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sabato 31 agosto 2013

Una figata assurda...


TWISTED TOYFARE THEATRE

 
Questo fumetto è una figata assurda e senza ritegno (e porrei l'accento su “senza ritegno”)!

Per ora ne sono usciti tre volumi (Saldapress), e sono uno più delirante dell'altro.

Sicuramente non può piacere a tutti: per apprezzarlo sono richiesti nerditudine vintage estrema e almeno un disturbo mentale... Io sono affetta da entrambi, e quindi sono un'accanita fan.

Intanto, perché questa serie mi fa schiantare dal ridere... E' divertente vedere i pupazzetti della Mego Corporation in azione: Spiderman o Thor uscire con le Barbie, i personaggi di Star Trek alle prese con i problemi quotidiani che può avere un giocattolo... O le incursioni occasionali de “I Masters, i Dominatori dell'Universo”...

Sì, le vignette non sono disegnate: il modello può essere davvero quello del fotoromanzo di Barbie, con le foto delle action figures cui vengono applicate le nuvolette parlanti... Ma questo è parte del fascino della serie, i cui protagonisti (tra i più svariati dei giocattoli anni '70) sono persino resi espressivi grazie agli occhi di plastilina.

Gli altri pregi sono lo humor, il senso del paradosso, e i numerosi riferimenti alla cultura Pop, puro cibo per nerds. Le guest star, infatti, sono innumerevoli e quando pensavi di aver visto tutto: voilà, salta fuori un Puffo!

Okay, sono delle scematine... Ma, per quanto mi riguarda, odorano di genialità e sono un vero sollazzo.

Come vivere senza?

venerdì 30 agosto 2013

Ha il culto per il vocabolo...


ALESSANDRO BARICCO

 
Credo di aver letto tutto di lui, compreso il saggio musicale su Rossini e “L'anima di Hegel e le mucche del Wisconsin” . Ho amato più di tutti “Oceano mare” e “Castelli di rabbia”, ma forse il più bello, quello meglio costruito, il più coerente, è “Seta” (magari dico così perché è il solo di cui davvero ricordo la trama). Le sue ultime pubblicazioni, “Mr Gwyn”, “Tre volte all'alba”, “Emmaus”... etc., mi entusiasmano meno, mi sembrano sempre più vuote di contenuti, ma pazienza.

Diciamo la verità: spesso gli incipit sono suggestivi, i personaggi interessanti (all'inizio), ma la trama si perde in se stessa, nel proprio autocompiacimento, nel proprio manierismo narrativo senza sbocchi che diviene gongolante autocompiacimento.

Invero, addirittura, talvolta la trama quasi non c'è, è più un pretesto per costruire scene, per permettere all'autore di mostrare quanto è bravo. A se stesso, si ha l'impressione, più che al suo pubblico. I personaggi sono nomi, atteggiamenti. Ombre.

Ho dei conoscenti che mi hanno confessato di tirare i libri di Baricco contro il muro per spregio. Di trovarli irritanti, stupidi, fini a se stessi. E quando Andrea De Carlo in “Villa Metaphora” fa lamentare il personaggio di Tiziana Cobanni per l'insulso e sterile libercolo alla moda che le ha regalato la figlia, ho proprio l'impressione che si alluda al buon Alessandro...

E quindi? E' davvero così terribile?

Può darsi, ma io lo adoro... Perché, sarà davvero l'equivalente letterario di un presuntuoso, vanesio, pieno di sé, però, misericordia, scrive da Dio!

Ha il culto per il vocabolo, per la parola, e la capacità di scegliere sempre quella esatta. L'unica. Quella che ti accoltella. O che ti permette di assaporare ogni frase come se fosse un dolce squisito, di coglierne l'aroma fruttato e l'intensità, di titillarti il palato con il suo retrogusto...

E' vero, di per sé questo non dovrebbe bastare, ma i suoi romanzi sono piccoli, brevi, e per quanto mi guarda, anche quando la loro consistenza è nulla, sono un piacere immenso. Più per le orecchie che per il cuore, va bene, ma sempre piacere e sempre immenso.

Per questo ho voluto anche i saggi, pure quando gli argomenti trattati non mi interessavano.

Perché a me Baricco fa davvero godere.

Perché quelli che scrive non sono romanzi, ma poesia in prosa, perpetui inni alla bellezza.

Se leggessi solo quelli, forse, lo ammetto, mi sparerei... Ma visto che leggo anche altro, aspetto fremente la sua prossima uscita.

giovedì 29 agosto 2013

Leggibilissimo, anche in treno...


I FRATELLI KARAMAZOV
di Fedor Dostoevskij

 
I punti di forza di Dostoevskij sono soprattutto quattro: lo stile perfetto, la profonda capacità di analisi, i personaggi e la trama.

Qui, in più, abbiamo una delle più sublimi e originali interpretazioni del Diavolo della produzione letteraria mondiale, espressione (secondaria, forse, ma così bella!) del dramma spirituale che pervade l'opera, e che ne è il paradigma, discendente dalla contrapposizione tra morale e libero arbitrio, fede e ragione.

Il romanzo è dunque sorretto da un impianto “filosofico” solido e particolarissimo che ne e la summa e il significato ultimo, fortemente religioso e profondamente umano ad un tempo.

Il pretesto narrativo è dato dall'omicidio di Fedor Karamazov, il terribile capofamiglia, che coinvolge tutti i membri della stessa e vede come primo indiziato il figlio maggiore, Mjtia... ma sarà davvero lui il colpevole? Ed è poi così essenziale scoprirlo?

La vicenda viene ricostruita nel dettaglio e trasuda turbolenta passione quanto riflessioni speculative. I tre fratelli (che in realtà sarebbero quattro) e i loro rapporti sono il vero motore dell'azione: stupendamente tratteggiati, completamente diversi, eppure tutti notevoli... Il più importante è Alëša, puro e spirituale, che in più passaggi ricorda il Principe Myskin de “L'idiota” e che costituisce il vero sostegno della famiglia. Ma il mio preferito, nonostante anche l'impetuoso peccatore Mjtia (poi redento) mi entusiasmi, è senz'altro Ivan, tormentato e arguto, intelligente e stimolante, il cui rapporto con Dio (la cui esistenza egli mette in discussione) affascina oltremisura e contribuirà a condurlo alla follia.

I tre giovani sono simboli, dunque, allegoria, esempio: di come affrontare il Supremo, di come vivere... Del Peccatore, dunque (Mjtia, il maggiore), dell'Uomo afflitto dai dubbi (Ivan), dell'Eletto di Dio (Alëša, il minore).

E poi c'è Smerdjakov, l'illegittimo, il tortuoso... E se Mjtia si redime, non a tutti è sempre concesso...

Lo stile è descrittivo, minuzioso, riesce a cogliere le infinite sfumature dell'animo umano nella loro intrinseca complessità, con i meccanismi e i ragionamenti che le muovono e determinano, arrivando persino a rivelare al lettore quelle di cui lo stesso è ignaro portatore. Ci si ritrova, dunque, in questo profondo sentire, ci si riconosce, come individui e come esseri umani, ritrovandosi ad avere maggior coscienza di sé.

A livello di trama, è una sorta di “Delitto e castigo” più “L'idiota”, più avvincente del secondo, più variegato del primo, e più bello di entrambi (anche se quell'attimo di consapevolezza che corre tra Resumichin e Raskolnikov, in “Delitto e castigo”, se non erro alla fine della IV parte, come singolo momento rimane insuperato).

All'inizio può essere un po' difficile da leggere: maestoso, immenso, richiede attenzione, concentrazione, ma quando vi si entra dentro davvero (e non è che occorrano poi troppe pagine) ci si sente risucchiare. La scrittura si fa fluida, scorrevole, con altissimi picchi di bellezza, istanti in cui ci si avvicina all'Assoluto, sentendo la vita pulsare tra le pagine e Dio guardarci negli occhi.

E l'ampollosità di alcune frasi, di certi costrutti, non si nota più, sparisce: il romanzo diviene leggibilissimo, anche in treno, possibilmente in occasione di un viaggio lungo. Perché la vera difficoltà, a questo punto, è riuscire ad interrompersi.

mercoledì 28 agosto 2013

Navigatori impalamentofili...


L'INSOSTENIBILE FASCINO DELL'IMPALAMENTO

 
Eh, sì, secondo le statistiche il mio post più popolare è quello sul disgustoso “Cannibal Holocaust”, da settimane in pole position, e le indagini sui motori di ricerca rivelano che molti (dal Brasile, dalla Spagna, dagli Usa e pure dalla Svizzera) approdano qui per caso, cercando “impalamento” o “impalamento donne”.

Che dire, se non: “Wow!”?


Ma che avrà mai sto impalamento da essere tanto appetibile?

E' un sistema di condanna/tortura dolorosissimo (che ovviamente porta alla morte del malcapitato), che, se vogliamo, è anche bello scomodello e poco dignitoso (indovinate un po' quali sono le varianti per l'inserimento del palo?)... Non è preferibile la buona vecchia crocifissione? (Su un numero della rivistina horror “Scanner”, in gioventù, avevo anche reperito un prezioso articolo sull'arte dell'autocrocifissione. Una vera chicca!)



Oh, lo so, pure l'impalamento vanta una tradizione nobile e antica: come non ricordare, ad esempio, la buona abitudine di Vlad Tepès (alias Dracula, ma non il vampiro di Stoker: l'ameno personaggio storico che lo ha ispirato), di pasteggiare nel suo bosco di impalati (chissà che buon profumino... Mmmm...)?

Però, davvero, come mai l'impalamento è così popolare? Morbosità? Sadismo? Gusto del macabro?

Su Wikipedia c'è una bella descrizione dettagliata su come praticarlo in modo corretto, perché, se si sbaglia, ahimè, non ci si può più godere l'agonia della vittima e si rischia che questa schiatti subito (Dio non voglia!).



Magari uno, scegliendo la morte per impalamento, pensa di andare sul classico, ma al momento non mi viene mente niente di più atroce... Però sarebbe davvero interessante conoscere le motivazioni intrinseche dei navigatori “impalamentofili”, quindi invito chi di loro dovesse inopinatamente capitare di nuovo in loco, di usarmi la cortesia di deliziarmi con un commento, adducendo, già che c'è, le sue motivazioni.

Grazie, e baci a tutti!

martedì 27 agosto 2013

Ironico e divertente, ma può irritare...


INTERROGATIVE MOOD
di Padgett Powell

 
Ossia un libro fatto solo di domande.

Una di fila all'altra, senza tregua.

Tante, diversificate.

Banali (ma che possono non esserlo a seconda di come le interpreti), provocatorie, pruriginose, profonde, intelligenti, personali e non.

Alcune destabilizzano.

Altre aiutano a riflettere.

Altre ancora ti lasciano lì, tra uno gnu e la critica kantiana.

Che il libro – indiscutibilmente originalissimo e geniale – piaccia o no dipende esclusivamente dal lettore, da quello che mette nelle risposte, da come accoglie le domande.

E' ironico e divertente, ma può irritare.

E' surreale, improntato al paradosso, ma può avere risonanze terribilmente serie e impegnative.

E' colto e non lo è.

Non si deve leggere troppo in fretta, né tutto di seguito, o il cervello rischia un sovraccarico, però è estremamente interessante, perché ti guida alla ricerca di te stesso, ti sprona, ti punzecchia. Ti stimola e ti disturba.

Un esempio?



Eccolo, tratto direttamente dal volume:

Le tue emozioni sono pure? I tuoi nervi flessibili? Che rapporto hai con le patate? Costantinopoli dovrebbe chiamarsi ancora così? Un cavallo senza nome ti rende più o meno nervoso di uno che il nome ce l’ha? Secondo te, i bambini hanno un buon odore? Se li avessi davanti a te in questo momento, mangeresti salatini a forma di animale? Potresti stenderti sul marciapiede e riposarti un po’? Volevi bene al padre e alla madre, e i Salmi ti sono di conforto? Se finisci all’ultimo posto in tutte le categorie, la cosa ti secca abbastanza da spingerti a risalire? Ti suonano mai alla porta? Hai qualcosa sul gozzo? Un novello Mendeleev ti potrebbe incasellare con precisione in una tavola periodica delle identità, oppure ti ritroveresti un po’ in tutti gli elementi? Quante flessioni consecutive riesci a fare?“



Pensi che leggerai questo libro?

lunedì 26 agosto 2013

Centra il bersaglio...


BLACK MIRROR

 
Che succede quando il progresso avanza e l'uso della tecnologia si distorce, sino a degenerare? Ce lo illustra questa serie Tv inglese, intelligente, alienante e feroce, con altissime punte di genio, consistente, per ora, in due stagioni di soli tre episodi ciascuna.

Ma si tratta di capitoli indipendenti, a sé stanti, che possono essere visti come minifilm da un'ora circa.

Il primo episodio, “Messaggio al Primo Ministro”, è micidiale: un terrorista mediatico rapisce la bellissima, amatissima (e immaginaria) principessa britannica: o il Primo Ministro si accoppia con un maiale in diretta Tv, o lui la uccide. Le decisioni vengono prese a suon di sondaggi... La visione ti smembra, un po' ti diverte, ti fa indignare ed inorridire. Soprattutto ti aiuta a riflettere, ma alla fine non offre soluzioni, solo una dimostrazione che ti lascia attonito, con la mascella per terra. Disarmante.

Il secondo, “15 milioni di celebrità”, è più lento, meno brutale, più romantico. Ma non per questo meno aberrante. A furia di pedalare su una cyclette puoi comprare gadget per il tuo personaggio virtuale: questo ha da offrirti la vita (e sei ancora fortunato, perché se non pedali a dovere vieni retrocesso)... Oppure, se accumuli abbastanza punti, ti guadagni il diritto di coronare il tuo sogno (o quello di chi ami) e partecipare ad un Talent show... Ma non è il più bravo ad essere premiato, e il premio può non essere proprio quello che credi...

Nel terzo, “Ricordi Pericolosi”, i ricordi possono essere registrati e rivisti a piacere, al costo di un caffè al giorno... E nel riguardarli si possono ingrandire i dettagli, ascoltare i dialoghi sullo sfondo, o nella stanza accanto... E scoprire cose che è meglio ignorare... Allucinante e desolante al massimo, ti lascia davvero l'amaro in bocca ed un senso di solitudine pazzesca, inconsolabile.

La seconda stagione conserva intatte le caratteristiche della prima, rinnovandole senza ripetersi: “Torna da me” è l'episodio che mi è piaciuto meno, troppo straziante (e un po' lento), in cui una donna perde il compagno e lo rimpiazza con un clone, ma “Orso Bianco” è un capolavoro (ma bisogna arrivare alla fine, per capirlo, benché io mi sia gustata ogni truce, abominevole dettaglio), mentre “Vota Waldo!”, in cui un comico virtuale vince le elezioni (ops!), è così attuale (e preoccupante) da far paura. Fanno quasi tutti paura, invero, questi episodi, perché toccano corde profonde, dolenti, attingendo alla fantasia di realtà distopiche, ma non così lontane, che ci ammoniscono, mostrandoci che cosa si nasconde al di là dello specchio... Perché la verità è che se continuiamo su questa china finiremo per scivolarci dentro anche noi, nello specchio, e ogni giorno facciamo un passo in più in questa direzione...

Una serie critica, grottesca, senza troppe sfumature (e qualche caduta di tono ogni tot), ma che sicuramente centra il bersaglio... E ci annichilisce.

domenica 25 agosto 2013

Un bell'intreccio intelligente...


IL NOME DELLA ROSA
di Umberto Eco

 
Umberto Eco, sommamente dotto, col pretesto di scrivere romanzi, modella invece trame (di solito dall'incipit accattivante) plasmandole a forma di contenitore per infilarci stralci di saggi travestiti da digressioni.

Tanti lo criticano per questo, ma a me (con l'eccezione de “Il Cimitero di Praga”, che ho trovato un po' noioso) questo suo vizietto piace da matti: in primis perché lo caratterizza rendendolo unico e diverso da tutti (e a me la varietà stuzzica), in secondo luogo perché o imparo qualcosa di nuovo o mi compiaccio di quel che già so, e intanto mi diverto a balzare da un argomento all'altro, come in una sorta di brain stroming. Insomma, viva Eco!

Ne “Il nome della Rosa”, però, mi sembra che la sua menzionata mania si sposi benissimo con la trama, che magari ne risulta appesantita nelle pagine iniziali (diciamo approssimativamente per le prime 200, che comunque ho letto volentieri), ma che poi decolla e finisce col fondersi perfettamente con essa, mentre l'azione prende il sopravvento sulle speculazioni storico-filosofiche.

Ad ogni modo, in questo romanzo (a differenza, ad esempio che ne “Il Pendolo di Foucault”, “Baudolino” o “La misteriosa fiamma della Regina Loana” in cui, al di là delle incursioni culturali, non c'è molta sostanza, né troppa fantasia, sebbene mi siano piaciuti tutti quanti) la storia è predominante e magnificamente costruita, e sono persino splendidi i due protagonisti, Guglielmo e Adso, perfettamente complementari, laddove di norma Eco sforna invece personaggi un po' piatterelli (senza offesa).

E' un giallo di ambientazione medievale, quello che andiamo affrontando, con un bell'intreccio, intelligente e ben congegnato, a cavallo tra bene e male, con risvolti semi-horror densi di fascino e inquietudine. A tratti, anzi, fa quasi accapponare la pelle dal terrore, rivelando i lati oscuri di un monastero, ma anche ammaliandoci mentre ci permette di scoprirne la quotidianità e le abitudini, calandoci nel contesto storico (XIV secolo) e dotandoci degli strumenti per comprenderlo appieno.

E' un libro impegnativo, d'accordo, ma, anche appassionante, e se si hanno fiducia e pazienza, è uno di quei capolavori che restituisce moltiplicato ciò che pretende. Personalmente l'ho trovato bellissimo, e quando l'ho finito mi sono sentita arricchita: non solo sul piano culturale, ma soprattutto spiritualmente e umanamente.

sabato 24 agosto 2013

Non è scritto in modo impeccabile...


AVVISO

Per una volta io e il Mio Perfido Marito abbiamo letto lo stesso libro, quindi abbiamo deciso di tentare un esperimento: recensione doppia. Qui la mia, sul suo blog (delittando.blogspot.com) la sua, con l'avvertenza che il mio tenero consorte pubblica alle 18:00 esatte. Bau! 



LA VERITA' SUL CASO HARRY QUEBERT
di Joel Dicker

 
Si tratta di una sorta di giallo, non proprio il mio genere, quindi procederò a tentoni, spiegando che cosa ho apprezzato e che cosa no, e infine tirando le somme.

La vicenda ruota attorno a molti interrogativi, ma il primo, il più importante, è: chi ha ucciso Nola Kellerman nel 1975? Il suo corpo è stato ritrovato oggi (2008) nel giardino del grande scrittore Harry Quebert, il quale diviene quindi il primo indiziato dell'omicidio e, a sorpresa, e con scandalo di tutti, ammette di aver avuto all'epoca (lui trentenne, lei quindicenne) un'intensa relazione con la ragazzina. Ad indagare allo scopo di scagionarlo, il suo pupillo, Marcus, affermato romanziere in crisi creativa.

Ebbene, ciò che ho amato di più sono l'atmosfera di sospensione, di mistero, ma anche di lieta quotidianità, che si respirano nella cittadina di Aurora, specie nel 1975 – che sì, sotto molti profili ricorda Twin Peaks (chi ha ucciso Laura Palmer?) ma questo è un punto su cui voglio tornare dopo –, e le disquisizioni sul significato (che diviene struggente alla luce delle rivelazioni finali) di scrivere e di “essere scrittore”, sul piacere e sull'impegno di dedicarsi solo a quello, e sul coraggio di rinunciare a tutto per coltivare il proprio sogno... E sono belli i consigli che Harry dà a Marcus a riguardo e che scandiscono i capitoli, e gli spostamenti temporali, e l'ambientazione...

Ci sono poi un buon montaggio (che pure potrebbe essere più rapido e incalzante), una solida struttura di base, edificata con intelligenza, e almeno un colpo di scena geniale, oltre che due momenti (quando Harry e Marcus si sono conosciuti, e alla festa in giardino di Tamara Quinn) di puro, assurdo, squisito divertimento.

Il libro, però, non è scritto in modo impeccabile: i dialoghi, che all'inizio si presentano come brillanti, vivaci e spiritosi, alla lunga appaiono tutti uguali ed assumono una nota di sempre più evidente stonata petulanza. I personaggi non sono quasi per nulla caratterizzati: ci vengono descritti, ma non mostrati, identificati più dal ruolo che rivestono che dalla loro (superficialissima) psicologia. E la tanto osannata Nola, in particolare, che cosa ha di speciale? Perché ad Harry Jenny sembra noiosa e Nola interessante? Misericordia, proprio non si comprende in che cosa si differenzino le due fanciulle, salvo che per l'età più consona della prima. In realtà, quasi tutti i personaggi si somigliano, sono piatti, incolore, e le loro motivazioni, spesso, risultano pretestuose. Il tentativo di sfumare il temperamento di Tamara con lo stratagemma del diario, poi, è totalmente gratuito e sembra un po' buttato lì. In effetti, i protagonisti, Marcus, soprattutto, sono uno più odioso e insulso dell'altro (Nola è inutile, persino irritante), con l'eccezione del marito di Tamara (adorabile e rassegnato), di Jenny (solo perché mi fa pena), e di Harry, che, almeno nelle prime pagine, mi suscita una punta di simpatia.

In quanto ai colpi di scena, è mirabile come si alternino, ma, con l'eccezione di uno (stupendo), li ho trovati prevedibili, già sentiti, per quanto non così spesso addizionati con tale copiosa abbondanza. Lo stile è scorrevole, funzionale, e le espressioni infelici (e sgradevolmente prosaiche) che fanno capolino ogni tanto, alla fine, nel contesto, sono scusabili...

Però non è credibile, a giudicare dagli estratti che ci vengono proposti nel corso della narrazione, che il celebratissimo successo di Quebert “Le Origini del Male” possa essere considerato un capolavoro! Da quel che emerge è a malapena un coacervo di banalità stucchevoli e senza sugo!

E veniamo al paragone con Twin Peaks. Qualche eco c'è, è innegabile, ma senza i fantasmagorici personaggi di Lynch, senza il lato oscuro della Loggia Nera, l'esoterismo, le magnifiche presenze inquietanti, il campionario immaginifico, la pazzia dilagante e l'ermetismo! Insomma, Aurora è graziosa, ma siamo ben lungi dal genio del Maestro!

Infine, la circostanza che, dietro la facciata incantevole del paesino, spuntino solo marciume e ipocrisia non è da confondere con la denuncia del perbenismo americano, ma semplice motore dell'azione, senza velleità (o capacità) di analisi o introspezione.

Ciò nondimeno, il mio giudizio complessivo sull'opera è positivo. “Harry Quebert” non mi ha fatto sognare e non è certo un capolavoro, ma è un buon romanzo di intrattenimento, gradevole, leggero, che scorre bene, e i cui pregi sovrastano i difetti.

Sono contenta di averlo letto, ringrazio a chi me lo ha regalato (con tutto che, in generale, mai nulla mi è più gradito di un libro)! In ultimo, già che al MPM piace dare le palle (a me no, ma mi adeguo)... et voilà 2,8 palle su 5. Meritatissime.

venerdì 23 agosto 2013

No stomaci deboli...


I BORGIA
di Alejandro Jodorowsky e Milo Manara

 
Una graphic novel in quattro volumi, molto (moltissimo) sensuale, con tocchi di calda perversione e di passioni repentine e irrefrenabili (qui si sente più Jodorowsky che Manara) assolute, totali, ma pronte a mutare con il soffio del vento...

Intendiamoci, non ci sono solo orge raffinate e tragiche mutilazioni, sebbene gli eccessi vengano spesso esasperati, e non senza un certo autocompiacimento, ma anche una trama avvincente, reinterpretazioni storiche gustose (e calcatissime), guest star del calibro di Machiavelli e Leonardo Da Vinci, e sangue, sangue che bolle.

Sì, neanche violenza e splatter mancano.

Il soggetto è noto, la scandalosa è ambiziosa famiglia Borgia, la sua ascesa e il suo tracollo, la sua carnalità. In prima facie si può essere rapiti dalla bellezza dei disegni (Manara al suo meglio), ma è la storia (o la Storia?) a conquistare davvero, a dare sostanza ai sipari di estro inventivo. Ma si badi, senza pretese educative: trattasi sì di fumetto d'autore, ma che nella fattispecie vuole soprattutto appassionare, sconvolgere e intrattenere. Ma, in fondo, perché no? I Borgia sono così.

I primi due volumi sono davvero una meraviglia, però, chissà perché, ad un certo punto il ritmo accelera, e i fatti si susseguono con una velocità eccessiva, laddove, invece, sarebbe stato preferibile soffermarsi maggiormente sui vari sviluppi e colpi di scena. L'impressione è quella di sentirsi un po' travolti, un po' frastornati, con troppi fatti che si sommano e avvengono tutti insieme.

Pazienza, si ama lo stesso.

Però, attenzione: no stomaci deboli, no puritani, no bigotti.

E neanche anime candide e delicate.

giovedì 22 agosto 2013

Ottimi i tempi comici!


ZIA MAME
di Patrick Dennis


Da piangere dal ridere.

No, davvero, provoca autentiche, irrefrenabili, scariche di divertimento!

A zia Mame, bislacca quanto bella, ci si affeziona subito, perché, non lo fa apposta, è esattamente così... Irresistibile! Ricca, sofisticata, alla moda, totalmente priva di buon senso, spesso equivoca, e sempre capace di sorprenderci!

Siamo nei primi decenni del 1900, a New York. In seguito alla morte del fratello, serioso bacchettone, zia Mame, svampita delle svampite, deve prendersi cura del nipotino Patrick, che a undici anni è decisamente più saggio di lei...

Noi lo osserviamo crescere, e lo accompagniamo, insieme alla sua assurda zia, in una serie di brevi, esilaranti avventure, che dovrebbero essere un romanzo, ma sono più racconti in sequenza cronologica legati dagli stessi personaggi.

Le situazioni si rinnovano, i comprimari variano, Patrick diventa un bel giovanotto... Mame – divinamente caratterizzata – rimane sempre la stessa!

Lo stile è brillante, frizzantissimo, soave e molto glamour... Ottimi i tempi comici, innumerevoli le gag: il libro si divora in un attimo! Non è impegnativo, naturalmente, ma questo non significa che sia scontato: al contrario, benché certi spunti siano surreali ai limiti dell'inverosimile, nel suo genere, è un capolavoro!

Il seguito, invece, “Intorno al mondo con zia Mame”, ha meno verve, ed è più portato all'eccesso... Ma è comunque piacevole ritrovare gli adorabili protagonisti...

Da evitare come la peste, invece, “Povera piccina”, su cui non mi dilungo, ma che ho trovato noioso, irritante, e faticosissimo da finire.

mercoledì 21 agosto 2013

Mi piaceva sta faccenda della mela...


BIANCANEVE
vs
BIANCANEVE E IL CACCIATORE

 
Curiosamente, anche se si tratta di un film, mi sono imbattuta in “Biancaneve e il cacciatore” di Rupert Sanders in libreria. Il volume urlava: “Il bosco ha fame, e tu sei la mela”. Wow! Mi piaceva sta faccenda della mela! Purtroppo non era un romanzo, solo una “novellizzazione”, ma non ho potuto resistere al fascino di quell'adorabile specchietto per le allodole e l'ho comprato.

Al di là dei limiti stilistici del libro (dichiaratamente commerciale, scorrevole, ma lontano dalla bellezza), comunque, la trama era carina, magnificamente cupa e originale, per cui alla fine, nonostante la nefasta presenza dell'attrice più insulsa e sospirante di tutti i tempi (la gatta morta Kristen Stewart), mi sono detta: proviamo!

E va bene, la matrigna cattiva è davvero troppo malvagia e senza spessore, più stereotipo che personaggio (anche se Charlize Theron, che di solito non mi dice granché, qui è stupenda da togliere il respiro), l'eroina - Biancaneve - ti trasmette il pathos di un lavandino, la computer grafica ha qualche neo, ma nel complesso la storia funziona, i nani sono apprezzabili, il “bacio del risveglio” assume sfumature inattese e le atmosfere sono fantastiche. Naturalmente la pellicola non regge il confronto con il classico Disney, ma non importa, non cerca il paragone, è qualcosa di totalmente diverso, che al più richiama “Biancaneve nella foresta nera”, e che ad ogni modo risulta godibile e interessante.


Biancaneve di Tarsem Singh, invece, è un altro mondo, completamente diverso. Niente horror, ma una fiaba moderna in cui la principessa si salva da sola (sì, va be', anche la Stewart... solo che a tratti vuoi che muoia), con discreti combattimenti, meno drammi e assai più ironia.

Julia Roberts non è impeccabilmente splendida come la Theron, ma è la matrigna più adorabile e sopra le righe che si sia mai vista! Ruba la scena alla figliastra, e fa impazzire dal ridere... La nostra protagonista, comunque, (Lily Collins) – a parte quelle impressionanti sopracciglia – è davvero incantevole, ed ha la grazia di evitare di farti cadere il latte alle ginocchia a furia di sospiri insensati, ammaliandoti, se mai, con i suoi occhioni, un sorriso dolce e persino con capacità di autocritica. Fotografia curatissima, trama originale, costumi e architetture incredibili, specie quelle oltre lo specchio, simpaticissimi i nani-giganti e notevoli i burattini mossi a distanza. Il principe è un po' idiota, ma poi si riscatta...

Neanche qui siamo al cospetto di un capolavoro, ma quanta freschezza!

I film mi sono piaciuti entrambi (benché subiscano qualche calo di tensione), ed entrambi mi hanno regalato una serata piacevole, ma sono troppo diversi per poter decretare quale sia il migliore... Le atmosfere dark esercitano un fascino pazzesco su di me, però... Ecco, se dovessi scegliere quale riguardare, opterei per quello di Singh, spassoso, in taluni accenti quasi demenziale. C'è una scena, in particolare, quella in cui la Matrigna vuole che il suo valletto (?) imiti i piagnucolii di Biancaneve, che mi ha fatto piegare!

martedì 20 agosto 2013

Sa essere sferzante...


TUTTI I RACCONTI
di Katherine Mansfield

 
Ti accolgono con un'atmosfera pacata e rarefatta, che si concentra sulla quotidianità e sulle piccole cose della vita, sui moti dell'animo, su rossori improvvisi e turbamenti profondi, offrendo uno spaccato della società – soprattutto femminile – inglese/neozelandese tra '800 e '900. Famiglie altolocata si alternano a piccole impiegate, con qualche incursione nello squallore delle camere in affitto e del grigiore di vite vacue contraddistinte dall'assenza di prospettive.

Attenzione, infatti, non bisogna, farsi trarre in inganno dallo stile raffinato di quest'autrice, dai suoi modi gentili, dal suo garbo e dalla sua delicatezza: la Mansfield sa essere sferzante e colpire dove più fa male. Sempre con grazia, certo, e sensibilità, ma senza toni melodrammatici... La ragazza, anzi, è pragmatica, ironica, dolente, e di certo non troppo ottimista.

Spesso i racconti ti lasciano lì, sospeso, stupito, e ti paiono interrotti, bloccati, forse ermetici... Come se non fossero finiti, ed al contempo non potendo che concludersi così. Ma tu, specie all'inizio, non capisci se hai ricevuto uno schiaffo o una carezza.

Non tutti sono allo stesso livello, ma ce ne sono tanti di pregevoli.

Il mio preferito, forse anche per motivi di affetto, è “la casa delle bambole”, semplice, lineare, che avevo letto la prima volta sull'antologia di prima media... Inizia con due sorelline che giocano col loro superbo giocattolo nuovo, ma finisce per rivelare ben altro.

lunedì 19 agosto 2013

Edizione straordinaria!


DELITTANDO


Edizione Straordinaria! Edizione Straordinaria! Sconvolgo la mia programmazione per dare una notizia shock: anche il Mio Perfido Marito si è messo a bloggeggiare!!! E, accipigna, bloggheggia bene!

Eh, sì, già da qualche giorno... Però lui non parla di me (perché no? Sono un ottimo argomento! ;) ), parla di gialli, di thriller, di delitti...

E, infatti, il titolo del blog è “Delittando”...

Devo ammettere che, per quanto l'unico genere in assoluto che proprio non mi garbi sia il giallo, il suo lavoro è davvero apprezzabile e mi invoglia ad esplorare altri lidi.

A livello grafico il suo sito è più curato del mio e ha toni assai più seriosi e professional: quando mon amour recensisce qualcosa, si sbatte persino a fare la schedina tecnica!!! E dà i voti, con il “delittometro”! Scrive bene, con humor sottile e un po' sornione, ed è molto esperto in materia (tante delle robe di cui si occupa non le ho neanche mai sentite nominare). Non solo, è pure puntuale, nel senso che i post vengono aggiornati ogni dì alle 18:00 esatte (l'ora del delitto)! Bravo, picculo! Clap! Clap! Clap!

E dunque? Perché non andate a dare un'occhiata?

Metto qui il link per comodità:


P.S.

Anche il MPM è in net-parade, quindi potete votarlo cliccando sul riquadrino verde mela picculo sul lato sinistro, sopra la faccina ridente di Laura Palmer... Ricordandovi poi di confermare il voto! Grazie!!! Baci a tutti!

domenica 18 agosto 2013

I pregi tipici di De Carlo...


VILLA METAPHORA
di Andrea De Carlo

 
Personaggi sgradevoli (il politico in particolare) e altri gradevoli, rappresentativi di qualcosa di più della loro singola identità - incarnando poteri, status, nazioni, culture e ceti sociali - contrapposti in un gioco di ruoli, di sogni, di ambizioni e prospettive, in un romanzo che parte statico e introspettivo, piuttosto lento, ma si rivela sanguinoso (4 morti) e irto di incidenti.

Critiche e conflitti in cui torti e ragioni vengono continuamente ristabiliti, diverbi, scontri di personalità... Si scopre il marcio (di solito) e il buono di ognuno (che a volte è solo fragilità o insicurezza).

L'opera racchiude molti dei pregi tipici di De Carlo, che gratta la superficie dei rapporti umani fino a che si sgretolano, per focalizzarsi sulle dinamiche che riflettono e coglierli nella loro verità essenziale, con lucidità ed esattezza, scandagliandoli... Che ha la capacità, con la sua prosa al presente, con gli aggettivi che si addizionano e rinforzano l'un l'altro, di afferrare l'attimo, vivo, guizzante, mentre accade, di offrire lo spaccato di un momento e attraverso di esso dell'uomo di oggi e del suo sistema di pensiero...

Il tutto, però, viene complicato all'estremo a causa del cospicuo numero di protagonisti, che si avvicendano ad analizzare e cogliere in fallo la società evidenziando i percorsi che l'hanno determinata. In generale, i personaggi sono costruiti con accuratezza, ma ricalcano troppo gli stereotipi (la francese snob, il tedesco nazistoide...) e i cliché di oggi.

L'ambientazione mozza il fiato, primordiale, impetuosa, sublime, ricca di spazi e di immensità, lo stile è fluido, variegato, ama individuare il dettaglio con precisione chirurgica e intagliarlo in modo netto, cercando di adattarsi al punto di vista dei personaggi (anche se le parti dedicate a Carmine, in pseudo-dialetto tarese, sono quasi illeggibili e senz'altro fastidiose).

Il finale è aperto, e non poteva che essere così.

Un libro interessante, coinvolgente, ma che non riesce ad appassionare.

P.S.

Per chi, come me, ha letto tutti i romanzi di De Carlo, una piccola chicca: la ragazza Lara Laremi, il cui cognome non è frutto di casualità, è la figlia di Guido Laremi, protagonista del più incredibile fra i successi di quest'autore: “Due di Due”.

sabato 17 agosto 2013

Spaventa e incanta...


IL LABIRINTO DEL FAUNO

(2006)


L'inizio è lento, lentissimo, ma affascina e crea atmosfera, ti culla e acquista ritmo, fino a inghiottirti...

Sullo sfondo della dittatura franchista, un film immaginifico e visionario, altamente drammatico, fatato e magico, a metà tra horror e fantasy, con una fine rassicurante che al contempo non la è per nulla.

Spaventa e incanta, in certi momenti è brutale, denota una immaginazione trionfante e innovativa (chi le ha mai viste le fate interpretate così?), poesia, sensibilità, e gusto per il simbolismo e l'allegoria.

Realtà e fantasia si confondono, ricomponendosi in una dimensione nuova e non del tutto definibile, che sempre conserva un margine di dubbio e uno di scetticismo.

Ci sono prepotenze ed efferatezze, quelle vere, quelle storiche, contrapposte l'idealismo e il coraggio, e poi quelle domestiche, contro una bambina di dodici anni, innocente, pura, incontaminata, che può solo rifugiarsi nei sogni e nelle fiabe.

Solo che anche quelle, a volte, sono crudeli, perché, loro malgrado, riflettono il mondo e su di esso si ripercuotono.

Guillermo del Toro supera se stesso, senza riuscire più ad eguagliarsi.

venerdì 16 agosto 2013

Senza eccessi e senza fronzoli...


KEN FOLLETT

 
Un autore dalle qualità oscillanti, capace di regalarci emozionanti volumi di spionaggio come “La cruna dell'ago”; bellissimi e intensi romanzi storici, come “Una fortuna pericolosa” e lo stupendo “I Pilastri della Terra” (il mio preferito); trame discrete e avventurose di intrattenimento, piacevoli e non impegnative, come “Triplo” e “Un letto di leoni” (con qualche calo di tensione e troppo sesso gratuito); volumetti senza passione e senza pretese, ma ben strutturati, come “Scandalo Modigliani”; thriller contemporanei, a volte un po' fiacchi, come “Il Martello dell'Eden”; polpettoni commerciali e triti, come “Un luogo chiamato libertà”, coinvolgenti, certo, ma dai personaggi scontati che non fanno che imitare il Follett migliore replicando ricette già sperimentate.

A tratti sembra ispirato, e pare metterci l'anima, a volte, invece, sembra che debba più che altro rispettare il contratto con l'editore.

Follett ha un bello stile, sa costruire storie accattivanti e creare personaggi forti, con il coraggio di rialzarsi ogni volta che cadono, che si destreggiano, a seconda del genere di appartenenza, tra scene d'azione adrenaliniche, momenti epici, avversità e amori tormentati, su sfondi che variano, nei vari romanzi, per collocazione geografica e temporale.

Ma è da tanto che non leggo qualcosa di suo, dai tempi di “Mondo senza fine”, che non mi era dispiaciuto, ma non mi aveva nemmeno entusiasmata...

Follett scrive bene, è scorrevole, veloce, senza eccessi e senza fronzoli, comunica eleganza e praticità, ma tende a ripetersi, a ricalcare se stesso, ad applicare i medesimi stilemi, le stesse formule, troppe volte... Magari non con il tragico copia e incolla di Wilbur Smith, ed anzi impegnandosi a rinnovarsi e a esplorare più generi, ma per quanto mi riguarda, alla lunga mi ha un po' stancata.

Devo ammettere che, in generale, si legge sempre volentieri, ma ormai, al massimo, sento di potermici dedicare sul treno o sotto l'ombrellone... E magari la colpa è anche mia, perché quando l'ho scoperto, al Liceo, ho divorato tutto quello che ho trovato, ossessivamente, senza ritegno, finché non mi ha nauseata.

Amen.

giovedì 15 agosto 2013

Non manca niente...


LA PROPRIETA'
di Rutu Modan

 
Sembra un fumetto francese, ma è di un'autrice israeliana, ed è di una levità dolcissima e nostalgica, un po' metafisica e un po' metaforica...

Un viaggio in Polonia di nonna (peperina) e nipote (trentenne posata) per occuparsi di una proprietà di famiglia, che in realtà non è un obiettivo (non per tutti), ma solo un pretesto.

C'è un nodo irrisolto, infatti, nel passato di nonna Regina, un nodo che si è intrecciato alla storia e che bisogna sciogliere... Tra segreti, incontri casuali (e meno casuali), ricordi non sempre sgraditi, nonostante lo spettro dell'Olocausto (la cui retorica viene però garbatamente presa in giro), tensioni e piccole ansie.

Lo stile è leggero, ma incisivo, un po' sommesso; la trama si snoda con semplicità ed eleganza, a piccoli passi, lineare e scorrevole; il disegno richiama la “ligne claire” franco-belga, alla Tintin; i colori sono privi di sfumature.

Però non manca niente, nemmeno dove non c'è.

Graphic novel piacevole e poetica, che lascia un retrogusto di tenerezza e fiducia.

mercoledì 14 agosto 2013

A bocca asciutta...


GLI INCIPIT DEL MIO PERFIDO MARITO
 
 
Alcune caratteristiche del mio consorte mi lasciano davvero perplessa: una è la sua mania per gli incipit.

Inizi di libri, insomma (romanzi, saggi, fumetti, dissertazioni paranoiche...).

Anche lui, come me, ha velleità di scrittura, ed è piuttosto prolifico, oltreché discretamente talentuoso (meglio non incoraggiare troppo la concorrenza ;)), ma dopo aver stilato la prima pagina del suo nuovo capolavoro, passa ad altro e lo lascia incompiuto.

Scrive il principio, sceglie il titolo, la copertina... e poi bon.

Passa ad altro.

E mi lascia lì.

Appesa, a bocca asciutta.

Con qualche incarto di caramella e nessuna rassicurazione.

Ciò è assai frustrante, anzichennò.

Soprattutto perché le manciate di righe che mi concede in pasto come lettrice sono di solito decisamente buone e fanno davvero venire voglia di scoprire di più... ma dietro ci sono solo pagine bianche... E poi un altro incipit.

Ignoro quanti ne abbia accumulati fino ad ora, ma sono senz'altro più di una decina.

Non so che intenzioni abbia, forse fare un libro di incipit... forse una sorta di “Se una notte d'inverno un viaggiatore”, alla Calvino...

Di solito le mogli sono le ultime ad essere informate.

Però, per Natale, vorrei tanto una “pagina 2”.

martedì 13 agosto 2013

Un mediocre uomo medio...


CACCIATORE DI ANDROIDI
di Philip Dick

Non leggete il romanzo perché conoscete “Blade Runner” a memoria?
La verità è che non sapete niente... Non sapete neanche se gli androidi sognano pecore elettriche... Non sapete nemmeno che cosa sono le pecore elettriche, e quale disperata importanza rivestano, perché nel film non ci sono, così come manca un altro milione di cose, soprattutto a livello di atmosfera, di suggestione, di concetti, di significato e di implicazioni.
Che diamine, nella pellicola cinematografica il protagonista, Deckard, non è neppure sposato, ed anzi è solo un mediocre uomo medio, altro che Harrison Ford! E Nulla conoscete del culto di Mercer o di Buster Friendly, e nemmeno del regolatore di umore o della scatola empatica...
Quello che avete avuto con Blade Runner, insomma, è solo un antipastino.
Buonissimo, certo, sfizioso, ma incapace di saziare.
E' pur vero che rispetto al romanzo, anche nel film c'è qualcosa in più: Harrison Ford, appunto, l'uomo più figo dell'universo, la colonna sonora di Vangelis, e la bellissima frase che pronuncia Roy Batty prima di morire.
Il libro però, come quasi tutti i capolavori di Dick, è di una complessità e di una ricchezza inarrivabili, permeato da una profonda solitudine interiore, da una cupezza senza scampo, e da una capacità inventiva fuori dal comune, che avvincono il lettore creando per lui realtà nuove, stratificate e multiformi, dagli infiniti colpi di scena e su cui il dubbio nel dubbio del dubbio si affaccia sempre, pronto ad alterare e distorcere il nostro punto di vista, a metterlo in discussione.
E a indurci a ricrederci, ogni volta, privati di qualunque certezza o convinzione, senza neanche la sicurezza di essere noi stessi.
In che cosa si differenziano davvero umani e androidi?
E la differenza è davvero significativa?
Un romanzo di fantascienza ai massimi livelli, che è anche una riflessione filosofica sulla natura dell'uomo.
Che non è solo fantascienza, ma anche, semplicemente, letteratura.