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mercoledì 28 febbraio 2018

Percorsi mentali e mutande altrui

A CIASCUNO I SUOI SPUNTI


No, è che, davvero, non ne posso più.
Che io scriva per diletto è risaputo: la conseguenza è che mi espongo ad un sacco di soggetti che, per quanto animati dalle migliori intenzioni, mi propinano quotidianamente le loro idee per confezionare romanzi e racconti.
Robe tipo: “Sai, dovresti scrivere di questa cosa che mi è capitata...”, oppure, “Sai, dovresti scrivere di questa cosa che ora ti racconto, perché la realtà supera la fantasia...” 
Grazie, anche no.
E' così difficile capire che ognuno deve seguire i suoi percorsi mentali e non quelli degli altri?
Usateli voi i vostri cavolo di spunti!
E poi a me piace l'immaginazione. Non la realtà. Meno che mai quella che supera la fantasia e mi innervosisce. Realtà-blè!!!
Non è che mi offenda, apprezzo le buone intenzioni, siete tutti carini e premurosi, ma sospettate anche solo vagamente quanti spunti altrui al giorno mi debba sorbire? No?
Sappiate, allora, che sono più numerosi delle esternazioni di quelli che vorrebbero cucinarsi Paco, il mio coniglio, con le patate.
Lo dico una volta per tutte: gli spunti per scrivere sono personali e vanno sentiti. Non si possono usare quelli degli altri. Sarebbe peggio che indossare mutande usate altrui. Ognuno se li deve sentir vibrare dentro. Amarli. Respirarli. Viverli.
L'ispirazione non va a comando. E nemmeno si trasmette.
In quanto a me, sappiate che ho già le trame dettagliate di quattro romanzi pronti per essere buttati giù, due romanzi da correggere, tre da riscrivere.
Il mio problema non è la carenza di idee, ma il deficit di tempo.
Regalatemi del tempo, non i vostri spunti! 
Mi regalereste forse le vostre mutande?

martedì 27 febbraio 2018

Un film con un'anima

BLADE RUNNER 2049
di Denis Villeneuve
(2017)


La mia opinione oscilla riguardo a questo film.
E' davvero troppo, troppo lungo. Ci sono scene intense intervallate da immensi vuoti. Una trama interessante, che non tradisce né Ridley Scott né Philip Dick, ma che, anzi, arricchisce gli stilemi del primo, risultando ancora più fedele al secondo. Harrison Ford spunta fuori tardissimo, ben oltre la fine del primo tempo. La fotografia e le scenografie sono meravigliose. Ryan Gosling è bravo, e così il resto del cast, ma si accusa la mancanza di antagonisti carismatici del calibro di Roy Batty (Jared Leto/Wallace non mi convince del tutto) e frasi immortali come quelle pronunciate da lui. Per chi non ricorda nel dettaglio la trama di Blade Runner è difficile cogliere i riferimenti e persino seguire la storia. A tratti il film fa male. Non è un difetto questo. Ma bisogna dirlo: fa male. Non è sensibilità ecologica la mia, è proprio il peso opprimente della disumanizzazione.  
E dunque?
Credo che sia da vedere, specie per chi ama l'universo di Blade Runner, cui si aggiungono molti tasselli, utili anche per decodificare il primo film. Però bisogna essere nella serata giusta: ben riposati e inclini all'introspezione, rilassati, contemplativi, attenti, e disposti ad ascoltare. Anche quando non parla nessuno.  
Credo che ci siano idee eccezionali, metafisiche, e tanto ricchissimo materiale, suscettibile di essere utilizzato ancora e proposto in modo personale.  
Credo che, comunque, questo film abbia un'anima e non è cosa da poco. Non tutti i film la hanno. E quando c'è, beh, non si fa fatica a perdonare qualche pecca e un ritmo non lento, ma nemmeno galoppante. Anche perché, una volta terminata la visione e atteso il giusto tempo, viene voglia di rivederlo da capo.

lunedì 26 febbraio 2018

L'arte di raccontare i sentimenti

MOTOR GIRL
di Terry Moore


Sbaglio a definire Terry Moore il miglior autore completo sulla piazza? Credo di no, e probabilmente anche a giudicarlo solo come sceneggiatore o disegnatore sarebbe comunque in pole position. 
Detto questo, temo che se vi riassumessi la trama di “Motor Girl” obiettereste che è banale, scontata, e che sa di roba vecchia, riciclata e rimescolata. 
Mi direste che si fonda su uno stratagemma quasi ovvio, immediatamente identificabile, che ruba persino un po' a Calvin e Hobbes. 
Avreste ragione.
Ma il punto non è sempre che cosa si racconta. A volte conta come. 
In tal senso la maestria di Terry Moore è ineguagliabile: dall'espressività dei volti alla perfezione del montaggio, dal ritmo incalzante alle emozioni che trapelano con dolcezza inesorabile. Con una novità: non una serie, questa volta, ma un volume unico. In cui ci imbattiamo in UFO, militari, e un gorilla parlante... Drammi veri e immaginazione. E rapporti stupendamente umani, nel senso migliore del termine. 
Moore sa rappresentare come nessun altro i sentimenti, è capace di renderli autentici e cocenti in tutta la loro vividezza senza neppure bisogno di far parlare i suoi protagonisti. 
Ciò non di meno, quando lo fanno, quando si scambiano battute, i dialoghi sono superbi, serrati. Spaccano. Così le sequenze, dal taglio ineccepibile, dalla calibratura impeccabile. 
Sono persuasa che quest'anno leggerò molti fumetti più originali di questo. 
Ma sono altresì persuasa che difficilmente ne leggerò uno raccontato meglio.

venerdì 23 febbraio 2018

Un tripudio di contrasti cromatici

THE MARVELOUS MRS. MAISEL


Non sono riuscita ad andare oltre la settima puntata di “Transparent”, della quarta di “Preacher” (benché ami il fumetto di Garth Ennis) o della seconda di “American Gods” (nonostante la mia venerazione per Neil Gaiman)... Ogni volta le serie tv di Amazon mi sembrano troppo lente, verbose e deprimenti. Anche quando dovrebbero far ridere. E appesantite da protagonisti inutili. Ma questa volta... Questa volta ho visto l'intera prima stagione (che, va bene, è di appena otto episodi) e mi sono divertita da matti. La Signora Maisel (Rachel Brosnahan, già vista in “House of Cards”) è davvero meravigliosa! Pazienza se, con quella pettinatura, pare tutta orribile mento e tragica fronte: l'interprete è fantastica, simpaticissima, e con un sorriso riesce persino a smussare gli angoli più aguzzi del carattere del personaggio.
Inoltre, la ricostruzione della New York anni 50 è puntigliosa e curata, un tripudio di contrasti cromatici, arredamenti e abitini deliziosi. Ci sono alcune gag efficacissime, critica sociale, femminismo q.b., e autentica comicità, abbinata, però, a scene drammatiche, che sarebbero tristi se non fossero affrontate (è il caso di dirlo) così di petto... Oltre ad una splendida colonna sonora.
La trama è la seguente: 1958, Miriam “Midge” Maisel è la classica supercasalinga convinta di vivere la vita perfetta. Agiata, di buona famiglia, ottima cuoca, sposata con un bel giovane approvato dai genitori, due figli, tanti vestiti... E, quest'anno, si è aggiudicata pure il Rabbino per festeggiare lo Yom Kippur. Unico neo, peraltro affrontato da Mrs. Maisel in modo energico e strategico, è il desiderio del marito, non molto dotato, di sfondare come comico, che lei asseconda al meglio delle sue possibilità... Ed è proprio questo a scatenare gli eventi. Una sera in cui l'esibizione va particolarmente male, non sentendosi adeguatamente supportato dalla moglie (rea di aver criticato la sua attitudine a copiare, anziché usare battute inventate da lui), Joel decide di lasciarla di punto in bianco, confessando di avere già una storia con la segretaria. Midge, furente e mezza ubriaca, torna nel locale in cui il marito ha fatto fiasco e sale sul palco. Facendo faville e rivelandosi una comica piena di talento.
Tra alti, bassi e colpi di testa, vedremo come se la caverà e come crescerà in quanto comica e in quanto donna. E anche se ci indigneremo spesso per via del maschilismo imperante, tra una riflessione e una discussione, ci faremo pure delle grasse risate.  
Spumeggiante. allegro.
Imperdibile.

giovedì 22 febbraio 2018

Quanta eloquenza...

ANDROIDE IN THAILANDIA


Ma come, direte, non c'era andato il Ragno?
Sì, in autunno, per diporto... 
Androide è partito dopo, l'11 dicembre. E non è ancora tornato.
Che cosa sia andato a fare in Thailandia è un mistero (Lavoro? Vaccanza? - intesa solo parzialmente come vacanza con due “c” - Ragioni esistenziali?), nulla ci viene svelato. Per giunta, a differenza del Ragno, che, pur stando via “appena” tre settimane, telefonava, inviava foto, messaggi e video pressoché ogni giorno, Droide – che è via da molto più tempo – si fa sentire assai saltuariamente e sempre in modo parco... Robe del tipo:
Io: - Ciao!!! E' da un po' che non ti fai sentire... Tutto bene? Che fai? Mandi un po' di foto? Ti diverti? Quando torni?
Lui: - Tutto ok.
Io: - Caspita, quanta eloquenza...
Lui: - Troppe domande ;).
L'aggiunta della faccina sorridente mi ha quasi commossa.
Sì, siamo messi male.
Ma le cose possono sempre peggiorare. E, infatti, puntualmente, peggiorano.
All'ultimo aggiornamento familiare è saltato fuori che Androide ha perso il cellulare in mare. Adiòs! Indi la consegna è non chiamare, non disturbare, sto bene.
Se fossimo una famiglia normale probabilmente saremmo allarmati.
Giacché non la siamo non stiamo troppo in pensiero... 
Anche se, lo ammetto, io continuo a chiedermi che cosa accadrebbe in caso di epidemia zombie. Non tanto per la questione del telefonino. Quanto per la distanza. Androide ce la farebbe a tornare a casa?
Il Ragno mi ha rassicurata illustrandomi diversi percorsi geografici alternativi.

mercoledì 21 febbraio 2018

Disillusione cocente

TANTE PICCOLE SEDIE ROSSE
di Edna O'Brien


L'inizio inganna. 
Poco importa che ci venga spiegato che il 6 aprile 2012, per commemorare il ventesimo anniversario dell'inizio dell'assedio di Sarajevo da parte dell'esercito serbo-bosniaco, vengono collocate 11.541 sedie rosse (640 più piccole per i bambini) lungo il corso principale di Sarajevo, una per ogni ucciso durante l'assedio. 
Ce lo dimentichiamo appena giungiamo a Cloonoila, un villaggio irlandese. 
E ci illudiamo di vivere una storia d'amore. Quella tra Vlad, il misterioso straniero, e Fidelma, la bella del paese. 
E' già sposata, ma che fa, non siamo bigotti e suo marito non ci garba. Non ci sembra la solita tresca, però. La solita storiella melensa. La prosa è troppo ricercata, troppo lirica. Ci incanta. Le rappresentazioni degli stati d'animo, in particolare, che filtriamo attraverso il ritratto del villaggio, i pensieri, gli afflati.
Solo che poi arriva la doccia gelata.
Ritorna il tema di Sarajevo.
Ritornano i fatti del 1992 “quando la comunità bosniaco-musulmana e quella bosniaco-croata furono terrorizzate e distrutte, una carneficina che col tempo sarebbe diventata nota in tutto il mondo”.
Poco importa che siamo in Irlanda.
Sarajevo ritorna. 
In modo brutale e drammatico.
E ci sono momenti atroci, spietati, crudi.
E momenti tristi.
E confusione, rimorso, panico. Disillusione cocente.
Ma anche spiragli di dolcezza, che, alla fine, ci riconducono a noi stessi, pur diversi da come sempre abbiamo creduto di essere.
Un romanzo inaspettato, pieno di svolte, di pause, di respiri più lenti.
Il primo che leggo di Edna O'Brien.
Non sarà l'ultimo.

martedì 20 febbraio 2018

Una storia narrata già troppe volte

IL PALAZZO DEGLI INCONTRI
di John Boyne


Nell'insieme un bel libro, ben scritto, avvincente, ma lungi dall'originalità e dall'impatto de “Il bambino con il pigiama a righe”.  
Si svolge su due piani, un capitolo ciascuno, alternati: il passato del protagonista, in continuity, negli ultimi anni della Russia dei Romanov, avventuroso e innocente, nonostante la burrascosa e sanguigna premessa di Kasin e la truce e drammatica inevitabile conclusione, e il presente/passato prossimo, in Inghilterra, con il nostro Georgij adulto e le sue vicissitudini da dopo sposato, che apprendiamo tramite segmenti non consecutivi. In queste pagine un segreto, un segreto enorme, che ci verrà svelato alla fine, ma che intuiamo quasi subito, senza fallo. E' questo, se vogliamo, a guastarci un po' la lettura. Il tema è ben sviluppato e approfondito in modo inedito, suscita empatia e riesce a cogliere diverse prospettive, compreso uno sguardo sul lungo periodo, sul dopo... ma, di fatto, ricalca i passi di una storia narrata già troppe volte e che, per quanto affascinante, ora fa più fatica a sedurre.
Anche i numerosi altri colpi di scena sono prevedibili e quasi di repertorio, tuttavia  si procede volentieri con la lettura. A piacerci sono infatti i personaggi, le descrizioni, la fluidità ovattata dello stile, e l'atmosfera. Si respira amore, in questo libro, un amore forte, fiabesco, con la “A” maiuscola, ma non immune da difetti. E poi c'è Rasputin. Meno importante di quel che si potrebbe pensare per gli ingranaggi della trama, ma straordinario e mostruoso, da far accapponare la pelle, per quel che si dice e per quel che si sottace, e, per contrasto, fa risaltare lo Zar, Nicola II, la cui figura ci intenerisce e di cui impariamo a distinguere il padre, che amiamo, dal regnante, per cui proviamo compassione. E ancora di più, c'è la ricostruzione storica, essenziale, non ridondante, ma preziosa, perché, nonostante – o proprio perché – viene fatta dal punto di vista di un giovane contadino divenuto persona di fiducia dei Romanov. Dal cuore grande, ma non esente da meschinità (si veda il trattamento riservato alla sorella, per il quale ho patito davvero parecchio).
A presto con “Resta dove sei e poi vai”, dello stesso autore.

lunedì 19 febbraio 2018

Un film su Faber (senza Faber)

FABRIZIO DE ANDRE' - PRINCIPE LIBERO
di Luca Facchini
(2018)


Non ci siamo. 
Mi dispiace, perché l'impegno è evidente, ma non ci siamo. 
Luca Marinelli è davvero bravo, persino a cantare, ma il suo accento romano mentre parla è insopportabile (capisco che non sia facile improvvisare un'inflessione ligure, ma possibile che in Italia solo i doppiatori siano capaci di recitare in dizione?). E poi non capisco perché far cantare lui... Non possiamo sentire solo la vera voce di De André? Lo ribadisco, Marinelli è bravo, bravissimo. Ma non è Faber. Non ha la stessa profondità e sonorità e vibrazioni. E alla fine non può che apparirci come un impostore.
E poi c'è Valentina Bellè. Gesù. Non si può guardare. Non bionda. E non nei panni di Dori Ghezzi. Bocca e mento, in particolare. Osceni.
E vero, però, che c'è anche Luca Gobbi. Sembra sul serio Paolo Villaggio da giovane, non solo nelle posture. Eccelso. E pure Elena Radonicich/Puny è stata convincente.
Ma veniamo al film. 
Intanto di Genova non c'è nulla, se non qualche vago accenno posticcio. Nulla di  “quell'aria spessa carica di sale, gonfia di odori”, giusto qualche stereotipo buttato lì.  Non sembra neanche la Liguria, quanto piuttosto un sobborgo defilato di Roma. Che tristezza.
Ma il problema vero è proprio il modo in cui si è cercato di narrare la vita di De André. Principe Libero? Sembra solo una schifezza d'uomo, un egoista senza valori, nato fortunato e incapace persino di gestire i propri sogni.
Mi fa male scriverlo, ma è così.
Eppure non è che non abbia mai letto biografie a lui dedicate. E i fatti sono quelli. Li conoscevo già, eppure non mi sono mai sentita offesa o amareggiata nel leggerli. Perciò? 
Perciò il problema non sono i fatti, è come ci vengono proposti. 
Non c'è introspezione. 
Non c'è partecipazione, atmosfera, contesto. Non emergono le componenti umane, liriche, dicotomiche di Fabrizio. Non emerge il suo lato timido, fragile, tenero. Non emergono la sua cultura, la sua anticonvenzionalità, il suo sentire. Non emerge l'artista, non emerge il poeta e nemmeno emerge l'uomo. 
Ci sono solo lo squallore, la dissipazione, i tradimenti e gli abusi. Che non ci fanno venire voglia di “cercarlo fino in fondo”, ma soltanto di condannarlo “a cinquemila anni più le spese”. 
E poi, ammettiamolo, a parte tutto il film è una palla. Lento, noioso, troppo lungo.    E l'ho visto in due serate. 
Certo, ho guardato la versione estesa, su RaiPlay. 
Magari quella per il cinema, più concentrata, è migliore. Ma non mi sento proprio di darle una chance. 
E' stata già una fatica arrivare in fondo la prima volta. E credo di avercela fatta giusto perché, ogni tanto, qualche canzone del vero Faber c'è (benché sia stato bellissimo anche il momento di Mina).
Intendiamoci, non è tutto brutto e tutto male. E gli autori e gli interpreti si sono cimentati in un'impresa davvero ardua, lo riconosco. 
Però, forse, sarebbe stato meglio che non l'avessero fatto.

venerdì 16 febbraio 2018

Un volume per tornare bambini

PRINCIPESSA PEL DI TOPO
di Jacob e Wilhelm Grimm


E altre 41 fiabe da riscoprire.
Fiabe spesso squisitamente splatter e sanguinolente, a dire il vero, alla faccia di Walt Disney, a tratti degne dei migliori horror, ma più crudeli, nel loro modo asettico di riportare di omicidi, di amputazioni e di genitori anafettivi. Se compare un unicorno, è perché dobbiamo ucciderlo, magari facendoci aiutare dai corvi a cavargli gli occhi e poi, quando scosso dal dolore ha conficcato il suo corno nel tronco di un albero, decapitandolo senza pietà. Per tacere dei bambini che giocano a fare il macellaio... Uno taglia la gola al fratellino, la madre lo uccide per punirlo, colpendolo al cuore col coltello, mentre il bebè annega nel bagnetto. A questo punto la madre si impicca e il padre, quando rincasa, muore di crepacuore. Wow.
Poi, certo, ci sono anche donne ansiose di maritarsi, purché con un principe di alto lignaggio, arrampicatori sociali e gente varia dalla dubbia moralità, che a volte viene castigata per la sua condotta, ma altre premiata, se non è addirittura la protagonista... 
Un volume appassionante, per tornare bambini, per sognare, ma anche per bruschi risvegli o per accese discussioni. 
E non mancano alcuni classici come Biancaneve, Barbablù e il Gatto con gli Stivali, naturalmente nella loro versione originale, accanto, in effetti, a fiabe più rare e semi-dimenticate.
Un volume che consiglio, dunque, un'edizione pregevolissima, che ho adorato sin dalla copertina. Un po' impressionante con ste pelli di topo, ma splendida... E, a proposito, all'interno ce ne sono altri di disegni così. Tavole di Fabian Negrin, che da sole valgono l'acquisto dell'opera.

giovedì 15 febbraio 2018

La biblioteca che vorrei

HAI LETTO TUTTI I LIBRI CHE POSSIEDI?


Mi viene domandato spesso, e quindi rispondo una volta per tutte.
L'argomento, riferito ovviamente a se stesso, l'aveva già affrontato Umberto Eco, giacché in molti gli chiedevano, ammirando la sua biblioteca, se ne avesse letto tutti i libri.
La sua risposta, ovviamente, era no (del resto la sua constava di circa 50.000 volumi, mi pare). E concludeva che a domandarlo si doveva essere dei cretini. 
Trattasi di matematica: facendo un conto combinando ore a disposizione nel corso della vita, velocità media di lettura e numeri di pagine, arrivare a leggerne così tanti risulta evidentemente impossibile. E poi Eco aggiungeva che ci sono libri che si comprano per essere letti, e altri che servono per la consultazione. 
Io, tendenzialmente, amo leggere anche i libri da consultare.
Però nemmeno io ho letto tutti i libri che possiedo. 
Per fortuna.
Non arrivo ai 50.000 di Eco (per ora, ma in futuro, chissà), mi limito a superare di poco i diecimila. E per oltre la metà sono fumetti. 
Quelli li ho letti tutti. 
E ho letto anche buona parte dei libri, invero. 
Ma non tutti. No.
Non ho idea di come sia la questione matematica nel mio caso, e non ho i conti di Eco a portata di mano, tanto meno voglia di fare moltiplicazioni.
Il punto è, per quanto mi riguarda, che non c'è solo la matematica. 
E infatti, come dicevo, per fortuna. Per fortuna non li ho letti tutti.
Perché è bello scegliere, passare in rassegna le coste, decidere in base all'umore del momento (che non è necessariamente lo stesso del momento dell'acquisto), in base ai percorsi mentali, alla nostalgia, all'ispirazione. Riprendere vecchie strade, batterne di nuove, non limitare le proprie possibilità, cambiare idea, posticipare, anticipare, inframmezzare.
Per tacere del fatto che ci sono libri che, a prescindere, bisogna avere.
La verità è che, da molti anni a questa parte, tutto quello che compro/ricevo/adotto leggo. Sempre, anche se mi passa la voglia. Ma è perché ormai ho problemi di spazio e non posso più sbizzarrirmi e devo darmi dei limiti. 
Se non li avessi, però, la regola sarebbe diversa: mi accerterei di non avere buchi, specie riguardo ai classici, inclusi quelli moderni o di genere. E vedrei di assecondare tutti i miei desideri. Di perfezionare un acquisto ogni volta che ne ho l'occasione, anche solo per il piacere di un capriccio improvviso.
Del resto, anche ora amo, anziché andare in libreria, attingere alla mia biblioteca, per esempio un volume acquistato dieci anni fa, con tutto il carico emotivo ed esperienziale dell'attimo che stavo vivendo allora. Ripensare a perché all'epoca avevo scelto proprio quel tomo e per quale motivo non lo avevo divorato. E poi riscoprirne un altro che avevo scordato, come un'agnizione o un'epifania. 
Quindi, no, non ho letto tutti i libri che possiedo.
E se mai accadrà, beh, farò in modo di rimediare. E comprarne altri. 
Non da leggere subito, ma prima o poi.

P.S.
Ho un lancinante bisogno di spazio.
E di una biblioteca nuova.

P.P.S.
Se avessi spazio e una biblioteca nuova, mi lamenterei perché vorrei più tempo.

P.P.P.S.
Se avessi più tempo, vorrei più libri. Tanti, tanti di più.

P.P.P.P.S.
Sarò mai felice?

mercoledì 14 febbraio 2018

Non manca nulla!

UCCELLI
a cura di Per Christiansen


Maestoso.
Non tanto per le oltre 400 pagine e più, quanto piuttosto per il formato (quasi delle dimensioni di un foglio A 4), per la copertina rigida con sovraccoperta, per la buona grammatura della carta, l’abbondanza di illustrazioni a colori, le foto, la grafica chiara e precisa, semplice, che rende immediata la consultazione, ma pure piacevole la lettura, suddividendo lo spazio (un esemplare per facciata, ogni facciata una scheda) tra didascalia riassuntiva, distribuzione della bestiola nel mondo, caratteristiche generali (peso, lunghezza, apertura alare, ma pure numero di uova, periodo di cova, dieta tipica etc), succinta descrizione fisica (zampe, piumaggio, ali, corpo, coda…), comparazione tra gli individui (ad esempio tra specie, giovani e adulti, o fra maschi e femmine), dimensioni e, infine, il cosiddetto “adattamento speciale”, relativo, ad esempio, a peculiarità o comportamento del pennuto. 
Non sono un’esperta, ma l’impressione è che non manchi nulla, e, tuttavia, divorarsi una scheda via l’altra è agevole e quasi giocoso, in perfetto equilibrio tra svago, curiosità ed enciclopedismo.
Il volume si apre con una breve introduzione per illustrare a grandi linee la classe degli uccelli  e l’organizzazione del libro, in cui le specie vengono raggruppate in base all’ordine di appartenenza, e quindi alfabeticamente, così da facilitare la comparazione tra individui simili.
Che altro dire?
Che se, come me, amate ogni tanto bazzicare il mondo animale spaziando il più possibile tra le specie, questo è il tipo di volume che sempre si vorrebbe poter avere fra le mani (possibilmente anche in riferimento ad altre bestiole… Che meraviglia, ad esempio, sarebbe avere anche gli Insetti, i Serpenti e i Pesci!) tanto che quando l’ho scovato tra gli scaffali di una libreria ho gioito ad alta voce e, nonostante la sovraccoperta un poco rovinata, ho dovuto accaparrarmelo subito.
Il prezzo?
Questa è la cosa più straordinaria, date le qualità: 29,99 Euro!!! Non ci si crede!

martedì 13 febbraio 2018

La fiaba che ti inebria

VITA DI PI
di Yann Martel


Romanzo bellissimo. 
Soprattutto per la trama. 
Ma lo scopri alla fine, quando ti viene rivelato il mistero sotteso a questa fiaba stupenda e improbabile e rivedi tutto da capo, con altri occhi, più lucidi, più critici, in modo più plausibile, che per miracolo non ti si riempiono di lacrime. Ma anche di bellezza, di bellezza sublime ed eterna. Perché non è una fiaba, questa. E fa male. Un male dannato, sanguinante. Ma anche bene. Perché, comunque, alla fine, tu fai come Pi. Scegli la fiaba. E la fiaba ti inebria. 
Ad ogni modo, prima ti gusti il viaggio. E detto così può sembrare strano, visto che si racconta di un terribile naufragio, in cui ci sono sofferenza, solitudine e morte. Ma non lo è se si considerano anche la simpatia e la facondia di Pi, il protagonista, e la situazione assurda in cui si viene a trovare. Naufrago, sì. Ma in compagnia di una tigre, che si chiama Richard Parker. Non una delle più feroci, va bene, ma sempre una belva, e per giunta affamata.
E scopri Dio, in questo viaggio alla deriva.
Lo scopri al di là del suo nome, della religione, nella Provvidenza, nel domani, nella luce e nell'acqua, e davvero ti sembra di credere, alla fine, anche se sei agnostico (l'ho detto, scegli la fiaba). Tra parentesi: significativo, a questo proposito, il fatto che Pi sia al contempo musulmano, indù e cattolico, senza vedere in ciò alcuna contraddizione (è vero, un po' ci fa pensare a “Le Dodici Domande”... e forse dovrebbe indurci a capire qualcosa riguardo alla spiritualità dell'India letteraria). 
Comunque sia, dicevo, scopri Dio e da lui ti senti amato. 
In più le pagine scorrono rapide, scritte in modo accattivante, spiritoso, scanzonato, facendoci sorridere, ma rendendoci altresì partecipi dei momenti difficili e drammatici, portando anche noi, alla fine, mentre siamo tra i flutti, ad affidarci – perché sì, lo facciamo – a Richard Parker. Che è il nostro compagno di sventura, quello che ci motiva e tiene in vita. Ma anche quello che potrebbe decidere di mangiarci.
Lo ribadisco: romanzo bellissimo.

P.S.
Mi è piaciuto anche il film di Ang Lee, che sostituisce alla freschezza e la profondità del linguaggio, la visionarietà delle immagini. Consiglio entrambe le esperienze.

lunedì 12 febbraio 2018

Non è più una buffa città...

RIVERDALE


Non ho mai letto i fumetti di “Archie”, non mi è mai capitato. Ma ho visto i cartoni animati di “Zero in Condotta” e di “Josie e le Pussycats”, più il film del 2001 e, saltuariamente, la sitcom di “Sabrina – Vita da Strega”, relativa allo stesso universo narrativo. Un po' pensavo di essere preparata.
Dalla nuova serie tv mi aspettavo il solito consumato triangolo Archie, Betty e Veronica. Qualche risata adolescenziale. Un po' di soprannaturale, un po' di musica leggera, qualche gag frizzantina... 
Invece.
Invece, cavolo!
Questo è un drammone in cui si chiacchiera un sacco, si elucubra ancora di più, e tutto ruota attorno ad un misterioso e spiacevole omicidio (preceduto da tortura). Ma non ci facciamo mancare neppure altri atroci delitti di repertorio (corruzione, bullismo, estorsioni...), più malattie mentali, incesto, e una buona dose di parrucche. Gli adolescenti sono problematici e ribelli, ma i loro genitori sono messi decisamente peggio: non c'è una famiglia sana, un rapporto normale, e passiamo da una situazione torbida, ad una di fuoco, virando spesso nel grottesco.
Perciò, lo ripeto: cavolo!
E non basta... La fotografia è curata, rimarchevole soprattutto sotto il profilo cromatico, la colonna sonora melodica e spumeggiante, e persino il cast presenta qualche sorpresa: Luke Perry (ex Dylan di Beverly Hills 90210) nei panni del padre di Archie e sposato niente meno che a Molly Ringwald! Mädchen Amick (ex Shelley in Twin Peaks), madre di Betty Cooper. E c'è pure Skeet Ulrich (reduce da Jericho), padre di Jughead, oltre ad una comparsa di Barb di Stranger Things...
E, a proposito dei personaggi... Cavolo! 
Betty (Lili Reinhart) è perfetta (nonostante la fronte rugosa), così Archie (K. J. Apa), benché non mi sia simpatico, mentre Jughead (Cole Sprouse) è decisamente più complesso, acuto e interessante di quanto ricordassi. Okay, l'interprete di Veronica (Camila Mendes) è un po' bruttina con quelle labbra sottili, però è comunque brava, e Ronnie stessa viene resa con più sfaccettature della Veronica dell'animazione. Un po' più macchiettistica e stereotipata Cheryl Blossom (Madelaine Petsch), che pure fa spesso da motore all'azione, mentre Reggie, per ora, rimane sullo sfondo, appena delineato. E chi si ricordava che Betty avesse una sorella? E Cheryl un fratello? Anche se... sorge spontanea una domanda: come mai le Pussycats, inclusa Josie, sono diventate tutte nere? A parte ciò, persino i rapporti fra i personaggi seguiranno strade nuove, sfociando, talvolta, in liaisons inedite e insospettabili. 
Conclusa la prima stagione, quindi, posso affermare che questi dodici episodi siano assai più vivaci e stratificati di quanto avrei immaginato, godibili e avvincenti, nonostante la sceneggiatura sia composta spesso da situazioni già sfruttate e la narrazione risulti sovente superficiale e improntata al cliché. Peraltro ci si accontenta:  è già abbastanza che Riverdale non sia una “buffa città”, tanto meno la “più divertente”. Anzi, è peggio di Dallas!!!

venerdì 9 febbraio 2018

Smascherare le illusioni

INTERVISTA CON IL POTERE
di Oriana Fallaci


Raccolta di incalzanti interviste della Fallaci a fondamentali personaggi politici di qualche anno fa, che descrive uno scenario geopolitico – di cui il panorama mondiale attuale è figlio – costellato di contraddizioni e scosse, ponendo in risalto la forza critica, l'intelligenza e la perspicacia dell'autrice, che non rinuncia mai ad affermare il suo lucido punto di vista e che è bravissima a provocare, a sottolineare ipocrisie e menzogne, smascherando persino le illusioni che l'interlocutore di turno racconta a se stesso.
Il libro è diviso in due parti: la prima, la più armoniosa e interessante, contiene una lunga introduzione assai personale e autobiografica, seguita dalle lunghe interviste, riportate con dovizia di particolari e aneddoti e contestualizzate altresì come esperienza faticosa sulla propria pelle, a Khomeini e a Gheddafi. La seconda, che sovente procede per contrasti, alternando politici che militano su linee quasi opposte, è composta dalle interviste “nude”, fatte di domande e risposte, salvo una succinta introduzione. Tra queste, spiccano le interviste al Dalai Lama, a Pertini e a Sharon, in quanto, sia pure per motivi lontani e completamente diversi, sono le più avvincenti, soprattutto sul piano ideologico (almeno per me).
Mentre scrive, infatti, Oriana ci dà qualcosa di sè, di imperativo e urgente, che viene proclamato, anche quando si parla a bassa voce, oltre a restituirci un pezzo di storia recente, come se bruciasse ancora, oltre a stimolarci e pungolarci, non tanto per sapere, quanto per intuire, analizzare, comprendere. Con tutto che, in certi casi, ho dovuto documentarmi per poter seguire il filo, ad esempio riguardo alla situazione della Polonia di Solidarnosc. 
Per il resto, il volume è attraente anche come complemento agli altri successi della Fallaci: ritroviamo, infatti, il Generale Loan dal Viet-Nam di “Niente e Così Sia” e completiamo l'episodio narratoci ne “La Rabbia e l'Orgoglio” a proposito del matrimonio con l'interprete e ripreso ne “La Forza della Ragione”.
Ma, soprattutto, godiamo dell'integrità e della caparbia assertività della scrittrice, la cui veemenza sempre ci arriva al cuore.
Prossima tappa: “Intervista con la Storia”.

giovedì 8 febbraio 2018

Una meraviglia traboccante di curiosità

FATE
di Massimo Izzi e Lavinia Petti


Da Morgana alle Winx!
Mi aspettavo un dizionario, ma ho trovato un saggio, lineare e discorsivo,  magnificamente articolato e con qualche tocco artistico.
Peraltro, essendo di Massimo Izzi (che già trova un posto nel mio cuore per l’eccezionale “Dizionario Illustrato di Mostri” più completo di sempre), sapevo che quest’opera sarebbe stata ben realizzata ed esauriente, di quelle da avere ad ogni costo se si è appassionati di argomenti al confine tra leggenda e folklore.
Ed infatti Izzi esamina le fate in ogni accezione e derivazione: dalle origini, da ricercarsi nella mitologia (inclusa quella greca), alle caratteristiche intrinseche, dalle “fate famose”, al Cinema, alla Letteratura, passando per quelle (più gli affini) che popolano il mondo, con una parentesi sulla faccenda delle foto false che aveva coinvolto Conan Doyle, nonché, in appendice, una fiaba affascinante e istruttiva, atta ad esplicitare la natura ambigua e potenzialmente pericolosa di queste deliziose creature dell’immaginario.
Quello che non sapevo – avendo effettuato l’acquisto sulla fiducia e a scatola chiusa – è che fosse pure un’opera così bella: lussuosa copertina rigida, illustrazioni in ogni pagina (e pure ricercate), grafica squisita (con box, didascalie e, in generale, un andamento variegato e non schematico, in cui ogni facciata è una sorpresa), stupenda anche solo da sfogliare, con tanto di cornicette e carta antichizzata.
Insomma, una meraviglia, per giunta traboccante di curiosità, come di analisi profonde, stimolanti sotto molteplici punti di vista, non solo sotto il profilo folkloristico, che non soltanto colma lacune conoscitive, ma induce riflessioni  antropologiche e collegamenti non scontati quanto suggestivi, con semplicità e competenza.
In ultimo, colpisce quanto gli autori siano possibilisti, sebbene non illusi o fatui, e innamorati di questo mondo di fantasia dalle mille sfumature e dagli innumerevoli risvolti.

mercoledì 7 febbraio 2018

Una foga narrativa impetuosa

EXTREMITY
di Daniel Warren Johnson


Per il momento è uscito solo il primo volume, ma promette un sacco di cose. E altrettante ne dà, fondendole tutte insieme, ma senza esagerare. Nel senso che è esagerato (eccome!), ma in modo positivo e nel rispetto di premesse coerenti e non scontate. Perché sì, ci sono splatter, mostri alienoidi e riflessioni etico-filosofiche, cinismo e mix di generi – fantasy, fantascienza e horror –, inseguimenti, combattimenti e una ricca “mitologia” inventata a fare da substrato, un'architettura  dettagliata e medievaleggiante e astronavi, ma nulla risulta ridondante e la narrazione è fluida e catalizzante. 
Del resto, quando mai la vendetta non lo è?
E, tuttavia, fino a dove spingersi per ottenerla? Fino a dove la sofferenza può giustificare la guerra e le efferratezze? Quando ci porta a perdere noi stessi in una spirale autoreferenziale? A smarrirci nel nostro lato oscuro?
Non è che stiamo proprio a chiedercelo, all'inizio, siamo soprattutto divorati dalla rabbia. E giustamente, crediamo. 
Thea, soprattutto, l'artista. 
Perchè, in nome della vendetta, le è stata portato via tutto, e in particolare le è stata amputata la mano con cui disegnava... E dunque, ora, non è solo menomata, povera e orfana di madre, ma è priva della sua identità, preda non solo dello sconforto, ma pure del dubbio e del disorientamento.  
Non è l'unica, né lo sarà.
E fioccano mutilazioni, scontri, schizzano sangue e budella.
E Rollo, il fratello di Thea, ci dà sui nervi con la sua politica non violenta.
Ma non è che alla fine ha ragione lui? Non è che l'azione verso di noi era già vendetta, scaturita da un'altra altrettanto nera ingiustizia? 
La trama non è originalissima, sa di altro, di già affrontato, di già letto. Ma mai così. Con un tale violento incalzare. Con una foga narrativa tanto impetuosa e feroce, solo saltuariamente rallentata dai flashback. 
Fino a che si innescano i ribaltamenti. 
E ci viene il dubbio che nella guerra tra Roto e Paznina non ci siano buoni o cattivi, ma solo gente che si ammazza senza logica e senza onore. Che la vendetta non sia la soluzione. E nemmeno la via dell'odio. E che forse, in definitiva, ci conviene scappare... 
Siamo solo al primo capitolo, dicevo, al primo volume. 
Ma se i personaggi sapranno evolvere e mantenere le loro promesse, questa potrebbe essere una saga da non perdere.
E mi piacciono pure i disegni.

martedì 6 febbraio 2018

Una tensione drammatica devastante

SOPRAVVISSUTI
di Craig Zobel
(2015)


Titolo quasi anonimo, che non rende giustizia all'originale e suggestivo “Z for Zacharian”, il cui significato, peraltro, sarà a mala pena suggerito in una delle immagini del film (a cui ho fatto caso giusto perché coinvolge una piccola biblioteca domestica). In una scena, infatti, si inquadra uno dei tomi della bibliotecuccia citata, un volumetto per bambini, tipo abbecedario, in cui, per intendersi, vengono abbinate le lettere dell'alfabeto a delle immagini... Qui a dei nomi maschili. A per Abraham... Z per Zacharian... Che quindi è l'ultimo del volume. L'ultimo uomo. Per estensione, l'ultimo uomo sulla Terra. In questo caso scampato ad un terribile disastro radioattivo.
In realtà, però, la pellicola comincia con l'ultima donna, una giovane contadina, Ann (Margo Robbie), graziosa e autosufficiente, per giunta fattoria-dotata, di buon cuore e buoni principi, che soffre comprensibilmente la solitudine. Ma che presto incontra quello che potrebbe essere l'ultimo uomo, Loomis, che, guarda caso, è pure belloccio e colto (Chiwetel Ejiofor), seppur non troppo disposto a rallegrarla fisicamente. Solo che non è l'ultimo. E presto ne salterà fuori un altro, Caleb (Chris Pine), più giovane, più belloccio (in teoria) e più incline ai rallegramenti.
Due uomini, dunque, e una donna. 
E quindi, come si suol dire, un uomo di troppo. 
Fantascienza Post Apocalittica? Thriller psicologico?  
Un po' entrambi, senza grandi effettoni, senza molta azione, ma con una tensione drammatica totale e devastante, sempre sul filo del rasoio, che ti assorbe e incuriosisce, sia quando prevale il lirismo spirituale e riflessivo, che, nonostante il contesto drammatico, ci fa pensare ad una fiaba dai connotati vagamente filosofici, sia quando la direzione che assumerà il film diviene evidente, nonostante, in principio, ci si possa quasi illudere che magari non sarà proprio così.
E poi la fine...
Che è strepitosa, così meravigliosamente sospesa, ma irrimediabilmente univoca, alla luce del titolo originale. Che di primo acchito concede il beneficio del dubbio, ma che in realtà è chiara e lapalissiana. 
Un film costruito su un'idea esile, derivativa, ma superbamente ramificata e sviluppata, grazie anche alla sensibilità degli interpreti (sì, persino Chris Pine), ai dialoghi, all'atmosfera e alla mano sapiente del regista, dalla sottile e non eccessiva propensione alla metafora e al “non detto, se non è indispensabile”. 
E non importa se i luoghi sono sempre quelli e i personaggi si riducono a tre più il cane (che ad un certo punto, non si sa perchè, sparisce pure). Bastano poche parole, o addirittura gli sguardi, ad evocare il dolore, il conflitto o la solitudine, in equilibrio perfetto tra l'orrore e la desolazione dell'anima, tra la comprensione e il desiderio di condanna (la storia del fratellino, ad esempio, con ciò che implica sui vari piani psicologici, è squassante).
Un film intenso, di cui vorrei tanto leggere il romanzo, di Robert C. O'Brien. 
E così l'ho cercato online, scoprendo che in italiano non è disponibile, magari non lo è mai stato, e forse è addirittura  per bambini.  E che l'autore è lo stesso da cui è stato tratto “Brisby e il Segreto di Nimh”, il cartone animato (solo che in realtà è “Mrs. Frisby e il segreto di Nimh”).
Tu pensa!

lunedì 5 febbraio 2018

Le squisite lezioni di vita di Anna

ANNA DAI CAPELLI ROSSI 3 – IL BAULE DEI SOGNI
di Lucy M. Montgomery


Terzo volume della nostra eroina con le lentiggini (ma sempre meno) e il naso elegante, questa volta alle prese con l'università e i primi batticuori, ma pure con le sue prime esperienze di scrittrice. Nuove amicizie, dunque, nuove esperienze, tanta dolcezza, lieti fine, studio e impegno, ma... non un andamento scontato.
Intanto, quando il nostro Gilbert Blythe si dichiara, Anna lo respinge e poi si fidanza con un altro, che, in effetti, pare uscito da uno dei suoi sogni... Poi ci sono alcuni sviluppi imprevisti, e, in particolare, una morte inattesa, che ci lascia tristi e basiti. Non dico chi riguarda, ma si sappia che la persona in oggetto è molto giovane e la conosciamo sin dal primo libro.
Il percorso formativo di Anna è dettagliato, punteggiato di riflessioni, di moti dell'animo, e riesce a coniugare buon senso, aspirazioni barocche e l'impegno e la costanza, la generosità e la tenerezza.
Non posso dire che questo romanzo mi abbia presa al cuore come il mitico “Anna dai Tetti Verdi”, ma è certamente migliore del precedente (di pura transizione), più omogeneo e dinamico, con più passaggi memorabili (ad esempio, per quanto marginale, ho adorato il confronto fra Anna e le vecchie zitelle di Patty Place e, in generale, mi piacciono le considerazioni relative agli spiriti affini, nonostante sovente si insista troppo sul punto).
Peraltro, se avessi avuto la fortuna di leggere questo terzo volume alle Medie, penso che invece mi sarei innamorata perdutamente dell'autrice, da cui, al di là delle piacevolezze, si possono trarre anche squisite lezioni di vita, consigli e suggerimenti. Squisite perché non si eccede con il paternalismo moraleggiante e, nonostante la propensione ai voli pindarici di Anna, non si dimentica mai la distanza che passa tra idealizzazione e realtà.

venerdì 2 febbraio 2018

Un librino prezioso ed essenziale

COME INSULTAVANO GLI ANTICHI


Per intendersi, antichi greci e romani, atteso che il sottotitolo è “dire le parolacce in greco e in latino”.
E dunque, come resistere?
Premessa:
Io adoro le parolacce, ma non amo usarle perché mi sanno di impoverimento della lingua, nel senso che, ormai troppo usurate, finiscono per svilirsi e perdere significato, limitandosi a manifestare la frustrazione di chi le usa;
Se lo scopo è insultare il prossimo la cosa migliore è che costui non capisca. E’ vero che il reato di ingiuria è depenalizzato, ma il punto è che è molto più umiliante per il destinatario non comprendere: la sua immaginazione, alla luce del contesto, farà il resto… Ma senza poter rimproverare l’interlocutore, salvo che il destinatario sia un dotto. Ma, in quel caso, più facilmente si farà due risate e il diverbio si comporrà da solo;
Le lingue antiche sono eleganti, e, al contempo, meravigliosamente esatte e brutali, oltre che divertenti, concise e con un magnifico tocco snob: che c’è dunque di meglio per esternare il proprio disprezzo e/o insoddisfazione?
Insomma, questo è un librino prezioso ed essenziale, con tanto di testo originale a fronte.
Inoltre, come evidenzia l’introduzione, è gustoso in qualità di testimonianza: a scuola, certamente, abbiamo studiato Cicerone, Catullo, Orazio, Menandro e Omero… Ma gli insulti? Forse giusto quelli di Marziale e di Plauto (e forse rimembro un frammentuccio di Archiloco e uno scudo, che però qui non ho trovato).
In altre parole, scopriamo l’altro lato della cultura. Quello oscuro. Che è comunque costume, umanità, sociologia. Ma può essere, perché no, anche arte e letteratura: non è forse una bellezza – specie in questo secolo – apostrofare uno screanzato con un bel “crucis offla, corvorum cibaria’” (“pendaglio da forca, carne per corvi!” by Petronio)?
Assolutamente da procacciarsi.

giovedì 1 febbraio 2018

Immaginazione e surrealtà

POWERLESS


Dodici episodi, poi la serie è stata cancellata.
Ed è quasi un delitto perché è una sitcom divertentissima e traboccante di idee, di umanità da ufficio, ma anche di immaginazione e surrealtà.
Ambientata nell'Universo DC (e ricca di citazioni e riferimenti per amanti del genere supereroistico), ha come protagonisti un manipolo di impiegati e dirigenti senza poteri, normali che più normali non si può, e tuttavia simpatici, affiatati (a dispetto delle apparenze) e ben caratterizzati, spesso in virtù della loro accentuata e voluta sgradevolezza. A partire dal loro capo, l'incapace, complessato e vanesio Van... Wayne (Alan Tudyk), il cugino disastrato di Bruce (alias Batman), per continuare con l'odiosa Wendy e l'acida Jackie (che sono le mie predilette). 
Il personaggio principale, peraltro, è Emily Locke (Vanessa Hudgens), neoassunta direttrice del team Ricerca e Sviluppo della Wayne Enterprises, volitiva e desiderosa di far carriera, ma anche piena di buoni sentimenti e intenzioni ammirevoli, ottimista sino allo stremo e gran motivatrice...
Di che cosa si occupano? Ma di progettare oggetti utili per chi vive in una città infestata dai supereroi, ad esempio ombrelli che proteggono dai meteoriti o impermeabili resistenti agli attacchi dei supercriminali (per inciso: la loro maggior concorrente è la Lex Corp... Indovinate di chi?).
L'idea di base, incentrata sulla quotidianità dei cittadini che ogni giorno hanno a che fare con le gesta dei Super (e che, se vogliamo, fa il verso a “Marvels” di Kurt Busiek e Alex Ross, ma in chiave comica), è geniale e mantiene alte le sue premesse grazie alla graduale crescita dei personaggi, al ritmo scherzoso, alle strizzatine d'occhio, nonché alla circostanza che le puntate – sui trenta minuti circa – siano brevi, sopra le righe e fortemente ironiche, con qualche accenno dissacrante e qualche spunto di metacinema vagamente delirante. 
La cosa più straordinaria, tuttavia, è la sigla: non tanto per il commento musicale, quanto per la sua capacità di sfruttare le copertine degli albi storici DC sottolineando come i nostri eroi, questa volta, siano quelli in fuga sullo sfondo e non i Superman, Wonder Woman, Lanterna Verde o Flash di turno al centro della scena. 
Unico neo, gli effetti speciali: davvero bruttini, per tacere degli sgraziati costumi dei tizi in calzamaglia. Ma non è che ciò sia voluto? Perché anziché disturbare, tale pochezza si intona perfettamente all'atmosfera della sitcom, e, anzi, offre quella coloritura in più che intenerisce e ravviva.
Sul serio, non mi spiego perché la serie sia stata cancellata. Ma è davvero carina e la consiglio con piacere.

P.S.
Il Presidente Usa è Lex Luthor!

P.P.S.
Nella puntata undici abbiamo la straordinaria partecipazione di Adam West, alias il Batman televisivo anni 60...