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martedì 31 gennaio 2017

"Carino" non è abbastanza

TRIGGER WARNING
di Neil Gaiman


Se ho impiegato così tanto prima di recensirlo è per che, ancora una volta, non mi ha entusiasmata.
Mi dispiace, adoro Neil Gaiman, e nel complesso molti racconti sono davvero carini… ma carini non è abbastanza per Neil, almeno per come ho imparato a conoscerlo io.
“Trigger Warning”, infatti, è un’antologia di storie brevi e brevissime, di matrice fantastica (nella sua accezione più ampia e favolosa) in cui, però, spesso le idee alla base (o talvolta i lorio sviluppi) non sono eccezionali, se pur di pregio, ma prevedibili e già inflazionati, e gli unici elementi di rilievo (certamente tutt’altro che trascurabili, al contrario, rivelatori della circostanza che siamo al cospetto di uno Scrittore con la maiuscola) sono l’atmosfera impeccabile e l’originale modo di narrare (addirittura, ad esempio, a mezzo di un questionario).
Come sempre non tutto il materiale è inedito in Italia, e ci sono alcune questioni relative alla traduzione davvero atroci (nella storia del Doctor Who si parla deLLA Tardis!!! Misericordia!!!!!!!!!!!!!!!!!! Viene voglia di correggere a penna).
Per il resto, una delle parti migliori, è senz’altro l’introduzione, con la spiegazione del titolo (di per sé azzeccatissimo e arguto) – e il cui sottotitolo è “leggere attentamente le avvertenze”, indi attenzione ; ) – e quella specifica per ciascun racconto, non solo perché lo impreziosisce creando contesti e retroscena, ma soprattutto in virtù di quel che Gaiman ci confida di sé, riqualificando le sue storie con nuovi chiaroscuri.
A questo proposito, mi sono piaciuti: “Le niente e in punto” (quella del Doctor Who, si diceva: stupenda, nonostante lo svarione), l’almanacco dei racconti (un divertissement strepitoso) e ho trovato commovente e dolcissimo l’omaggio a Ray Bradbury…
Da segnalare, inoltre, il graditissimo ritorno del nostro Shadow di “American Gods”, questa volta nel suggestivo “Cane Nero”.

lunedì 30 gennaio 2017

Critica televisiva ragionata

GUIDA AI SUPER ROBOT
di Jacopo Nacci
Dal 1972 al 1980


Superbo ed appassionante esempio di critica televisiva ragionata: non si limita ad identificare il genere e a sciorinare dati, piuttosto scandaglia con acribia i tratti comuni dei vari cartoni animati (funghi atomici, revanscismo, il gruppo a tre o a cinque membri…) indagandone le sottese motivazioni storico-culturali, se non addirittura profondendosi in stimolanti analisi psicologiche, studiando la poetica dell’anime come l’evoluzione dei singoli elementi che lo compongono. 
La trattazione è precisa: comprende riassunto dettagliato, caratteristiche tecniche, ma soprattutto, per ogni cartone, opera confronti e sottolinea corrispondenze, ragionandoci su, individuando, talvolta, più livelli narrativi, sottotesti, implicazioni.
L’argomento è dunque sviscerato con serietà e impegno, tuttavia ricorrendo ad un linguaggio colloquiale, ma non approssimativo, ed anzi, non ho ravvisato quello che di norma è il maggior difetto di tante guide e saggi: la ripetizione ossessiva delle stesse quattro parole. Qui invece la terminologia è ricca, variegata, e il discorso scorre fluente e naturale.
La lettura, quindi, risulta essere un vero piacere, sia per quanto concerne la disamina di serie che si ricordano bene, sia in relazione a quelle che magari sono rimaste impresse, ma nei cui confronti si ha l’occasione di colmare lacune sensibili, sia in merito a quelle saghe che si tende a confondere e per cui era necessario fare il punto (ora so con esattezza che differenza c’è tra Mazinga Z e il Grande Mazinga, e quali sono i rapporti fra Jeeg e Goldrake… Mi si dirà: eresiaaaa!!! Ma, ehi, io all’epoca non avevo nemmeno iniziato le Elementari, per cui non mi rompete!)…
Vengono inoltre prese in considerazione, induttivamente quanto deduttivamente, seguendo la prospettiva cronologica, diverse tematiche assai affascinanti, quali, ad esempio: la cosmogonia dell’orfano alieno (monistica e dualistica), l’evoluzione della figura femminile, le commistioni politiche, mitologiche e fantascientifiche, la psicologia della squadra, simbolismi e allegorie, il progressivo superamento del nippocentrismo…  ma altresì questioni quali l’arroganza morale di Haran Banjo (eroe mosso dall’odio e non dall’amore – e chi ci aveva mai riflettuto? –) o l’umanesimo di Daltanious, o un raffronto ragionato tra Zambot 3 e Daitarn 3!!!
In ultimo, la guida è corredata da foto in bianco e nero e da un bell’inserto a colori…
In una parola? 
Spaziale!!! 

venerdì 27 gennaio 2017

Siamo tutti frangibili

PERFETTI SCONOSCIUTI
di Paolo Genovese
(2016)


Un film che mi ha colpita tantissimo: duro, antipatico, pruriginoso, che tuttavia evita la vuota ordinarietà che rasenta nei suoi presupposti grazie al geniale colpo di scena finale, che in apparenza salva la trama dal tracollo, sottraendoci ad una conclusione vera e propria, ma in realtà rende il contesto ancora più squallido, vile e drammatico, bloccato in un’impasse che ha il sapore stantio dell’ipocrisia e che, ahimè, è destinata a rimanere così. E come tale ancora più infame.
La vera forza della pellicola, dunque, sta proprio nella sceneggiatura, con dialoghi serrati che variano dal volutamente banale al divertente, ma che sono soprattutto lo specchio delle relazioni false e disfunzionali dei protagonisti.
I perfetti sconosciuti del titolo, infatti, sono un gruppo di amici di vecchia data che si ritrovano come di consueto per una cena e quattro chiacchiere. In apparenza la classica compagnia affiatata e simpatica appartenente alla media borghesia, in cui ci si conosce da una vita e si ha condiviso tutto. Poco sotto la superficie, però, solo un becero insieme di gentaglia che più meschina, maligna e superficiale non si può.
Ognuno, infatti, nasconde almeno un segreto e l’escamotage per farlo emergere è condividere pubblicamente con la tavolata qualsiasi comunicazione si riceva sul proprio cellulare (e già dalla mancanza di riguardo per gli ignari interlocutori telefonici si evince quanto egoisti, immaturi e irrispettosi siano costoro).
Può sembrare un presupposto poco credibile, pretestuoso, così come altri passaggi nel prosieguo, ma la verità è che alla luce della pochezza dei protagonisti e delle malate dinamiche che li accomunano risulterà invece coerente che ci si comporti così e in modi persino peggiori.
Com’è logico, infatti, verrà fuori di tutto: corna, menzogne, omissioni, in un’escalation di miserie umane. Alcune, tutto sommato, quasi comprensibili, altre sinceramente imperdonabili. Tra tutte, benché possa apparire poca cosa in confronto a matrimoni saltati e amicizie rinnegate, quella che ho trovato più fastidiosa e imperdonabile è la premeditata e abituale esclusione di uno dei membri del gruppo dal gioco del calcetto, ovviamente alle sue spalle, nemmeno si capisce bene perché… Esclusione che tuttavia è rivelatrice di come i rapporti tra questi cosiddetti amici siano invece edificati su opportunismo e convenienze.
In conclusione, una pellicola interessante, non tanto per la resa tecnica o stilistica, e in realtà nemmeno per la trama, che resta comunque abbastanza vicina al cliché ed evita di approfondire o di creare spessore, quanto piuttosto perché stimolante a livello di implicazioni morali e spunti di discussione: c’è di tutto, come si diceva (rapporto con la prole, sesso, omosessualità, il senso ultimo di figliare, la difficoltà della convivenza, il significato del matrimonio…) e sempre in chiave polemica e bacchettona. Unica grande assente, guarda caso, è proprio lei: l’amicizia.
Ma, appunto per questo motivo, viene voglia di riflettere anche su di essa.

P.S.
Sovente, quando guardiamo un film, MPM mi accusa di vederne un altro, nel senso che è mia abitudine interpretarlo liberamente e dargli altri significati che non c’entrano nulla con quello che di fatto ho davanti. In effetti, a rileggere il post a distanza di qualche giorno, mi rendo conto di averlo fatto anche questa volta.
La morale di “Perfetti Sconosciuti” non è: guarda e compiangi questi miserabili, destinati, a causa dell’ignavia del protagonista, a rimanere nella loro bolla di cacca nonostante siano stati smascherati dinanzi a noi.
La morale del film è: “siamo tutti frangibili” quindi accettiamo l’ipocrisia che ci aiuta a tirare avanti. In teoria lo spettatore si dovrebbe immedesimare, riconoscendosi in questa precarietà di equilibri. Ma, mi dispiace, io proprio non ci riesco. E no, in realtà nemmeno mi dispiace: questi tizi che ci vengono presentati non sono frangibili, sono schifosi, spregevoli, vili.
Sarà che io ho sempre rifuggito le compagnie e le loro dinamiche perverse, preferendo coltivare rapporti con singoli individui altamente selezionati (che per comodità, magari, incontro in gruppo) ma… come si fa a immedesimarsi in gentaglia simile? E, intendiamoci, io non punto il dito contro corna, bugie e tradimenti in sé – che nel film vengono proposti come l’elemento più eclatante – le quali riguardano semmai le ragioni e le situazioni delle coppie, piuttosto ce l’ho con questi infami anafettivi e senza valori che, grazie a Dio, non sento come rappresentativi né di me né delle persone che frequento. Perciò no, non accetto nemmeno l’ipocrisia.
Semplicemente non sento come necessario che i miei amici mi dicano tutto, se non vogliono. Non è un diritto acquisito sapere tutto dagli amici: i fatti loro sono loro. Se vogliono condividerli con me ne sono onorata, se no, va bene lo stesso, vorrà dire che non me lo sono ancora meritata, o non è capitato, o ci sono altri motivi. Ma se mai dovessero emergere dei loro lati oscuri, la reazione dovrebbe essere di analisi e comprensione, non di scandalo e offesa.

Insomma, il film è carino, tiene viva l’attenzione, a tratti è divertente. Ma non lo giudico un capolavoro, e nemmeno lo reputo una pellicola impegnata. Semmai è un ameno divertissement incentrato su luoghi così comuni da apparire caricaturali e personaggi privi di umana tridimensionalità. 

giovedì 26 gennaio 2017

Scimmia è buono

SCIMMIA


Non so perché mi abbia dato il permesso di fare un post su di lui. Di norma è riservato e schivo… Forse l’ho drogato e non me ne sono accorta.
…Ad ogni modo, Scimmia è un mio carissimo amico, per intendersi, al livello di Gian. Anche se Gian, ormai, è perduto là sui monti con Annette (in quel di Omegna), mentre Scimmia, per fortuna, è qui, sempre e comunque, e spesso mi fa da badante.
In realtà io e Gian l’abbiamo preso in saldo, ad una svendita al mercatino nero del mondo parallelo: per due soldi, come un topolino alla Fiera dell’Est. Ci piace raccontarlo in giro.
Un tempo eravamo stati un trio diverso: io, Gian e una Stellina che ora è morta (non in senso letterale), per cui Scimmia è stato comprato in qualità di sostituto della defunta (che era una stellina masculo).
Tuttavia…
Presto io e Gian ci siamo resi conto che Scimmia è mille volte meglio!!! Non importa se non mangia le banane e non compone filastrocche per intrattenerci, non importa se non balla il Tuca Tuca, si diverte a cambiare nome e ha le stesse fisime di Barbie per i vestiti: Scimmia è buono e il suo livello di paranoia mi aiuta a tenere i piedi per terra e a non perdermi per le vie dell’Ottamondo!
La cosa buffa è che Scimmia è picculo, nel senso che ha ben un anno meno di noi, ma… sembra già anziano e ci fa apparire più giovini. Questo è un altro ottimo motivo per cui ci piace portarcelo appresso.
A vederlo sembra abbastanza normale, ma la verità è che ammaestra cani mentali ad ogni ora del giorno e della notte, guida una beggimobile (che è un mezzo fatato), parla di sé in terza persona (beh, quello lo faccio pure io) e se gli chiedi di raccontarti una fiaba lamenta che sono finite. Ma mente. E’ che le fa scappare.
In compenso, Scimmia è un buon compagno di colazioni, nonostante sia adepto di una Setta che gli impone di impedire al prossimo il consumo eccessivo di croissant o di altre bontà. Purtroppo sa essere ligio quanto crudele (una volta ha mandato indietro la mia brioche per impedirmi di mangiarla) .
Non mi dilungo oltre, sappiate solo che si imbarazza se lo chiamo Scimmia in pubblico. E siccome io sono un po’ sadichella lo faccio sempre.
Del resto, Scimmia non è l’unica Scimmia. Scimmia chiama così me. E allora, per distinguerci, ho deciso che lui è Scimmia Scimmia.
Così sembra un nome scientifico ed è molto più fico. Peraltro, una volta lui mi ha chiesto di chiamarlo “Singe” (“Scimmia” in francese) ritenendo che sia più chic.
Come dico sempre: Scimmia è straaano.

P.S.

Un doveroso grazie a Claudia Piccola che ci ha segnalato lo stand dei Vermi delle Sabbie in cui io e Gian abbiamo potuto comprarlo. 

mercoledì 25 gennaio 2017

Il marcio dell'Italia

ROMANZO CRIMINALE
di Giancarlo De Cataldo


E’ difficile legarsi ad un’opera in cui i personaggi, ispirati alla realmente esistita banda della Magliana, sono necessariamente e volutamente uno più repellente dell’altro, non solo in quanto criminali, ma persino come persone: senza codice (sia pure un codice criminale), senza riscatto, senza bellezza, pronti a tradirsi, uccidersi, imbrogliarsi e diffamarsi persino tra loro, senza rimorsi, come se fosse normale, se non quasi dovuto.
Il Dandi, il Freddo, il Libanese, Trentadenari, il Secco, il Sorcio, Patrizia, Scialoja…
In effetti non riesco nemmeno a concepirli come uomini o donne fallaci o sfortunati: troppo disgustosi. Vigliacchi, opportunisti, scellerati.
Anche i “buoni”, che proprio buoni non sono, hanno una morale troppo elastica e malleabile.
La verità è che tutto il sistema è marcio, l’Italia intera, e questo romanzo proprio non ci permette di dimenticarlo, anzi affonda la sua essenza proprio nella melma più torbida e oscura. Eppure…
Eppure – vuoi il taglio cinematografico, il ritmo, l’apprezzabile realismo, l’abbondare dei dialoghi – il romanzo ipnotizza e le vicissitudini – per quanto poco organiche e spezzettate – dei protagonisti – peraltro caratterialmente abbozzati solo in superficie – si seguono volentieri, a dispetto della ripugnanza, e continuiamo fino all’ultimo a volerne sapere di più.
Storie di morte, delinquenza, e sete di potere, quindi, ambientate a Roma tra il 1977 e il 1992, che si intrecciano alle vicende storiche, politiche e di costume del Bel Paese, spesso ripetendosi o arrampicandosi su se stesse. Storie che danno il voltastomaco e irritano, ma al contempo affascinano, forse per i motivi sbagliati.
Certo, preferirei si evitasse il sottotesto della pseudo-mitizzazione (pare quasi che l’autore ammiri questa feccia senza valori, fatta di fame e di vuoto, che cerchi di renderne epiche le vicende attraverso riferimenti alla letteratura greca, sottolineandone il successo e il coraggio, laddove invece sono solo biechi figuri da condannare), ma non posso negare che il romanzo sia interessante, magnetico, e brutalmente veritiero (senza esagerare, però. Senza accenti esageratamente sadici).
Aggiungiamoci un capitolo introduttivo che spacca nella sua costruzione perfetta e un montaggio rapido, alimentato da sequenze e battute, più che di descrizioni, con qualche squarcio di malinconica, amara consapevolezza, ad evidenziare la vacuità umana.

Credo che leggerò anche il prequel, “Io sono il Libanese”…

martedì 24 gennaio 2017

Racconti intimi e stratificati

UOMINI SENZA DONNE
di Haruki Murakami


La cifra del volume, una raccolta di sette racconti, è contenuta nel titolo (che è anche quello dell’ultima storia), e calca in particolare sul “senza”, di norma percepito come una mancanza profonda, quasi una lacerazione, ma ha declinazioni diverse, che creano riverberi e corrispondenze, sospensioni e vuoti d’aria, le quali possono virare più sul fantastico come, più spesso, mantenersi nei canoni sottotono della grigia normalità.
Questa volta, infatti, Murakami aderisce soprattutto al suo filone realistico, trascurando la sua fervida immaginazione a favore di indagini sentimentali e introspezione.
I racconti, infatti, sono intimi e stratificati, romantici e consolatori, eppure fatti di sofferenza, tragici persino, con sonorità commoventi, che talvolta si preferisce sottintendere piuttosto che esplicitare.
Le trame indulgono nei delicati temi relativi ai tormenti interiori (solitudine, abbandono, tradimento, morte, suicidio), e, naturalmente, all’amore o alla fine di esso, il tutto con uno stile minuzioso ma placido, che seguiresti comunque, a prescindere da ciò che narra, per il genuino piacere di farti scortare dal suo autore nei territori segreti dell’anima.
Tra tutti, il racconto che prediligo è “Kino”, dai contorni vagamente fiabeschi, bellissimo e suggestivo, a livello concettuale e metaforico, ma da segnalare c’è pure il bizzarro seguito de “La Metamorfosi” di Franz Kafka, dai toni surreali e grotteschi, quasi allegri, in cui, rivoluzionando i presupposti del classico in lingua tedesca, lo scarafaggio si sveglia nel corpo di Gregor Samsa. Con tutte le conseguenze del caso…

Un volume evocativo, dolce, nostalgico, sofisticato e permeato di eleganza, che, man mano vi ci si addentra, risulta più coinvolgente e fluido...

lunedì 23 gennaio 2017

Il seguito di una pietra miliare

L’ULTIMO ETERNAUTA
di Francisco Solano López


Cominciamo con il 1957, quando in Argentina è stata pubblicata una pietra miliare del fumetto mondiale: “L’Eternauta”, di Héctor Oesterheld e Francisco Solano López, da noi edito solo nel 1977.
Trattasi di un fumetto di fantascienza sul tema dell’invasione aliena, che si distingue da tutti gli altri per l’impronta umana, adulta e realistica, e per essere ancora di più: una sorta di prefigurazione critica e profetica della politica afferente la Dittatura militare argentina… che, tra parentesi, annovererà tra i suoi desaparecidos lo stesso Oesterheld, lo sceneggiatore.
Un capolavoro, insomma…
Con momenti di riflessione, su di noi, come sugli extraterrestri, dal sapore filosofico e antropologico. E come dimenticare quella suggestiva e letale neve velenosa, potentissima a livello grafico, con cui la storia ha inizio?
Ebbene, “L’ultimo Eternauta” ne è – a distanza di molti decenni – il seguito ufficiale, a cura del primo disegnatore, Francisco Solano López, ora in veste di autore dei testi, e con Maiztegui, ai pennelli.
In tutto cinque volumi, di cui sono già usciti i primi due. Martita e Ushuaia, che, per quanto mi riguarda, ho trovato più che soddisfacenti.
E’ vero, ho letto “L’Eternauta” mille anni fa, e certo non ricordo tutto. Ma l’impressione è che l’atmosfera si sia mantenuta la stessa, fedele alla complessità dell’opera originaria. Ci vengono fornite spiegazioni, per non farci procedere proprio allo sbando, e si riprendono le fila della vecchia trama, ma al contempo ci vengono forniti nuovi personaggi, nuovi spunti e prospettive, continuando ad alternare le sequenze “filosofiche” a quelle d’azione. Ma anche i riferimenti socio-politici sono in continuity: adesso, infatti, affrontiamo, sempre a livello metaforico, il Dopo Dittatura ed esaminiamo l’Argentina attuale, con i figli dei desaparecidos dati in adozione ai complici dei militari/con la protagonista adottata da uno degli Alieni…

A questo punto la domanda è: ma allora chi era il padre di Martita?

venerdì 20 gennaio 2017

Più effervescente del primo

IL SECONDO DIARIO MINIMO
di Umberto Eco


Se possibile, ancora più effervescente del primo: più corposo, più estroso, più vario, nonché frammisto a “bustine di minerva” (si veda post 21 ottobre 2016) e a divertissement di varia natura.
Iniziamo con le “Storie Vere”, che, come dice Eco, sono spesso in bilico tra “fantascienza e fantatiquariato”, tra la critica sociale e la burla: spiritose, simpatiche, persino quando eccedono un po’ in verbosità, come la demenziale corrispondenza di militari extraterrestri di molte galassie, che ci ricordano le pecche nostrane, o gli assurdi e spassosi concorsi a cattedra, che ironizzano su filosofia e letteratura, postulando una commissione immaginaria che valuti i grandi del passato…
Seguono le “istruzioni per l’uso”, sugli argomenti più disparati e dense di disavventure o consigli bislacchi, ad esempio: “come sostituire una patente rubata” o “come viaggiare con un salmone” (sul serio!), o godibili riflessioni di costume, quali “come mangiare il gelato” o “come riconoscere un film porno”.
La III parte, invece, contiene bizzarri frammenti dalla cacopedia, ossia, come spiega Eco, la summa del sapere negativo, o antisapere. Per intenderci: dissertazioni sulle tre civette sul comò, o il progetto per una facoltà di irrilevanza comparata…
E ancora troviamo filastrocche per adulti (alcune delle quali irresistibili), mutuate su “La vispa Teresa” come sul leopardiano “Il sabato del villaggio”, per tacere della storia della filosofia in rima, o delle amenità su Proust, Mann e Joyce, o ancora delle vignette filosofiche…
Nella V parte, invece, il nostro si diletta con giochi di parole: lipogrammi, testi monovocalici, definizioni e freddure… Lapidari e arguti i “come va?”, in riferimento a come risponderebbero alla domanda personaggi noti (immaginari e non), tipo:
Edipo: la mamma è contenta.
Lucifero: come dio comanda.
Ulisse: siamo a cavallo.
Unico neo? Per quanto mi riguarda, piccolo e trascurabile, la passione di Eco per quella che lui stesso in altra opera ha descritto come “la vertigine della lista”… Ossia, in questo caso, l’abitudine di reiterare troppo i concetti.

Nel complesso, comunque, un’opera vivace, intellettuale, sfaccettata e strabiliante.. 

giovedì 19 gennaio 2017

Tra ansia e claustrofobia

10 CLOVERFIELD LANE
di Dan Trachtenberg
(2016)


A livello di trama nessun legame con Cloverfield, il disaster movie 2008 in cui il mostro non appariva mai.
Credevo fosse incentrato sullo stesso evento, solo seguito da un punto di vista diverso, invece…
Invece è un capolavoro (e senza angosciosa telecamera a spalla)!
L’idea di base, in particolare, è strepitosa, giocata su ambiguità e dubbi, su fili sottili d’angoscia e spettacolari ribaltamenti, che continuano a rinnovare i loro spunti, anche quando le paure sembrano altre.
Ed è proprio questo il punto: non ci preoccupiamo mai di ciò di cui davvero dovremmo, ma di qualcos’altro, abbastanza terribile da catalizzare la nostra attenzione, almeno fino a che le nostre prospettive subiscono un nuovo tracollo, stravolgendo tutto.
Cominciamo con un bell’incidente d’auto e ci troviamo in una stanza che sa di prigione sotterranea, incatenate al muro… Un tizio che sembra un maniaco ci dice che c’è stato un attacco alieno, che tutti quelli che amiamo sono morti, e che qui siamo al sicuro, però non possiamo uscire, presumibilmente per un paio d’anni, perché l’aria è contaminata. Ovviamente non gli crediamo, come potremmo? Del resto è lui che ci ha speronato con il suo furgone, ad un certo punto ci viene in mente…
I personaggi sono solo tre: la protagonista, Michelle (Mary Elizabeth Winstead), ragazza di poche parole, ma dalle infinite risorse; il maniaco (se lo è) Howard/John Goodman, che a volte ci sembra la persona migliore e più affidabile da avere vicino in caso di pericolo, più spesso ci terrorizza con un silenzio; il suo bracciante Emmet/John Gallagher Jr, che, tutto sommato, è dolce e ci piace… insieme fanno faville.
E dunque viaggiamo tra ansia e claustrofobia, schiacciati dall’enormità della situazione. Ma senza arrenderci. Senza smettere di sperare. Senza fidarci mai del tutto. E andando incontro ad uno shock dopo l’altro, che non necessariamente esclude il precedente.
Sono tanti gli elementi che ho apprezzato: la dualità della storia, la regia, il cast perfetto, la costruzione delle singole scene… Perfino il finale, che racchiude il vero paradigma del film (lottare, lottare sempre) e che, a mio avviso, non solo non lo immiserisce, ma è arioso e bellissimo…
Wow, era da tanto che una pellicola non mi colpiva così, sia sotto il profilo psicologico che creativo!!!

Non fatevela scappare!

mercoledì 18 gennaio 2017

La vecchia e oppressiva brughiera

IL MISTERO DELLA BRUGHIERA
di Ruth Rendell


Thriller old style sul tema del serial killer, recuperato per caso e letto senza passione, ma pure senza interruzioni, stasi o momenti di noia.
Ben scritto, specie per quanto riguarda le descrizioni paesaggistiche e i sentimenti che le stesse suscitano, con molti momenti introspettivi che invogliano a coltivare il piacere di rimuginare tra sé, di seguire il flusso della propria coscienza, di osservare i dettagli e soffermarsi su di essi, gustandoli singolarmente…
La trama però non è molto originale: parte bene, ma presto si arena un po’, scivolando e procedendo a tentoni, specie a causa di alcune falle nell’elaborazione della psicologia del protagonista. Si badi, non tutto è scontato, ed in effetti il finale mi ha inferto un discreto smacco, anche abbastanza leale, che magari non mi ha scioccata, risultando a posteriori un po’ troppo telefonato, ma che, lì per lì, lo riconosco, mi ha presa in contropiede (tuttavia dubito che un lettore che mastica più volentieri il genere si faccia ingannare).
I personaggi, invece, per quanto sia evidente e insistito il tentativo di intimismo e si sfrutti la tecnica “della soggettiva” che favorisce l’immedesimazione, mi lasciano indifferenti: né simpatici, né antipatici. Non riuscivo a parteggiare per nessuno: non solo riguardo alla parte relativa a follia e omicidi, ma nemmeno in ordine agli ingenui e teneri afflati amorosi. Per essere espliciti: il mio coinvolgimento emotivo è stato scarso, benché abbia apprezzato i punti relativi alle ansie legate alle indagini e ai metodi degli inquirenti, nonché quelle sulla manie di persecuzione del protagonista.
Del resto, non mancano passaggi felici, momenti di tensione o di curiosità, che sono sufficienti a catturare l’attenzione e ad indurti ad andare avanti.
Stupenda l’ambientazione e pregevole l’atmosfera, intenzionalmente oppressiva, della brughiera.

In definitiva, un romanzo di buona fattura, privo di grandi difetti, come di meriti di rilievo, che non mi ha lasciato tanto, ma che quanto meno è fluito via velocemente.

martedì 17 gennaio 2017

Una prosa acuta e suadente

L’AMICA GENIALE
di Elena Ferrante


Primo eccezionale volume di una tetralogia incentrata su una profonda e complessa amicizia iniziata in quel di Napoli oltre mezzo secolo fa: quella tra l’io narrante, la giudiziosa e bella Lenù, e Lila, brutta e cattiva, e, allo stesso tempo molto più avanti di chiunque altro…
Assistiamo al risaldarsi di questo legame fatto di stima e rivalità e al continuo e reciproco pungolarsi, ammirarsi e sostenersi delle protagoniste, al perenne mutare di ruoli ed equilibri fra loro e di loro stesse.
Le conosciamo prima bambine e poi adolescenti, analizzandone i comportamenti e penetrandone i pensieri/atteggiamenti/contraddizioni, alla luce di quella che è la realtà napoletana e popolare dei tempi, sebbene Lila, in qualche misura, ci risulti sempre superbamente ineffabile e misteriosa: vincolata ai limiti in cui è nata, ma ben decisa a scavalcarli.
Ad attrarci, dunque, oltre alla prosa acuta e suadente dell’autrice, semplice ma puntigliosa e precisa, sono soprattutto le protagoniste, che si completano a vicenda, si osservano e rincorrono, complementari ma opposte, simili e lontanissime.
E se pure siamo curiosi di scoprire dove andranno a finire e come siamo arrivati al presente ricco di interrogativi che ci viene illustrato nell’incipit, fondamentalmente ci basta restare in loro compagnia, goderci gli aneddoti e le situazioni, gli occhi di Lila che si riducono a due fessure, che sempre troveranno il modo di stupirci o di cambiare direzione all’improvviso.
Un romanzo bello e pieno, dai tratti intensi ed originali, che sa di vita vera e carpisce attimi sfolgoranti di luce ed epifanie fulminanti. Benché parli sostanzialmente di due donne, tra l’altro, riesce a non essere smielato o svenevole, dando spazio, piuttosto, alle tensioni intellettuali, e affrontando persino il delicato tema dell’amore adolescenziale in modo sostanzialmente pratico e cerebrale.
Interessante altresì per i suoi numerosi e coloriti comprimari, rapidi nella loro incessante evoluzione, e per il contesto sociale, crudo e miserabile, magistralmente rappresentato, specie sul piano spirituale.
Ho già acquistato il secondo volume e non vedo l’ora di cominciarlo.

P.S.

Grazie a Vi che mi ha regalato questo libro e che mi ha permesso così di conoscerlo!!!

lunedì 16 gennaio 2017

La bambina e il giostraio

LA CODA DELLA SCIMMIA


Che potremmo sottotitolare: una storia vera e deliziosa su come le prospettive sono diverse quando si è fanciulli…
Me l’ha raccontata Mater, testimone oculare, e ha come protagonista la mia nipotina più cucciola, allegra treenne dall’umore sempre gaio.
Orbene, la stellina stava andando tutta gioiosa sulla giostra, divertendosi un mondo. La classica giostra per infanti in cui monti sulla riproduzione di un mezzo di trasporto in miniatura e, quando finalmente entra in scena, prendi al volo il codino, mosso sapientemente dall’alto, per vincere un altro giro. La tipica giostra, insomma, semplice e poco impegnativa, che ogni bimbo sotto i sette anni adora e vorrebbe non si fermasse mai, ma il cui vero autentico piacere consiste proprio nell’afferrare al volo il codino.
Nella fattispecie non uno qualsiasi, ma la coda di una scimmia.
Lo sappiamo perché attaccata alla coda c’era proprio lei, la scimmia, ovviamente in veste pupazzosa.
A volte acchiappare la coda dipende dall’abilità del bambino, altre dalla volontà del giostraio di farlo vincere, nel senso che spesso questi decide di favorire un utente piuttosto che un altro, servendogli l’ambita preda su un piatto d’argento.
Ed è esattamente quel che stava accadendo con mia nipote: il giostraio le faceva penzolare la coda davanti al viso ogni volta che poteva. Niente. Ci riprovava. Niente.
La bimba rimaneva impassibile o si scostava.
Alla fine il giostraio gliel’ha appoggiata direttamente sul naso. Niente.
Mater, sul lato a fare il tifo, continuava ad incitare la cucciola e ad invitarla a prendere sta benedetta coda, pensando che lei non capisse, che fraintendesse, spiegandole che doveva e che, anzi, le conveniva.
Niente.
La bimba, pur sorridendo, faceva cenno di no con la testa, amabilmente cocciuta.
Il giostraio, dal canto suo, continuava a sforzarsi di favorirla, ma lei, dura, non alzava nemmeno le manine, anzi, scuoteva la testa e se possibile, si girava dall’altra parte.
Finita la corsa, Mater ha interrogato la piccina: “Ma, insomma, hai capito che avresti vinto un altro giro?”
“Sì”, ha annuito la bimba.
“Eh, però dovevi prenderla!”
“No”, ha sorriso lei. “Non dovevo.”
“Come no? Sì!!! Perché non l’hai presa?!”
E la cucciola, d’un fiato: “Perché alla scimmia, se le stacchi la coda, le fai male!!!!”
Sic.

A volte noi grandi non capiamo proprio nulla.

venerdì 13 gennaio 2017

Una trama magnetica

THE EXORCIST


Ho visto questa serie tv solo per via dell'insistenza di MPM, paventando la solita ripetizione di temi già raccontati nel romanzo e nel film di Friedkin, annacquati ed esasperati, ma mi sono dovuta ricredere.
Trattasi di un'opera dotata della sua originalità e dei suoi elementi innovativi (la setta, in particolare), che, con un ottimo e insospettabile coup de théâtre attorno a metà serie, si rivela essere un puntuale seguito apocrifo de “L'esorcista”.
Come l'epigono, più che terrorizzante, risulta disturbante in modo sottile quanto pervicace, affascina per la concezione del male e del bene, e in più sviluppa numerose sottotrame, separando efficacemente il concetto di Dio e di Fede da quello di Chiesa, puntando altresì su un'incisiva costruzione della trama, la quale, dal canto suo, appare magnetica sin dal primo episodio, grazie ad un astuto ribaltamento.
Vanta, inoltre un'ottima fotografia, un buon uso della colonna sonora (che evita di abusare di “Tubular Bells” di Mike Oldfield, sfruttandola una volta sola, ma in modo magistrale) e un cast di pregio, in cui spiccano il carismatico Padre Marcus (Ben Daniels) – di cui non possiamo non innamorarci – e Angela (niente meno che Geena Davies), laddove invece il belloccio Padre Tomas (Alfonso Herrera), che in principio ci parrà noioso e inutile, cresce e acquista spessore con il proseguire della vicenda.
Nonostante le premesse iniziali, persino Padre Bennett (Kurt Egyiawan), nelle prime puntate davvero antipatico, saprà conquistarci e presto temeremo per lui.
Molti colpi di scena, vomitate relativamente ridotte (anche se abbondano le camminate strane), alcune intuizioni vincenti (ad esempio, la faccenda del “dopo” e dei programmi tv).

Soltanto dieci episodi.

giovedì 12 gennaio 2017

Un fumetto promettente

THEY'RE NOT LIKE US
di Eric Stephenson e Simon Gane


Il primo volume “Buchi neri per la gioventù” è davvero accattivante.
Mi piacciono grafica, disegni retrò, colori (di Jordie Bellaire) e formato... ma ancora di più gli spunti offerti dalla trama, ennesima variazione sull'uso improprio dei superpoteri e il disagio adolescenziale.
Il punto sta lì: immaginate di essere ragazzi telepatici e inascoltati, come la protagonista, Syd, senza amici e da sempre confusi con i malati di mente, curati e respinti di conseguenza, con queste voci che continuano a gridarvi nella testa.
Immaginate di venire rapiti da alcuni coetani, “diversi”, come voi, dagli svariati poteri, che convivono in una casa bellissima, con tutti i libri e la musica che potete desiderare, e che mettono ogni cosa a vostra disposizione, per giunta facendo cessare i rumori nel vostro cervello e promettendovi di insegnarvi ad usare i vostri poteri (perchè, ehi, non siete matti, ma dotati).
Sembra tutto perfetto.
Se non fosse che alcuni di questi giovani sono cattivi, altri deboli, plagiati e tormentati dai rimorsi, e tutti vi chiedono, tanto per cominciare, di ammazzare i vostri genitori per non lasciare testimoni.
Poi, mentre voi vi prendete un po' di tempo per riflettere, vi mostrano com'è divertente prendersi ciò che si vuole... anche a scapito del prossimo.
Ma, di nuovo, non è tutto lì.
A modo loro questi fanciulli sono delle vittime. Persino il più spietato fra loro, The Voice, che anzi è quello che ha sofferto di più.
A modo loro sono dei carnefici, non solo dei normali, ma dei loro stessi simili, che manipolano, tiranneggiano e privano del nome e del passato, come avviene in una setta.
Un fumetto promettente, dunque, dallo svolgimento rapido e contraddittorio, dalle molte sfaccettature caratteriali, dai numerosi punti di vista e problemi etici, originale, nonostante le tematiche già viste, e stimolante, proprio in virtù del tentativo di far evolvere questioni già note ed esaminate in altre opere.

Decisamente da scoprire.

mercoledì 11 gennaio 2017

Un incombente stravolgimento cosmico

LA FORZA DEL LEONE
di Jonathan Carroll


Che fatica procacciarselo!!! Ma ne è valsa la pena.
Il 14 ottobre scorso, bel bella, a dispetto dell'allerta meteo, sono andata a Savona – che per noi poveretti di provincia è come dire caput mundi (sì, c'è Genova, okay... Ma Savona è più vicina e lì avevo anche delle questioncelle lavorative da sbrigare) – e ho setacciato non so quante librerie in cerca del romanzo, che, in teoria, doveva uscire il 13. Ebbene, niente, non si trovava, nonostante fosse già in ordine ovunque. Ho controllato on line, ma, anche qui, il volume risultava non ancora disponibile. A questo punto l'ho ordinato al mio prode fumettaro. Passato qualche giorno, mi ha annunciato l'arrivo imminente... ma il dì della consegna il pacco risultava smarrito. Possibile???
Ho sospettato di essere vittima di una macumba.
Per fortuna al mio prode non è occorso molto per rimediare e finalmente ho avuto la mia copia! E, come dicevo, a dispetto della lunga trafila, ne è valsa la pena: e se si considera quanto amo Carroll, già il fatto che le mie aspettative non siano state deluse è sinonimo di garanzia! Ne “La Forza del Leone”, infatti, si mantengono fragranti e intatte quelle caratteristiche specialissime che fanno di Carroll l'autore incredibile che è: metafisica, onirismo, immaginazione e riflessioni esistenziali profonde che vanno oltre la pagina scritta!
Invero, come di consueto, la vicenda inizia nel più “normale” dei modi, con una storia d'amore che finisce e la presentazione dei personaggi (piacevolmente ricchi di difetti). La trama ci avvince grazie alla prosa immediata, e, nella stessa misura, dettagliata e intimista... ma ci conquista definitivamente quando finiamo nel sogno condiviso. Che, naturalmente non è un semplice sogno, ma il sintomo di un incombente stravolgimento cosmico!
Non siamo nell'ambito del fantasy o dell'urban fantasy, come si potrebbe essere indotti a pensare, piuttosto affondiamo le menti in uno sostrato filosofico-immaginifico originalissimo – benché tipico di Carroll – che si edifica sul significato dell'esistenza. Ma, si badi, non ci troviamo al cospetto di un mattonazzo verboso che si parla addosso, quanto piuttosto di un'avventura divertente, vivace, che, mentre si delinea, dipana più piani di lettura, i quali, a loro volta, non offrono il fianco né a paternalismi né a buchi narrativi, ossia agli errori più comuni in cui si incorre quando ci si cimenta in tali pazzesche imprese narrative.

In una parola: eccezionale!!!

martedì 10 gennaio 2017

Momenti di autentica stupefazione

MISS PEREGRINE – LA CASA DEI RAGAZZI SPECIALI
di Tim Burton
(2016)


Una delle rare volte in cui il film è meglio del romanzo (recensito in data 27 luglio 2016).
Nel complesso la trama è abbastanza fedele – ci sono delle differenze, specie riguardo al personaggio di Emma, questioni che vengono esaminate più in fretta, sorvolando su alcune faccende oscure e suggestive come su tante spiegazioni, ma i tagli e le variazioni non disturbano, anzi, in linea di massima le condivido –, però con più ritmo, un minor senso di oppressione, e personaggi più carini e carismatici, specie grazie all'incantevole cast: meravigliosa, infatti, Eva Green/Miss Peregrine, ma lo sono altrettanto Samuel L. Jackson nei panni di Mr. Barron e Judi Dench/Miss Avocet, a dispetto della fugacità della sua apparizione.
Inoltre la consueta visionarietà di Tim Burton si sposa bene all'immaginario della trama, regalandoci momenti di autentica stupefazione, ma, ancora di più, una splendida battaglia finale: divertente, tenera, ma pure appassionante e coivolgente (quegli scheletrini sono un amore).
Bella poi (seppur poco terrificante) la resa dei Vacui – molto “burtoniana”, tanto che fa pensare un po' a “Tim Burton's the Nightmare Before Christmas” – e dell'anello temporale... così come l'estetica fiabesca in generale: la casa dei bambini e il giardino sono spettacolari, per tacere del personaggio di Victor, che mi ha fatto fare un salto sulla poltrona!
Nel complesso, dunque, un bel film, che però sarebbe perfettibile. Ad esempio rendendo ancora più snello l'inizio e approfondendo ulteriormente la psicologia dei bambini (che comunque segna già un passo avanti rispetto al romanzo, sebbene ivi venissero accentuati molti elementi sgradevoli), che qui hanno una natura meno ambigua e meno complessa, guadagnandoci però in simpatia e dolcezza... O dando più spazio a Enoch, il mio preferito, e ai suoi favolosi mostriciattoli...

Nota: pressoché irriconoscibile Rupert Everett nelle vesti dell'ornitologo.

Nota 2: la signora Edwards è una citazione di Edward Mani di Forbice.

lunedì 9 gennaio 2017

Un cagnaccio grosso e cattivo

CUJO
di Stephen King


Grande classico dell'orrore, claustrofobico e angosciante, con un cagnaccio grosso e cattivo – ma non è colpa sua, bensì di un pipistrello con la rabbia – che tormenta madre e figlio piccolo, bloccati in auto, e che si fonda, più che sui fatti – i quali tuttavia non mancano e, anzi, sono belli densi e concreti – sul complesso, perfetto e multiforme impianto psicologico che costruisce il Re in ordine a ciascuno dei protagonisti (cane compreso).
Se devo dirla tutta, “Cujo” non rientra comunque fra i miei romanzi prediletti (due i motivi di base: nessun elemento di matrice fantastica e nessuna particolare simpatia nei confronti dei suoi personaggi, salvo l'ovvia solidarietà umana), ma è ugualmente da leggere solo per le volte in cui il tremendo sanbernardo viene poi ricordato nelle successive opere del Re (ad esempio “Il corpo”), in quanto ambientato nell'immaginaria cittadina di Castle Rock, e per via delle commistioni con un altro romanzo di King, “La zona morta”.
O, per i non fan, per la validissima prosa, per lo spaccato di provincia, per la rappresentazione dei paesani e della loro quotidianità e per il modo in cui questa viene spezzata, oltre che per la suspense.
Peraltro, trattasi di un buon libro, godibile, avvincente, e che per giunta ci spiazza totalmente nel finale... Ci spiazza, di brutto, in effetti, rovesciando le nostre certezze con una violenta iniezione di realtà, tanto che nel film (che non ho visto, ma in merito al quale avevo letto una dettagliata intervista mille anni fa) il regista si è sentito in dovere di cambiarlo.

A voler essere pedanti si può opinare che il romanzo andrebbe un po' sfrondato. Non per il numero di pagine in sé, che pure ammontano a circa quattrocento (mi pare, ma si consideri che l'ho letto venticinque anni fa), quanto piuttosto perché talvolta la trama subisce digressioni che, laddove si miri solo all'azione, possono risultare scoraggianti...

sabato 7 gennaio 2017

CLASSIFICHE A CONFRONTO

SERIE TV 2016 – CLASSIFICHE A CONFRONTO


Non sto neanche a fare l’introduzione: parto subito in quarta con le mie preferenze e quelle del Mio Perfido Marito, così come annunciato nel post di ieri:

OTTA
MPM
Stranger Things 1 Brooklyn Nine-Nine
Il Trono di Spade 2 Scream
Orange Is the New Black 3 Stranger Things
Orphan Black 4 The Goldbergs
Flesh and Bone 5 Agents of S.H.I.E.L.D.
Fargo 2 6 The Mindy Project
Downton Abbey 7 Orphan Black
Daredevil 8 Superstore
Modern Family 9 The Exorcist
I Delitti del Lago / The Exorcist 10 Jane the Virgin

No, nessun commento.

Baci.

venerdì 6 gennaio 2017

OTTA AWARDS 2016 – SERIE TV

OTTA AWARDS 2016 – SERIE TV


Nel 2016, di 53 che ne abbiamo iniziate, abbiamo portato a termine 33 Serie Tv, benché alcune siano ancora in corso, e parecchie prossime alla fine…
Ebbene, la mia preferita in assoluto è Strangers Things”: capolavoro sotto ogni profilo!!!, seguita a ruota dalla scorsa stagione de Il Trono di Spade”, che mi ha veramente emozionata e tenuta con il fiato sospeso.
Per il resto…
L’Otta Award per la miglior serie drammatica (benché ogni tanto due risate si facciano) va a Orange Is the New Black”, di cui, in particolare, il finale della quarta stagione mi ha resa emotivamente partecipe, benché anche Fargo 2 e Flesh and Bone si siano rivelate decisamente interessanti.
Per la categoria fantascienza, a parte l’ovvio “Strangers Things”, premio senza esitazione Orphan Black”, dall’ottimo ritmo, nonostante talvolta diventi un po’ cervellotico da seguire. Black Mirror”, invece, alterna buoni episodi ad altri che proprio non si possono guardare.
Tra le serie horror, a dispetto delle mie remore iniziali, ho apprezzato tantissimo “The Exorcist”, ma devo dire che, dopo il tremendo “Hotel”, anche “American Horror Story – Roanoke”, mi sta dando delle soddisfazioni.
In quanto alla sitcom più divertente, mio malgrado, risulta essere Brooklyn Nine-Nine. Egualmente io prediligo la vecchia Modern Family”, che pure, alla settima stagione, comincia ad accusare un po’ di stanchezza, mentre “Hoth & Bothered (Telenovela)”, iniziata da poco, è una simpatica ventata di aria fresca. .
In ordine ai supereroi: Daredevil forever, seguito da Agent Carter e Jessica Jones”.
Infine, il premio “giunti alla frutta perché la storia non sta più in piedi” viene conteso tra “Wayward Pines 2” e… nessun altro!!!. Questo delirio futuristico senza più capo né coda trionfa!
In ultimo, e non senza un certo rammarico, saluto l’appassionante Downton Abbey”, che si è conclusa con la VI stagione: in principio l’avevo accolta tiepidamente, ma presto si è ritagliata un posticino nel mio cuore, grazie all’atmosfera e ai personaggi (lady Mary, peraltro, ha raggiunto l’apice dell’odiosità).
Prima di salutarvi… annuncio una sorpresa: sebbene domani sia sabato, che da tempo, ormai, non è più giornata preposta ai post, pubblicherò la mia personale classifica delle Serie Tv 2016 e soprattutto (qui sta lo shock) quella del Mio Perfido Marito, che così potrà assegnare i suoi MPM Awards.
Per il piacere di un confronto democratico (Ha! Ha! Ha!).

La Direzione di “Sogni di Ragni e Pizza Mannara” garantisce che nessun coniuge è stato maltrattato nel corso della suddetta stesura.

giovedì 5 gennaio 2017

OTTA AWARDS 2016 - FILM

OTTA AWARDS 2016 - FILM


Totale film visti nel 2016: 124 (attingendo a: Netflix, Sky, Infinity, Cinema – poco e solo se necessario – e soprattutto alla vasta collezione di Blu-ray di MPM) per cui questa volta siamo in ribasso, dati i 135 del 2015… Amen.
Et voilà, la mia selezione:
Tra i semplicemente belli: lo splendido “The Imitation Game”, storico, sulla macchina di Turing, e il delicato “Tomboy”, entrambi dai connotati drammatici.
Nella categoria Azione, scelgo invece: il magnifico Mad Max Fury Road, verso cui nutrivo parecchie riserve, ma che mi ha sinceramente entusiasmata; il delizioso – soprattutto per via dei protagonisti – “Operazione UNCLE” e Kingsman – The Secret Service”, che spesso mi ha lasciata basita (e di cui ho apprezzato anche il fumetto).
Tra i film di Animazione, l’Otta Award va ad Asterix e il Regno degli Dei, laddove invece, mi dispiace, ma ho patito come una purga divina “La Principessa Splendente”… dovrò ringraziare le traduzioni del solito Cannarsi?
Nell’ambito horror (a cui appartiene buona parte delle pellicole viste nel 2016 e ciò – assurdamente – per volere di MPM, che pure rifugge il genere) i più ammirati sono, nell’ordine: 1) “The Witch; 2) “The Visit (anche se è più un thriller); 3) “The Boy; e, a sorpresa, visto che il capostipite non era granché, 4) “Ouija – Le Origini del Male”, estremamente carino, e 5) “The Unfriended”, a dispetto della trama scontata e del budget miserrimo (non eccelsi, invece, i seguiti di Sinister e The Conjuring, seppur non da buttare, e lo sciapo “Babadook”, per ricordare i più agognati)…
Nella categoria “Supereroi” stravince Deadpool (ma a me è piaciuto anche l’ipercriticato “Suicide Squad”, che presto recensirò);
Tra i più divertenti senz’altro il dolcissimo e agrodolce “Benvenuto a Marly-Gomont”, che non fa spanciare dal ridere, ma è comunque notevole; “Grimsby – Attenti a Quell’Altro”, che invece, sì, mi ha indotta a sbellicarmi, benché sia un’immonda, oscena volgarità per plebei (che però in certi punti rasenta il genio del politicamente scorretto); “Daddy’s Home”, nonostante detesti Will Ferrell e tendenzialmente lo trovi irritante.
La miglior tamarrata è invece stata lo spesso eccessivo “Manuale Scout per l'Apocalisse Zombie”, mentre come film più disgustoso del 2016 vince l’orrido e noioso Tusk”, seguito dal patetico “Mascots”, che tuttavia è così atroce da meritare di essere guardato.

Menzione speciale al godibile thriller fantascientifico “Predestination”.