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martedì 24 novembre 2020

Il vuoto e il pieno dell'esistenza

 ANGELI E ALCHIMIA

di Barbara De Maestri

(su Ig @angeliealchimia)


Romanzo emozionante, esperienziale e metafisico, con un tocco di romance, tanta azione e molti colpi di scena.

Due i suoi punti di forza principali: la “mitologia” sottesa e la purezza stilistica dell'autrice.

Per “mitologia” intendo il costrutto immaginifico alla base della trama. Originale, poco sfruttato, che rasenta la genialità. E che suscita interrogativi e riflessioni stimolanti, che ti aleggiano in testa anche a libro riposto. Non rivelo niente, vi basti sapere che in qualche modo tocca tutti, e tutti influenza. Tutti noi, intendo. Non solo i personaggi. È estremamente suggestivo e, mentre lo leggi, ti senti sintonizzato con l'universo. Non saprei spiegarlo in altro modo. Ma è una sensazione bellissima e terrificante, che ti fa sentire il vuoto e il pieno dell'esistenza. Di tutte le esistenze. E qualcosa d'altro. Di cosmico. Che sfiori appena, ma che è potente. E che potrebbe avvicinarsi ad un'idea di Dio. Che a tratti sa di epifania, a tratti di apofania. E non so se ciò sia voluto o meno, ma in questo modo il Mistero – cui siamo introdotti gradualmente – risulta più digeribile, a tratti quasi metaforico o metonimico. Come se contenesse molto altro, che intuiamo, ma che non focalizziamo del tutto. Ma che resta lì, insinuandosi tra i nostri pensieri.

E poi, dicevo, c'è lo stile dell'autrice. Di una scorrevolezza acquatica, che senti fluire e risplendere. Come se lo avessi in mano, mentre guizza e scivola via. Eppure capillare, ricco di nozioni (mai di spiegoni). Alchemiche, sì. Ma non più di tanto. Il sottotesto, a mio avviso, è qualche gradino più su, ed è, consapevolmente o meno, soprattutto di matrice filosofica, tanto da cogliere le radici stesse del nostro essere.

Eppure, l'ho detto, l'azione non manca. Esplode nel finale, ma non soltanto. In realtà si inizia in sordina, con un gatto – e già questa, per me, è una piccola delizia – per poi... Oh, altro che esplodere! Capiterà di tutto e assumerà proporzioni sempre maggiori. E gli angeli?

Ci saranno anche quelli. Ma non aggiungo altro, perché sto sorridendo. E quando sorrido sono pericolosa, nel senso che rischio di rivelare troppo. 

Sappiate solo che, una volta finito, non sarete più gli stessi. E, forse, a rileggerlo cambierete ancora.

martedì 27 ottobre 2020

Un pezzetto di anima

FOLLIE DI PENSIERI PELLEGRINI

di Ylenia Lombardo

(su Ig @Ylebooks)

Come dice la stessa Ylenia nella sua bellissima dedica, un libro è un pezzetto di anima. E questa è la sua.

Un'anima molto più complessa di come sono abituata ad intuirla su Instagram.

Non una tenerissima mamma, ma una donna passionale, sensuale, che dentro di sé cela enormi boati e immensi sussurri intrisi di tristezza.

Ci sono ricordi e rimpianti, ma quel che avverto più forte è il Desiderio. 

Di amare ed essere amata, di rincorrere ciò che è stato, e di rinnovare il proprio sentire, pur nella consapevolezza della sua impossibilità, che tuttavia Ylenia riesce ad eternizzare. 

Nel dolore, e nella verità. 

Che diventa illusione, mentre riscatta se stesso attraverso il ricordo di ciò che non è più. Ma che, in parallelo ritorna più vero, più forte, puro come non mai, attraverso la perentorietà ialina dei versi.   

Che sono semplici, immediati, tumultuosi e impavidi, adatti persino a chi mi dice: “io non amo la poesia perché non la capisco”. 

Qui si capisce tutto, non c'è possibilità di fraintendere o di incespicare.

Non c'è possibilità di non amare.

Ylenia ci prende per mano: il fraseggio è semplice, la sintassi chiara e lineare.

Ma il messaggio è intenso, e a volte brucia, altre si scioglie nel disgelo dei sentimenti.

Da leggere lentamente, a voce alta.

E poi da rileggere.

lunedì 26 ottobre 2020

Peggio di George R. R. Martin

IL GIOCATTOLAIO E ALTRI DELIRI

di @gianluca.testaverde

Imprecazione.

Imprecazione...

Imprecazione!

Questa recensione dovrebbe cominciare così. E continuare così, anche. 

Perché, ehi, sono scioccata. 

Fabio @ft.leo.37 mi aveva avvisata: “Mio fratello è sociopatico”. 

E così l'introduzione di Francesco Saverio Tisi. Ancora in questi termini: sociopatia.

Ma non ci credevo mica. Non sul serio. Eppure, vi assicuro, (imprecazione) l'autore lo è. È sociopatico.

E pure depravato.

La sua caratteristica più pregnante, però, è l'imprevedibilità. Peggio di George R. R. Martin (altro sociopatico, peraltro): non sai mai dove voglia andare a parare, fino a che non te lo sbatte in faccia. Sporco. (Non vuoi sapere di che cosa.)

E dunque? Che cosa abbiamo tra le mani?

Una raccolta di racconti, brevi ed esplosivi, con accentuati tratti di genialità, e incredibilmente sorprendenti. 

Appena ti sembra di capire che aria tira, il vento cambia e ti conduce altrove. 

Con lucidità, un certo sarcasmo di fondo, e una durezza niente male, che mi attrae, mi ipnotizza e mi respinge in egual misura.

Lo stile è scarno, del resto, preciso, ma asciutto. Le trame variegate ed originali, cosa non da poco. Non solo. Quando ormai pensi di aver capito, che hai chiaro che ogni cosa che potrà andare male andrà invece da schifo, comprendi che: 1) al contrario, ogni tanto va bene; 2) ci sono diversi gradi di degrado e distruzione; 3) spesso si vira all'improvviso, cambiando completamente rotta.

(Imprecazione.)

E, vi assicuro che, anche se i generi sono i più disparati e benché una struttura di valori sotto sotto si intraveda, scendere così in profondità nel buio disorienta e fa paura. 

Non subito. 

Ma se i racconti si leggono tutti di fila... be'... poi vi serve qualcuno che vi abbracci stretto e vi accarezzi la testa. 

Se mi sono piaciuti?

(Imprecazione.) 

Sì, alla follia.

domenica 25 ottobre 2020

Elettricità sotto la pelle

PER STRADE INCERTE AD INSEGUIRE UN SOGNO

di @sirius_267

Amo la poesia più di ogni cosa e, proprio per questo, mi paralizza.

Ho finito da tempo questo libro, praticamente nel momento stesso in cui è arrivato, ma recensirlo... è difficile per me. Specie quando mi è piaciuto. Perché mi scatena troppe cose, spesso contraddittorie, e per giunta in contemporanea, tanto che non riesco ad enuclearle e a dar loro una dimensione. 

In questo specifico caso, la poesia si sostanzia in elettricità sotto la pelle, ma anche in meditazione e discesa in sé stessi. E' la dolcezza abbandonica del sogno, come pure il dinamismo della carnalità. 

I temi che si affrontano sono molti, adatti a momenti diversi. 

Ed è piacevole leggere come passatempo, quando si è mezzi distratti, per come le parole scivolano in una musicalità confortante, che accompagna senza essere invadente... Ma è gastrico da leggere mentre si è lucidi e concentrati, perché è a quel punto che ti dà veramente qualcosa. Qualcosa che è fuoco e ghiaccio, e che ustiona, ma che soprattutto ti insegna a ritrovare te stesso attraverso le parole di un altro. 

I versi sono essenziali, armoniosi, inquieti. 

Pieni di bianco, che è pagina, ma anche silenzio.

Ma non restano all'esterno, meri spicchi di bellezza. Al contrario. Sono introspettivi, talvolta violenti, ricchi di sostanza.

Tra le varie tematiche, ho particolarmente apprezzato quelle dalla valenza erotica, che sempre confinano con l'amore, ma lo attraversano facendosi corpo con i suoi imperativi.  

Se siete curiosi, andate a leggere sulla pagina di @sirius_267.

Non resterete delusi.

lunedì 12 ottobre 2020

RACCONTINI CARTACEO

IL RITORNO DEI PICCIONI


Il Mio Perfido Marito ce l'ha fatta, ha partorito il mio secondo figlio cartaceo, che già era stato il mio primissimo eBook: i “Raccontini Malati”, per l'occasione riveduti e corretti... Un po'. Ci ho scovato diversi errorini, qualche erroraccio, e una miriade di orrendi puntini di sospensione... E li ho ridotti, aggiornando altresì qualche dettaglio. 

Per il resto, le variazioni sono minime: scritto nel 2010, mi pare, ed editato nel 2011, sempre mi pare, oggi, in aggiunta, il librino si è guadagnato un'introduzione abbastanza noiosa e non necessaria (di cui è colpevole MPM, che l'ha pretesa) e i Contenuti Speciali, peraltro disponibili sul blog sin dall'epoca, tanto che per questa definitiva pubblicazione li ho appena appena limati.

In soldoni, adesso, oltre all'eBook ad € 0,99 (nella sua versione originaria e non modificata), troverete in vendita su Amazon i “Raccontini Malati” in edizione cartacea al prezzo di € 9,90!!! Il volumetto ha 226 pagine, e, rispetto a “Il Sogno di Ecate”, i caratteri sono qualche peluccio più grandi, visto che c'è chi ci ha quasi rimesso la vista!!!

Nei prossimi giorni, se tutto va bene e non vengo tipo colpita da un meteorite di passaggio, vi ammorberò gioiosamente con qualche incipit su Instagram...

Le “Fiabette Sfigate”, invece, sono orientativamente previste per marzo 2021.

Grazie per l'attenzione, baci e ragnosità.

P.S.

Tra qualche giorno sarà possibile effettuare l'acquisto anche su www.inkiostroweb.com, con la possibilità di selezionare la copia con dedica. Ma considerato che faccio dediche pessime e ho una grafia spaventosa, vi conviene evitare!!!

sabato 19 settembre 2020

Una miniera di pietre preziose

 SINFONIE DELL'ATTESA

di Stefania Ughi

(su Ig @Fania4000)



Come si fa a conoscere davvero una persona? 

Si legge quello che scrive, ecco come.

E magari alla fine non si conosce lo stesso davvero, nella sua interezza e variabilità, ma in quel preciso istante fotografato dalle parole, in quello sì. Nel modo più autentico possibile. Perché non ci sono filtri, ma solo essenza.

E in questo caso, per quanto evidentemente doloroso, si tratta di un istante fondamentale, pieno di umanità, di grazia, di eleganza e di bellezza.

Stefania è riuscita a trasporre tutto questo sulla carta. 

L'intento era guarire, affrontare il suo dolore personale, legato ad un momento preciso dell'esistenza, ma quello cui ha dato vita non è un percorso di guarigione, quanto piuttosto un catalizzatore di emozioni. Mentre leggi ti senti sopraffare, più e più volte, e avverti il panteismo, la comunione trascendente col Tutto. E senti la sua anima bellissima, e senti la tua. E l'ineluttabilità, la finitezza dell'essere, ma anche la speranza e la dolcezza, e quindi l'escatologia. 

E non basta soffrire per realizzare un libro così: bisogna saper incanalare la propria sensibilità, e mascherarla per renderla più vera attraverso la finzione. Bisogna saper scrivere, comunicare, trasmettere. E bisogna essere persone stupende, se no vengono fuori solo pianti. 

Qui invece abbiamo una miniera di pietre preziose.

Che ogni volta in cui le riguardo luccicano in modo diverso. 

E ogni sentimento è appena sussurrato e avanza in punta di piedi, fino a che ti pervade completamente e si fa strada in te, senza lasciarti più. Nemmeno dopo che hai finito il libro, l'hai classificato e messo insieme agli altri.

Mi è piaciuto tutto, a partire dalla prefazione di Cristiana Vettori: le poesie come i brani in prosa. Densi di significato, e brevissimi, ad eccezione dell'ultimo. Lungo ma con una sua orchestrata frammentarietà, fatta di lampi cristallizzati. 

E divisi questi scritti sono preziosi e unici, ma insieme diventano di più: un universo che ci dà la vertigine, peggio (o meglio) del sublime kantiano.

Stratosferico.

domenica 13 settembre 2020

Meglio di un Lindor!

 L'AMORE BUGIARDO

di Daniela Palumbo 

(su Ig @D.E.L.A.I.N.A.)



L'ho letto in un fiato. Appena arrivato, senza riuscire a staccarmi. 

E non solo in virtù della sua fantastica brevità.

Ma perché Daniela scrive benissimo, con una fluidità senza paragoni. 

In modo fresco, spontaneo, sincero, sebbene con un bel frasario ricco e saporito. 

Anzi, in un modo che sembra fresco, spontaneo e sincero, perché, di solito, per arrivare ad un tale livello di “scioglievolezza” (meglio di un Lindor!) serve un gran lavoro. Ed è proprio “scioglievolezza”, sì. Perché mentre leggi ti sembra di bere la sua scrittura. E non riesci a scollarti. 

Colloquiale, ma esatta, imperativa, trascinante.

Ti scivola dentro.

E questo anche se... beh, la trama è una mazzata. Non che il titolo promettesse rose e fiori, ma, sul serio, senti il dolore. La rabbia. La frustrazione. E vorresti fare una pausa, ma non puoi. Perché già dopo la prima riga ci sei dentro fino al collo e o lo finisci o lo finisci. Devi sapere, innanzitutto. Vieni arso dal bisogno di capire come potrà proseguire. E poi... E poi, beh... mentre la storia ti strappa la carne dalle ossa, contemporaneamente ti restituisce qualcosa. E vuoi che continui. E non alludo al piano stilistico. È proprio come se un po' la lettura ti guarisse, ma da altre ferite, più profonde, più vecchie, che avevi dimenticato. Catarsi, presumo. O magia, non so.

Però so che mi è piaciuto. 

E stata un po' come una SPA per l'anima, anche se all'inizio mi sembrava di no.

E anche la trama riserva sorprese: la fine non è tragica e nera come temevo.

Al contrario.

Non che sia proprio allegra, però... 

Ci voleva, ecco.


P.S.

1) Daniela sa far piangere, ma anche ridere: in “Tutte le cose che amo di te”, suo precedente romanzo, mi aveva fatta sbellicare. Mi piace che sia così versatile. E ho adorato quel romanzo, nonostante sia un maledetto Romance!!!  

2) Nel volumetto c'è un segnalibro bellissimo! Può non sembrare un dato fondamentale, ma sono stata contenta di trovarlo!

giovedì 10 settembre 2020

Il ritratto delle nuove generazioni

 GENERAZIONE SERIALE

di Giovanni Di Rosa

(su Ig @giovannidirosa_writer)



Se vi piacciono le Serie Tv questo libro vi serve perché ha un approccio davvero originale: da un lato c'è l'analisi dettagliata dei telefilm più recenti; dall'altro, contestuale al primo, un ritratto impietoso ma accorato delle nuove generazioni.

In merito all'analisi, si procede per aree tematiche, approfondendo argomenti stimolanti sotto il profilo della critica televisiva, come pure di costume e società: dai telefilm come investimento emotivo, ad amore e amicizia, fino all'emancipazione femminile e alla comunità LGBTQ. 

Non ci si lega a nessuna Serie in particolare, ma si prendono in considerazione tutte per gli aspetti che interessano, delineando un quadro vasto, che non si ferma al nozionismo, ma cerca di indagare le radici di ogni evoluzione. L'opera, acuta e penetrante, evidenzia quindi i cambiamenti socio-culturali più eclatanti e ci aiuta a riflettere su questioni che, magari, ci sono passate davanti senza che nemmeno ce ne accorgessimo e che invece ora ci rendiamo conto di aver vissuto, raccogliendo e mettendo insieme, finalmente, tutti i tasselli. La lettura risulta così assai piacevole, sia per gli appassionati di Serie Tv, che potranno ritrovare i loro beniamini, o riassaporare i momenti salienti degli episodi principali – oltretutto carpendone i meccanismi –, sia per i profani, che in effetti si potranno comunque godere il percorso.   

E poi, dicevo, c'è il ritratto delle nuove generazioni. 

In effetti, non immaginavo si potesse trattare l'argomento in modo tanto personale. Ma l'ho apprezzato moltissimo, tanto più che si tratta di un'asettica incursione dall'esterno,  ed infatti l'autore, lungi dall'essere un distaccato osservatore, vi è coinvolto in prima persona e in sostanza, mentre analizza la televisione, analizza e racconta se stesso, pur riuscendo sempre a mantenere una certa oggettività ed un'indiscutibile professionalità.

In ultimo, l'opera è scritta bene: con uno stile pulito, ma attento alla terminologia specifica. Semplice, colloquiale ed estremamente scorrevole.

Di Giovanni avevo già letto il romanzo Dark Fantasy. Le Cronache di un vampiro, che mi era piaciuto. Ma, lo ammetto, assurdamente questo saggio è ancora più appassionante.

lunedì 7 settembre 2020

Un pezzo di sé

LA CORSIA DEI VEICOLI LENTI

di Simona Bennardo 

(su Ig @simona.bennardo)



La protagonista di questo libro è proprio Simona, che ci racconta la sua esperienza con il tumore al seno, in modo ironico, positivo, e personale. Ma senza indorarci la pillola, anzi descrivendola esattamente com'è. 

La verità è che temevo che sarebbe stata una lettura difficile da affrontare, invece l'ho trovata soprattutto interessante.  

Intanto perché è interessante Simona. 

Mi affascinano sempre le persone, i loro processi mentali così distanti dai miei. È come se mi spiegassero un po' come si vive, come se mi permettessero di capire quelle cose che sono ovvie per tutti, ma per me no e che magari sul momento ho registrato, ma non capito (davvero è così traumatizzante tagliarsi i capelli? Davvero ci si arrabbia quando si scopre di avere il cancro? Ma perchè?). Solo che Simona lo fa un po' di più. Vuoi perché ha la capacità di narrare con onestà il suo vissuto, guardando in faccia le cose e chiamandole con il loro nome, vuoi perché è psicologa e psicoterapeuta e quindi è particolarmente analitica e sa rendere evidenti quei passaggi che a volte restano sottintesi. Vuoi perché non si limita a questo, ma ci trasmette se stessa. Tutta, nella sua umana ricchezza e complessità.

E poi... beh, per l'esperienza.

Per chi l'ha vissuta, perché la può osservare in modo differente, colmando qualche buco, e perché a volte un confronto è formativo, e, non so, forse persino un po' consolante. Non da “mal comune mezzo gaudio”, ma da “condivisione”. Che è sempre bella, anche quando alla radice c'è una cosa che non la è.

Ma anche per chi non l'ha vissuta, perché permette di capire cose che altrimenti, magari, restano tabù, dato che non sempre si osa chiedere, e che tuttavia non equivalgono solo a levarsi la curiosità, ma proprio ad entrare nel vivo della questione, a comprenderla e ad esaminarla sotto i vari aspetti, che non si esauriscono con la mera salute, ma hanno un sacco di altri  riverberi.   

Alla fine del libro, che è breve e si legge senza quasi accorgersene, ci sembra che Simona ci abbia accolto nella sua vita e regalato un pezzo di sé. Uno bello e luminoso, nonostante tutto. Che non si esaurisce con il tumore, ma che la riguarda nella sua interezza, seppur per un breve tratto di strada. 

Quindi: grazie, Simona.

E, a proposito, c'è un passaggio del libro che ho adorato. Lo riporto: “Ho incontrato tanta gentilezza, tanta dolcezza e tante belle persone in questo viaggio. No no, non pensiate che io stia per scrivere scellerataggini (si dice?) del tipo: ringrazio il tumore perché... ringrazio un bel tubo!”

Ecco, qui sono morta dal ridere.

Perché, ve l'ho detto, Simona è ironica e positiva, ma dice le cose come sono.

sabato 5 settembre 2020

Un romanzone!!!

 OMEGA - La fine è solo il principio

di Licia Oliviero

(su Ig @liciaoliviero)



Sì, ma da dove inizio? 

È un romanzone!!! E io pensavo fosse incentrato sui vampiri, invece ci sono soprattutto demoni! E sono magnifici! Licia rielabora la mitologia infernale tutta, scopi, personaggi (c'è pure Nergal, che chi si diletta di demonologia ben conosce) e ridefinisce l'Inferno stesso, creando una trama pazzesca che sembra uno shojo manga per adulti, ma fusa con gli elementi che adoro degli shonen! Tradotto per chi non legge i fumetti giapponesi: ci sono amicizia, giovani fanciulle molto caratterizzate dalle variegate personalità in formazione ed elementi romantici (ma carini! Non di quelli stucchevoli e pallosi! Di quelli alla Hans Solo e Leia, fatti di stuzzicamenti, ironia caustica e gesti eroici), ma anche combattimenti fighissimi, con una splendida attenzione per le armi (adoro i sai), tanto che mentre li vivi ti sembra che ti scorra davanti un film!!! 

E poi c'è la narrazione frizzante, con tanti colpi di scena e battutine, ma anche un forte impianto etico sotteso, un sacco di azione, ma soprattutto uno stile preciso, minuzioso, capace di essere intimistico, soffermandosi sugli stati d'animo dei protagonisti e sui loro circuiti mentali, come anche di folgorarti con scene spettacolari, riempiendoti gli occhi di roba che esplode e si muove alla velocità della luce...

È il primo romanzo di una trilogia Urban/Dark fantasy, che però ha una conclusione soddisfacente. Certamente invoglia a continuare, perché non svela tutto e promette un sacco, ma non lascia i fili mozzati a metà. E, a proposito, il filone principale della trama e il background (dettagliato e complesso) dei personaggi sono notevoli, pluristratificati e incuriosiscono parecchio, riuscendo spesso ad essere imprevedibili. 

Ora sono una vecchiaccia disincantata, ma se l'avessi letto da giovane... oddio, credo l'avrei riletto e riletto mille volta perché ci avrei trovato tutto quello che all'epoca desideravo da un libro: emozioni, intrattenimento, epicità, e mistero!!!  

Complimenti Licia!

domenica 7 giugno 2020

Vampiro creatore e Vampiro creato

CRONACHE DI UN VAMPIRO

di Giovanni Di Rosa

(su Ig @giovannidirosa_writer)

Primo romanzo di una trilogia Dark fantasy che ridefinisce i connotati dei vampiri, riuscendo nel non facile compito di tirar fuori dal cilindro elementi originali. Ad esempio... in ordine alla belladonna, veleno che, con una certa coerenza, nuoce ai succhiasangue, o all'affascinante legame tra Vampiro creatore e Vampiro creato. E non si tratta solo di trovate “ad colorandum”, perché spesso celano risvolti filosofico-esistenziali niente male, che sfociano naturalmente in acute dissertazioni speculative. 

Non che l'azione manchi, al contrario, ci sono dei bei combattimenti e l'impianto iniziale ha quasi i contorni di un giallo, ma la figura del Vampiro viene indagata a tutto tondo, lasciando spazio a riflessioni che non si esauriscono sul piano meramente fantastico, insinuandosi, invece, fra le nostre certezze con sfumature nuove. 

In particolare, ho adorato il tema del Libero Arbitrio, che è da sempre uno dei miei prediletti, di quelli che considero più stimolanti e necessari, e che, di nuovo, riesce a dipanarsi su più piani di lettura, che si intersecano e complicano a vicenda, anziché esaurirsi con il primo livello narrativo. Il romanzo, infatti, ne possiede diversi, e ben amalgamati, risultando sì incentrato sull'evasione e l'intrattenimento, ma altresì denso di spunti più complessi, e tuttavia capace di scorrere veloce, rapido, sensuale.

A farsi notare, infatti, è anche lo stile dell'autore: di una pulizia e di una limpidezza totali, attento, chirurgico, preciso, ma scevro di inutili ridondanze, seppur non di ricercatezza.

Che dire, dunque?

Che aspettiamo i seguiti e che facciamo in complimenti a questo giovane autore, che non avrà ancora compiuto trent'anni, ma che, per sapienza e qualità della prosa, dimostra il doppio della sua età!!! 

Che sia un vampiro anche lui?

mercoledì 3 giugno 2020

Un'aura di dolente mestizia

LABBRA ROSSE SULLE QUALI MORIRE
di Paolo Di Crescenzo
(su Ig @paolo_di_crescenzo)


Chi ha ucciso Beatriz Marchini, la fanciulla strangolata durante la notte bianca di Loano? 
Un giallo che sfuma nel noir, ben costruito e ben scritto, di impianto classico, con molti indiziati, ma anche abbastanza indizi e ammiccamenti per arrivare al colpevole prima del Commissario Andrea Montaldi, ruvido quanto romantico. 
Personalmente, lo sapete, non amo i gialli, ma questo, oltre ad essere pervaso da un'aura di dolente mestizia che lo riscatta oltre i confini del genere, ha un ottimo ritmo, nonché il potere di incuriosire, di spingerti a voler sapere come proseguono le indagini e la storia. Inoltre è onesto, gli elementi te li dà senza imbrogliare, tutti quanti, consentendoti di metterli insieme a poco a poco, di capire cogliendo le sfumature, come accade tutte le volte in cui sia la trama che i personaggi riescono ad essere coerenti e, magari, persino ad uscire dalla carta.
Però le cose che davvero ho amato sono due: l'ambientazione e lo stile.
Il romanzo si svolge nei miei posti, Loano (il paesino accanto a Pietra Ligure) e dintorni... E con poche pennellate se ne colgono l'atmosfera, le criticità, e le connotazioni, mentre poco sotto, sorniona, se ne affaccia la mentalità, tra una strizzata d'occhio e un dettaglio ameno. Penso che apprezzerei l'opera senza difficoltà anche se non ne conoscessi i luoghi, ma a conoscerli... be' è il romanzo sarebbe da leggere anche solo per questo. 
E poi, sì, c'è lo stile. Apparentemente semplice e scorrevole, in realtà ricco di anse, di sonorità, di riverberi, in perenne ma costante mutamento, impercettibile fino a che non ti assesta una stoccata. Talvolta sensuale, tanto che persino un gelato diviene peccaminoso, dandoti i brividi. Talvolta giocoso, o agrodolce, o venato di sconfitta, ma sempre misurato, attento, con una punta di tristezza e una di allegria, ben miscelate, che prevalgono alternativamente, in base al momento, incidendoti l'umore. In sottofondo, sempre presente, la gentilezza pacata del narratore. Che tutto osserva e tutto sa, ma non lo dice. Però, ehi, lo sottintende. E forse, sotto sotto, lo mugugna.

martedì 12 maggio 2020

Giocare a carte col demonio

JACK O'LANTERN.
LA VERA STORIA DEI DIGRIGNANTI LUMI DI HALLOWEEN...
di Francesca Lucidi
(su Ig @rose.rossa)


Un librino brevissimo, con una grafica accattivante e un formato inconsueto. 
Di cui apprezzi anche la quarta di copertina. 
In primis, per quello che ti lumeggia in quattro righe crocifisse. Specie riguardo alla biografia dell'autrice, che, a parte tutto, è una di quelle persone che vale la pena conoscere perché è dolce, difficile e stimolante.
Ma torniamo al librino, un racconto sulla leggenda di Jack O'Lantern, che vanta Lucifero tra i suoi protagonisti.
Mi ha attirata la trama, che è una di quelle che sembrano fatte apposta per me: stuzzicante, non solo per quello che dice, ma ancora di più per quel che sottintende mentre ti strizza l'occhio. In particolare, sulla natura umana e sulla natura demoniaca. E mentre ti distrae con i suoi giochi di prestigio, ti fa riflettere e un po' avverti la vertigine dell'esistenza. 
Però a colpirmi davvero, a rimanermi impresso come il fuoco, è stato lo stile.
Corposo, crocchiante, luccicante... sornione. 
Te ne accorgi subito, ma poi lo dimentichi. 
Perché la narrazione ti avviluppa tra le sue spire. 
E non sai neanche più tu se stai leggendo o se sei in pieno trip da sostanze sconosciute. 
Fino a che, di nuovo, l'ironia ti punge. 
E allora ti riscuoti, torni al libro, che ti si ficca definitivamente sotto le unghie. 
E ti piace sentirlo, pensare che neanche eri conscio di essere un po' sadomaso. 
Cerchi di concentrarti, allora. Di resistere, di non perderti di nuovo. 
E così ora ti sorprende il frasario. 
Perché è ricercato. 
Non per i vocaboli in sé, che pure non sono scontati. 
Ma in modo insolito, a livello strutturale. 
E ti affascina questo, ti ipnotizza, ti decostruisce. 
E poi ti ricompone diverso da come eri convinto di essere.  
E ti piace, questo.
Ti piace più di tutto.
E, wow, che voglia che hai di giocare a carte, dopo...
Che voglia maledetta.

mercoledì 29 aprile 2020

Questo non è un Romance

BULLA
di KiarAmaly 
(su Ig @kiaramaly)


Niente, ormai sono in versione Instagrammosa e produco un nuovo post praticamente solo se devo recensire una persona che mi piace. E questa fanciulla mi piace. 
Se vi manco, fatevi un account e cercate @sognidiragni. Sulla mia pagina troverete un po' di ricicli, ma non solo. ...Non siete social? Lo pensavo anche io. Ora vivo su Ig. Che, come dissi recentemente in una conversazione tra bookstagrammer che adoro, è praticamente uguale a Westworld, ma senza gli audioanimatroni. 
Comunque... veniamo a “Bulla”:
Lo stile è limpido, perentorio, duro. 
Del resto, questo non è un Romance, checché si dica.
Non proprio.
E non solo per via del tema del bullismo, che, al di là di tutto, è interessante in sé per sé, ed affrontato non solo dalla parte della vittima, ma anche del carnefice.
In modo secco, drastico. Quasi sadico, a volte. 
Ma non tanto verso i bullizzati, quanto nei confronti di 'sta povera bulla, con la sua lucida e desolazione interiore. Perché sì, vincente o meno, la Regina suscita una pena profonda e grande costernazione.
L'elemento che ho preferito, tuttavia, è l'unità temporale attraverso cui si dipana la trama.
Perché mi ha sorpresa.
Mi aspettavo un arco narrativo diverso, circoscritto in altro modo. 
Ma è meglio così: permette di cogliere più sfumature e dà spazio alle evoluzioni, alle metamorfosi, che attraverso cambiamenti più o meno importanti rimarcano i caratteri dei personaggi e la loro tridimensionalità, ma altresì la mutevolezza di ciascuno in rapporto al prossimo e agli eventi di cui sono parte, o addirittura appena un riflesso o un danno collaterale.
E sotto sotto sembra dire: al diavolo, questo non è un racconto di fantasia. Questa è la vita. E funziona così, quindi zitti e ascoltate. Non vi darò ciò che volete. Non vi darò ciò che pensate sarà. Vi darò altro. E voi ve lo prenderete.
E poi... e poi ci sono i personaggi.
Che sembrano stereotipati, ma non lo sono e devono essere colti nel loro percorso di crescita, anziché fotografati in un singolo istante.
Perché non sono sempre uguali.
Sebbene, dico la verità, Chiara, la protagonista, mi sia antipatica.
E pure Juan, il protagonista maschile. 
Che muoiano entrambi. 
Per forza, perché a me piace Dora.
Prima e dopo.
Sempre.
Dora è deliziosa. 
E ora mi devo mordere la lingua, o vado giù di spoiler.
Comunque, ribadisco: non lasciatevi scoraggiare dall'etichetta.
L'idea di un Romance scoraggia anche me.
Questo non è un Romance.
E' un romanzo con dell'amore contrastato, ma non soltanto.
È narrativa.

giovedì 26 marzo 2020

Fiabette Sfigate: Promo

UN PRINCIPE, DUE PRINCIPESSE

(Immagine © Nintendo)

Era tutta colpa della Fata Madrina. Era stata lei a combinare il casino. E ora doveva porvi rimedio, maledizione. Il che significava barcamenarsi tra due Principesse starnazzanti e livorose, Chiara e Bruna, che non facevano che telefonarle in continuazione per vomitarle addosso minacce ed improperi. Misericordia!
Il punto è che si era confusa e aveva dato al Principe Azzurro due indirizzi, anziché uno. E quel bellimbusto, invece di accontentarsi, dopo la prima Principessa aveva pensato bene di andare a salvare (rectius: impalmare) la seconda. Con tutto quello che ne era conseguito.
Un processo penale per bigamia per lui, una contesa tra due fanciulle isteriche per lei. E non solo per lei, a quanto pareva, dato che le urla delle rivali echeggiavano terrificanti nella vallata... Stavano già fioccando le prime denunce per schiamazzi, oltre a diffondersi numerose leggende in proposito, circa lo spirito di un grosso felino mannaro, impalato a morte in una sera d'autunno, e col dono dell'ubiquità... 
E non era mica tutto lì: ben presto le Principesse passarono dalle parole ai fatti, facendo salire l'indice dell'ansia di diverse misure! Iniziarono con dei dispettucci meschini, sempre più sgradevoli e pericolosi, che tra l'altro spiegavano i loro effetti anche sui rispettivi regni di appartenenza: la piaga delle locuste, la pioggia di rane, una piccola apocalisse zombie... La Fata Madrina doveva risolvere, o la cosa le sarebbe sfuggita di mano. 
Dunque si scusò pubblicamente e organizzò un torneo: Chiara e Bruna si sarebbero sfidate in una terna di prove difficilissime, e chi ne avesse vinta la maggior parte, si sarebbe aggiudicata il bel Principe per l'eternità. Tra parentesi, invece di essere oggetto di critiche e censure per il comportamento leggero e scellerato, Azzurro raccoglieva l'ammirazione da tutti: era un grande, un figo, un genio, secondo l'opinione popolare, cosicché passava il tempo a sorridere e a pavoneggiarsi, ed era diventato il testimonial per la réclame di uno shampoo. 
Nessuno, invece, mostrava la benché minima solidarietà per le due Principesse buggerate: era troppo divertente vederle accapigliarsi, tanto più che, avendo entrambe un carattere focoso, davano molte soddisfazioni agli spettatori, specie quando iniziavano ad ingiuriarsi e a recriminare (chi aveva aspettato che cosa e per quanto... a quali disumane condizioni... con quali atroci limiti ed imposizioni...).
La Fata Madrina sospirò. Non voleva tergiversare oltre, così allestì di corsa l'arena, fece accomodare il pubblico – erano accorsi i sudditi di tre Reami, più qualche viandante e dei curiosi di passaggio – e proclamò l'inizio del torneo e l'apertura delle scommesse:
la prima emozionante prova consisteva nel raccogliere otto sacchi di riso il più rapidamente possibile. L'arena era stata divisa in due, ed ogni Principessa aveva una metà a disposizione, il riso era già stato sparpagliato e i sacchi collocati sulla linea centrale dell'area.
Chiara protestò: «Ma che cavolo di prova è mai questa? È demenziale!»
Bruna concordò: «Non potevamo puntare su una sfida al Karaoke? O ad una partita a dama?»
La Fata Madrina si spazientì: che si credevano? Erano in una fiaba! Queste erano le prove in cui si misuravano le Principesse nelle fiabe, era notorio. Volevano forse dormire su un pisello?
«Beh... lo scopo è quello, no?», sibilò Chiara, inarcando le sopracciglia.
Bruna sghignazzò: «Eccome! Direi!» 
Il Principe incoraggiò entrambe dicendo che avrebbe fatto il tifo per tutt'e due.
Le ragazze ebbero la tentazione di levarsi una scarpa ciascuna e di tirargliela, ma c'era pure la Fiabalandia Tv che riprendeva, quindi si diedero un contegno e si misero carponi a raccogliere i chicchi di riso. 
Con le mani. 
Avendo cura di separare ogni chicco dalla polvere dell'arena.
Quando la gara finì, in perfetta parità, il pubblico era in stato semi comatoso, la Fata Madrina russava, mentre Azzurro faceva il cretino con la ragazza che vendeva il popcorn.
«Seconda prova», sbadigliò la Fata Madrina, destandosi. «Ancora più difficile: raccogliere il più velocemente possibile dieci sacchi di zucchero, distinguendo quello di canna da quello raffinato.»
Questa volta Bruna bestemmiò: aveva già la schiena a pezzi, e le toccava ricominciare? Chiara annuì e cominciò ad inveire tra sé: ma poteva una gara essere più stupida? Poteva? 
E mancava ancora la terza prova... In che sarebbe consistita? Raccogliere il borotalco? La Fata Madrina arrossì, sforzandosi di non guardare le casse di borotalco già pronte in un angolo dell'arena.
«Basta», sentenziò Bruna scrutando l'avversaria. «Mi arrendo, do forfait. Non ne posso più di 'ste baggianate. Tieniti pure il tuo bel Principe: hai vinto!» 
«No aspetta», protestò Chiara, «Vuoi dire che mi lasci da sola a fare 'sto lavoraccio ingrato?» Lo zucchero era già stato distribuito su tutta l'area. 
Il Principe le scoccò uno sguardo incandescente e le rivolse il suo sorriso più smagliante.
«E dovrei farlo», si sdegnò Chiara, «per quell'idiota che ha combinato il pasticcio e che ora se ne sta lassù a “sgranocchiare popcorn” mentre noi quaggiù sgobbiamo spezzandoci le ossa? Ma per favore!!! Stiamo scherzando?»
«Io mi sono stufata», annunciò Bruna, infischiandosene altamente del malcontento che serpeggiava fra la folla. «Bye bye!» Voltò le spalle a tutti, e si avviò verso l'uscita emettendo un piccolo “mpf” in segno di spregio. 
«No, aspetta...» la apostrofò Chiara, smarrita. «Aspetta, dannazione. Vengo con te. Alla fine quello svaporato non mi piace neanche, era solo una questione di puntiglio.»
E le fanciulle si allontanarono insieme, mentre Azzurro chiedeva alla ragazza che vendeva i popcorn che accidenti fosse successo. 
Le due Principesse divennero amiche, rimasero nubili, e andarono spesso a caccia di maschi insieme, senza mai più litigare. In fondo erano delle stesso parere: perché accontentasi di un uomo solo, quando il mare era pieno di pesci?
Ah, sì... e vissero felici e contente.

Auguri Blog!

SETTIMO COMPLYBLOG


Mi faccio gli auguri da sola, ben sapendo che sto battendo la fiacca perché ormai mi sono praticamente trasferita su Instagram. 
Mi spiace, ragassuoli. 
Ma non abbastanza, oppure rimedierei. 
Invece non ho nemmeno voglia di darvi in pasto i soliti dati statistici del genetliaco... però... ecco, vi faccio un regalo.
Sperando che lo consideriate un regalo e non una punizione. 
Suspense.
In questa quarantena – in cui, com'è logico, mi sto dedicando alla vita contemplativa – ho finito, MPM permettendo, “Catarsi”, il quinto volume della Saga delle Fanciulle del Mare (in realtà da due anni in fase di correzione) e ora mi sto dedicando alla stesura delle “Fiabette Sfigate”, di cui tanti di voi hanno già avuto un anticipo in appendice all'edizione cartacea de “Il Sogno di Ecate”, uscita a dicembre.
L'idea è quella di pubblicare una piccola antologia. Appena possibile, anche se, al momento, sono ancora in alto mare.
Sia come sia, adesso vorrei regalarvi una fiabetta. Sarà comunque inclusa nel librino (e magari nel frattempo muterà un po', perché non ne ho ancora ricorretta nessuna), ma intanto, se vi va, potete leggervela in anteprima.

Baci a tutti, e grazie di essere ancora qui. 

venerdì 13 marzo 2020

Una stratificazione di misteri

SUL VIALE DELLE OMBRE
di Enrico Scebba
(su Ig @enricoscebba)


Lo so... E' da una vita che non posto, e se lo faccio ora non è per la faccenda del Coronavirus, che al momento sto cercando di tenere lontano dai miei pensieri. Del resto, MPM lo ha sempre detto: sei talmente sconnessa dalla realtà che se dovesse capitare qualche catastrofe a livello mondiale tu, bel bella, continueresti a dissertare di libri come se niente fosse. Esatto. Proprio così. Non intendo parlare di come tutto andrà male o bene. Non intendo parlarne proprio. E in fondo l'ho sempre dichiarato: la realtà è bandita da qui, perciò lasciatemi nella mia bolla di felicità apparente e non me la scoppiate.
Almeno finché non mi ammalo o si ammala MPM. O un'altra persona cara. O arrivano gli zombi. Lasciate che viva a modo mio la quarantena.

In quanto al volume in questione, invece, sappiate che non è di una persona qualsiasi, ma di un valente bookstagrammer, che, tra l'altro, mi ha fatto una dedica bellissima. Questo è il suo romanzo d'esordio, primo di una trilogia che spero di poter continuare a leggere al più presto. 

Et voilà, la recensione (sono schematica perché da qui in giù riporto tutto su Ig, e vorrei evitare troppe cesure o disarmonie):
Ebbene, non sembra il lavoro di un esordiente, men che meno di un esordiente giovane (Enrico è dell'89). Sia lo stile che i contenuti, infatti, vantano un'impostazione molto classica, in linea con quella dei Maestri del Gotico, e in particolare ricordano Dracula e Frankestein, con il loro gravame esistenziale ed il sottotesto romantico (in senso storico), che pulsano sotto la trama principale, imperniata sui colpi di scena e l'intrattenimento. Il pregio maggiore, peraltro, è dato dalla potenza evocativa delle descrizioni, sempre molto dettagliate e precise, che si riflettono sull'atmosfera malsana, suggestiva e ricercata, fondamentalmente fredda, ma avvolgente e piena di riverberi e di echi sussurrati, che continuano a bisbigliarti nelle orecchie dopo che la lettura è terminata. Atmosfera che viene costruita gradualmente, attraverso piccole addizioni, con calibrata abilità, talvolta alleggerita dai dialoghi, nel complesso abbastanza frequenti, che però, in altre occasioni, contribuiscono ad accentuare la tensione e il senso di malessere. La scrittura, sebbene ricca e dal frasario variegato, con una punta di ricercata ridondanza, è scorrevole e rapida, e, lungi dallo scadere in vuoti manierismi, è sempre al servizio dell'azione.
L'impegno e la cura sono evidenti, ed è chiaro che l'autore si è documentato tantissimo, oltre ad essere estremamente scrupoloso. Ma soprattutto innamorato della sua terra. La meravigliosa Villa Phalagon, il luogo principale dove è ambientato il romanzo, nonché suo centro nevralgico, edificato su segreti tremendi ed una stratificazione di misteri, è ispirato a Villa Palagonia di Bagheria. Che, già dopo la prefazione vorremmo ardentemente visitare.  
Quindi, che dire ancora? Complimenti ad Enrico!!! 

E, infine, grazie al prode @sandro_caricato, che si è prestato a condividere la lettura (nonostante sia una brutta e svergognata persona dagli innumerevoli e gravi difetti), rendendo l'esperienza ancora più densa e stimolante grazie al confronto.  E se volete farne uno anche voi... be', ha postato anche lui la sua recensione sul libro... Che mi è piaciuta parecchio, a dispetto della sua perfidia (bleeeeeeee!). 

P.S.
Ovviamente considero Katie una sgualdrinella ipocrita e smorfiosa, Steven e John due arroganti bellimbusti, mentre amo Carl con tutto il cuore, dal primo istante in cui è comparso. I love you, Carl!!! Enrico, mettici una buona parola tu!

mercoledì 29 gennaio 2020

Lungimirante e moderno

IL DIARIO DI ADAMO ED EVA
di Mark Twain


Una sorta di racconto doppio, in cui si narra la stessa cosa (la vita nell'Eden) da due punti di vista opposti e speculari. 
Quello di Adamo, e quello di Eva, naturalmente. 
Archetipo di uomini e donne, vengono messi a confronto, in modo buffo e divertente, leggero, comparati, regalandoci qualche sorriso e qualche spunto di riflessione.
Dico la verità, però, trattandosi di Mark Twain, mi aspettavo di più.
L’idea di base è deliziosa e resa con efficacia, ma a tratti il ritmo rallenta un po’, inoltre, per quanto mi riguarda, mi aspettavo più contrasti, più verve. E un finale meno buonista. 
E non è che mi dispiaccia, in realtà, il fatto che lo sia. Non è stucchevole e ne riconosco la dolcezza.
Ma credevo che avrei riso, e non solo sorriso.
Che ci sarebbe stata qualche strigliata in più.
E che la lettura sarebbe stata più incalzante, più serrata.
Ma anche più armonica. 
E più sottile.
Più ironica.
Nel complesso, però, si tratta di una lettura gradevole, composta di appena settanta paginette scritte larghe, e quindi molto breve.
Non richiede molto al lettore, e di certo riesce a solleticarlo.
La parte mitologica, però (che mi avrebbe affascinata parecchio) non è più di tanto approfondita. Qualche riferimento c’è, e ben mirato, ma in realtà Adamo ed Eva sono più che altro occasione, e su tante questioni si glissa. I protagonisti potrebbero quasi essere Gigino e Gigetta, per dire, nell'isola deserta.
Perché la parte che interessava a Twain era questa: come vede la realtà e come ci si approccia lui (passivo, placido, silenzioso), e come vede la realtà e come ci si approccia lei (curiosa, attiva, ciarliera). E, come si comportano insieme, come reagiscono l’uno all'altra. Deflagrando, ma anche amandosi, loro malgrado.
Però, ho trovato interessante la “rappresentazione del serpente”. O “della mela”, se si preferisce. Nel senso che qui, al posto della disubbidienza di Eva, abbiamo piuttosto la sete di conoscenza, descritta in una prospettiva scientifica: fatta di osservazione, tassonomia ed esperimenti.
Ecco questo mi è piaciuto, invece, e l’ho trovato eccezionalmente lungimirante e moderno.
A proposito, benché lo scrittore sia evidentemente un uomo, l’opera non è misogina, anzi, oserei dire che tutto sommato Eva ne esce meglio di Adamo. Ma anche lui, in fondo, non è poi così male.

lunedì 27 gennaio 2020

Autentico lenimento per l’anima

AMY E ISABELLE
di Elizabeth Strout


Romanzo splendido. 
Per la prosa impeccabile della Strout, per la delicatezza dei personaggi, specie quelli femminili, e per la trama. Che, in particolare, è una sorpresa per quanto risulta salvifica, anche per il lettore, che ne ricava autentico lenimento per l’anima.
Iniziamo con lo stile: la Strout sa scrivere, ed è noto, ma qui è al suo apice. La capacità di analisi e di penetrazione psicologica, come pure l’abilità e la grazia delle singole pennellate, sono inarrivabili. E poi colpiscono la coralità di certe rappresentazioni, l’amarezza intima di altre, la resa eccelsa delle sensazioni più varie, che vanno dal tremebondo all’ansioso, esplodendo nel sensuale. Il tutto immerso in un frasario ricercato, ma ingentilito da un costrutto scorrevole, di una fluidità contagiosa, perché ti inonda i pensieri, come una musica sommessa, e ti rende difficile interromperti. Semplice, ma preciso come non mai.
E poi i personaggi, si diceva. Magnifici ritratti di donna, che si completano l’una con l’altra, complementari ed antipodiche ad un tempo. Non solo Amy e Isabelle, figlia e madre, che procedono ad indovinarsi per contrasto, ma anche il variegato mondo che le circonda: le beghine del paese, le donne in fabbrica, ciascuna con il suo fardello, la scriteriata Stacey, che aggiungono dettagli, sfumature… Ma persino gli uomini (pochi, e quasi sempre pessimi, se visti da una certa angolazione) sono interessanti: il compassato Avery, come il passionale Professor Robertson. 
Ma credo che la cifra del romanzo stia nella sua trama. Nell’inaridimento che generano certe situazioni, che finiscono per autoalimentarsi e in cui ci si fossilizza fino a che diventano grigia quotidianità, invischiandoci in modo che paiono destinate, ormai, a definirci e a determinare la qualità della nostra vita. Anche se, in realtà, non è così. E basta poco – che pure è tanto – per sottrarvisi e per portare ad una ridistribuzione delle carte del destino e ad un’inaspettata, piena, felicità.
Un romanzo fatto di “cose normali”, di vita vissuta, di piccoli sogni e di ordinari dolori. Che però, pur senza accadimenti clamorosi (be’, forse uno, ma neanche così tanto, in fondo), ci illumina la strada e ci conduce a casa.   
Permettendoci di goderne il calore e il profumo.
Bellissimo.

giovedì 23 gennaio 2020

La brama di sapere

SERVANT


Serie Tv in dieci puntate da mezz'ora, di impostazione teatrale, con pochi personaggi e sempre gli stessi quattro ambienti. 
Ma terrificante.
Non che si veda nulla di clamoroso. Niente splatter, niente morti. 
Ma ogni passaggio è inquietante, giocato sulll'alluso e il non detto, ogni personaggio pieno di segreti, e i particolari vengono assommati così gradualmente da farci impazzire, tenendoci sempre sul baratro, prossimi a precipitare...
Un po' thriller e un po' horror, con un sottofondo drammatico e una colonna sonora meravigliosamente stridente (e una fotografia, per i miei gusti, forse un po' troppo scura), che ti fa aggricciare i denti, ti solletica di curiosità, di brama di sapere, stando attento a non svelare mai troppo, e a sostituire ogni rivelazione con altri due interrogativi.
Notevoli anche gli interpreti (tra cui Rupert Grint, il Ron di Harry Potter), ma soprattutto le scelte registiche. Con queste inquadrature ravvicinate, dall'angolazione strana, invasiva, secante, che ti attorcigliano lo stomaco (tra i registi figura M. Night Shyamalan).  
E poi la trama... Ambigua, cupa, con risvolti tragici e dolorosi, ma mai eclatanti. Anche quando lo sembrano.
Solo la fine non mi ha entusiasmata. 
Non che sia disonesta o affrettata, ma, vista la qualità del viaggio, mi aspettavo una sorpresa in più. O forse solo meno linearità.
Nel complesso, comunque, un prodotto più che buono. E avvincente.
Tanto, tanto avvincente.
Poco importa che non si esca quasi mai di casa.

martedì 21 gennaio 2020

Il Sublime tarantiniano

C'ERA UNA VOLTA... A HOLLYWOOD
di Quentin Tarantino
(2019)


Film controverso, di cui ho sentito dire tutto il contrario di tutto.
Ma che per me è un capolavoro, e che è arrivato a colmarmi di Sublime. 
Ebbene, per quanto mi riguarda, non avete il diritto di giudicarlo se non ne avete visto la fine. Perché è lì il segreto. 

ATTENZIONE SPOILER

E non per il gustoso festival action-splatter dell'ultima mezz'ora (abilmente preparato in ogni dettaglio, e che, altrimenti, risulterebbe esagerato e illogico, ma che, viste le dettagliate premesse, è invece perfetto e calibrato ad arte, sicuramente molto tarantiniano), ma per il significato immenso che assume.
Il fatto è che seguiamo sì la travagliata parabola discendente dell'attore Rick Dalton (con tutti i suoi dialoghi analitici e lucidi, il suo dolore moribondeggiante, e le varie digressioni, citazionistiche e non... con qualche perla, da Bruce Lee ai cameo elettrizzanti). Ma siamo anche coscienti di essere in un film del vecchio Quentin. E sentiamo continuamente la presenza obliqua e sottile, ma imponente, di Roman Polanski e di Sharon Tate, i vicini di casa di Rick. E visto che siamo proprio alla fine degli anni sessanta, siamo atrocemente consci di che cosa succederà e sentiamo  strisciare accanto a noi il presagio terribile di Charles Manson e della sua Setta di squinternati. E ogni volta che vediamo Sharon (Margot Robbie), così bella e promettente, e prossima ad essere spezzata nel modo peggiore, ci si stringe lo stomaco. Perché pensiamo che non è giusto. Non lo sarebbe comunque, ma così lo è ancora meno.
E stiamo male, dunque, e affoghiamo volentieri nella lenta, ma ordinaria, rovina di Rick. Anche se continuiamo a tremare, ogni volta che viene aggiunto un tassello, ogni volta che si accende un indizio. Ogni volta che vediamo preparasi il finale.
Solo che...

ATTENZIONE SPOILERISSIMO

Il finale è diverso da quello che avremmo creduto.
Oh, sì.
Perché gli spantegati di Charlie sbagliano casa.
E ci sono Rick e Cliff (Brad Pitt) sotto acido ad attenderli. Con un cane super addestrato, una notevole prestanza fisica e un lanciafiamme. Ops. 
Ed è un atto di sensibilità, e un regalo bellissimo che viene fatto a tutti. Perché restituisce quello che non si può più rendere, e che, al contempo, solo il cinema, forse, può davvero ridare. E al contempo è vendetta e risarcimento, e sublime incanto e giustizia. E un inanellarsi magico di se e di ma, che, pur solo per un attimo (che però, per me, non è ancora finito), diventano veri.
E splendenti come tutto il firmamento.

Non so se questa è una pellicola che vorrei vedere la seconda volta (dura tantissimo, ed è lenta). Però, credetemi, la prima volta, se seguite il flusso e non vi mostrate impazienti, se vi affidate al regista, tenete conto di tutto e non fate i capricci, ebbene, la prima volta è pura magia. E vi lascia dentro una scheggia di Dio.
Che resta, e non se va.   
Eccezionale.