COME INSULTAVANO GLI ANTICHI
Per intendersi, antichi greci e romani, atteso che il sottotitolo è “dire le parolacce in greco e in latino”.
E dunque, come resistere?
Premessa:
Io adoro le parolacce, ma non amo usarle perché mi sanno di impoverimento della lingua, nel senso che, ormai troppo usurate, finiscono per svilirsi e perdere significato, limitandosi a manifestare la frustrazione di chi le usa;
Se lo scopo è insultare il prossimo la cosa migliore è che costui non capisca. E’ vero che il reato di ingiuria è depenalizzato, ma il punto è che è molto più umiliante per il destinatario non comprendere: la sua immaginazione, alla luce del contesto, farà il resto… Ma senza poter rimproverare l’interlocutore, salvo che il destinatario sia un dotto. Ma, in quel caso, più facilmente si farà due risate e il diverbio si comporrà da solo;
Le lingue antiche sono eleganti, e, al contempo, meravigliosamente esatte e brutali, oltre che divertenti, concise e con un magnifico tocco snob: che c’è dunque di meglio per esternare il proprio disprezzo e/o insoddisfazione?
Insomma, questo è un librino prezioso ed essenziale, con tanto di testo originale a fronte.
Inoltre, come evidenzia l’introduzione, è gustoso in qualità di testimonianza: a scuola, certamente, abbiamo studiato Cicerone, Catullo, Orazio, Menandro e Omero… Ma gli insulti? Forse giusto quelli di Marziale e di Plauto (e forse rimembro un frammentuccio di Archiloco e uno scudo, che però qui non ho trovato).
In altre parole, scopriamo l’altro lato della cultura. Quello oscuro. Che è comunque costume, umanità, sociologia. Ma può essere, perché no, anche arte e letteratura: non è forse una bellezza – specie in questo secolo – apostrofare uno screanzato con un bel “crucis offla, corvorum cibaria’” (“pendaglio da forca, carne per corvi!” by Petronio)?
Assolutamente da procacciarsi.
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