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domenica 25 agosto 2013

Un bell'intreccio intelligente...


IL NOME DELLA ROSA
di Umberto Eco

 
Umberto Eco, sommamente dotto, col pretesto di scrivere romanzi, modella invece trame (di solito dall'incipit accattivante) plasmandole a forma di contenitore per infilarci stralci di saggi travestiti da digressioni.

Tanti lo criticano per questo, ma a me (con l'eccezione de “Il Cimitero di Praga”, che ho trovato un po' noioso) questo suo vizietto piace da matti: in primis perché lo caratterizza rendendolo unico e diverso da tutti (e a me la varietà stuzzica), in secondo luogo perché o imparo qualcosa di nuovo o mi compiaccio di quel che già so, e intanto mi diverto a balzare da un argomento all'altro, come in una sorta di brain stroming. Insomma, viva Eco!

Ne “Il nome della Rosa”, però, mi sembra che la sua menzionata mania si sposi benissimo con la trama, che magari ne risulta appesantita nelle pagine iniziali (diciamo approssimativamente per le prime 200, che comunque ho letto volentieri), ma che poi decolla e finisce col fondersi perfettamente con essa, mentre l'azione prende il sopravvento sulle speculazioni storico-filosofiche.

Ad ogni modo, in questo romanzo (a differenza, ad esempio che ne “Il Pendolo di Foucault”, “Baudolino” o “La misteriosa fiamma della Regina Loana” in cui, al di là delle incursioni culturali, non c'è molta sostanza, né troppa fantasia, sebbene mi siano piaciuti tutti quanti) la storia è predominante e magnificamente costruita, e sono persino splendidi i due protagonisti, Guglielmo e Adso, perfettamente complementari, laddove di norma Eco sforna invece personaggi un po' piatterelli (senza offesa).

E' un giallo di ambientazione medievale, quello che andiamo affrontando, con un bell'intreccio, intelligente e ben congegnato, a cavallo tra bene e male, con risvolti semi-horror densi di fascino e inquietudine. A tratti, anzi, fa quasi accapponare la pelle dal terrore, rivelando i lati oscuri di un monastero, ma anche ammaliandoci mentre ci permette di scoprirne la quotidianità e le abitudini, calandoci nel contesto storico (XIV secolo) e dotandoci degli strumenti per comprenderlo appieno.

E' un libro impegnativo, d'accordo, ma, anche appassionante, e se si hanno fiducia e pazienza, è uno di quei capolavori che restituisce moltiplicato ciò che pretende. Personalmente l'ho trovato bellissimo, e quando l'ho finito mi sono sentita arricchita: non solo sul piano culturale, ma soprattutto spiritualmente e umanamente.

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