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giovedì 31 luglio 2014

Tipicamente francese


ALLA RICERCA DELL'AUGELLO DEL TEMPO - VELISSA
di Serge Le Tendre e Régis Loisel

Graphic Novel fantasy-avventurosa in quattro volumi cartonati, tipicamente francese, sensuale, umoristica a base di mostri, mostricini, misteri, segreti e magia, oltre a lievi tocchi splatter.
Sin dalle prime pagine ci colpisce per la vivacità dei suoi personaggi, per come insieme scoppiettano, battibeccano, e si punzecchiano.
Velissa, in particolare, la protagonista: una ragazza bellissima (anche se ogni tanto assume espressioni porcine) dall'abbigliamento discinto e le forme generose, temeraria e irruenta, figlia della principessa-strega Mara, incaricata di reclutare il burbero e ormai anzianotto, ma sempre in gamba, cavaliere Bragon per una perigliosa missione.
Bragon potrebbe anche essere suo padre, come insinua maliziosamente la fanciulla, e lui un po' lo spera, atteso che è stato una vecchia fiamma di sua madre e invero, benché non si vedano da illo tempore, sembra ancora innamorato di lei.
Insieme, Bragon e Velissa, dovranno trovare l'Augello del Tempo al fine di fermare il tempo, appunto, ed impedire così che Ramor, un antico dio malvagio, si liberi dalla conchiglia che gli fa da prigione, come ahimè sta per accadere... Con l'Augello Mara potrà completare l'incantesimo che salverà le terre di Akbar, ove vivono i nostri eroi, consentendole di sigillare Ramor nella sua conchiglia.
In apparenza, dunque, siamo al cospetto di una trama abbastanza classica, impreziosita dai bellissimi disegni di Loisel, molto dettagliati e dinamici, e dai caratteri forti e contrastanti dei personaggi, che spesso devono affrontare momenti drammatici e pericolosi, che lottano con coraggio ed astuzia, ma che, tuttavia, si imbattono pure in situazioni buffe (e talvolta vagamente maliziose), se non addirittura comiche.
Il clima, quindi, nonostante tutto, sembra relativamente scanzonato, ma... nel prosieguo le cose cambieranno, e sarà soprattutto la fine a sconvolgerci, diversa da quel che potevamo aspettarci: non tanto per il cambio di registro, quanto per la traumatizzante inversione di rotta.
La sensazione sarà quella di sentirsi portare via qualcosa, qualcosa di unico che ormai si ama, che ci fa soffrire e che ci dispiace, ma che, al contempo, ne siamo consapevoli e ne assaporiamo la bellezza, eleverà questo fumetto oltre i confini del fantasy, dimostrandosi tutto fuorché prevedibile...
Da scoprire.

mercoledì 30 luglio 2014

Le prospettive che cambiano


L'ULTIMO SAMURAI
di Edward Zwick

(2003)
 
 
Film potentissimo che pone due mondi a confronto, due mentalità, e l'individuo al cospetto di se stesso. E poi c'è il contrasto tra il passato, rappresentato dai Samurai e dai loro valori, e il presente, con il suo tentativo di “occidentalizzarsi” e di rincorrere il progresso, che, nella fattispecie, è soprattutto quello delle armi...

Siamo in Giappone, nel 1876, ed è incorso la ribellione di Satsuma (ex Samurai contro contro l'Impero).

Il nostro punto di vista è americano, quello del Capitano Nathan Algren (un grandissimo Tom Cruise), arrivato da poco, su incarico dell'Imperatore, per addestrare l'esercito nipponico. Algren è un uomo alla frutta, alcolizzato, barbuto e tormentato, che cerca di dimenticare un episodio traumatizzante che l'alcool riesce a mala pena a lenire. Quando però entrerà in contatto diretto con i Samurai ed imparerà a conoscerli e a capire la loro ideologia, allora le sue prospettive cambieranno.

 
L'aspetto più interessante del film è proprio la conoscenza graduale dello stile di vita dei Samurai, filtrato attraverso il capitano Algren e Katsumoto (Ken Watanabe), il loro comandante, imperturbabile, saggio, curioso... e disposto a sua volta ad imparare da una cultura diversa.

Indubbiamente la Storia è molto romanzata, ma va bene così perché assume una dimensione straordinariamente epica e coinvolgente, mentre il film è ricco di bei combattimenti, ma anche di frasi memorabili (in mezzo ad alcuni dialoghi ovvi), e ci piace vedere come crescono i personaggi e come si sviluppano i rapporti fra loro. Abbiamo l'impressione di assimilare anche noi la filosofia Samurai, di esserne pervasi e incantati, e questo non può che entusiasmarci e commuoverci. E commovente è pure la pellicola, in molti punti, ma in modo eroico, virile, che come tale ci colpisce ancora di più.

Non va tutto male, però, e il finale, per quanto parzialmente e inevitabilmente tragico, in qualche modo ci riscatta della sofferenza patita, arrivando persino a glorificarla.

Non manca nemmeno la storia d'amore, oltre all'amicizia e alla lealtà, squisitamente ricca di contraddizioni apparenti (ad esempio, Taka, la donna di cui si innamora Algren, ricambiato, oltreché sorella di Katsumoto, è la vedova di Hirotaro, ucciso dallo stesso Algren) e nutrita di sguardi e silenzi, ma intensa e sottilmente erotica.

E, okay, si potrà obiettare che ci vuole un po' di tempo per arrivare al cuore del film (l'incipit non è brillantissimo), che la preparazione è lunga, seppur priva di stasi, e che tutto sommato la trama è prevedibile, ai limiti dello scontato... E' vero, replico io, ma chi se ne cale: se il climax e l'atmosfera non fossero così compiutamente dispiegati, se la fruizione fosse immediata, ci ridurremmo ad avere il solito picchia-picchia/spacca-spacca, mentre “L'Ultimo Samurai” riesce ad essere qualcosa di più e ad infonderci sentimenti forti, che ci accompagnano anche dopo il “the end”.

In quanto al prevedibile, infine, be', pazienza, ogni tanto ci vuole. E ci intrattiene comunque, quasi aumentando, con l'aspettativa e la consapevolezza di ciò che avverrà, il sapore di ciò cui andiamo incontro. Proprio come in una fiaba.

martedì 29 luglio 2014

Tumulti e verità esistenziali


A SUD DEL CONFINE, A OVEST DEL SOLE
di Haruki Murakami
 
 
Non Murakami Haruki.

Chi se ne cale se in Giappone prima si mette il cognome e poi il nome: qui siamo in Italia, invertire le parole crea solo confusione. E francamente mi sembra che tradisca lo spirito di una traduzione, avendo il solo effetto di decontestualizzare un dettaglio, e finendo per assomigliare più ad una pedante (e sterile) velleità esotica che a qualsiasi cosa voglia essere.

Per il resto, questo è il primo romanzo che leggo di questo autore, e devo ammettere che mi è piaciuto.

Per certi versi mi ha ricordato un po' Banana Yoshimoto: non tanto per la nazionalità comune, quanto per la levità e leggerezza di entrambi, per la ricerca del dettaglio, per l'introspezione, l'intimismo, per l'armoniosa costruzione del testo. Murakami, però, è un uomo, e si sente. Inoltre è più analitico, e ha una vena più drammatica. Non che tratti argomenti più forti della Yoshimoto, ma lo fa con una delicatezza diversa, meno fresca, ugualmente lieve, ma gravata da un'ombra dai contorni indefiniti che incombe dolente, benché non emergano particolari macabri inaspettati, o di stampo fantastico, come con la B.Y. E nel complesso, anzi, risulti meno tragico.

La storia di per sé non è nulla di straordinario, ma lo è il modo con cui ci viene narrata. Parla della vita di questo ragazzo giapponese, Hajime, che vediamo crescere ed affrontare le tappe della vita, perseguendo obiettivi diversi, sempre con un certo egoismo. Ci soffermiamo sui suoi legami affettivi, su Izumi, la sua prima ragazza, su sua moglie Yukiko, ma soprattutto sul rapporto con Shimamoto, sua amica di infanzia. Ora che la ritroviamo da adulta, a distanza di venticinque anni, una donna circondata dal mistero, che non vuole rivelare nulla di sé e che sconvolgerà la sua vita. Sì, perché ormai Hajime ha trentasette anni ed è soprattutto a questo presente che ci dedichiamo.

Hajime parla di sé in prima persona, e l'impressione che si ha è che sia estremamente sincero, spontaneo, in un modo assoluto, che è difficile persino trovare in un dialogo con se stessi. E' un tipo riflessivo ed ha la capacità di illustrarci compiutamente ogni suo moto dell'animo, ogni decisione sbagliata, ogni sentimento. Il romanzo procede con una certa tranquillità, intima e rilassante, che non è lentezza e che anzi è coinvolgente ed appassionante e riluce di luminosa bellezza. Hajime ci piace, pur non colpendoci particolarmente, pur essendo noncurante verso il prossimo e sovente scorretto, perché ha qualcosa di autentico, di libero e di tremendamente profondo.

Ed è proprio questo il punto principale: dietro a tutta questa calma, questa levità, si nascondono tumulti e verità esistenziali. Non hanno alcun sapore filosofico, sono più il flusso di coscienza di una persona che riesce a guardare nella parte più riposta di sé e condividere questa esperienza con noi.

Elemento non da poco, questo.

Ma dando un'occhiata ai titoli dei romanzi pubblicati di Murakami, c'è n'è uno che mi attrae assai di più, e che mi sembra di genere completamente diverso: “La fine del mondo e nel Paese delle Meraviglie”, che senz'altro leggerò al più presto.

lunedì 28 luglio 2014

La proiezione spaziale della mia personalità


LA PSICOSI DEL LIBRO
 
 
Mi prende all'improvviso, senza motivo apparente, e mi consuma.

Accade a periodi alterni, a volte tra una fase e l'altra ho periodi di quiete di oltre sei mesi, ma poi... Poi torna ed è virulenta e assassina.

In generale leggo sempre, ogni giorno della mia vita, più o meno ovunque, approfittando anche dei ritagli di tempo. Ma con calma. E con misura.

Invece, quando mi coglie il raptus, la lettura diviene ossessione e ancora di più lo diviene il possesso.

La brama di avere, di completare la mia biblioteca.

Perché è la proiezione spaziale della mia personalità e all'improvviso mi sembra che mi manchino dei pezzi di anima.

E devo cercarli.

E allora compro libri in maniera compulsiva, neanche fossero generi alimentari di cui far scorta in previsione dell'imminente fine del mondo... Non importa se pesano l'ira di Dio e devo trascinarmeli dietro tutto il giorno, non importa se non ho più spazio dove metterli e ho già diversi altri titoli in lettura... Ne voglio, ne voglio, ne voglio ancora!

Devo toccarli, classificarli, annusarli.

Temo ci sia qualcosa di patologico in tutto ciò, della serie “I love shopping”. Solo che si spinge oltre.

Supponiamo che acquisti una ventina di romanzi. Devo cominciarli tutti lo stesso giorno, leggere una decina di pagine di ciascuno e poi ricominciare il giro, aggiungendo ogni volta un volume in più, almeno sinché la realtà bussa alla porta e allora devo andare al lavoro, o a dormire, o.

Se no (se tipo sono in vacanza) mi interrompo solo quando mi vengono in mente altri titoli da acquistare, e allora me li annoto.

O esco e vado a cercarli.

O carico carrelli e liste dei desideri su Amazon.

E poi ricomincio.

Fino a che, inspiegabilmente, dopo un paio di settimane o un mesetto, di colpo mi calmo, mi rilasso. Rallento. La luce febbrile che ho negli occhi si spegne e io stabilisco di finire quel che ho iniziato, prima di cominciare altro, e mi pongo dei paletti, dei limiti. Un ordine.

E allora penso di essere tornata sana, equilibrata. Normale.

Solo che, ahimè, sono anche meno felice.

Senza farfalle nello stomaco e vertigini nel petto.

domenica 27 luglio 2014

Senza limiti e senza ritegno ;)


THE ROCKY HORROR PICTURE SHOW
di Jim Sharman

(1975)
 
 
Il mio musical preferito, senza ombra di dubbio!

Per i riferimenti horror-trasgressivi-fantascientifici, per il Time-Warp, per le musiche e le canzoni (e più le ascolti, più le apprezzi), per l'atmosfera esagerata, istrionica, parodistica e festosamente rumorosa, per le gustosissime citazioni di “American Gothic” di Grant Wood (e per tutte le altre), per la situazione in sé, tra il classico e l'assurdo, che prende le aspirazioni borghesi e le riempie di schiaffi, per come tutti gli ingredienti si combinano fra loro in un carnevale allegro e tragico che si diverte a contraddire se stesso, per l'umorismo e la varietà personaggi, magnificamente caratterizzati, anche quando occupano uno spazio minimo (e ogni volta che penso a quale sia il mio preferito, pronuncio un nome diverso: quello di oggi è Riff-Raff, sebbene nel finale si sia rivelato più serio e malvagio di quel che avrei voluto... anche se non posso non menzionare la fugace apparizione di Meat Loaf, nei panni di Eddie...), per gli sprazzi di feroce crudeltà che sfuma nel grottesco, per la conclusione, che mi ha immalinconita di brutto, ritinteggiando la trama, ma che sa di sogno che finisce e ammanta tutto nel mistero, conferendogli una dolcezza triste ed inaspettata, per King Kong, per il mio travestito preferito, perché anche sulla sedia a rotelle si può “sgambettare”...

...E, okay, riprendo fiato!
 
 
E affermo l'ovvio, ricordando che pure gli interpreti sono perfetti, e su tutti svettano Tim Curry/Frank-N-Furter, personaggio pruriginoso e vibrante, che spande perle di saggezza incatenate a meravigliosi egoismi, Susan Sarandon/Janet Weiss, compassata verginella che impara presto a divertirsi, e lui, Richard O'Brien/Riff Raff, il quale si occupa anche delle musiche e di un milione di altre cose.

Il film, che ormai è un culto, è del '75, ma, a parte un sottile fascino vintage, non lo dimostra e migliora di visione in visione: la regia è abbastanza concitata e talvolta cerca persino di interagire con gli spettatori (ad esempio, insegnandoci a ballare)... i costumi e i trucchi sono entusiasmanti e prossimi al fascino trash, e i frequenti balletti/cantate sono così naturali e ben integrati nella storia e con i personaggi che non creano nemmeno la tipica perplessità che suscitano i musical, con i protagonisti che paiono schizzati con l'orticaria, dato che ogni tanto, proditoriamente, avvertono l'impulso di mettersi a volteggiare ed imporci la loro ugoletta d'oro. Apparentemente senza senso o creando delle pause semi-ridicole nella narrazione, se non fosse che si accetta la circostanza che nei musical le regole sono diverse.

Insomma, un capolavoro!

Senza limiti e senza ritegno ;).

sabato 26 luglio 2014

Molto femminile


I CERCATORI DI CONCHIGLIE
di Rosamunde Pilcher
 
 
Scrittrice che di norma si cimenta in polpettoni romantici, a quanto sapevo, e che quindi guardavo con diffidenza e sospetto. Robaccia per casalinghe frustrate, pensavo, in cerca di emozioni facili e passioni tormentate, in cui tuttavia alla fine l'amore trionfa. Insomma, della serie dito in gola.

Ma questo romanzo, lo ammetto, benché certamente sentimentale e molto femminile, non mi è affatto dispiaciuto. Anzi.

Ho apprezzato la trama (variegata e ripartita su più personaggi), i salti temporali, i riferimenti storici (dettagliati e densi di atmosfera), e persino lo stile dell'autrice, lineare, accurato, non privo di garbo ed eleganza (alcune descrizioni sfiorano la bellezza e sono stupendamente vivide), ma anche di sensibilità, di intelligenza, dal punto di vista luminoso e, contrariamente ai miei preconcetti, non sempre scontato e talvolta persino autentico ed anticonvenzionale. Lo stesso approccio con il sentimento amoroso è molto più ricco di quel che paventavo e riserva sorprese interessanti.

Non tutto è patinato e perfetto, e a prevalere sono soprattutto i rapporti fra le donne, fra madre e figlia, in particolare, trattati con delicatezza, ma anche con una preziosa e rara profondità.

E i ricordi si sovrappongono al presente, con una punta di nostalgia, ma anche tanta serenità.

Se devo scegliere, però, credo che l'elemento più riuscito sia proprio lei, la protagonista, Penelope Keeling, non più giovanissima, con tre figli adulti all'attivo (tra cui spicca Olivia), un grande amore, e un marito che invece non è stato granché, né ha cercato di esserlo... Scopriamo il suo presente e il suo passato, ci facciamo coinvolgere e avvincere, e alla fine (no, già dall'inizio) ci sembra di chiacchierare con una vecchia, buona amica, di cui raccogliamo le confidenze e i segreti.

E che al contempo prendiamo ad esempio, come riferimento, avendo la sensazione che, se mai anche noi decidessimo di aprirci con lei, Penelope saprebbe offrirci comprensione, conforto, e magari persino il consiglio giusto.

Immediatamente dopo, di questa scrittrice, ho letto “Neve d'aprile”, assai più breve e sempre scorrevole. Ma non mi ha lasciato nulla, ha confermato parte dei miei pregiudizi, e mi ha tolto la curiosità di comprare altro di questa autrice...

venerdì 25 luglio 2014

Un viaggio alla scoperta dell'anima


TRENO DI NOTTE PER LISBONA
di Pascal Mercier
 
 
Questo romanzo non è di fruizione immediata: richiede un certo tempo mentale e una predisposizione all'ascolto. Non lo si può cominciare se si ha fretta, se si vuole qualcosa subito, o se non si è decisi ad affidarsi completamente al suo autore, rispettandone il ritmo cadenzato. Perché altrimenti ci sembrerà che tutto proceda con lentezza biblica o non proceda affatto e ci verrà voglia di abbandonarlo, apparendoci monocorde, monotono e pleonastico.

La verità non è questa: le cose accadono, e sono molteplici, stratificate, dense, tuttavia dobbiamo attendere il momento giusto per avvicinarci alla realtà del libro: ci servono calma interiore e il cuore sgombro, o non ci accorgeremo di nulla.

Perché siamo al cospetto di un viaggio alla scoperta dell'anima. In generale e in particolare.

Il lettore impara a conoscere la propria inseguendo quella di Gregorius, il protagonista, un professore svizzero poliglotta, il quale, a sua volta, affronta se stesso cercando di portare alla luce i misteri (ma soprattutto la personalità) dell'autore di un volumetto poco noto, in cui si è imbattuto per caso, e che è stato scritto oltre quarant'anni prima da un medico portoghese deceduto da tempo, Amadeu Prado, che ha fatto parte della Resistenza e ha salvato la vita ad un boia durante la Dittatura di Salazar, sentendosi tremendamente in colpa per averlo fatto, ma essendo cosciente che non avrebbe potuto agire diversamente, per la sua stessa natura di medico.

Sarà la sua vita, in primis, che cercheremo di ricostruire, di scandagliare, attraverso le pagine che ci ha lasciato e tramite le testimonianze, a volte apparentemente contraddittorie, di chi lo ha conosciuto, amato e ne ha subito l'insondabile fascino. Amadeu è stato un uomo dalla personalità folgorante e carismatica, dall'intelligenza vivissima, e dai molti dolori, che si rivela a noi (e a Gregorius) gradatamente, con ogni sfumatura del suo essere, conquistandoci sempre di più.

E ogni volta che la lettura viene interrotta, ci rendiamo conto che il libro ci ha regalato un pezzo in più di noi e ci ha portato (e continua a portarci) a scavare fra i nostri pensieri e sentimenti, analizzandoli sino alla radice e ponendoci domande esistenziali.

Si tratta di un romanzo introspettivo, dal frasario ricco e curatissimo, molto poetico, attento alla lingua e alla parola, fatto di riflessioni su riflessioni, pause psichiche, meditazioni, problemi etici, rapporti umani irrisolti e conflittuali, anche nei confronti di se stessi.

Contiene la somma di due vite, nella loro complessità, e di quelle che ad esse si sono intrecciate. Più la nostra. E quella di chi ha intrecciato la sua con noi.

Un libro interessante, intenso, con un'idea di fondo originale e suggestiva, ma che dal punto di vista strettamente letterario ogni tanto frana un po', risultando disarmonico, affaticato, dispersivo e persino un po' autoreferenziale. Ma che comunque, se ci si riesce a sintonizzare con il suo sentire, è bellissimo leggere, più di quanto non lo sia, a volte, un romanzo scevro da difetti.

giovedì 24 luglio 2014

Annuncio


RES PUBLICA - GAZZETTINO di PIETRA LIGURE

Rinvio il post di oggi a domani per fare un annuncio... ieri il Gazzettino di Pietra Ligure online ha gentilmente segnalato la pubblicazione del mio ultimo eBook, “Corpi Nudi”. Yeeeeee!!!!
Lo so che è una piccola cosa, ma io sono contenta lo stesso!
Grazie, quindi, al Gazzettino e a Marco Pesce, il suo Direttore, che è stato così carino da contattarmi! Non lo conosco di persona, ma mi ha colpito per la sensibilità e cortesia dimostrate nelle mail che ci siamo scambiati.
Vi invito quindi ad andare a dare una sbirciata (questo il link, ma penso ci sia da scendere un po' per trovarlo, l'articolo dedicato risale a ieri), mentre il Mio Perfido Marito sarà così carino (spero) da mettere la fotina di riferimento o qualcosa del genere... perché sono quasi le 14.00 e io non ho ancora pranzato!!!
Saluti e baci!

mercoledì 23 luglio 2014

Una fiaba antica e arcana


NESSUN DOVE
di Neil Gaiman
 
 
Uno dei libri più belli, di uno dei miei scrittori prediletti, con un incipit ironico che ti incuriosisce a morte e che ti precipita da subito nel cuore della trama!

Il protagonista si chiama Richard Mayhew ed è un tizio qualunque, con una fidanzata e un lavoro, un giovane normalissimo in procinto di trasferirsi nel centro di Londra. Poi non lo è più. E' il nostro eroe.

Non è affatto il personaggio più bello del romanzo (ce ne sono tanti di interessanti, lui non lo è, anche se impariamo a volergli un gran bene, ad apprezzarlo, e ci piacerebbe un sacco incontrarlo... No, il più bello è il Marchese de Carabas, che è un po' canaglia, un po' un enigma, ma di quelli che non possiamo non amare alla follia!), eppure lo seguiamo comunque perché ha uno stile frizzante e in fondo ci è simpatico. E poi tutto è iniziato per i motivi giusti, quando ha incontrato Porta, una ragazza ferita, alternativa, semi-disperata, che Richard ha deciso di aiutare.

Insomma che ci ritroviamo a Londra Sotto, una sorta di mondo parallelo rispetto al nostro, in cui incontriamo un mucchio di persone strampalate e meravigliose, Neil Gaiman si scatena con alcune delle sue trovate più riuscite (degne di Sandman, il suo capolavoro assoluto) e noi, con Richard, dobbiamo affrontare un sacco di peripezie e di prove spaventose ed affascinanti, che ci permetteranno di crescere e di capire un sacco di verità, in primis su noi stessi. Faremo molte amicizie importanti, ci scontreremo con i cattivi (notevoli!) e verremo traditi (ma senza cattiveria).

La storia ci piacerà da matti, ma sarà soprattutto il modo con cui ci verrà raccontata a farci impazzire di gioia: per l'atmosfera, in particolare, che ci riempirà l'anima e avrà il sapore di una fiaba antica e arcana, in cui veniamo sorpresi di continuo da cose incredibili.

Per essere critici la trama in sé, intesa in senso generale, non è originalissima e ricalca un po' i classici dell'avventura fantastica, ma sono proprio l'atmosfera, le ambientazioni, i personaggi e le singole trovate a renderla unica e sublime, ad incantarci e a legarci al romanzo per l'eternità...

E quando lo finisci, sebbene tutto vada proprio come avresti voluto, e per giunta nel momento stesso in cui eri lì lì per sentirti male, be'... ti ritrovi esausto, felice e svuotato. E vorresti solo tornare lì. A Londra Sotto, con i tuoi nuovi amici. Per sempre.

E chi se ne cale del resto.

martedì 22 luglio 2014

Fa rima con “mulo”


GENTE CHE MI PRENDE PER L'OMEGA
 
 
E se avete idea di com'è l'omega minuscolo (così: ω) e a che cosa assomiglia (quella magica parolina che inizia per “c”, finisce per “o” e fa rima con “mulo”), l'espressione dovrebbe risultare chiara...





Esempio 1):

Sai mi sento una cacca ambulante... Siamo amiche da tanto tempo e in tre anni non ho ancora comprato nessuno dei tuoi eBook... Sono una persona orribile, sto davvero male al pensiero...”

No, ma dico, mi ci prendi proprio! Allora comprali no?

No.

La mia amica da tanto tempo preferisce essere orribile e stare male al pensiero...



ωωω



Esempio 2)

Io: “Curioso, mi avevi detto che non leggi eBook... Hai iniziato da poco?”

Interlocutore Anonimo: “No, sono anni, ormai, che leggo quasi solo col Kindle: è molto più comodo ed economico. Dovresti provare!”

Io: “Divertente. L'anno scorso mi hai detto che non potevi comprare i miei Ebook perché leggi solo cartaceo.”

Anonimo: “No... Ma che cosa dici...? E poi il primo l'ho comprato.”

Io: “Sì? Non me l'avevi detto... E ti è piaciuto?”

Anonimo: ”Ma certo!”

Io: “Di che cosa parla?”

Anonimo: “Uh... Eh... Mmm... Be', dai... E' un romanzo...”

Io: “No. Il primo è una raccolta di racconti. 23 racconti. Molto brevi.”

Anonimo: “Ah... Sì... già. E' vero. Racconti...”

Io: “Non l'hai letto. E nemmeno comprato. (sorriso sadico) E mi hai mentito. (sorriso assassino) Ti odio.”

A questo punto l'interlocutore anonimo avrebbe potuto avere il buon gusto di tacere, o di ammettere di aver pronunciato mendacio. Ma no. Ha insistito che aveva comprato il mio Ebook, contro ogni evidenza. Ho insistito. Allora ha aggiunto di averlo poi cancellato per sbaglio. Ha! Ha! Ha! Ma suicidati! Infilandoti un ombrello nell'omega.



ωωω



Esempio 3) – la ciliegina sulla torta –

Una mia amica-collega (che conosco da cinque anni), ad un'altra (che conosco da sette):

A1: “Ma lo sai che è uscito il nuovo libro di Otta? Ed è bellissimo!!!”

A2.: “Perché? Scrivi libri?”

Qui evito ogni tipo di commento. Ma preciso, per chi non mi frequenta, che sono così sfigata che riverso le mie aspirazioni da scrittrice su chiunque conosca da più di quattro secondi.

ωωω

lunedì 21 luglio 2014

Tremendamente sferzante


LA CONCESSIONE DEL TELEFONO
di Andrea Camilleri
 
 
Che, in Sicilia, a fine Ottocento, non è proprio una cosa semplicissima e scevra di complicazioni. No, non di natura tecnica...

Ed infatti l'impresa coinvolgerà la burocrazia, la Mafia, un doppio adulterio, e pseudo-agitatori socialisti, complicando brutalmente la vicenda sino a renderla assurda e ingarbugliatissima...

Molto inizierà e finirà con un equivoco che a sua volta ingenererà malintesi, regalandoci una generosa dose di spasso, tra fantasia e realtà storica, ma anche un bell'omicidio-suicidio, che, naturalmente, verrà frainteso.

E... sì, ci divertiremo parecchio, nonostante la verità di fondo sia tragica e il libro colga l'occasione per denunciare una serie di mali locali, che potrebbero scatenare l'ira funesta di chiunque, se non fossero rappresentati a suon di risate.

Mali locali, dicevamo, e legati alla realtà dell'epoca, ma non solo: perché saremo pure in Sicilia, saremo pure nel XIX Secolo, ma tante cose ci parranno avere un sapore familiare e dolorosamente nostrano...


Il romanzo non ha una struttura classica, ma “à la Camilleri”, che, ancora una volta, preferisce delineare la trama tassello per tassello, alternando documenti scritti (lettere, articoli di giornale, circolari) a dialoghi squisitissimi e genuini (“cose scritte” e “cose dette”). La storia si combinerà, dunque, gradualmente, in modo apparentemente spontaneo, nella nostra testa, procedendo per contrasti e per smacchi, con un montaggio perfetto, uno dei migliori tra quelli ideati dall'autore.

E “La concessione del telefono”, anche per questo, è uno dei suoi libri in assoluto più carini, più riusciti: comico, satirico, e tremendamente sferzante, che fa leva su una serie di personaggi buffissimi ed esagerati, quanto, ahimè, orribilmente realistici, a partire dal povero Genuardo Filippo, che vorrebbe solo veder attivata la sua linea telefonica privata...

In quanto alla morale, infine, è quella della vita: i buoni vengono sconfitti, gli incapaci premiati.

domenica 20 luglio 2014

Quell'orribile maestrina...


SNOWPIERCER
di Bong Joon-ho

(2013)
 


La trama non mi ispirava più di tanto, mi sapeva di già sentito: la vita sulla terra è finita a causa del gelo intenso (una sostanza è stata liberata nell'aria sovvertendo gli equilibri), gli unici sopravvissuti si trovano su un treno autosufficiente, che ogni anno compie il giro del mondo in una sorta di moto perpetuo. Se mai si dovesse fermare, Adios!, schiatterebbero tutti.

Ma tra chi sta nelle carrozze di testa e chi sta in coda le condizioni di vita sono antipodiche: in testa ci si dedica al lusso e all'ozio, in coda è l'inferno, e talvolta qualcuno, magari un bambino, viene portato via. Fino a che si organizza la ribellione...

Dicevo che la trama non mi ispirava tanto, ma invece mi è piaciuta tantissimo! Intanto non si consuma ad un solo livello: le implicazioni sono numerose, intuitive, di matrice filosofica, e ti pongono svariati interrogativi, che non solo non si esauriscono con la scena d'azione e con i rapporti umani, ma vanno addirittura oltre i confini della pellicola.

Poi perché ci sono anche quelli, le scene d'azione e i rapporti umani, e pure uno strepitoso, godibilissimo intrattenimento, sparatorie e combattimenti!

Invero, in principio mi sono sentita opprimere dalla cupezza della situazione e dalla sensazione di cieca impotenza generale, ma poi... Momenti di paura estremamente suggestivi (la scena con i colossi dal volto travisato, armati di accetta e occhialetti...), forza, ingegno, collaborazione (con la stupenda soluzione delle fiaccole), altri di commozione intensa o di sconcerto, visioni suggestive (l'acquario...), amicizia, lealtà, coraggio, legami di vario tipo, situazioni critiche, che tuttavia a volte invocano l'animus iocandi o l'ironia... Più splendide scenografie, e alcuni personaggi notevoli: dal super-ninja muto e stra-fico (di cui si sentiva un bisogno disperato), alla mamma (Octavia Spencer) che cerca il suo Timmy, da Gilliam (John Hurt), il punto di riferimento dei ribelli, al fedele Edgar (Jamie Bell, alias il Billy Elliott di “Billy Elliott”) all'esperto di sicurezza (Song Kang-ho) con la figlia Yona, una sorta di mina vagante le cui ragioni di primo acchito ci sembrano incomprensibili, ma anche Curtis (Chris Evans), il protagonista, il leader, sebbene all'inizio non mi paresse nulla più del solito eroico bamboccio tormentato... Perché tanti di loro, e non solo loro, ci riservano sorprese pazzesche, prima della fine (o dopo, in almeno un caso), cambiando il senso di tutto, e rendendolo spiazzante, stratificato. Per il resto... Mi è rimasta così impressa quell'orribile maestrina impregnata di propaganda! E il “distributore di uova”, e anche la ministra Tilda Swinton mi è piaciuta, così odiosa e macchiettistica, e persino Wilford (Ed Harris), di cui, mio malgrado, ho avvertito la seduzione. Poco importa che alcuni di questi personaggi costituiscano poco più di un cameo, vista l'accuratezza con cui sono stati caratterizzati!

Un ottimo cast, dunque, una pregevole alternanza di rabbia, paura, sgomento, sentimento, adrenalina e sense of wonder. Un bell'action-movie, che però ti lascia qualcosa a livello emotivo, visivo ed etico. Una storia intensa, che si è conclusa nel modo migliore, nell'unico che potesse risultarci salvifico anche sul piano interiore.

A questo punto, non vedo l'ora di leggere il fumetto che lo ha ispirato...

sabato 19 luglio 2014

Stereotipi.


LA CANTATRICE CALVA
di Eugène Ionesco
 

Dicesi “Teatro dell'Assurdo”.

E assurdo lo è davvero e senza confini, tra non-sense, dialoghi surreali (e deliziosi) e situazioni che non possiamo nemmeno affermare ci sfuggano di mano, perché, semplicemente, in mano non ci stanno. Non stanno da nessuna parte!

L'opera si legge in un istante, non solo perché è brevissima, ma perché ci rallegra e ci incuriosisce. E non ci basta mai.

Eppure, anche se non capiamo, non seguiamo, e ci sentiamo ribaltati in un modo di logica metafisica (o nessuna logica) non ci sentiamo irritare. Un po' perché lo sappiamo, capire non è sempre importante. Un po' perché tutto si combina ad arte, senza esagerare. O esagerando a tal punto che la “Cantatrice” diviene un mondo a sé e sentiamo di poterlo accettare così: rilassandoci e facendoci quattro risate.

Ma anche sentendoci solleticare qualcosa dentro, qualcosa di cerebrale, sotto pelle, di pruriginoso, che ci stuzzica in modo insolito e meraviglioso. E ci mette un po' a disagio, anche.

I protagonisti sono sei (e sono sostanzialmente intercambiabili) i coniugi Smith, i coniugi Martin, la cameriera e il capitano dei pompieri.

Sono i tipici borghesi, non hanno alcuna ragione d'essere, alcun senso, né tanto meno riescono a trovarlo: benché abbiamo un sacco di informazioni su di loro ci sembrano più un cumulo di abitudini che delle persone, lì fermi, cristallizzati nella routine.

E assolutamente normali, banali, ovvi.

Una casa normale, una famiglia normale, persone normali.

Stereotipi.

Come tali divengono allora metafora della condizione umana: umanità che agisce per forza di inerzia, in balia delle convenzioni, senza capire bene perché, priva di significato o di scopo.

Che parla tanto, ma di banalità, e di fatto non riesce a comunicare, a incontrarsi, nemmeno quando si è tutti lì, nella stessa stanza.

Dissacrante.

Da le leggere, più che da raccontare.

venerdì 18 luglio 2014

Una sensibilità profonda e lacerata


3 PIANI – LA STORIA SEGRETA DELL'UOMO GIGANTE
di Matt Kindt


Il sospetto che Matt Kind sia un genio mi è venuto con Mind MGMT (che non ancora recensito perché tuttora in corso di pubblicazione). Con “3 Piani” ho scoperto che ha anche una sensibilità profonda e lacerata, che ti sconcerta, ti mette a nudo, e ti devasta dall'interno, costruendo e decostruendo, rendendoti più vivo, più consapevole.
Più fragile.
E vero.
Nello specifico ci racconta la storia di un “diverso”, di come è difficile per lui rapportarsi al mondo e per il mondo è complicato rapportarsi a lui (anche gli occhiali sono un problema, e i vestiti, e un cerotto). E quanto sia dura per le persone che gli stanno accanto, o che almeno si sforzano di farlo, finché, letteralmente, le cose non diventano troppo grandi...
Sì, perché questa è la storia, narrata con grazia, con maestria, con un montaggio perfetto e con una delicatezza totale di pensieri non pronunciati e di sentimenti non espressi (eppure esplicitati benissimo, analitici e privi di retorica), di Craig Pressgang, un ragazzo destinato a divenire velocemente un gigante, fino a che non ci sarà più spazio per lui.
La sua vita ci viene raccontata secondo il punto di vista di tre donne: la madre, la moglie e la figlia. E un po' le capiamo e un po' le odiamo, perché ci sembrano sempre inadeguate (la madre e la moglie, almeno). Ma soprattutto avvertiamo il peso di essere Craig, a livello pratico ed emozionale, e di non poter frenare la nostra crescita.
Lo guardiamo da fuori, e poi da dentro. Ci perdiamo negli sguardi e nei silenzi, rimuginiamo, inghiottiamo. Ma non è che stiamo lì a crogiolarci nell'autocommiserazione. Anzi.
Finché possiamo viviamo la nostra vita, seppur in modo inconsueto... E abbiamo anche i nostri momenti di gioia: studiamo, ci sposiamo, collaboriamo con la Cia...
E per certi versi la nostra è la vita di tutti, perché alla fin fine, dentro, noi siamo persone comuni...
Ma al contempo non lo siamo, e se a volte ne traiamo dei vantaggi, poi finiamo per pagarne lo scotto. O meglio, quello abbiamo cominciato a pagarlo da subito. Ma il conto tende a diventare più salato, man mano passano gli anni. La solitudine più assoluta.
Una graphic novel semplice quanto complessa, che ci riflette, ma al contrario, e che sa essere originale raccontando la quotidianità.
Impreziosita da acquarelli stilizzati e semplici, ma che racchiudono complessità profonde e spigolose, linee spezzate, infinita poesia. Sino alla conclusione. Che ci lascia lì, sospesi, e ci induce a tornare indietro in cerca di una parola in più. Di una spiegazione. Che non viene.
Che non può esserci.

giovedì 17 luglio 2014

Extra-dolce


VOLI ACROBATICI E PATTINI A ROTELLE
A WINK'S PHILIP STATION

di Fannie Flagg
 

I suoi ultimi romanzi (specialmente il noiosissimo “Miss Alabama e la casa dei sogni”) non mi avevano entusiasmata ed avevo persino stentato a finirli, qui, seppure non si torna ai livelli di “Pomodori verdi fritti”, Fannie Flagg ritrova la sua verve e riesce a contenere la sua tendenza alla stucchevolezza regalandoci un romanzo divertente ed extra-dolce, ma non privo di ironia ed eventi drammatici.

La storia si svolge su due piani: nel presente in Alabama (con qualche gradito ritorno per la gioia dei fan) all'insegna della normalità più normale e zuccherosa che viene sconvolta da una notizia inaspettata, e nel passato, a Pulanski, città polacca del Winsconsin, nel corso, più o meno, della II° Guerra Mondiale, con personaggi femminili tutto pepe (davvero, le quattro sorelle polacche sono fra i personaggi più deliziosi e meglio caratterizzati della Flagg), voli acrobatici e le WASP, le prime donne pilota.

Le due trame, ovviamente, viaggiano in parallelo, fino a ricongiungersi, ci regaleranno colpi di scena, emozioni e belle tematiche femministe, non eccessivamente insistite, ma molto appassionanti e curiose, avventura, sentimento, e qualche sorriso, insegnandosi che realizzarsi non significa necessariamente compiere imprese straordinarie, e che anzi, può essere straordinario anche crescere quattro figli e accudire la madre (odiosa e invadente) e il marito (meraviglioso). Ma pure che la nostra personalità è data da tante cose, da ricercarsi nell'educazione ricevuta, come nell'indole e nel patrimonio genetico, e che il significato di famiglia e di radici può avere accezioni diverse. Ed, infine, che persino a sessant'anni è possibile scoprire se stessi e reinventarsi.

Molti dei temi che affrontiamo sono già noti ai lettori della Flagg, e di certo non brillano per originalità, tuttavia ci piace seguire la nostra Fannie in questa nuova avventura e siamo contentissimi di conoscere un aspetto della Seconda Guerra Mondiale che probabilmente ignoravamo... La parte dedicata a Fritzi e alle sue sorelle, infatti, prima con la pompa di benzina tutta al femminile e poi con le Wasp, mi è piaciuta assai più dell'altra (Lenore è davvero insopportabile e Sookie eccessivamente remissiva, tanto da irritarmi, sebbene abbia adorato la parentesi con il dottor Shapiro, nonostante in in certi punti risulti un po' troppo calcata), ma poi, quando le due storie si collegano... Okay, qui mi fermo.

Basti sapere che, come di consueto, Fannie Flagg ci regala un finale confezionato con amore, in cui tutto si risolve per il meglio.

mercoledì 16 luglio 2014

Fantasticamente improbabile!


SHARKNADO
di Anthony Ferrante
(2013)

Che trashata! Che trashata totale! Così esagerato, rutilante, eccessivo e disperato, sapendo di esserlo e godutamente compiaciuto di ciò, che assurge a capolavoro del genere!
Puro devastante intrattenimento, senza logica e senza pensieri, per una serata catartica e divertente, ai limiti dell'assurdo e dei B-movie!
E già la trama è un programma, perché una moltitudine di squali si abbatte su Los Angeles, risucchiata da un tornado (da più di uno invero)... ma solo dopo che gli squaletti (dai pesci martello agli squali tigre) hanno già terrorizzato la popolazione nel corso di un uragano, spuntando dalle fogne, nuotando tranquilli per le strade, ovviamente sempre famelici e affamatissimi... fino a che... cominciano a cascare dal cielo, più bramosi di cibo e vitali di prima!
Come combatterli? O, ma con tutto quello che si trova in giro, a partire dalle seghe elettriche alle bombe fatte in casa, e magari si può provare l'ebbrezza di essere inghiottiti in un sol boccone, farsi strada con l'attrezzo nelle viscere del mostro, e uscirne fuori indenni, magari reperendo, già che ci siamo, una bella ragazza creduta morta nello stomaco del maxipesce.
Delizioso! E fantasticamente improbabile!
La gente crepa con generosità di schizzi sangue e totalmente all'improvviso, magari nel momento stesso in cui cominci ad identificare il personaggio come uno di riferimento, perché è stato caratterizzato meglio degli altri... E non si sta nemmeno a sprecar tempo a dispiacersi o a stupirsi troppo. Ci vengono risparmiati pianti e frasi patetiche: cinque minuti fa è stata fatta a pezzi davanti ai tuoi occhi la ragazza con cui facevi surf? O be', facciamoci un drink e un'allegra chiacchierata al bar, senza nemmeno darci la pena di menzionarla.
Piuttosto, sorpresa, sorpresa! Il protagonista altri non è che lo Ian Ziering che negli anni '90 recitava nella Serie Tv Beverly Hills 90210, nei panni di Steve. Ed è migliorato tantissimo: fisicamente e per carisma. La parte che interpreta è sempre quella del surfista, ma questa volta ha persino dei neuroni in testa, e anche se non è simpaticissimo, alla fine ci piace lo stesso!
Uh, dimenticavo! E' previsto un sequel ambientato a New York...
Imperdibile!!!