cialtrone di Asa Heshel), altri si limiteranno ad incuriosirci (Koppel, Masha, Pinnie), ma di sicuro anche loro ci terranno compagnia...
In effetti questo romanzo eccezionale presenta più piani di lettura, più modi per essere approfondito, si presta ad un'analisi storica come ad un approccio corale, così come può essere letto per pura, sana passione narrativa, ma, se devo dire la mia da umile lettrice senza pretese, non posso fare a meno di tracciare un paragone con “La Famiglia Karnowski”, di Singer, ma non di Isaac B., bensì di Israel J. Insomma, non del premio Nobel, ma di suo fratello.
Ebbene, sono entrambi romanzi stupendi, ma capisco come e perché i Moskat abbiano conquistato una “fetta più importante di eternità”. La famiglia Moskat è più variegata, complessa, e ritrae non solo se stessa ma l'intera società ebraica di Varsavia, divenendone l'archetipo. La famiglia Karnowski, invece, si concentra soprattutto (ma non solo) su se stessa e le sue frequentazioni. E' rappresentativa, ma non così tanto.
Però... ecco: del romanzo di Israel amo follemente almeno due protagonisti, che continuerò ad amare per sempre; del romanzo di Isaac ne apprezzo tanti, ma non amo davvero nessuno. Anche tra i beniamini, infatti, scorgo difetti insormontabili che non mi permettono di “perdonarli” o immedesimarmi, e se pure come personaggi sono senz'altro impeccabili, tuttavia un po' li detesto.
Quindi?
Oh, quindi.
Quindi , Nobel o no, i romanzi sono da leggere entrambi.

P.S.
Curiosità: nella versione europea, a quanto pare, manca l'ultimo capitolo... Per recuperarlo bisogna rivolgersi ad Erri De Luca... A proposito, se ne discute altresì ne “Il torto del soldato”...

giovedì 29 settembre 2016

La realtà è molteplice e complicata

SOIL
di Atsushi Kaneko


Di sicuro il manga più interessante che ho tra le mani da mesi: parte come poliziesco, con una famiglia scomparsa, e immediatamente si complica con una ridda di misteri che nulla hanno di ovvio o di scontato... Indaghiamo, approfondiamo, e poi cominciamo ad intuire una soluzione, che in parte cela le sue motivazioni nell'animo umano, ma in parte nel soprannaturale, con teorie suggestive, originali e coerenti, affascinanti di per sé stesse.
La cosa più straordinaria, però, è data dalla non prevedibilità e non banalità sia della costruzione della trama sia della storia stessa che, anche quando fornisce spiegazioni, non delude, ma, anzi, incrementa il tasso di curiosità.
I colpi di scena si susseguono rapidi, a più livelli, dimostrando che tutto quel che vediamo può avere due facce, che la realtà è molteplice e complicata, che al nero si mescola il bianco e in mezzo ci sono più toni di grigio, e sovente le cose non sono come appaiono...
Che la famiglia scomparsa e apparentemente perfetta è odiata da tutti.
Che la cittadina di Soil, apparentemente placida e serena, è un coacervo di fango e melma.
E questo è ancora il meno.
Perché la trama procede arricchendosi, moltiplicando i fili narrativi e le sottotrame, e riuscendo al contempo a gestire tutto, senza perdersi o scordare nulla, corteggiando la fantascienza e l'immaginazione, ma sfumando altresì, talvolta, nell'horror soft, o nella commedia nera, il tutto conservando un ottimo ritmo, che sovente si fa concitato e attanaglia il fruitore.
Interessanti poi, e insoliti per un manga, i disegni: di una pulizia estrema e dal retrogusto quasi americano, più che nipponico, realistico e puntiglioso, con sfondi dettagliati, alla francese, e volti espressivi dai lineamenti marcati, che favoriscono la caratterizzazione.
Solo undici numeri (9 già editi).
Da divorare.

mercoledì 28 settembre 2016

Nel dubbio, si fa casino

CAPTAIN AMERICA: CIVIL WAR
di Anthony e Joe Russo
(2016)


Mmm... Insomma.
Ho preferito il fumetto, che c'entra poco e già non era granché.
Ho preferito “Batman Vs Superman”, che pure mi ha distrutta con quella scena ridicola di Martha...
Ho preferito persino il filmaccio romantico con Kate Hudson che MPM mi ha costretta a vedere ieri, attingendo ad un bouquet di filmacci romantici (penso siamo l'unica coppia in cui è lui che insiste per vedere “Sex and the City 2”, laddove io voto per fingere che non esista).
Okay, non è tutto da buttare: Ant-Man e Spider-Man – in versione similminorenne – sono carini (ma soprattutto Ant-Man, nonostante Paul Rudd). C'è qualche battuta simpatica (di Ant-Man e di Spider-Man, più che altro) e i combattimenti sono abbastanza godibili (specie quelli di gruppo), anche se ogni tanto si nota la computer graphics (beh, MPM la nota, io non ci faccio caso)... ma poi?
Il problema maggiore è dato dalla trama: pretestuosa, inutile, stupida. Sembra che i protagonisti si sforzino per trovare una scusa per darsele... ma senza reali motivazioni. La stessa faccenda delle registrazioni è un po' buttata lì, l'impianto drammatico non regge, il pathos e l'approfondimento psicologico sono nulli, se non incoerenti, sia se prendiamo in esame la storia nel suo complesso, sia in rapporto a tante singole scene (Falcon deve scusarsi perché, essendosi scansato, Visione ha colpito War Machine? Che senso ha???).
Insomma, sto film è un'accozzaglia di azione, effetti speciali, battutine – di per sé anche gradevoli – che però non portano da nessuna parte e, soprattutto, non sono sorrette dalla psicologia dei personaggi, che, anzi, sembrano una banda di schizofrenici impulsivi e psicotici che agiscono spinti da esigenze centrifughe scaturite dal nulla.
Per apprezzare le caratteristiche apprezzabili della pellicola e arrivare in fondo, quindi, bisogna sforzarsi di digerire tanta inverosimiglianza e non è facile, perché urta. Urta essere presi per cerebrolesi che non meritano neanche una sceneggiatura valida. Urta essere considerati alla stregua di imbecilli da imbonire. Il riassunto infatti potrebbe essere: si fa un po' di casino. Si fa più casino. Si fa altro casino. Fine. W la confusione.
Niente emozioni, niente tensione emotiva, il piano narrativo si mantiene sulla superficialità assoluta, suscitando al massimo qualche oh! Di stupore e un paio di sbadigli.
In sostanza non importa neanche che cosa succede o perché, basta che accada (opportunamente condito da effetti speciali e battutine) ma non ha senso.

Allora tanto vale girare degli spot pubblicitari...

martedì 27 settembre 2016

I Peccatori Sfatti del Mondo Parallelo

FANTACALCIO


Ogni tanto mi sorprendo da sola.
Ad esempio mi sono sorpresa quando ho iniziato a dilettarmi con il fantacalcio.
Io odio il calcio: lo considero l'antisport. Giocarlo mi piace e mi diverte (anche se non capita da anni), ma vederlo in Tv mi pare noioso, avvilente e, appunto, antisportivo. Spesso contano più i falli delle azioni. Spesso la strategia dei giocatori è di picchiarsi a vicenda anziché prendersi la palla... O insultare l'avversario fino a che questo non cede alla provocazione e ti picchia a sua volta.
Insomma: tristezza e abiezione plebea.
E noooooiaaaaa.
Ma il fantacalcio... è fanta!!! E, anche se non ci capisco niente, mi diverte concettualmente.
Così quest'anno ho tirato su una squadra.
Si chiama Peccatori Sfatti M.P., dove M.P. sta per Mondo Parallelo (perché limitarsi a Football Club, Società Sportiva o Associazione Calcistica?).
I giocatori cambiano secondo le esigenze di mercato e io li scelgo accuratamente facendomi trasportare dalla magia del loro nome... Come resitere, ad esempio, alla suggestione delle “u”, che sono le mie vocali preferite?
O alla bellezza di un nome armonico come Gregoire Defrel?
Per il resto, ignoro crassamente le loro caratteristiche e potenzialità, né conosco le squadre di appartenenza.
La cosa incredibile, tuttavia, è che, nonostante il mio metodo assurdo, non vado così male come si potrebbe pensare, ed anzi nel gruppo di squadre raccolte da MPM sono stata a lungo settima su tredici (ora, mentre scrivo, sono nona... ma oggi è domenica e in settimana le cose potrebbero migliorare – o peggiorare, sic! –). Se proprio vogliamo dirla tutta, MPM (che di solito è bravino) per un po' è stato dietro di me. Ha ha!!!
Comunque, devo ammettere che non mi dispiace sto fantacalcio... Unica lamentela: la maglia. Ci sono poche opzioni! Io volevo creare per i Peccatori Sfatti una maglia bellissima, multicromatica e decisa, ma... ci sono quattro scelte in croce e mi sono dovuta accontentare di una cosina gialla e viola, con il taglio meno banale tra quelli proposti.
Nemmeno un simbolino ci ho potuto attaccare sopra, modello casate de “Il Trono di Spade”...
Va mu.
Forza Peccatori Sfatti M.P.!!!
P.S.

La squadra di quest'anno del MPM si chiama Milizia Pontificie S.S.... Deliziosa, nevvero?

lunedì 26 settembre 2016

Il respiro del genio

DAVID LYNCH – IO VEDO ME STESSO
a cura di Chris Rodley


Raccolta di interviste che copre oltre un decennio e fa luce sulla poetica di David Lynch a partire dai suoi primi quadri fino a “Inland Empire”, passando in rassegna i suoi film, i suoi pensieri e ovviamente “I segreti di Twin Peaks”, rivelando elementi biografici e personali, come i segreti dei suoi approcci all'arte e curiosi dietro le quinte.
In effetti ho comprato quest'opera perchè, tra i vari registi, Lynch è forse quello che più mi attrae a livello mentale, in quanto lo percepisco come splendidamente ineffabile, e speravo, così, di riuscire ad agguantare qualche frammento interpretativo.
In un certo senso è così, in un altro non lo è.
Quel che è certo è che, complessivamente, il volume – e quindi lo stesso Lynch – offre molto di più, passando presto da interessante ad affascinante e, in un certo senso, aiutandoti persino ad ampliare le tue percezioni, sgominando confini o barriere immaginarie.
Ti arriva al cuore.
Non solo a quello del regista.
Al tuo.
E alla fine è quasi un'esperienza trascendentale, sensoriale, mistica.
Avverti l'occhio del bambino e il respiro del genio e il sapore grumoso del caos, sottile, inquietante. Bellissimo.
Se riesci a rimanere con i piedi per terra, invece (ma come puoi?), ti diverti a esaminare e scomporre le sue opere, sia quelle meramente figurative che le pellicole vere e proprie, osservandole sotto profili inediti, talvolta tecnici, talaltra sentimentali (chi se l'aspettava così tenero e dolce, David Lynch? Così facile alla commozione? E come poteva non esserlo?, rifletto ora...), ed arrivando a comprenderle nella loro essenza più pura, per quanto sì, restino sempre ineffabili.
E certamente la dimensione cambia a seconda che tu il film di riferimento l'abbia visto o meno, te lo ricordi o no, ma non è così determinante: in un certo senso l'affresco lynchano è unico, indi se ne conosci una parte, puoi conoscere il tutto.
Quella che viene offerta, peraltro, non è una mappa: piuttosto la summa vibrante del sentire di Lynch, che induce le vertigini, ma anche brividi freddocaldi di distilati cerebrali.

Superbo.

venerdì 23 settembre 2016

I capolavori kinghiani

STAGIONI DIVERSE
di Stephen King


Si comincia con la primavera e si termina in inverno in quella che, più che un’antologia di racconti, è una stupenda raccolta di romanzi brevi molto differenti fra loro per spirito e tematiche ed, anzi, quasi in contrasto, così che, accostati, oltre ad offrire un panorama vasto e variegato, esaltano le reciproche caratteristiche e le rendono ancora più significative, aumentando di valore: un viaggio pazzesco, che decolla da subito, impenna, plana, e si conclude con un colpo di coda...
E “l’eterna primavera della speranza” sia, dunque, con “Rita Hayworth e la redenzione di Shawshank”, bellissima storia di ambiente carcerario, ironica, incisiva e dotata di una sua struggente dolcezza, di una sorniona ambivalenza, che ci appassiona e stupisce, ed infine ci strizza l’occhio, lasciandoci attoniti, ma soddisfatti e perfino ristorati… Di essa ci piace tutto, specie il modo in cui viene scritta e costruita.
A seguire “l’estate della corruzione”, con “Un ragazzo sveglio”, l’opera più disturbante e quella che, in gioventù, più mi era rimasta impressa: un sadico vecchiaccio ex criminale di guerra nazista viene costretto da un ragazzino di tredici anni, che lo ha riconosciuto ed è ancora più sadico di lui, a raccontagli le sue nefandezze… La domanda è: chi corrompe chi? Vero e proprio racconto dell’orrore psicologico, con molte sfumature e risonanze che un po’ corrompe pure noi...
E poi “l’autunno dell’innocenza”, ossia “Il corpo”, da cui è stato tratto il mio film preferito: “Stand by me – Ricordo di un’estate” di Rob Reiner (1986), con il quale, in un certo senso, il nostro animo viene rimesso in sesto.
Quando ho letto il romanzo, amavo già la pellicola (che presenta un bel po’ di differenze e qualche ribaltamento di ruolo in ordine ai personaggi) e forse per questo (ma forse no) è uno dei pochi casi in cui amo assai di più la trasposizione cinematografica del libro… Ma anche la fonte letteraria è notevole: meno lirica, magari, più cruda, ma ugualmente preziosa, e soprattutto relativa ad uno dei miei argomenti prediletti: l’amicizia e in particolare l’amicizia di quel periodo dorato in cui non si è ancora adulti e che King sa descrivere così bene.
In ultimo “una storia d’inverno”: “il metodo di respirazione”, che, lo dico onestamente, ho del tutto rimosso (a mia esimente, l’ho letto circa venticinque anni fa, ma così gli altri tre romanzi, che invece conservo infissi nella memoria). Rammento solo che lo spunto mi era parso carino e che la storia si leggeva d’un lampo, con piacere (e un po’ d’ansia).

Tra gli indimenticabili capolavori kinghiani.

giovedì 22 settembre 2016

Non il solito bestseller

LA RAGAZZA DEL PARCO
di Alafair Burke


Nel complesso il romanzo mi è piaciuto, e devo ammettere che è scritto con straordinaria fluidità. L’incipit è ottimo, i personaggi resi bene, a tutto tondo, e la trama viaggia alla velocità della luce, facendosi vieppiù interessante, confondendo opportunamente le carte e cambiando spesso prospettiva… Il problema è che la fine con il presunto colpo di scena è prevedibile già a metà volume e questo anche per chi, come me, non è un gran consumatore di gialli/thriller… Naturalmente si può obiettare che è una conseguenza legata all’ineccepibile precisione con cui sono stati descritti i personaggi, ed senz’altro è vero, ma allora io ritengo sarebbe stato più dignitoso glissare ed evitare, semplicemente, il colpo ad effetto: o è eccezionale (e qui non lo è: non solo perché è prevedibile in sé, ma anche perché inflazionatissimo e ormai praticamente scontato) o inevitabilmente banalizza la vicenda… Peccato.
Ad ogni modo nella prima parte il romanzo procede alla grande sia per quanto concerne l’intreccio giallo, con tutti i suoi fili aperti, sia per quanto riguarda i risvolti sentimentali che vi sono in vario modo collegati… Questo forse il vero motivo di interesse dell’opera: il presente sovrapposto al passato, con tutte le sue implicazioni emotive e i numerosi echi: sotto questo profilo, in effetti, la trama è davvero costruita ad arte.
Si badi, non alludo a una vecchia fiamma che ritorna ad avvampare, quanto piuttosto ad un gravoso carico di sensi di colpa, tenerezza e umani errori e alle loro ripercussioni. Non c’è spazio per triti amorazzi rosa, semmai si indulge su strascichi dal sapore amaro, ma autentico.
Sotto il profilo psicologico, per quanto il romanzo rimanga sempre ad un livello leggero e assolutamente digeribile e non opprimente, i sentimenti dei protagonisti vengono infatti indagati con compiutezza e acume, riuscendo a rappresentare sia innocenza e bellezza perdute come la triste disillusione.

E’ a questo livello, a mio avviso, che il romanzo funziona e addirittura si eleva al di sopra del solito best seller da spiaggia. Ed è sempre a questo livello, che, invece, i colpi di scena, per quanto non sorprendenti, danno luogo ad un affresco avvincente, che affascina e stordisce.

mercoledì 21 settembre 2016

Un tenero tocco retrò

WILLOW
di Ron Howard
(1988)


Fantasy della mia infanzia, invecchiato non troppo male, grazie soprattutto alla freschezza dei personaggi e alla circostanza che la trama è, ehi, di George Lucas!
In apparenza i canoni solo quelli tipici del genere: la bella principessa in pericolo, bene contro male, fate, streghe, folletti, e la storia d’amore di contorno…
Ma il tutto costellato e ravvivato da amene particolarità: la principessa è una neonata, l’eroe una canaglia alla Hans Solo, al posto del principe abbiamo un nanetto con famiglia aspirante stregone e pieno di buona volontà (Willow, appunto), mentre la storia d’amore è… burrascosa, ma non nel senso che i due innamorati devono affrontare svariate peripezie per ricongiungersi. Nel senso che, oh, be’… che i due innamorati sono le peripezie… Proprio come Hans e Leila prima che J. J. Abrahms li vituperasse.
Inoltre non mancano ironia e amabile insolenza, ma soprattutto, si diceva, un’ottima caratterizzazione dei personaggi (Madmartigan, Willow e Sarsha in particolare, per tacere di quanto è carina ed espressiva la bimba, Elora Danan) che, in un modo o nell’altro, riescono sempre a sottrarsi agli stereotipi del genere divenendo un mondo a sé, spinosetto e peculiare, sovente in evoluzione (e volendo puoi anche cambiare campo semantico).
E quindi è meraviglioso lasciarsi trasportare da questo film per tutti che, come accadeva nei dorati anni 80, non si limita a intrattenere e incantare, ma emoziona, ci immerge in scene epiche o terrorizzanti, e fa morire dal ridere, cambiando sovente registro…
Anche l’impianto fiabesco, d’altro canto, non è tutto zucchero e miele, ma anche rozzezza, scorzonera e, magari, un puntino di irrisione.

Certo, ormai gli effetti speciali sono datati, ma non dispiacciono e anzi hanno un tenero tocco retrò… Solo la regia risulta forse un poco lentina in certi passaggi, e il film nel complesso un pelino troppo lungo, ma non importa: se l’abbiamo amato una volta continueremo a farlo, se non l’abbiamo mai visto… allora lo adoreremo! 

martedì 20 settembre 2016

Niente principesse in pericolo

LE TORRI DI BOIS-MAURY
di Hermann


Irrinunciabile classico del fumetto, ci regala dieci più cinque storie autoconclusive di stampo storico, ambientate nel Medioevo, con protagonisti sempre diversi e la cui costante principale è il cavaliere Aymar di Bois Maury, costretto ad errare dopo aver perduto i suoi possedimenti...
Più testimone, che protagonista, il vero nucleo pulsante dell’opera è proprio l’epoca storica, post anno 1000, che può essere oscura e brutale, o semplicemente squallida, e che, ricordo, la prima volta che mi ero accostata a questa serie, mi aveva colpita per realismo e spietatezza, per sporcizia e mancanza di riscatto, laddove per me il Medioevo era ancora sinonimo di magia…
Ma qui non abbiamo draghi e principesse in pericolo, quanto piuttosto popolani in difficoltà, povera gente, soprusi e le difficoltà del viver quotidiano, che si avvicendano componendo un quadro che sa soprattutto di precarietà e ingiustizia e in cui siamo contenti, alla fine, di avere almeno un punto di riferimento in Aymar e nel suo scudiero Olivier.
Personalmente, se in principio ero un po’ delusa da cotanta amara barbarie, presto ne sono stata talmente coinvolta da andarmi a comprare i volumi dopo il sesto direttamente in Francia, per non dover essere costretta a rispettare i tempi della pubblicazione editoriale di allora (se non erro, edizioni Alessandro Editore).

Le trame, infatti, avvincenti, varie, sottolineate da disegni riarsi e fatti di asperità, privi di leziosaggini e improntati al realismo (più attenti alle architetture che ai volti, che non esito a definire brutti, per quanto espressivi), sono imperniate su ottime ricostruzioni storiche, che, tuttavia, sanno essere creative e narrativamente stimolanti, incentrandosi di volta in volta su un disgraziato individuo appartenente alla miserabile fauna umana, senza ridursi alla pedissequa didascalia di un’epoca.

lunedì 19 settembre 2016

Una bolla in cui rifugiarsi

BILLY
di Whitley Strieber


Godibile e ansiogeno thriller psicologico, molto approfondito, che avrebbe potuto essere davvero atroce, ma che ha scelto di limitarsi all’intrattenimento senza – per fortuna – sfociare nella morbosità malata o anche solo nell’horror vero e proprio.
Il romanzo, infatti, racconta di questo maniaco, Barton (non proprio un pedofilo, ma neanche troppo lontano da esso, patetico quanto astuto) e del bambino (Billy, appunto, un ragazzino dolce e buono, che, tra l’altro ha la passione per Franz Kafka e la scrittura) che costui rapisce e tortura, come numerosi altri ragazzini prima di lui…
Personalmente è il non detto l’elemento che più mi ha indotta a sussultare: ad esempio, sappiamo già che le altre piccole vittime sono state uccise, ma temiamo come e in seguito a che cosa...
Per il resto, lo ripeto, gli eccessi sono contenuti e puramente funzionali alla trama, la quale, dal canto suo, oltre a scorrere abbastanza rapida, è incentrata soprattutto su eccellenti tensioni di ordine psicologico, legate sia all’affanno dei genitori di Billy (parte, questa, che avrei preferito veder scorciare), sia ai progetti e ragionamenti di Barton - uno degli elementi che più mi ha fatto accapponare la pelle è la distorsione tra sue le percezioni e la realtà – sia, naturalmente, alle paure del bambino, che è senz’altro intelligente e ingegnoso, ma altresì sperduto e ingenuo…
Già nelle prime pagine, quando il rapimento non è stato ancora compiuto, cominciamo a tremare, per avviarci presto in un’escalation di suspense che a tratti ci parrà quasi claustrofobica. E tuttavia il sapore ricercato della narrazione ci permetterà di andare avanti rispettandone il ritmo (peraltro veloce), senza essere costretti a sbirciare il finale per sapere se avremo o meno diritto ad un happy end, nel senso che, in un certo qual modo, saremo rassicurati e consolati dallo stile di Strieber, preciso, minuzioso, ma altresì sfumato quando deve esserlo.
L’autore, infatti, oltre a soffermarsi sulle “cose brutte”, alternando i punti di vista riesce a ricostruire una sorta di bolla in cui rifugiarci, e in cui, in qualche modo, seppur per qualche momento appena, potremo trovare scampo alla tragicità della situazione.

Un buon romanzo, dunque, che magari non resterà negli annali, ma che intrattiene senza esitazioni.

venerdì 16 settembre 2016

Here We Go Again

PERIODICITA’ REGOLARE


A partire da domani, quindi, si ricomincia con i soliti cinque post a settimana; week-end libero.
Il che significa che questa volta imbroglio, ossia mi prendo due giorni di pausa extra.
Buon per me!
In quanto ai raccontini…
Sono arrivata a 17 approvati da MPM, quindi me ne mancano 6. In realtà ne avrei anche scritti i più, ma gli altri sono stati bocciati, sniff. Non ingiustamente, peraltro, tranne che in un caso (“Il segreto per viaggiare in treno”), in cui sono stata tacciata di razzismo, laddove invece non ho inventato niente, limitandomi a riportare quel che è oggettivamente accaduto. Ma giacché il mio editore (come buona parte del mondo) è vittima del politically correct... Amen.
Tornando a quelli buoni, comunque, mi urge fare una precisazione: ne ho fatti leggere un po’ in giro, ed in particolare alla Scimmia, che si è lamentata perché a suo parere non erano all’altezza dei precedenti.
Al che sono andata in crash, temendo di aver effettivamente perso lo smalto. A me piacevano, ma può forse uno giudicare in modo critico il proprio lavoro ? Di solito no (a parte in merito alle infondate accuse di razzismo)… Quindi mi sono rivolta al Mio Perfido Marito, che è anche il Mio Perfido Editore, e gli ho chiesto di essere spietato.
Mon amour mi ha rassicurata, e mi ha spiegato che la qualità dei miei racconti è rimasta invariata, ma, vuoi perché sono passati anni, vuoi perché sto attraversando un momento diverso della mia vita, quelli attuali risultano differenti. Non c’è più, infatti (almeno fino ad ora), quella vena grottesca che permeava i vecchi, così come va riducendosi la componente “malata”... piuttosto si intravedono sfumature nuove, che sono un altro riflesso di me e che, a parere del mio dolce consorte, non sono meno interessanti.
Ecco, lo specifico per trasparenza.
Al di là di ciò, sono contenta di aver scelto per quest’estate un’opzione più leggera del solito romanzillo: mi rendo conto, infatti, che non sarei proprio riuscita a tirarlo giù: troppo stanca, circuiti mentali instabili… ma confido nell’anno prossimo!
D’altro canto, da qui a giugno 2017, ho tutto il tempo sia per completare la seconda antologia di Raccontini (che sto pensando di definire “in via di guarigione”), sia per elaborare le linee guida (già sommariamente abbozzate da mesi) della mia prossima operuccia. W!!!
Baci, e a lunedì!
P.S.

Dato positivo in questo lasso agosto di pigrizia: ho letto più del solito! Olè!

mercoledì 14 settembre 2016

Una Family non così Modern

LIFE IN PIECES


Serie Tv sul falso modello di “Modern Family”, suddivisa in episodi brevissimi, ed incentrata su quattro nuclei familiari, che sostanzialmente sono uno enorme: costituito dai nonni (Dianne West e James Brolin) e dalle famiglie dei loro tre figli: Heather (Betsy Brandt), casalinga con marito medico e tre ragazzini tra i 16 e i 10 anni circa (Tyler, Samantha e Sophia, la più piccola, irresistibilmente precoce); Matt, che vive nello scantinato dei suoi ed è fidanzato con Colleen; Greg (Colin Hanks), sposato con Jen (Zoe Lister-Jones) e neopapà di una bimba, Lark...
Insomma, una sitcom meno “modern”, ma ugualmente “family”, più classica in quanto a soggetti rappresentati (niente strabordante sposa trofeo, niente coppia gay, niente adozione...), ma più peperina in quanto a tematiche... Anche perché, a vedere tanti episodi di seguito, ci si rende conto di come i membri di questa famiglia, per quanto apparentemente rispettabili e “normali”, siano in realtà un po' beceri, sebbene, naturalmente, ci si voglia sempre bene e, in fondo in fondo, si possa pure arrivare a scusarli... più o meno.
In linea di massima si alternano risate e sorrisini, non ci si spancia, ma ci si rilassa e si sta volentieri in compagnia di questi personaggi che hanno il pregio maggiore nel combinare insieme i propri caratteri in modo riuscito e nel creare – disfunzionalità marginali a parte – un ambiente simpatico e, nonostante tutto, sereno. Le situazioni in cui di volta in volta incappano sono abbastanza ordinarie (anche se i personaggi di contorno sono parecchio esasperati), e di solito si cerca, per ogni episodio, un finalino arguto, o quanto meno ironico, che fa pensare un po' ad un siparietto.
Se questa strategia narrativa per forza di cose infligge una certa frammentarietà alla serie, al contempo evita ristagni e momenti morti, permettendoci di concentrarci più agevolmente sui singoli nuclei familiari, almeno quando non si opta per l'evento di gruppo, che non manca mai e di norma risulta assai gradevole.
Peraltro la sitcom non è priva di continuity, per cui, sebbene alcuni episodi facciano stato a sé, conviene rispettare l'ordine delle puntate.

A spiccare nel cast, oltre ai due capostipiti, la bravissima e talvolta pungente Zoe Lister-Jones, dalla fantastica mimica facciale, e Giselle Eisenberg, nei panni della piccola e serissima Sophia.

lunedì 12 settembre 2016

Fantasie pittoriche e poetiche

IL LIBRO DEI SIMBOLI
Ed. Taschen


Uno di quei libri che quando incontri ti fulminano per la loro curatissima estetica: copertina rigida, opportunamente spessa, un miliardo di illustrazioni a colori, ricercate e non di repertorio, comodissimi segnalibri in stoffa, e una “gestione delle pagine” pratica e intelligente...
Io sono una discreta consumatrice di dizionari e opere sui simboli, ma devo dire che anche in quanto a contenuti questo volume è davvero peculiare: attentissimo alle suggestioni artistiche, non ha interesse a procedere secondo canoni divulgativi, invece mira ad incantarti, quasi avesse lo scopo di aiutarti a trovare il “tuo” simbolo, piuttosto che limitarsi ad erudirti su quelli già esistenti.
Non ti scarica addosso degli input, invece ti guida attraverso fantasie pittoriche e poetiche, facendoti immergere a poco a poco nella dimensione complessa e ambivalente di ciascun archetipo, aiutandoti a coglierne aspetti positivi come negativi, il tutto con estrema placidità e dolcezza.
Alcuni passaggi sono effettivamente pura, serena bellezza, e le stesse immagini, non sono corollario, ma vero e proprio completamento di ogni definizione, i cui confini sono tra l'altro amplissimi.
In quanto alla suddivisione strutturale è un po' bizzarra: niente ordine alfabetico, ma una sorta di fluido percorso per argomenti, che affronta i vari argomenti procedendo per corrispondenze, assonanze, echi e incanti...
Le singole voci (alcune piuttosto insolite, altre classiche) sono di per sé abbastanza esaurienti, anche se non sempre, ad esempio, si peritano di spiegare i miti di riferimento in modo dettagliato, assumendo, io credo, di rivolgersi a persone già esperte. Di fatto, tuttavia, l'opera è fruibile anche dal profano, soprattutto perché i suoi intenti, ribadisco, non sono non immediatamente riconducibili all'informazione, ma più improntati ad un vasto discorso di approfondimento e incanto.
C'è, questo sì, qualche mancanza (ad esempio, viene ignorata la croce, che, tra l'altro, è uno dei simboli più rappresentativi e complessi), per contro, però, si fa molta attenzione a riferimenti a campi quali psicologia, filosofia, etimologia... Quindi può capitare, facendo un confronto con opere simili, che non si trovi un concetto “tradizionale”, ma che si scopra un'infinità di nozioni nuove.

In quattro parole: originale, sui generis, stupendo.

sabato 10 settembre 2016

All'apice dell'estetica miyazakiana

LA CITTA' INCANTATA
di Hayao Miyazaki
(2001)


Lungometraggio animato eccezionale, almeno se lo si vede nell'era ante Cannarsi. Diversamente le traduzioni irritanti e pregne di umorismo involontario dell'estimatore del mondo nipponico, vuoi pure più fedeli all'originale, ci porteranno, purtroppo, fuori strada, sacrificando parte dell'indiscussa bellezza della pellicola.
Dal punto di vista estetico, peraltro, siamo all'apice, sia per cromatismo, che per ricchezza di immagini, disegni e immaginazione. Le scene pullulano di eventi, in primo piano come sullo sfondo, e, in generale, si resta paralizzati dall'incanto, non sapendo dove guardare ed avendo la tentazione di fermare il film di continuo per non rischiare di perdere nulla, inclusi i riverberi dell'erba, poiché ogni filo splende singolarmente.
Nemmeno a livello di trama restiamo delusi: addentrandoci in un romanzo di formazione in bilico tra fantasy e sentimento, assistiamo alla maturazione di Chihiro, una ragazzina di dieci anni che, a causa del comportamento sconsiderato dei genitori, si ritrova a dover lavorare in un complesso termale per spiriti, rischiando di smarrire la propria identità...
Se in principio tutto appare difficile e ostile (eccetto che per Haku, un personaggio ambiguo e fascinoso che riconoscendo la bambina decide di esporsi per lei) presto le cose miglioreranno: la piccola imparerà il mestiere e saprà destreggiarsi e conquistare amici, laddove gli stessi nemici dimostreranno di avere anche un'altra faccia...
Mentre noi ci troveremo sempre più avvinti da questo mondo fantastico, dai suoi personaggi incredibili e dalla sue regole, che per certi versi potranno apparirci sottilmente inquietanti, ma che per altri ci indurranno semplicemente a desiderare di essere lì.
Infine, non mancano il tema ecologico, tanto caro al regista, le critiche al capitalismo e l'abbozzo sentimentale, ancora implume, e per questo ancora più tenero e romantico, con i protagonisti innamorati, ma troppo giovani per sapere di essere qualcosa di più che amici.

La fine, quella sì, potrebbe apparire un po' amara, un po' incompiuta, laddove sarebbero bastati solo altri cinque minuti per infonderle un significare diverso, ma personalmente ritengo vada bene così, mantenendo l'incanto dell'infanzia, lasciando allo spettatore, se vuole, l'onere di immaginare una conclusione più soddisfacente in senso classico della vicenda “amorosa”.

giovedì 8 settembre 2016

Solidarietà e coraggio

LA RABBIA E L'ORGOGLIO
di Oriana Fallaci


Un libro diretto, privo di filtri, che mi ha spiazzata per bellezza stilistica e forza verbale, e che più che rabbia e orgoglio, a mio avviso, denota passione bruciante... Che sarà pure fomentata dall'ira, ma è così pura, vivificante e intensa, che risplende, e comunque si dimostra capace di soffermarsi altresì su sentimenti positivi, come solidarietà e coraggio.
Uno svolgimento più concentrato rispetto a “Niente e così sia” (il mio solo termine di paragone di recente lettura fra le pubblicazioni della Fallaci), più organico, e per questo più incisivo.
La prima parte, soprattutto, mi ha colpita: quella che, volente o nolente, con tutte le criticità che rappresenta, ti porta non solo a solidarizzare – com'è inevitabile, giusto e naturale – ma soprattutto ad ammirare e invidiare il patriottismo americano, specie se, come me, di patriottismo non ne hai per niente, neppure quando l'Italia gioca i Mondiali di calcio o partecipa alle Olimpiadi.
Personalmente, infatti, sono più incline a tenere per un'altra squadra. Magari una qualsiasi. A prescindere.
Ma mentre leggo le pagine della Fallaci, prima, crude e incendiate, sul dolore causato dalla distruzione delle Torri Gemelle, poi, dolcissime, sulla testimonianza del bambino che saprà sempre orientarsi a New York, anche se il suo punto di riferimento è stato distrutto, in quanto gli basterà chiedere a qualcuno, certo che ad ogni modo verrà aiutato... Ecco, per quanto nel profondo dell'animo mi sia sempre sentita un'aspirante francese (principalmente per via dei fumetti), mentre leggo le pagine della Fallaci quasi quasi vorrei essere americana.
E si badi, non sto facendo un discorso politico – è più forte di me, la politica mi annoia a morte, la misconosco e mi sembra solo un infinito blabla in cui le cose dette non corrispondono alle cose effettive, e ci sono solo veli di Maya sovrapposti a veli di Maya, alla Schopenauer elevato a potenza –, ma solo un discorso umano.
Poi c'è la seconda parte, quella definita profetica, sull'Islam. E qui mi ha sorpresa la coerenza con cui vengono sviluppate le premesse e con cui ogni passaggio viene argomentato in modo convincente e sincero.
C'è chi ha tacciato questo libro di essere uno sfogo razzista, ma, come direbbe la stessa Fallaci, come si può essere razzisti verso una religione?
C'è chi ha sostenuto che questo libro abbia diffuso odio, ma a me sembra che il messaggio sia diverso, ossia un invito a chiamare le cose con il loro nome, senza nascondersi dietro il politically correct per paura di essere tacciati, a propria volta, di razzismo, sia pure gratuitamente, avendo il coraggio fino in fondo del proprio pensiero.

Con tutto che poi, purtroppo, ci sono pure quelli che semplicemente il pensiero non ce l'hanno, ma, invece di ammetterlo, seguono le mode, sposandole ciecamente, senza spirito critico, come dogmi, solo per non sentirsi stupidi o esclusi. O politicamente scorretti.

martedì 6 settembre 2016

Un gioco di specchi

IL MONDO ESTREMO
di Cristoph Ransmayer


Romanzo originalissimo, che mescola realtà e fantasia, mitologia greca e mondo attuale, creando, in un'atmosfera di sospensione esterrefatta e titanica, una serie di corrispondenze che straniscono, intrappolandoci in una tela di illusioni e tragedie dai contorni indefiniti.
All'inizio ho faticato ad entrare nell'ottica: queste reinterpretazioni mi confondevano e mi sembrava di perdere i miei appigli... Anche lo stile, potente, denso di afflati poetici, ma assai descrittivo, mi disincentivava...
Ma presto, appena ne assimiliamo il ritmo, la prosa diviene un fiume in piena, un flusso costante, dal frasario ricercato, di cui non possiamo più privarci... E pure le vicende, che si dipartono dalla ricerca del poeta Ovidio da parte dell'amico Cotta, per intrecciarsi ai drammi, talvolta feroci e spietati, dell'isola di Tomi, in cui il poeta si è rifugiato, una volta esiliato da Roma, a poco a poco ci sedurranno... Gli abitanti di Tomi, oltretutto, ricalcano i protagonisti delle Metamorfosi, opportunamente traslati e rivisitati, e le loro cruente, selvagge infelicità.
Eppure molto si discosta dai nostri ricordi scolastici o successivi, alcuni miti vengono rielaborati attraverso proiezioni cinematografiche, non mancano fotografie, ma nemmeno riferimenti all'epoca augustea, tuttavia anch'essa rimaneggiata...
In fondo al volume, inoltre, spicca un preziosissimo dizionarietto, che non solo ci aiuta a raccapezzarci tra gli innumerevoli personaggi, ma pure a confrontare variazioni e fonti, in un gioco di specchi che sarà divertente ripercorrere persino in ordine alfabetico, una volta portata a termine la narrazione.

Un'avventura davvero peculiare, che ne contiene molte altre, e che si fa più avvincente con l'approssimarsi alla sua conclusione.

domenica 4 settembre 2016

Varietà e immaginazione

AMERICA'S BEST COMICS
di Alan Moore


Ovvero ABC.
Ovvero un marchio editoriale della Wildstorm che pubblicava storie di Alan Moore (cit. Wikipedia), affiancato da svariati – ma ottimi – disegnatori.
Ovvero una stuzzicantissima rivistina all'insegna della varietà e dell'immaginazione, che compravo ai tempi dell'università, contenente alcune serie bellissime, ed altre che mi piacevano meno.
Le affronto in ordine di preferenza, lasciando fuori “La lega degli Straordinari Gentlemen”, che in Italia è uscito a parte, e che, pertanto, considererò (in futuro) come opera a sé...

Promethea – Supereroina metafisica, esoterica e immaginifica, protagonista di un fumetto pazzesco, complesso, dai significati escatologici e pluristratificati, che accultura, stimola, ed esalta, tra magia, simbolismo e ammiccamenti. Impegnativo, ma senza eccessi e molte strizzate d'occhi. Imperdibile!

Top 10 – Ambientato a Neopolis, ove tutti hanno superpoteri, anche i passanti, racconta le vicende del Distretto di Polizia, ed in particolare dei due protagonisti, un omone ipermuscoloso e una dolce ragazzina bionda, ma da non sottovalutare... Divertente, un po' commedia, un po' noir, con personaggi umani, nonostante tutto, che vantano una buona alchimia tra di loro e un buon tasso di meraviglia e affezione!

Tom Strong – un ibrido riuscitissimo tra Tarzan, Superman e Doc Savage, stracolmo di citazioni (che il più delle volte percepivo, ma non riuscivo ad identificare, perdendo così parte dello spasso) all'insegna di avventura, fantascienza e misteri goduti in famiglia, ma... se le prime due testate mi esaltavano a morte, il mio giudizio su Tom Strong, per quanto adorassi il suo fan club, è decisamente più tiepido.

Tomorrow Stories – Bizzarre e brevi vicende sul demenziale andante... Tra queste, J. B. Quick, bambinaccio geniale con il pallino delle invenzioni assurde, mi deliziava, mentre trovavo gradevole First American & U. S. Angel, e mal tolleravo tutte le altre (probabilmente anche qui c'erano riferimenti che non coglievo), ossia Cobweb, Greyshirt e Splash Brannigan.

P.S.

La rivista uscì per l'editore romano Magic Press dal 2001 al 2006, al momento invece i diritti sono in mano alla Lion di Novara che ne ha riproposto le storie in volumi monografici di grande formato...

venerdì 2 settembre 2016

Vecchio Ponzi

IL RACCONTO DI M.M.


Vale a dire di un lettore che ha avuto il coraggio di proporsi (per quanto, al momento, preferisca essere indicato con le sole iniziali)...
Per i miei gusti ci sono un po' troppe parolacce, ma non sono fini a se stesse, indi evito di esercitare il mio diritto alla censura.
Lascio, dunque, la parola al nostro narratore, precisando solo una cosa (più che altro perché ad una prima lettura io avevo frainteso il senso del testo e c'è voluto MPM per aiutarmi a cogliere la giusta sfumatura): l'incubo in oggetto è quello di un lettore di fumetti DC, che, come tale, odia la Marvel. Deadpool e Spiderman sono fumetti Marvel.



Incubo (di un fan DC) di una notte di mezza estate

Il vecchio Ponzi se ne stava seduto sulla carrozzina, immobile. "Sti cazzi" direbbe qualcuno, è paralizzato dalla testa ai piedi, per forza che è immobile. Poteva muovere solo gli occhi e il dito indice della mano destra. Fosse stato il medio, avrebbe almeno potuto mandare a fanculo la gente.
La carrozzina era posizionata davanti alla tv, sintonizzata sul canale 303, che trasmetteva tutte le partite di calcio, compresi i commenti degli esperti.
L'orologio segnava le 13:55. Erano le 07:30 quando la domestica lo aveva lavato, vestito, fatto accomodare sulla carrozzina e preparato per la giornata.
Erano sei ore, sei fottutissime ore che stava davanti a quel dannato schermo, guardando 22 uomini correre dietro a un pallone.
Il vecchio Ponzi sentì sbattere la porta d'ingresso. I suoi 2 nipoti erano tornati da scuola.
«Ehi Carmen, ho una fame allucinante! Quando si mangia?»
«È quasi pronto, Señor, manca poco» rispose Carmen, la domestica messicana arrivata clandestinamente da Tijuana.
«Sarà meglio. Quante volte ti ho detto che quando torno voglio trovare tutto pronto? Cazzo, quanto odio sti messicani di merda!»
Il nipote n°1 andò in sala, lanciò lo zaino sulla poltrona e se stesso sul divano. Il nipote n°2 lo imitò.
«Allora, vecchio, come te la passi? Hai fatto qualcosa di interessante oggi? Visto gente, fatto cose...»
I due nipoti ghignarono maligni.
«Ah, beato te che puoi restartene qui tutto il giorno a grattarti le palle e guardare le partite!»
«Cazzo dici! Non ti ricordi cosa ci ha detto quel coglione di nostro padre? Che il vecchio qui non guardava lo sport, ma i cartoni animati e leggeva i fumetti.»
«Porca troia, è vero! Eri proprio un
ritardato, nonnino, lo sai vero? Invece di pensare al calcio e alla figa guardavi i cartoni e leggevi i giornalini. Cristo, come un bambino! Che pena...»
Il nipote n°2 iniziò a scaccolarsi, infilando l'indice nella narice più in su che poteva. Poi, dopo aver fatto una bella pallina perfettamente sferica con il ricavato della ricerca, lanciò la caccola in testa al vecchio Ponzi.
I due nipoti risero sguaiatamente.
«Ehi, pensi che in cantina ci sia ancora tutta la roba del vecchio?»
«Certo che c'è! Ho visto gli scatoloni l'altro giorno.»
«Allora vai a prendere fucile e pallini di ferro, così facciamo tiro al bersaglio con tutte quelle puttanate da collezione!»
«Cazzo si! E poi facciamo un falò con i fumetti, e ci mettiamo su i marshmallow!»
I due nipoti erano in fibrillazione, come animati da un fuoco crudele.
Il più piccolo era già fuori dalla porta, mentre il più grande era ancora in salotto.
«Non ti dispiace se usiamo la tua roba, vero? Intanto a te non serve più» disse dando due pacche con la mano aperta sulla testa pelata del vecchio Ponzi, per poi uscire e raggiungere il fratello.
Carmen, che provava pena per quel povero uomo, e che sapeva della sua passione per i supereroi, decise di provare ad alleviare un po' il suo dolore.
Prese il telecomando, cambiò canale per sintonizzarsi sul 707, che trasmetteva cartoni d'epoca per bambini. Lei lo conosceva perché lo metteva sempre per il suo nipotino Pedro, quando la domenica la andava a trovare.
Carmen diede una carezza al vecchio Ponzi, e tornò in cucina.
Dagli occhi stanchi di quell'uomo ormai logorato dalla vita, scese una lacrima che gli rigò la guancia, e che terminò la sua corsa sullo scialle in cui era avvolto.
La voce del presentatore che annunciava i cartoni in procinto di iniziare uscì limpida dalle casse audio.
"Va ora in onda le avventure del dinamico duo: Deadpool e Spiderman, i superamici!".