Se ti è piaciuto il mio blog


web

venerdì 28 febbraio 2014

Un incipit simpatico


COME DIVENTARE BUONI
di Nick Hornby

 
Hornby mi lascia sempre perplessa. Scrive bene e gli incipit sono validi e originali. Ma dopo un po' si perde e scivola nell'ovvio, senza riuscire davvero a convincermi. Spesso finendo con l'annoiarmi. O con l'innervosirmi. E con l'appiccicare ad una situazione che non sa più come gestire una conclusione sleale, forzata, che pare frutto del caso o della mancanza di ispirazione.

Così è stato anche con questo romanzo...

Forse, tra quelli che ho letto dei suoi, il più deludente (in generale, devo ammettere che si trova ben di peggio).

All'inizio, per quanto assurdo, è divertente. Ironico, Intelligente.

Insomma, parte come si deve.

C'è questo tizio sarcastico e un po' sgradevole, David, che un bel dì si scopre cornuto... E allora decide di diventare buono. Spiazzando tutti, in particolare la moglie, cambiando radicalmente il suo modo di essere nel privato e nel “pubblico”.

E' un incipit simpatico. Insolito. Sostenuto da uno stile brillante e scorrevole. Il punto di vista è quello di Katie, la moglie, appunto. E non è niente male. Solo che poi si esagera. E la trama diventa sciocca, grottesca. Stucchevole.

Stanca. Irrita.

E le idee vengono meno.

Non che non ci sia qualche altra battuta carina prima della fine. Non che non manchi qualche momento divertente. I dialoghi sono riusciti. C'è qualche scintilla. Ma nient'altro.

E, benché non sia un romanzo lungo, né difficile, ho stentato ad arrivare alla fine.

Anche “Un ragazzo” non era eccelso (a dispetto delle lodi sperticate che si leggono in giro), però gradevole sì e non senza pregi.

Non buttiamoci giù” e “Tutto per una ragazza”, di nuovo, non mi sono piaciuti, benché gli incipit fossero accattivanti e la scrittura scorrevole.

Alla fin fine, l'opera di Hornby che ho preferito è stata “Una vita da lettore”, e pazienza se tanti dei libri ivi citati non sono neanche stati tradotti in Italia...

Però torno sempre a comprarlo, Horby...

Forse perché come lettura da treno va alla grande, forse perché alla fine così malvagio non è, e ha uno stile piacevole, che si affronta volentieri...

Prima o poi tenterò la fortuna con “Alta fedeltà”... Sembra molto carino. Il problema è che lo sembravano pure tutti gli altri.

giovedì 27 febbraio 2014

Un nuovo linguaggio


ARANCIA MECCANICA
di Anthony Burgess

 
Tutti conoscono il film di Kubrick, pochi il romanzo di Burgess.

Che, per quanto mi riguarda, è decisamente più appassionante, più incisivo, più sperimentale. Più bello. A partire dalla scrittura, che dà luogo ad un nuovo linguaggio, fatto di parole inventate e di guizzi improvvisi. Cui però bisogna avere la pazienza di abituarsi (basta qualche pagina).

Tanti sostengono il contrario, che sia meglio il film. De gustibus... La scelta migliore, peraltro, è sempre la stessa: provare entrambi e decidere con la propria testa.

La trama è suppergiù identica: Alex è un ragazzaccio che riassume il suo credo nella violenza e in Beethoven. Trascorre le giornate a compiere efferatezze con gli amici e ad ascoltare musica, sino a che finisce in un centro di rieducazione, che si rivela ancora più crudele di lui. Che ne snatura la personalità, sino ad impedirgli di ascoltare il suo Ludovico Van senza rischiare di impazzire, e lo lascia, inerme, in balia di un mondo cambiato e di chi esige (comprensibilmente) vendetta verso di lui...

Un libro che non è solo libro, ma anche denuncia sociale... Ce l'ha con la violenza, ma ancora di più col sistema che la permette e alimenta... E persino con i Looney Tunes, se vogliamo... Ma che, soprattutto, discetta (senza discettare) sul libero arbitrio. Perché, in sostanza, se uno vuole votarsi al sangue è giusto che possa farlo, affrontandone le conseguenze. Non che sia costretto a condurre una vita non sua rinnegando se stesso...

E, diamine, nostro malgrado, alla fine Alex ci è quasi simpatico.

Un romanzo lucido, intelligente, spietato.

E che, fra le righe, pone un altro interrogativo: siamo davvero noi a scegliere la violenza? O (nel futuro distopico in cui è ambientato il libro) è il sistema ad imporcela, in un modo o nell'altro, per sopravvivere?

La vicenda dello scrittore farebbe propendere per la seconda soluzione...

L'unico neo è il finale buonista e rassicurante. Ma (sorpresa!) non c'era nella prima edizione...

Quindi?

Perché è stato inserito? E da chi?

Ai posteri l'ardua sentenza.

mercoledì 26 febbraio 2014

Un disadattato che gira in perizoma


TARZAN – Walt Disney

(1999)


Da buona consumatrice dei film Disney, ed in particolare di cartoni animati (non solo Disney), posso affermare che questo è uno dei miei preferiti. Invero, il mio prediletto-prediletto è Mulan, ma credo che, artisticamente, Tarzan sia quello che raggiunge le vette più alte. Poco importa che il personaggio in sé non mi abbia mai attratta... (Troppi film, telefilm e fumetti gli erano già stati dedicati... E chi se ne importa di un disadattato che gira in perizoma?) Qui viene magistralmente reinterpretato e questa pellicola mi ha lasciata a bocca aperta sin dalle prime scene!

I disegni sono plastici e dinamici, l'animazione perfetta, la colonna sonora di Phil Collins stupenda e per nulla invadente (al contrario, conferisce alle immagini incisività e potenza)... Ma quel che ti arriva al cuore non sono tanto i pregi tecnici quanto i concetti che il film esprime: l'importanza della famiglia e delle proprie radici, che però sono determinate soprattutto dall'amore e dalla capacità di accettarsi, l'amicizia, l'apologia del diverso, il piacere della conoscenza e della scoperta, il senso del dovere, la solidarietà, il sacrificio. E la forza di rinunciare a se stessi per il benessere degli altri.

D'accordo, in sé per sé nulla di rivoluzionario. Però emotivamente vieni sul serio agganciato subito. Il modo in cui è narrata, con poche sequenze sottolineate da una canzone bellissima e colma di pathos, la tragica vicenda dei genitori del nostro eroe, peraltro ricca di dettagli, non può che commuoverci. E anche nel prosieguo i sentimenti in gioco sono intensi ed espressi con forza.

Non mancano però, nel corso della pellicola, momenti divertenti: Tarzan piccolo è uno spasso, e poi ci sono la scimmia Terk (niente Cita), e l'elefante Tantor, con le loro adorabili caratteristiche ed idiosincrasie... Persino Jane è piuttosto buffa e imbranatella, forse l'eroina più simpatica fra quelle disneyane... Addirittura più di Rapunzel! Okay, suo padre sa un po' troppo di macchietta, però ogni tanto si risolleva con una frase profonda. E il momento in cui Tarzan e Jane fanno la reciproca conoscenza è davvero meraviglioso, regalando risate a volontà, ma anche romanticismo, tenerezza e... avventura.

Ma ci sono anche attimi di tensione, di paura, di malvagità... E il vero cattivo non è Sabor, il leopardo, che pure ha fatto fuori i genitori naturali di Tarzan, ma Clayton, prototipo del bianco coloniale. Avido, crudele, disonesto. E molto più pericoloso.

E che bella l'evoluzione del rapporto fra Tarzan e Kerchak, il capo del branco dei gorilla nonché compagno di Kala, la madre adottiva di T.! Il finale è grandioso.

Certo, in molti punti il film è prevedibile, adeguandosi a quelli che sono i codici disneyani, ma in altri sorprende, ed è incredibile vedere Tarzan “surfare” tra gli alberi e diventare tutt'uno con la giungla! Per tacere delle esaltanti sequenza di lotta...

Da vedere!

martedì 25 febbraio 2014

Uno zombie in stato catatonico


INSONNIA

 
Una gran scocciatura.

Ne soffro da sempre, e tanti (ignari) commentano che è davvero una bella fortuna: hai un sacco di tempo in più, cinguettano, la possibilità di fare molte più cose... Beata tu! Certo, come no, e poi è stupendo trascorrere la giornata come uno zombie in stato catatonico. E non è neanche la cosa peggiore che mi può capitare! Due notti sveglia le reggo ancora, ma dopo la terza schizzo e può succedere di tutto: che sbrani qualcuno perché mi ha salutato distogliendomi dai miei pensieri, o che pianga per due ore e mezza perché al telegiornale hanno detto che un tizio che non conosco e di cui non mi importa nulla è morto spappolato da una mucca... Eh sì, bisogna proprio invidiarmi.

Anche se, è vero, prima di maritarmi e di condividere le notti col Mio Perfido Marito qualche pregio c'era pure: ad esempio, innumerevoli ore di lettura extra... Ma ora è un macello: se accendo l'abat-jour sveglio il coniuge (e poveretto, non se lo merita proprio), se emigro sul divano, dopo qualche tempo, non sentendo più la mia presenza nel letto, lui mi raggiunge, mezzo sonnambulo. Non proferisce parola, ma mi appoggia la testa sulle ginocchia e, tenerello, muore. Così, come un grosso cagnone pieno d'amore, sbadigliando. Solo che la mattina ha la schiena distrutta ed è più devastato di me.

Allora ho provato a scrivere al buio. Ci riesco. Indubbiamente la grafia non è delle più comprensibili, al mattino, però mi intrattengo, produco e talvolta butto giù perfino qualche cosa di buono. Peccato che mon amour sia sensibile al rumore della penna sul foglio (sì, sospetto anche io che abbia le orecchie bioniche) e l'esito sia sempre lo stesso: si sveglia, incapace di riaddormentarsi, si contorce, si dimena. E all'alba pare che lo abbiano violentato le scimmie. Sob!

Dunque rimango a letto e può capitare che mi colga l'ispirazione per un racconto che non posso appuntarmi (e che non sempre rammento al suono della sveglia), che mi faccia un film mentale in cui sono un'esperta di arti marziali e salvo il mondo, oppure (più spesso) che mi assalgano le paranoie più varie (i demoni, le chiamo io. Di norma hanno natura lavorativa, ma possono anche essere puro delirio), che mi condannano inevitabilmente all'ansia e all'agitazione, riducendomi ad un miserabile straccio, tanto che, se, mentre mi lavo i denti, per sbaglio mi guardo allo specchio, non posso evitare di urlare...

Curarmi? Ho provato di tutto, dai rimedi naturali a quelli meno naturali... Niente da fare. Perciò mi arrendo e mi tengo l'insonnia. Senza dubbio non intendo finire come certe mie conoscenze che si addormentano con le gocce e che abbisognano di pastiglie per svegliarsi, più un paio di caffè... Indi amen, va bene così, tanto ormai ci sono abituata. Però, chiapperi, almeno non venitemi a dire quanto sono fortunata!!!

lunedì 24 febbraio 2014

Frasario ricco


MOSCERINE
di Anna Marchesini
 
 
Sono racconti brevi in cui, come ci spiega l'autrice, piccole inezie (moscerine) rompono l'equilibrio e fanno cambiare direzione ad una trama che sembrava già scritta, già definita...

Fotografie di attimi, situazioni rubate, che si dilatano nell'osservazione.

Sono carini, non c'è che dire. Semplici, brillanti.

Ma non umoristici, per quanto mi riguarda.

Mi dispiace, è che io certa comicità non la capisco. Mi fa soffrire, non ridere. E' vero che farsa e tragedia vanno a braccetto, però io ho trovato questi racconti toccanti, commoventi. Non divertenti, per quanto piacevoli. A volte persino profondi “Lisetta”, in particolare).

Lo stile della Marchesini, quello sì, è umoristico. Leggero, garbato. Elegante. Sembra di sentirla sorridere, in certi punti. Ma a me, di fatto, spesso si stringeva lo stomaco.

L'unica cosa, ecco, io avrei un po' scorciato. Certe descrizioni sono troppo insistite, troppo lunghe, autocompiaciute, rasentano la prolissità. E' un peccato veniale, d'accordo, ma un dimezzamento generale avrebbe reso le trame più incisive. Per il resto, la scrittura è piacevole, densa di dettagli, il frasario ricco (che bello l'uso del verbo “veleggiare”) , le idee non sempre originalissime, ma rese con sapienza...

Non ho capito la storia sul caffè, mi è piaciuta da matti quella sulla signorina Iovis, e ho apprezzato “Le evidenze” (ma che voglia di tagliarmi le vene), “La Torta Nuziale” (ma sarebbe stata davvero da accorciare) e “Poi si vedrà”.

Sono perfette le rappresentazioni umane (specie ne “Il Salotto”, che però è davvero troppo, troppo lungo), le piccole realtà di paese, i ragionamenti indagati al microscopio... Hanno una scintilla dentro, un non-so-ché di fulgido che ti conquista.

Non è un libro che avrei comprato, la copertina non mi avrebbe sedotta, né la descrizione.

Proprio per questo sono contenta che me lo abbiano regalato, se no probabilmente non l'avrei mai letto.

Grazie!

domenica 23 febbraio 2014

Una metafora della vita


SE UNA NOTTE D'INVERNO UN VIAGGIATORE
di Italo Calvino

 
Romanzo incredibile, sulla scrittura, sulle storie, e sul piacere della lettura, che narra le vicende del Lettore (che sono io e che sei tu, e che non è nessuno di noi) che seguita a rincorrere lo stesso titolo (il nostro. “Se una notte d'inverno un viaggiatore” di Italo Calvino) senza trovarne, dopo l'incipit accattivante, la continuazione a causa di un problema di impaginazione (per incominciare), e finendo col dover iniziare un sacco di altri libri, sempre con titoli pazzeschi, sempre di autori (inventati) dal nome suggestivo, sempre dannatamente capaci di destare il nostro interesse, e quindi, potenzialmente, a invogliarci a terminare anche quelli... Ma sempre maledettamente, inesorabilmente incompleti.

Per certi versi, dunque, una metafora della vita, il cui senso ultimo ci sfugge, frustrandoci, ma portandoci, al contempo a sempre nuove scoperte ed esperienze, e quindi ad una crescita personale...

Per altri un gioco, che ci stuzzica e diletta, rivelandoci i segreti della scrittura, e che tuttavia terminerà in modo enigmatico... O non terminerà affatto, a seconda dei punti di vista...

Per altri ancora una raccolta di incipit spettacolari, che spazia fra i generi e gli stili, divertendo un mondo, ma portando anche riflessioni sul romanzo stesso e sulla scrittura. Il tutto inserito in una cornice fantasiosa e delirante, che sa di complotto, e impone comunque di continuare, per curiosità e per dipendenza psicologica.

Ci si appassiona, ci si confonde. Ci si sforza di capire, di interpretare. E ci si appassiona ancora di più.

Stimolante, intelligente. Aggrovigliato. Originale.

Divinamente scritto.

Un capolavoro.

Da leggere e rileggere fino ad impazzire.

O fino a che non si viene colti dall'illuminazione...

sabato 22 febbraio 2014

Rilassa e diverte


Lenore
di Roman Dirge

 
Grazioso, tenero e truce, stracolmo di gente morta, ma simpatica. E di mostri. Spesso gentili e beneducati. O psicotici. Insomma, se vogliamo fare un paragone ci viene da pensare a Tim Burton. Magari con una vena di crudeltà in più...

Lenore è una bambina defunta, un po' capricciosa, un po' raccapricciante, prepotente, vagamente sadica, come tutte le fanciulle, ma dotata di senso pratico (discutibile) e occhioni dolci. Ha buffi amici (Ragamuffin, uno sfortunato vampiro mutato in omino di pezza, e pertanto innocuo, è inevitabilmente il mio preferito, ma ce ne sono parecchi altri piuttosto interessanti), buffi passatempi, e una logica distorta e malatina, tanto che, se si è vivi, conviene starne alla larga. Non si sa mai che cosa la piccola potrebbe decidere di asportarci (può essere, tuttavia, che poi ce lo restituisca)...

Fa ridere, però, Lenore. A volte solo sorridere, ma mette comunque il buon umore, rilassa e diverte. Certo, non bisogna essere troppo impressionabili (sangue e budella vengono distribuiti con generosità, seppur in versione “amorosa” e demenziale)... Ma come fumetto è davvero carino, ed è un piacere leggerlo, ma anche solo sbirciarlo: i disegni sono adorabili e pieni di dettagli gotici e succosi... Alle semi-strip si alternano storielle lievemente più lunghe, le avventure di Roman Dirge, il suo autore (che viene proprio voglia di conoscere), e varie sorpresine horror-dark in stile ameno. Potrebbero non piacere tutte, a volte sono un po' troppo infantili, a volte non è chiaro perché dovrebbero far ridere e lasciano leggermente perplessi, non sempre brillano per originalità, a volte giungiamo ai confini della demenza, ma nel complesso... affascinano e incuriosiscono. E danno dipendenza, perché se ne vuole ancora, ancora, sempre di più!

Non si capisce perché: il fumetto è totalmente amorale, sconclusionato, assurdo, Lenore a volte è odiosetta e fa pure cose disgustose, non c'è scopo, non c'è senso, solo un continuo nulleggiare e/o tormentare il prossimo... Il lettore non riceve alcuna illuminazione, o insegnamento, o perla di saggezza.

Già... Embè? Il lettore si diverte!!!

E tanto basta.

Per ora ne sono usciti quattro volumi: Piccole Ossa, Piccole Ossa crescono, Ossa e frattaglie, Ossa frullate (non sono coccolosi già solo i titoli?)... Gli ultimi a colori... E sono una delizia! Macabra, okay, ma sempre delizia!

venerdì 21 febbraio 2014

Intimistico e toccante


MIDDLESEX
di Jeffrey Eugenides

 
Un libro strano questo, che un po' è saga familiare, un po' è la storia di un individuo, l'io narrante. Che non si sa bene se è un maschio o una femmina.

Callie è uno pseudoermafrodito, in realtà. Ma lo scopre solo da adolescente e va in confusione. Perché era certo di essere una femmina, così è stato cresciuto, ma le sue pulsioni lo portano in una direzione diversa. Anche in senso geografico, perché scappa di casa, a cercare se stesso/a.

Un romanzo interessante, insolito, che mescola un po' di tutto, e lo fa, a tratti, in modo intimistico e toccante, a tratti con ironia e divertimento.

Si comincia alla lontana, in Turchia, nel 1922, in un villaggio greco, con i nonni, che devono fuggire a causa della guerra e arrivare negli Stati Uniti. E si continua da lì, attraverso il figlio Milton e la sua storia d'amore, e quindi i loro nipoti (tra cui Callie), e molteplici e bizzarre vicissitudini (omicidi, predicatori, rapimenti, incendi, fortuna, rovina) che si ingarbugliano e si mescolano, almeno parzialmente, alla storia americana novecentesca. Molte circostanze concorrono a creare le coincidenze che hanno portato alla nascita di Callie e ci vengono illustrate tutte, con calma, gustando il piacere del racconto, della parola e della riflessione.

La trama non mi ha presa da subito. Lo stile è posato, descrittivo. Lento. Ma folgorato da improvvisi bagliori, bellezza distillata, che impediscono l'interruzione della lettura. Basta abituarsi al ritmo, però, per procedere lesti, avvinti dalla storia, che subisce continue svolte e impennate, sorprendendo di continuo, violando sovente e con piacere le convenzioni sociali. A partire dal matrimonio dei nonni, che in verità sono fratello e sorella.

Ci sono alti e bassi, è vero, e momenti di stasi. Ma si perdonano perché l'impianto di base è così ricco e multiforme che si viole comunque andare avanti e ormai ci si fida dell'autore.

L'elemento più significativo, tuttavia, benché esploda nella sua potenza solo dopo la metà del romanzo, sta nella scoperta di Callie della sua realtà fisica, che è anche spirituale. Di come la affronta, di come lotta per affermarsi ed accettarsi attraverso le più contraddittorie esperienze.

Certo, “Le vergini suicide” mi era piaciuto di più.

Ma probabilmente solo perché era più suggestivo.

giovedì 20 febbraio 2014

E le spine pungono


NOI SIAMO INFINITO
(2012)


Da tempo non incappavo in un film così bello ed emozionante, così poetico e struggente, così ricco, così forte! Ti riporta indietro, ai tempi in cui ancora c'erano le musicassette e si scriveva a macchina, ma soprattutto al tempo dell'adolescenza, del Liceo... A come non è stato, magari, ma a come avrebbe dovuto essere... E a come non sarebbe dovuto essere mai, perché le rose profumano, ma hanno le spine. E le spine pungono.

Il protagonista, Charlie (Logan Lerman) è un ragazzo particolare, uno “strano”, che un po' ricorda Donnie Darko, ma molto più insicuro, più dolce, più debole. Uno di quelli che stanno in disparte, e che non partecipano. Ma non perché non abbiano nulla da dire, è solo che non sanno bene come fare. Uno di quelli che quando li conosci vuoi abbracciarli e riempirli di coccole, solo che magari prima fatichi a notare. Perché è difficile. Perché in un certo modo hai l'impressione che loro non gradiscano. Ma non è così, è che pensano di non c'entrare niente con te. O con nessuno. E un po' è vero, ma un po' di più no.

Charlie è terribilmente solo. Oddio, per certi versi considerata la gentaglia che frequenta la sua scuola c'è da rasserenarsene. Ma lui non se ne rasserena per niente, anzi si sente sbagliato, diverso. E soffre. E pensa non sia colpa di nessuno perché le dinamiche del Liceo sono così e se sei nerd e pure introverso ti spetta la solitudine, che però è difficile da sopportare. Ma non è tutto qui, e si intuisce da subito. Charlie è anche uno che ha vissuto un trauma, uno di quelli che ti segnano per sempre. Non apprendiamo subito quale. Ma lo sentiamo, pulsante, insistente, in bilico. Poi scopriamo che ce ne sono stati due, di traumi. E sono uno peggio dell'altro.

Ma prima conosciamo Sam (Emma Watson) e Patrick (Ezra Miller). Non sono come gli altri. Sono speciali. Come tutti hanno le loro fragilità, ma sfuggono alla massa e non etichettano le persone in base a stupide categorie senza senso. Loro stessi sono fuori categoria. E finalmente Charlie ha degli amici, e finalmente diviene se stesso, impara a “partecipare”, a lasciarsi andare e i suoi problemi finiscono sullo sfondo, dimenticati, travolti dalla felicità e da una sensazione di completezza. Perché poi quello che conta è soprattutto questo. L'amicizia. Ma quando i sentimenti sono così intensi, ci sono sempre dei drammi ad accompagnarla...

I personaggi sono stupendi: Charlie, cui, davvero, non puoi non voler bene, Sam, la ragazza che se fossi un ragazzino adolescente vorrei incontrare per tutta la vita, e persino il prof. di lettere (Paul Rudd) è quello che avrei voluto avere e che avrei voluto continuare a frequentare anche dopo la scuola... Ma quello che preferisco non può essere che Patrick perché è così fuori di testa, senza esserlo, talmente in cima al mondo eppure così lontano dallo stare sulla vetta, così sensibile, pieno di contraddizioni e pronto al divertimento, che non posso che adorarlo!

Interpreti eccelsi, ottimo taglio registico (specie nelle sequenze prima della telefonata alla sorella), ma soprattutto meravigliosa la storia: semplice, leggera, eppure capace di andare a fondo e di rimanerti nel cuore, costellata di luci ed ombre, brillante, sagace, commovente. Ma divertente, anche. E bellissima.

Il regista si chiama Stephen Chbosky e ha tratto il film dal suo stesso romanzo, “Ragazzo da parete”.

Non vedo l'ora di leggerlo.

mercoledì 19 febbraio 2014

Giocare “alla Messa”


GIOCHI MALATI DEL RAGNO DA PICCOLO

 
Quelli che si inventava lui, probabilmente mentre era posseduto da qualche demone...

Verso i quattro-cinque anni ogni tanto sparava di voler giocare “alla Messa”: lui sarebbe stato il sacerdote e gli altri (io, Chicca, Androide, Mater e Pater) avrebbero impersonato i fedeli... E' proprio il caso di dirlo: Giesù (alla Cassidy)! Ma come può un bimbo concepire qualcosa di così noioso? Mater si lamentava che era blasfemo, io a quello non badavo... Ma quando il malefico infante, ormai sugli otto anni, si è presentato al picnic di Pasquetta (con i miei amici) munito di libri di preghiere per consumare più santamente il pasto, io ho seriamente temuto di dovermi rivolgere ad un esorcista...

Poi c'è stata la fase degli “Hamtarini”, come li chiamava lui, vale a dire quei cricetini della serie di Hamtaro. Un supplizio! Il mostriciattolo si era fatto regalare casette ammobiliate e ambientini ameni e pretendeva che io passassi la vita impegnata ad organizzare avventura cricetose (merende, scampagnate, festicciole... Un po' come una Barbie, ma più rustica, pelosa e ignuda)... Blé!!! Tuttavia mi fa tenerezza pensare che all'epoca la merce di scambio di mio fratello fossero “le ore”. Ad esempio: Io ti preparo la merenda, mi diceva, se in cambio poi tu giochi due ore con me! Adesso è più pragmatico. Vuole dei soldi.

Quando la fase dei ratti mignon è passata, sono arrivate “le disgrazie”!

Prima si doveva arredare la mia vecchia Villa Paradiso d'Estate (ovvero la dimora dei miei Mini Pony, nel frattempo pensionati, assai più grande delle abitazioni dei criceti) che quindi veniva popolata e sistemata in un punto strategico. A quel punto il gioco iniziava e gli sventurati personaggini, per lo più omettini playmobil (chissà perché portavano il nome degli amici di mio cugino), erano costretti ad affrontare il terribile imprevisto: un tornado (realizzato con il phon), un terremoto (forti scossoni), il maremoto (secchiate d'acqua)... fino alla distruzione della loro casa e al decesso dei partecipanti... Devo ammettere che il Ragno era molto creativo e le morti dovevano essere dettagliate e supportate da dialoghi surreali. Si era persino premurato di coprire di scotch le finestre (simulazione del vetro) per evitare la fuoriuscita dei mobili durante i cataclismi più virulenti e di integrare l'arredamento con quadretti e centrini, per rendere la scena più drammatica. Non so se il suo fosse un modo per vincere qualche paura recondita, ma nel complesso il gioco era piuttosto inquietante e perverso...

Io, in gioventù, mi ero accontentata di allestire una casetta horror (con pezzi di gambe, piedi e mani di Barbie e Lady Lovely intinte nella tempera rossa, scheletri, mostriciattoli, occhi, gli sfondi di “Brivido” e i personaggi di “Hero Quest”, i giochi in scatola, e mini candele fabbricate artigianalmente) nel comodino...

Complici Androide, Chiccachu, Dany e suo fratello, e un amico di Androide...

Altri tempi...

martedì 18 febbraio 2014

La zuppa è sempre la stessa


WILBUR SMITH

 
Non so per quali congiunzioni astrali, ad un compleanno mi sono stati regalati quattro dei suoi romanzi (titoli diversi), così, presa dal mio feticismo maniacale e compulsivo, ho acquistato la sua intera opera (quando ero più giovine ero così: o tutto o niente, e se avevo un romanzo di un autore, dovevo possedere anche tutti gli altri). Non è stata un’idea tra le più geniali.

Come scrittore è scorrevole, regala splendide atmosfere, specie in relazione alle ambientazioni africane, e storie appassionanti… Peccato che lette tre o quattro varianti (si spazia nel tempo e nello spazio tra il Sudafrica al Congo, dall’Antico Egitto all'Inghilterra, con tanto di oceani in mezzo, tra il 1600, e il ‘900 tutto etc. etc.) la zuppa sia sempre la stessa: una matrice storico-avventurosa, magari qualche incursione nella politica, cattivi cattivissimi, protagonisti forti e carismatici, grandi fortune che si creano e si disfano in un soffio, storie d’amore travagliate, sentimenti assoluti, un po’ di sesso selvaggio in versione soft, un po’ di azione/violenza, cura per i dettagli storico-geografici, atmosfere suggestive, saghe familiari, vendette che si gustano fredde, elefanti, leoni e ippopotami, se siamo fortunati…

Alla lunga si ha l’impressione di essere di fronte ad un vero e proprio copia e incolla, in cui sono stati giusto cambiati i nomi dei protagonisti e l’ordine delle vicende… Talvolta pare di essere dinanzi ad una mera operazione commerciale, nel senso più triste del termine, in cui ogni cosa è artificiosa, schmatica e contraffatta, senza neanche un po’ di rispetto per il lettore o divertimento/amore da parte dello scrittore, che plausibilmente è mosso solo da necessità alimentari.

In alcuni romanzi i personaggi sono affascinanti e ti seducono (lo schiavo Taita, la maggioranza dei Courtney…), ma altri (quasi tutti, ad esempio, nel ciclo dei Ballantyne, specie i protagonisti) risultano meschini, sgradevoli ed esasperanti… Non solo non ti ci affezioni, ma ti auguri pure che facciano una brutta fine.

Intendiamoci, alcuni romanzi mi sono piaciuti: “Il dio del fiume” e “Il Settimo Papiro” del ciclo egiziano (i seguiti sono davvero imbarazzanti e dopo il quarto libro mi sono arresa e non ho comprato più nulla di Smith); “Uccelli da preda” e “Monsone” dei Courtney navigatori (ma che schifezza che è “Orizzonte”!), i Courtney e i Courtney d’Africa (più che altro per amore dei personaggi), sia pur con alti non troppo alti e bassi piuttosto imi e lunghi momenti di stasi... Non mi è dispiaciuto “L'orma del Califfo”… Del ciclo dei Ballantyne, invece, salvo solo (parzialmente) “La notte del leopardo” (ma certamente non perché sia un capolavoro)… Mentre altri, quali “Una vena d’odio”, “Sulla rotta degli squali”, “Ci rivedremo all'Inferno”, “Cacciatori di diamanti” (solo per citarne qualcuno) non valgono la carta su cui sono stati stampati... Va mu.

lunedì 17 febbraio 2014

Colmo di speranza


LA FORZA DEL CARATTERE
di James Hillman

 
Dove si parla del carattere, ma anche della vecchiaia, perché è in questa fase della vita che davvero il carattere diviene se stesso, che “si compie”, che “è”, in tutte le sue accezioni, varianti e sfaccettature. Perché il carattere non è una realtà unica e univoca, ma un insieme di personalità che cambiano a seconda di stati d'animo e situazioni, che mutano in base all'esperienza, o che emergono in modo diverso a seconda del “quando” e del “con”. Che talvolta subisce il filtro dell'educazione o delle convenzioni sociali.

Così la vecchiaia si indaga nel dettaglio (culturalmente, filosoficamente, dal punto di vista sociale e medico), si rivaluta, si scruta in modo nuovo, si cerca di affrontarla e di capirla.

E' un bel libro, questo, colmo di speranza, di fede, di bellezza. Spalanca le porte di mondi che sono sempre stati lì, ma che noi di solito non vediamo.

Hillman è un accademico, uno psicologo. Ma non è pedante, questo saggio, anzi. E' divulgativo, fantasioso, arguto, ricco di aneddoti, di esempi tratti dalla letteratura, dall'esperienza personale, più che da casi clinici.

Scritto con semplicità e simpatia, è comunque profondamente filosofico e porta ad sacco di riflessioni insolite e affascinanti.

All'inizio, magari, ti ci accosti con una certa diffidenza (l'introduzione è un po' dispersiva), la vecchiaia è una flebo, pensi, non mi interessa. Ma non è vero. Devi solo imparare a guardare. E ti appassioni, e ti commuovi, persino, di fronte a certe verità. Che ti toccano e ti rasserenano, e ti sembrano talmente evidenti ora, vivide, vicine, e piene di luce. E poi la questione non è la vecchiaia, ma il carattere. Questo è solo un percorso per arrivarci. E intanto arrivi anche agli altri e a te stesso, perché sono tutte facce della stessa medaglia, e sono sempre degne di nota, scevre da preconcetti, da giudizi morali.

E' come riempirsi i polmoni d'aria!

E poi, alla fin fine, questo saggio è persino anche una fucina di spunti per dei racconti, per dei romanzi... Jonathan Carroll ne andrebbe pazzo! Certi esempi sembrano l'incipit di alcuni dei suoi libri più belli...

Magari non è facile da leggere sul treno perché richiede un minimo di concentrazione. Però è scorrevole e spiegato con pazienza e perizia, illustrato in ogni passaggio.

Per chi ha voglia di sedersi a contemplare il tramonto, per chi ha bisogno di analgesici letterari, per coloro cui piace cambiare prospettiva.

domenica 16 febbraio 2014

Pullulante di trovate


GROSSO GUAIO A CHINATOWN

(1986)


 
In cui realtà e finzione si confondono fino a perdersi fra i confini della magia, tra misteri, suggestioni, incantesimi e antichi rituali... Però non è un fantasy, è un film d'azione, avventura e adrenalina, uno di quelli “all'antica”, traboccanti di battute ironiche, in cui i duri sono davvero duri, ma ogni tanto (almeno del caso del protagonista, il “nato pronto” Jack Burton) hanno una propensione a farsi travolgere dal quasi demenziale, sapendo però ridere di se stessi...

Certo il condimento è fantastico: abbiamo i maghi, i mostri, e le fanciulle in pericolo (e almeno una che è anche un po' pericolosa, e non sempre femminile) ma non siamo nel Medioevo Magico, siamo a Chinatown e certi maghi guidano un pulmino e organizzano giri turistici in città...

Si alternano paura, tensione, epici combattimenti, ma anche risate e strizzate d'occhi, ma soprattutto divertimento, divertimento a palate!!!

Un film pullulante di trovate, di dialoghi spumeggianti, che non perdono il loro smalto nemmeno dopo l'ennesima visione... E poi i duelli, le creature, i personaggi! Persino i comprimari sono uno spasso! Certo, gli effetti speciali ormai sono un po' datati, ma non importa, perché conquistano ancora, i cattivi hanno il loro perché e la magia nera cinese e soprattutto le dissertazioni sull'aldilà e gli sprazzi di mitologia cui si fa riferimento sono incredibilmente affascinanti... E poi c'è la storia d'amore, immancabile, ma un po' fuori dagli schemi (specie sul finale)... Naturalmente alludo a quella fra Jack (un Kurt Russell in formissima), adorabile anti-eroe sporco, simpatico e scettico sbruffone testa di beep, e la linguacciuta Gracie Law (Kim Cattrall al suo massimo), bisbetica, anticonvenzionale, e cocciuta, non a quella tra la stupenda Miao Yin e il prode Wang Chi, più tradizionale e romantica, come più tradizionali e romantici sono i suoi protagonisti (la vera bella in pericolo e il vero eroe nobile e coraggioso)...

Che cavolo! Pure la colonna sonora mi è piaciuta, e se non sbaglio il buon vecchio Carpenter se l'è scritta da solo... Carpenter, sì. John Carpenter. Che come regista horror è un maestro, ma che qui è un vero dio!!!

sabato 15 febbraio 2014

I Western sono crudeli e selvaggi


LA FORESTA
di Joe R. Lansdale

 
Sarà violento, sarà volgare, ma a me Lansdale piace da impazzire! E riesce non solo a divertirmi, ma persino a tirarmi su di morale!

Sarà per lo stile spigliato e pragmatico, vagamente farsesco, indubbiamente grottesco, costellato di dialoghi surreali e metafore iperboliche... Sarà perché ai protagonisti capita di tutto, ma non si scoraggiano mai, e accettano il loro destino con flemma e senso pratico, senza tanti drammi... Sarà perché non ci sono troppe regole narrative, o filtri, o inibizioni, e sostanzialmente può succedere di tutto...

Non lo so, che cosa sarà! Ma il signore, qui, è un ristoro per l'anima! Senza pensieri, senza fatica, ma con arguzia e immaginazione.

Senza esagerare, però, in questo caso... O comunque non più del dovuto...

La Foresta è un Western, e i Western sono crudeli e selvaggi, proprio come ci insegna Cormac McCarthy. Ci sono uomini probi che vengono torturati e uccisi (ma soprattutto torturati) e ci sono uomini cattivi che paiono avere più vite di un gatto, rapiscono fanciulle, rapinano banche, ma paiono destinati a farla franca... Gli stupri sono all'ordine del giorno. Ci si sente impotenti e in un attimo si può perdere tutto. Ma non se si è il protagonista, perché non si rinuncerà alla speranza e si cercherà un modo per rialzarsi!

E' quello che fa Jack dopo che, neo orfano a causa del vaiolo, gli seccano il nonno e portano via la sorellina, scampa a stento ad un naufragio e finisce in un pestaggio... Non si dispera, mica. Recluta un enorme scavafosse di colore, invece, un maiale ed un nano cinico e istruito, e parte all'inseguimento dei malvagi.

Durante il viaggio, come spesso accade, perderà qualcosa e guadagnerà qualcos'altro, scoprirà un sacco di cose su se stesso, diventerà adulto, e troverà l'amore e degli amici... Azione, riflessioni assurde, sparatorie, battute spassose e scoppiettanti. Buon ritmo (anche se il libro si perde un po' a metà, per riprendersi splendidamente, però, verso la fine)

Non è un capolavoro, non è una pietra miliare, e neanche uno fra i migliori romanzi di Lansdale (per me resta insuperabile “La sottile linea scura”, meno frizzante, magari, ma più profondo)... La trama, se andiamo a vedere, non è nemmeno molto originale... Ma è piacevolissimo e tanto basta!

venerdì 14 febbraio 2014

Mortalmente sensuale


BLACKSAD
di Juan Diaz Canales e Juanjo Guarnido

 
Blacksad di nome fa John ed è un detective di New York in un tempo che ci fa pensare agli anni '50.

In gamba, solitario, un po' “stropicciato”.

Nonché un gattone antropomorfo che si muove in una città di animali antropomorfi, le cui fattezze rispecchiano i caratteri dei personaggi (i quali, tuttavia, ogni tanto riservano qualche sorpresa).

Lo so, detto così viene da pensare a Topolino in versione hardboiled. Il disegno, per giunta (uno dei punti di forza della serie) è un po' disneyano...

Ma il parallelo finisce lì.

Il clima di questo fumetto è quello del noir anni '50 e le storie sono adulte, senza lesinare sulla violenza. I personaggi possono morire (e muoiono), fare sesso (e lo fanno), mentre le trame toccano tematiche importanti quali il razzismo, la corruzione, la mafia, le droghe pesanti...

Le storie sono molto carine (non eccezionali, ma quasi non si nota), vantano un ottimo taglio registico e rendono omaggio al genere ricalcandone i canoni (con qualche strizzata d'occhio). Nei volumi successivi al primo si diversificano per toni, temi e ambientazioni, così come i personaggi, Blacksad in particolare, acquistano spessore, gli intrecci si complicano, e i colpi di scena si fanno meno scontati...

Fusione perfetta tra atmosfera, azione e mistero, tra luci e ombre, dinamismo e poesia.

Il pregio maggiore, però, è il disegno: plastico, espressivo, dettagliato, che quando vuole sa essere mortalmente sensuale, in più sottolineato da colori bellissimi, morbidi, sfumati, che seducono al primo sguardo.

Quattro avventure (ma è in arrivo la quinta) in lussuose edizioni rilegate... Tra tutte, forse, la mia prediletta è la seconda, Artic Nation, ma mi sono piaciute molto anche le altre... Al momento, fremo nell'attesa di leggere la prossima, l'imminente Amarillo, in uscita in questi giorni...

giovedì 13 febbraio 2014

Un'opera seria


FANTERIA DELLO SPAZIO
di Robert Heinlein

 
Capolavoro fantascientifico cui è impossibile non appassionarsi. C'è di tutto: dalle astronavi ai mostri, dallo spazio ai combattimenti!

E' un'opera seria, però, inserita in un contesto militare a volte straziante (i soldati muoiono, e sono compagni, spesso amici, o potremmo essere noi...), ambientata in un futuro distopico per nulla rassicurante, con 'sti aracnoidi marziani e ipervitaminizzati che voglio distruggerci! Sono cattivissimi e, naturalmente, superforti, quasi senza debolezze...

Il protagonista è Rico, un giovane che decide di arruolarsi come volontario, che dovrà affrontare prove durissime (a cominciare con l'addestramento) che ne formeranno il carattere e lo aiuteranno a maturare...

Ma non è tutto qui. Oh, no!

Il romanzo è introspettivo, sostenuto da una scrittura fluida e da frequenti approfondimenti psicologici. Affascinante anche la rappresentazione della società che trapela dalle lezioni del prof. Dubois: meritocratica ma fascistoide, progressista e liberale, ma militarizzata.

Tuttavia Heinlein lo critica, il militarismo, benché canti l'eroismo e il senso di responsabilità, l'impegno e l'amor patrio... E ancor più si accanisce contro i totalitarismi o le democrazie del 1900, viste come illusorie (oh, quanto sono d'accordo!).

Un romanzo scritto alla fine degli anni '50, ma ancora fresco e attuale (benché, a livello di “immaginazione del futuro”, alcuni elementi risultino ora come un poco obsoleti, ad esempio i libri di carta...), specie per quelle tematiche che ne costituiscono il fondamento e che sono, di fatto, una denuncia sociale intelligente e brillante.

Ma anche senza rifletterci, anche a volerlo leggere senza sottotesti, “Fanteria dello spazio” coinvolge ed emoziona, riesce ad essere diretto ed immediato, anche mentre ci impone delle domande e ci chiede di meditare... Sull'etica, sulla filosofia, sulla politica.

Un libro adulto, profondo, ma che può essere per ragazzi.

Un libro che avvince, che commuove, ma che educa e fa crescere, e intanto arricchisce.

mercoledì 12 febbraio 2014

Quello che conta sta in mezzo


ILIADE
di Omero
 
 
Il poema sulla guerra di Troia (anzi sul suo ultimo anno, ma neppure tutto), uno di quei capolavori che è bello da leggere in gioventù, ma ancor più bello da adulti, però sempre ed assolutamente nella traduzione di Vincenzo Monti.

Si tratta di un'opera magnifica, naturalmente, maestosa, trionfante, ma infarcita di parti noiose: elenchi interminabili, cataloghi delle navi, banchetti, regalie, e via dicendo... Quando vi si incappa, solo la bellezza della poesia può spronare il lettore ad andare avanti, ma se ci si affida ad una scrittura mediocre è davvero difficile non arenarsi prima di giungere a metà.

All'inizio l'Iliade può sembrare impegnativa, occorre integrare con qualche nota, non tutti i vocaboli sono di uso comune... Le costruzioni, però, sono raramente difficili e dopo due o tre canti ci si accorgerà che fondamentalmente il frasario è sempre lo stesso, quindi si potrà procedere con disinvoltura, agevolmente, appassionandosi vieppiù alla trama. Diversamente, il consiglio è di accontentarsi della gradevole riduzione di Baricco, che ha provveduto all'espunzione dei passaggi meno sopportabili, che ha il dono della parola, che è semplice e divulgativo, ma che, ahimè, Omero non è, per quanto io lo adori...

La storia è nota. In soldoni: Achille, il più valente eroe dell'esercito acheo, litiga con Agamennone, il comandante supremo, (per via di una fanciulla, sic!) e cessa di combattere. Le sorti della guerra, allora, pendono a favore dei Troiani fino a che Patroclo, amico (e grande amore) di Achille, decide di indossarne l'armatura spacciandosi per lui. Il risultato è che Ettore lo uccide e Achille decide di vendicarsi...

Niente di che, si potrebbe opinare.

Ma quello che conta sta in mezzo: questa è solo la cornice. Dentro ci sono altre storie che si intrecciano, altri eroi, amori e amicizie, tradimenti, persino un po' di splatter... Tutto è grandioso, epico, magniloquente (se non sembrasse una bestemmia, oserei quasi affermare che a tratti pare la versione poetica di un film con Stallone, Tom Cruise e Bruce Willis, al cubo e tutti insieme)! E la gloria è la normalità... Ma c'è anche spazio per momenti di tenerezza, di riflessione, di nobiltà d'animo... C'è tutto, in effetti, come in ogni capolavoro. Il vero protagonista, alla fine, non è nemmeno Achille, ma Ettore, molto più responsabile, ragionevole ed umano, e ci sono belle figure femminili, come Andromaca, Cassandra ed Elena, che non è la vuota sciacquetta che si potrebbe pensare... Paride, se mai, suscita irritazione ad ogni sua comparsa! E poi ci sono Ulisse, Aiace (Telamonio, il mio prediletto... Oileo è solo un animale), Enea... Il povero Priamo... Ciascuno esaltato individualmente nelle sue peculiarità... Ma sopra tutti si stagliano gli Dei.

E già, alla fine l'eroismo degli uomini conta poco o niente: il loro destino è in mano agli Olimpi, che discutono e baruffano alla stregua dei mortali, dimostrandosi altrettanto capricciosi e vanesi. Frustra un po', questo aspetto. L'umana impotenza, soggetta, per giunta, all'arbitrio di gentucca meschina...

Ma al contempo è affascinante e indicativo, di come siamo fragili, di quanto sia assurdo il fato, talvolta ingiusto...

Personalmente, molto più dell'Odissea, per me questo è un poema di emozioni, di innalzamento spirituale, di esaltazione psicofisica... Commuove, in certi punti. O indigna. O carica. O riempie di struggimento, perché se ne presagisce la conclusione... Non c'è un eroe solo, ma tanti, differenti, che si potranno amare od odiare, ma che sempre restano impressi.

E poi c'è la vertigine della poesia che arriva dritta al cuore, che sfiora l'Assoluto. Eterna.

martedì 11 febbraio 2014

Violenza fine a se stessa


FUNNY GAMES (1997 - 2007)

 
Recensione che comprende sia l'originale che il remake americano, entrambi di Michael Haneke, esteticamente identici, senza esserlo davvero...

Ebbene, questi film sono stati una tortura.

Non posso dire che non mi abbiano affascinata, incuriosita, avvinta. Che diamine, alcuni passaggi, specie quelli in cui si gioca sul non detto, sul non mostrato, sono geniali... Non si può lamentare un eccesso di splatter, perché, tutto sommato, di schizzi di sangue non ce ne sono tanti... Eppure, la violenza è ai massimi gradi. Fisica, ma soprattutto psicologica. Perché tu non patisci solo per te, ma per la tua famiglia. Perché non si limitano a ucciderti, prima ti spezzano, a poco a poco, lentamente, logorandoti, privandoti del “tuo essere tu”, e magari riescono perfino a convincerti che la colpa è tua, perché non sei stato gentile... Perché tutto ciò non ha senso, non ha scopo, ragione, riscatto... E' solo un gioco, per passare il tempo. Un gioco divertente...

Si parte con la famiglia perfetta (mamma, papà, bambino, benestanti e a modo) che fa la vacanza perfetta. Ma tu sai già che cosa sta per succedere perché hai sentito parlare del film, hai visto il trailer... E l'atmosfera si fa subito malsana, disturbante, complici le inquadrature. Perché sai che i bei momenti di serenità faranno solo da contrasto con il dopo.

E avverti subito qualcosa di strano nella casa dei vicini: li trovi nervosi, scostanti, eppure siete amici, li conosci da una vita, venite spesso qui, è la vostra dimora estiva, questa... Poi uno dei ragazzi che prima hai notato con loro, uno che non hai mai visto, viene a chiederti delle uova in prestito. Gliele dai. Lui le fa cadere, e ne reclama ancora. Lo accontenti, cadono di nuovo. E' uno scherzo? Sembra uno scherzo. Ma lui vuole altre uova, gli servono. Pare un bravo ragazzo, a vedersi. Giovane, elegante, cortese, con un bel viso pulito. Solo che non è bravo. E' vuoto. E' un mostro. Ma tu hai bisogno di un po' di tempo per capirlo. Intuisci già qualcosa, lo sospetti, ormai, ma non sai fornire una spiegazione plausibile. Vuoi che se ne vada. E intanto arriva il suo amico. Divengono insistenti, fastidiosi. Vuoi che vadano via entrambi. Ma non lo fanno. E quando anche i tuoi familiari ti raggiungono... l'orrore ha inizio. Sempre più umiliante, assurdo, disturbante. Un'escalation di crudeltà piena di false speranze e di illusioni, in cui tu credi, pur riconoscendone la falsità, perché non hai altro cui aggrapparti.

E quando si sfocia nel grottesco è persino peggio...

Ho sofferto, durante la visione, specie durante la prima, quella relativa alla pellicola del '97. A tratti dovevo interrompere per respirare.

Violenza fine a se stessa che proprio per questo si erge a denuncia di sé medesima. Che va interpretata e non si esaurisce in un pugno di morti. Che più ci rifletti e più ti scuote, e ti fa capire che c'è dell'altro sotto, ancora più sbagliato, più disturbante. Che è ineluttabile (si veda la scena col telecomando... Illogica, sleale, quanto potente e significativa) e fa parte dello spettacolo che tu stesso, nonostante tutto, non riesci a smettere di guardare. E in fondo anche tu stai giocando, sei complice... E il confine dello schermo è così labile...

Tra le due pellicole ho preferito quella originale: meno mezzi, meno patinata, ma per questo più cruda e credibile... Mentre lo guardi vedi una famiglia, non Naomi Watts e Tim Roth (pur bravissimi) nella loro figaggine. Senza contare che nel 2007, tra Internet e cellulari, le coincidenze che si verificano per poter andare avanti con la trama sono un po' troppe...

E poi qualcosa nel retrogusto cambia. Meno amaro, ma più acido, forse...