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lunedì 19 febbraio 2018

Un film su Faber (senza Faber)

FABRIZIO DE ANDRE' - PRINCIPE LIBERO
di Luca Facchini
(2018)


Non ci siamo. 
Mi dispiace, perché l'impegno è evidente, ma non ci siamo. 
Luca Marinelli è davvero bravo, persino a cantare, ma il suo accento romano mentre parla è insopportabile (capisco che non sia facile improvvisare un'inflessione ligure, ma possibile che in Italia solo i doppiatori siano capaci di recitare in dizione?). E poi non capisco perché far cantare lui... Non possiamo sentire solo la vera voce di De André? Lo ribadisco, Marinelli è bravo, bravissimo. Ma non è Faber. Non ha la stessa profondità e sonorità e vibrazioni. E alla fine non può che apparirci come un impostore.
E poi c'è Valentina Bellè. Gesù. Non si può guardare. Non bionda. E non nei panni di Dori Ghezzi. Bocca e mento, in particolare. Osceni.
E vero, però, che c'è anche Luca Gobbi. Sembra sul serio Paolo Villaggio da giovane, non solo nelle posture. Eccelso. E pure Elena Radonicich/Puny è stata convincente.
Ma veniamo al film. 
Intanto di Genova non c'è nulla, se non qualche vago accenno posticcio. Nulla di  “quell'aria spessa carica di sale, gonfia di odori”, giusto qualche stereotipo buttato lì.  Non sembra neanche la Liguria, quanto piuttosto un sobborgo defilato di Roma. Che tristezza.
Ma il problema vero è proprio il modo in cui si è cercato di narrare la vita di De André. Principe Libero? Sembra solo una schifezza d'uomo, un egoista senza valori, nato fortunato e incapace persino di gestire i propri sogni.
Mi fa male scriverlo, ma è così.
Eppure non è che non abbia mai letto biografie a lui dedicate. E i fatti sono quelli. Li conoscevo già, eppure non mi sono mai sentita offesa o amareggiata nel leggerli. Perciò? 
Perciò il problema non sono i fatti, è come ci vengono proposti. 
Non c'è introspezione. 
Non c'è partecipazione, atmosfera, contesto. Non emergono le componenti umane, liriche, dicotomiche di Fabrizio. Non emerge il suo lato timido, fragile, tenero. Non emergono la sua cultura, la sua anticonvenzionalità, il suo sentire. Non emerge l'artista, non emerge il poeta e nemmeno emerge l'uomo. 
Ci sono solo lo squallore, la dissipazione, i tradimenti e gli abusi. Che non ci fanno venire voglia di “cercarlo fino in fondo”, ma soltanto di condannarlo “a cinquemila anni più le spese”. 
E poi, ammettiamolo, a parte tutto il film è una palla. Lento, noioso, troppo lungo.    E l'ho visto in due serate. 
Certo, ho guardato la versione estesa, su RaiPlay. 
Magari quella per il cinema, più concentrata, è migliore. Ma non mi sento proprio di darle una chance. 
E' stata già una fatica arrivare in fondo la prima volta. E credo di avercela fatta giusto perché, ogni tanto, qualche canzone del vero Faber c'è (benché sia stato bellissimo anche il momento di Mina).
Intendiamoci, non è tutto brutto e tutto male. E gli autori e gli interpreti si sono cimentati in un'impresa davvero ardua, lo riconosco. 
Però, forse, sarebbe stato meglio che non l'avessero fatto.

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