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sabato 12 luglio 2014

Il senso ultimo di ogni cosa


NERO.
di Tiziano Sclavi

Siamo a Milano, in un romanzo circolare e labirintico in cui la cosa più bella è la fine, che ti lascia confuso e spiazzato (ma già quando ci arrivi lo sei, confuso e spiazzato, e ti sembra di aver fatto un tour in lavatrice) e ti fa venir voglia di ricominciare la lettura da capo, per vedere se ti è sfuggito qualcosa. Solo che qualcosa, nei romanzi di Scalvi, sfugge sempre. Magari anche a lui.
E per me è questo l'elemento più prezioso del libro: questa sensazione di assurdo e grottesco che ha il sapore della vita, della realtà, ma si contorce e ne infrange tutte le regole, preferendo quelle del sogno, sia pur in modo sottile e quasi plausibile. Ma se fosse un sogno certi particolari non sarebbero così vividi, e non ci sarebbe posto per la crema anticellulite...
Insomma, il punto fermo dopo il titolo non è un errore, è proprio così.
Nero, punto.
Come questa storia, come il genere cui appartiene (ma un po' è anche commedia, sebbene le risate siano a denti stretti), come il mondo. Come il senso ultimo di ogni cosa. Che è triste, amaro e venato di malinconia. Ma anche di ironia e qualche colpo di genio.
Per il resto, lo stile è il suo “classico”: rapido, chirurgico, spoglio, ma percorso di particolari gustosi e inaspettati, con picchi di immaginazione che si condensano in qualche espressione di conio novello. L'azione è velocissima, da taglio cinematografico, punteggiata di dialoghi buffi, surreali in bilico tra dramma, esasperazione e un sogghigno.
Dove i cadaveri scompaiono e ricompaiono, abbondano i delitti, i deliri, e tipi strani (Sclavi li ha sempre adorati), la tensione e i ribaltamenti, le identità si mescolano e i protagonisti... be'... un po' li odiamo e un po' ci fanno pena (lui ci fa più pena, lei la vorremmo spesso accoppare).
E' un romanzo che non piacerà a tutti, troppo peculiare e destabilizzante, ma agli Sclaviani doc sì, e anzi, fra i suoi è uno dei più belli. E, se vogliamo, perfino dei più “lineari”.

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