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venerdì 31 ottobre 2014

Di un'insulsaggine imbarazzante...


CAPITAN HARLOCK 3D
di Shinji Aramaki

(2014)
 
 
Dicesi stupro. Stupro di un cartone animato che ho amato da piccola per la sua poesia e la sua atmosfera, e che ho ritrovato da adulta nella sua forma originale, il fumetto. Più ingenuo di quel che speravo a livello di trama, ma comunque pregno di nostalgica malinconia e di romantica bellezza... Poi è arrivato il film. Misericordia!

Devo ammettere che a livello grafico è un'autentica gioia, a tutti i livelli, tanto che si tende a dimenticare che non sia vero... Si può persino soprassedere sulla circostanza che ogni due per tre i personaggi sembrino quasi mettersi in posa per sbatterti in faccia quanto sono fighi, perché, hey, lo sono davvero, e ad ogni apparizione non fai che sospirare per la gnocchitudine, il carisma, o l'aura tenebrosa e maledetta di ciascuno... E sono così belli i capelli delle figure femminili, specie in movimento...

Il problema è la trama: di un'insulsaggine imbarazzante e patetica, letteralmente campata per aria (o nello spazio): pretestuosa, senza capo né coda, infarcita di spiegazioni verbose e assurde, prossime al delirio, e con poche idee, per giunta inconsistenti e confuse! Senza contare l'idiozia di molti personaggi (Yama è forse quello che spicca di più in tal senso: trovi un fiore che è un miracolo... e lo strappi! Ma non gliel'hanno insegnato che i fiori recisi muoiono? Ti arrabbi perché su Marte i fiori non prosperano... e fai saltare la serra intera, le gambe di tuo fratello – poveraccio – e riduci a un vegetale la sua amata! Ma dai!!! ...Senza contare che cambia idea peggio che una banderuola al vento...) Dulcis in fundo, Harlock compare a malapena cinque minuti, senza contare che ne esce malissimo: pare un folle, meschino e psicopatico! Okay, un folle meschino e psicopatico dalla figaggine ultraterrena, però, diamine! Io ricordavo che avesse il cuore bianco! Questo ce l'ha marrone (o ha un deficit cognitivo molto grave)!

A livello scientifico, poi, non ne parliamo...

Ma queste, magari, sarebbero anche pecche trascurabili (se proprio si è decisi a tutti costi ad amare Harlock per ragioni nostalgiche): no, il problema principale è la noia, la noia, la noia... e la lentezza! Non c'è ritmo, solo una parvenza di atmosfera che però tende a rifuggire e a nascondersi! E pressoché nessun combattimento, snif (a malapena un accenno verso la fine, ma con poco sugo e tante assurdità)... Si tenta di recuperare attraverso suggestioni preconfezionate e simbologia stantia e allusiva, ma non basta, non basta proprio! Senza contare che alcune delle frasi pseudo-filosofiche che ci vengono propinate sono mera idiozia!

La verità è che ci sono troppi cambiamenti rispetto all'opera – e allo spirito – di Leiji Matsumoto... e tutti in pejus! Intendiamoci, non sono una nerd puritana, ben vengano le modifiche se servono a reinterpretare o a crescere, ma qui si fanno solo passi indietro!

Tristezza...

giovedì 30 ottobre 2014

Sentimenti potentissimi


IL PRINCIPE DELLE MAREE
di Pat Conroy
 
 
Sono pochi i libri che mi hanno colpito a livello emotivo tanto come questo, pochi davvero: senz'altro questo è il migliore di Conroy, ed infatti costituisce la summa (e la sublimazione) di tutti i suoi elementi ricorrenti: dal tema del suicidio alle difficoltà familiari, all'amore nelle sue varie accezioni e implicazioni agli abusi, al passato che torna a mordere e a presentare il conto...

Forse avete visto il film, splendido anche quello, ma diverso e così “impoverito” rispetto al romanzo (differente persino il principe delle maree, il fratello di Tom il protagonista, ossia Luke, il mio personaggio preferito, per tacere di Caesar, la sua tigre)!

La storia si svolge su due piani: presente e passato. E tra le due è il passato, quello che racchiude l'esperienza di Tom e della sua incredibile famiglia – che ancora ne porta il peso – il più interessante.

Tre fratelli: Savannah, dotatissima poetessa (una sua opera ci viene letta, e ci pare addirittura all'altezza della definizione, cosa rara in un romanzo), nel presente non fa che tentare il suicidio, Tom, che al momento ha un po' di problemucci in famiglia, e in particolare con la moglie, e Luke, il maggiore, il mio adorato...

Con l'aiuto di un'affascinante psichiatra, Lowenstein (di cui Tom si innamorerà, ricambiato e che pure lei ha le sue difficoltà familiari), andremo a scoprire il perché della realtà di oggi, densa di malessere e di disagio, nelle pieghe si ieri, e al posto delle cicatrici, mai davvero formatesi, troveremo ferite aperte e sanguinanti... e la loro causa. In parte rimossa e da affrontare, peggiore di quel che immaginiamo.

Si tratta di una storia drammatica (assai più di quella cinematografica), intensa, ma anche straordinariamente magica, in cui senti il sapore dell'infanzia, la sua innocenza incontaminata, e in cui incontri personaggi meravigliosi che ti accompagneranno per l'eternità, vivi, pulsanti, delineati in modo magistrale e pieno d'amore...
 
Pat Conroy, nella caricatura del nostro autore

Aggiungiamoci che la storia è ben scritta, ben strutturata (digressioni incluse), ed è una di quelle che ti coinvolgono da subito, trasmettendoti una marea (è il caso di dirlo) di emozioni, facendoti amare luoghi che hai sempre considerato uguali a tutti gli altri (il Sud Carolina), e rendendoli speciali.

Sentimenti potentissimi (stupendo il rapporto fra i tre fratelli) che si scontrano e innescano conseguenze... molte imprevedibili.

Superbo!

mercoledì 29 ottobre 2014

L'odore di sigaretta permea ogni cosa


TRUE DETECTIVE
di Carey Fukunaga e Nic Pizzolatto
 

Forse il serial televisivo più bello degli ultimi anni, almeno fra quelli che ho visto io. Vieni conquistato per l'eternità già dalla sigla, sia per le immagini sovrapposte e oniriche che si susseguono cariche di potenza e di allusioni (la mia preferita è “la ragazza telefono”), sia per la bellissima canzone, indimenticabile, struggente e intensa.

Per il resto, ogni cosa tange la perfezione: Matthew McConaughey, per quanto smagrito, è alla sua migliore interpretazione di sempre (e pensare che se quando faceva il belloccio lo detestavo, come mentalmente disturbato è eccelso, oltreché adorabile) mentre Rust, il suo personaggio, geniale e nichilista, con i suoi abissi mentali, i suoi vuoti, e il suo sistema di interrogatorio fuori dagli schemi, ti cattura e ti ipnotizza, sparandoti, ogni tanto, una bella frase taglia-vene.

Woody Harrelson, invece, mi è sempre piaciuto, e pure lui se la cava alla grande. Anche Martin, il personaggio che interpreta è interessante, per quanto sia assai meno magnetico e molto più “normale”, con le sue contraddizioni (passa dall'espressione più tenera e cucciolosa del mondo ad una ferocia da toro incattivito), i suoi tentativi – vanificati da lui stesso – di essere un buon uomo, un buon padre, un buon marito e, infine, ma non per ultimo, un buon detective. E insieme creano un'alchimia perfetta, fatta di incastri e contrasti.

Si comincia con la ragazza trovata morta, uccisa, con i segni demoniaci sulla spalla e le corna in testa. Poi ci sono quelle costruzioni con gli sterpi, magnificamente inquietanti, le implicazioni religiose, le maschere con gli animali, fino che arrivano i riferimenti al Re Giallo e a Carcosa. Solo alla quinta puntata mi è venuto il flash di Ambrose Bierce, con i suoi Racconti dell'Oltretomba. Meraviglia! Il riferimento, invero, ho scoperto girellando sul web, è a “Il Re in Giallo” di R. W. Chambers (che si è ispirato a Bierce) e che naturalmente bramo ai massimi gradi (ma pare che al momento la versione cartacea sia fuori catalogo: speriamo in una pronta ristampa).

Per il resto, la storia si svolge su due diversi piani temporali, con una costruzione a ritroso e un percorso in avanti. Si intreccia, si dipana, si riavvolge, e talvolta sembra un sogno dai confini smarriti. Tende al filosofico, al metafisico, ed è, al contempo, con i piedi così piantati nel fango che ce li si sente sporchi e umidi, mentre l'odore di sigaretta permea ogni cosa.

Ci si addentra sempre di più nelle menti e nelle vite dei protagonisti, cercando di seguire il senso di questo delitto, che probabilmente non è solo un episodio isolato, ma ha insospettabili e terribili diramazioni (tanto che si parla di setta, di rito, di serial killer). Si tocca la solitudine, ci si sguazza dentro, in modi diversi e spesso difficili da accettare.

Il terreno frana spesso, si sgretola, minaccia di inghiottirci. Ci porta a vagare in ogni direzione, tanto che a volte ci pare di essere senza meta, di seguire percorsi mentali che in realtà non ci sono, ma che stiamo soltanto immaginando, mentre gli indizi ci sfilano davanti senza che noi riusciamo a riconoscerli come tali.

Ma poi, finalmente, arriviamo a Carcosa...

martedì 28 ottobre 2014

Perle di saggezza davvero graffianti


HOUSE OF CARDS
di Michael Dobbs
 
 
Ho letto il primo volume della trilogia (non avendo colto che era una trilogia), spinta unicamente dal telefilm omonimo, quello con Kevin Spacey e Robin Wright, atteso che questo della “fantapolitica” proprio non è il mio genere...

All'inizio sono rimasta scioccata e delusa. Del telefilm non c'era pressoché nulla: non siamo in America, ma in Inghilterra, il sistema politico è diverso (e, per me, più difficile da seguire), e persino i nomi dei personaggi sono differenti: non Claire, ma Mortima, non Underwood, ma Unquhart, e pure Zoey Barnes si chiama Mattie Storin... Ma il peggio è che Mortima, ad esempio, compare in appena una manciata di righe, laddove nella Serie Tv era il mio personaggio preferito, oltreché un personaggio di spicco, e naturalmente non esiste nulla di ciò che era in rapporto diretto con lei... Addirittura la relazione tra Frank e Mattie si basa su presupposti differenti rispetto a quella che lega Frank e Zoey...

Insomma, lì per lì sono andata un po' in confusione, ma poi... poi wow! Che figata! E' come rivivere tutto da capo, ma in un'altra dimensione! Perché anche se non c'è Peter Russo, c'è O'Neill, che sostanzialmente gli è consimile (e così via, suppergiù, eccetto, ahimè per Mortima/Claire, anche se la trama televisiva è più ricca), e, a parte ciò, apprezzo il fatto che il libro, ambientato anni prima, pur mantenendo la stessa impalcatura, è per molti versi qualcos'altro: non nell'animo, che è intatto e sanguinante, ma negli sviluppi immediati.

Le linee di fondo, infatti, sono le medesime: la potenza devastante dei Media, i giochi di potere, la spietatezza del protagonista, la sua capacità di manipolare chiunque, il suo carisma, la sua eleganza, l'odio che ci suscita, seppur frammisto ad una malata, imbarazzata ammirazione...

Non è lui che ci racconta la trama, che è in terza persona, ma all'inizio di ogni capitolo ci sono le sue perle di saggezza, ed alcune sono davvero graffianti.

E poi, anche se Frank tende a restare dietro le quinte, si impone benissimo lo stesso, dominandoci tutti (uno dei cattivi migliori in cui sia mai incappata)!

In quanto allo stile, invece, benché non raggiunga picchi poetici di alcun tipo, è incisivo, rapido, scorrevole... Scocciano un po', forse, tutte quelle malefiche note da cercare in fondo al volume (non si potevano mettere a piè di pagina?), ma al massimo uno può sempre saltarle, anche perché alcune sono davvero superflue (altre magari no)...

In altri termini, anche se nel corso delle prime pagine non l'avrei detto, sono ansiosa di leggere il secondo volume, approdato in libreria di recente... Magari, però, dopo aver visto la seconda stagione della Serie Tv...

P.S.

Non sarà mai uno dei miei libri preferiti, ma come lettura da treno è fantastica!

lunedì 27 ottobre 2014

Un fumetto irrinunciabile.


NAUSICAÄ DELLA VALLE DEL VENTO
di Hayao Miyazaki
 
 
Avevo letto l'edizione in sette volumi della Planet Manga ed ero rimasta incantata. In primis dai disegni (non tratteggiati con il nero, ma con un evocativo color seppia), minutissimi e dettagliati, con qualcosa di fatato e di tremendamente dolce. E se nei cartoni animati il tratto di Miyazaki mi irrita un po' per quanto riguarda i capelli monocromi delle fanciulle – che paiono una massa uniforme e priva di sfumature – qui non vi ho fatto troppo caso, e mi sono semplicemente fatta stregare.

Siamo in un futuro distopico, devastato dalla guerra e dall'inquinamento, tra giungle tossiche e Vermi-Re, in cui l'uomo ha bisogno, per respirare, di maschere filtranti... In mezzo la Valle del vento, piccola, ma capace di mantenere intatta la sua primordiale bellezza, di cui Nausicaä, che ti colpisce per carattere ed ideali, ma anche per le incredibili doti (riesce a comunicare con tutte le creature viventi, è carismatica e amata dal suo popolo, nonché una valente pilota di Mheve) è la principessa.

Suo malgrado, la Valle del vento sarà coinvolta in una terribile guerra, che porrà a rischio quel poco che resta dell'ecosistema...

Un fumetto irrinunciabile.

Mi sono piaciute le tematiche ecologiche-antimilitaristiche, trattate con grazia, senza sovrabbondanza di retorica (avevo apprezzato tantissimo il passaggio in cui Nausicaä è stata morsa dal grazioso animaletto destinato a diventare suo inseparabile amico – in questo momento non ricordo il nome... Teto? - La principessa non si era arrabbiata, aveva aspettato con pazienza che lui si abituasse a lei, fino a che non si erano legati l'uno all'altra, indissolubilmente), gli insettoni mostruosi (ma non privi di significato e di poetica) e la trama complessa, densa di interrogativi, di dubbi, piena di realtà da scoprire, che sfocia in un finale ormai non più così rivoluzionario, ma comunque intenso e significativo.

Anche Nausicaä stessa, la protagonista, è stupenda, benché, forse, per i miei gusti sia un po' troppo matura, adulta e perfettina. Ma no... Nemmeno... Perché la sua gentilezza e la sua prodezza come guerriera temperano questi aspetti, pur rinforzandoli. Forse, semplicemente, avrei preferito fosse un po' meno seriosa. Ma non è una critica, solo gusto personale.

Uno dei migliori manga di sempre.

domenica 26 ottobre 2014

Il meglio deve ancora venire!


DAL TRAMONTO ALL'ALBA
di Robert Rodríguez

(1996)
 
 
Un film sorprendente, eccessivo, assurdo, che inizia in un modo e finisce in un altro, cambiando registro proprio quando ormai pensavi di aver capito come potrebbe andare a finire!

Parte come un poliziesco bello assassino, con alle spalle una rapina ad opera dei fratelli Gecko (Richard, pazzo, disturbante e incontenibile, che soffre di allucinazioni, e Seth, delinquentaccio non proprio cattivo e per giunta fascinoso – rispettivamente Quentin Tarantino e George Clooney) che scappano in Messico con una cicciona in ostaggio. Che – incredibilmente – verrà violentata e uccisa da Richard, il quale, già che c'è, lungo la strada commetterà anche altri omicidi insensati... Fino a che i due non decideranno di prendere in ostaggio la famiglia alla frutta dell'ex pastore Jacob Fuller/Harvey Keitel (lui, figlio e figlia), non ancora ripresisi dalla perdita della consorte/madre...

L'inizio mi è piaciuto, ed è ben costruito, rutilante, incisivo, crudelissimo e scioccante, con i debiti approfondimenti psicologici e personaggi niente male. Ti crea ansia, tensione, e una discreta angoscia, perché è orribilmente reale, per quanto grottesco ed esagerato, e lo splatter ti uccide e ti devasta.

Ma il meglio deve ancora venire! Perché al Titty Twister (in apparenza una bettolaccia di frontiera con le donnine che si spogliano)... wow!!! Resti a bocca aperta con la mascella giù!
 
Clooney e Tarantino, ritratti dal nostro autore.
 
La prima volta in cui ho visto questo film non conoscevo la trama e sono rimasta davvero entusiasticamente sbigottita! Lo splatter diviene sfrenato, in un tripudio di sangue e zampilli, ma è assai più divertente rispetto all'inizio, più festoso e allegro, privo di implicazioni tragico-pseudo-realistiche! I ruoli e le alleanze si ribaltano, e facciamo la conoscenza del delizioso Sex Machine (Tom Savini), che non potrà che farci morire di simpatia, con la sua arma segreta! Inoltre si passa nel modo più improvviso dal poliziesco all'horror, ed in effetti, pare quasi di assistere ad un'altra pellicola!

Ma è soprattutto questo l'elemento che l'ha resa un cult: non l'ottimo cast, la splendida regia, lo splatter, gli eccessi, o le uccisioni... Ma questo incredibile “colpo di scena” che ha come protagonista Santanico Pandemonium (Salma Hayek), che ci piace ricordare anche solo per il suo nome (ma presumo che i maschietti rammentino ben altro)!

Amabilissimamente trash!

sabato 25 ottobre 2014

Acari, virus e amebe mangia-cervello


MICROBI PELUCHES

I peluches sono da sempre una mia grande passione (preferibilmente di rettili o di creature immaginarie), ma non immaginavo ce ne fossero anche di così bizzarri!
Non solo microbi, invero, ma anche cellule spermatiche, malattie, acari, virus, amebe mangia-cervello, neuroni, cimici dei letti, globuli rossi... E chi più ne ha più ne metta (il catalogo è piuttosto vasto, e ci sono pure i mini microbi in costume per Halloween, oltre che confezioni ad hoc per S. Valentino, Natale, etc.)!
Mi ci sono imbattuta per caso girellando online e anche se non ho non nessuna intenzione di acquistarli per me, trovo l'idea piuttosto simpatica e originale, magari per un regalo ;)!
Naturalmente si tratta di versioni giganti, nel senso che i microbi & C. sono stati ingranditi infinite volte, benché, alla fine della fiera, penso che in generale i peluches non siano enormi e che stiano tranquillamente in una mano... Con tutto che, magari, cercando con maggior impegno, credo sia possibile reperirne di varie dimensioni...
Non costano pochissimo, diciamo sugli otto Euro quelli piccoli (ma attenzione alle spese di spedizione!), però hanno un aspetto molto simpatico (specie le pulci), colorato e peloso, sono dotati di occhi e, talvolta, pure di sorriso, oltre ad essere molto curati dal punto di vista medico (questa la mia impressione, ma io non ne so molto)...
Il geniale inventore si chiama Drew Oliver e, stando a quello che ho leggiucchiato in giro, aveva intenti scientifici, ma anche umoristici!

venerdì 24 ottobre 2014

Un romanzo come farmaco


UNA PICCOLA LIBRERIA A PARIGI
di Nina George
 
 
Un romanzo che mi ha attirato sin dalla copertina, ma che non ho fatto in tempo a comprarmi perché me lo ha regalato prima una mia cara amica... Ebbene, a riguardo devo ammettere che ci sono da rilevare molti elementi positivi, ma altrettanti negativi.

Iniziamo con i primi: stimolante l'idea dei libri come farmaci, e altrettanto la breve appendice in fondo, con i rimedi letterari per i malesseri più diffusi (benché i testi citati siano un po' inflazionati... la speranza era quella di scoprire qualche titolo nuovo). Anche l'appendice con le ricette è stata gradita, e devo ammettere che sono piacevolissime e succulente da leggere, anche se non si è dei provetti chef. In effetti il dato culinario è piuttosto importante nel corso di tutta la narrazione, e affrontato in modo sensuale e passionale (ma siamo lontani dalla carnalità intensa e pastosa della Joanne Harris... Qui senti il profumo delle pietanze, laddove lei ti fa venire una brama di cibo e di golosità senza pari).

L'argomento di base non è molto semplice da trattare: la morte di una persona amata, oltre vent'anni prima, ma viene avvicinato con estrema delicatezza e intimità.

Ci sono belle atmosfere, dei bei paesaggi spesso si avverte una sensazione di tepore, leggendo, inoltre ho apprezzato il triangolo Jean Perdu, Manon e Luc e la concezione della vita e dell'amore di Manon.

Alcuni passaggi sono davvero incantevoli, le parole armoniose e scelte con cura, le frasi semplici, scorrevoli, ma piene di luce. Tuttavia ci sono anche dei brani banali e improntati alla mera funzionalità, parolacce (non molte) che stridono in maniera oscena nel contesto e danno quasi fastidio (e io leggo anche autori di una volgarità estrema e godereccia – ad esempio Irvine Welsh – senza provare alcuna irritazione, dato che riescono a fondere le “marronevolezze” con il testo, senza stonare).

Per il resto, ci sono alcune parti noiosette, che a tratti ho patito (ma devo ammettere che, quando sei di umore malinconico, sono comunque piacevoli da leggere, infuse come sono di dolcezza …). Si tende troppo all'autocommiserazione, ci si crogiola dentro, spesso i sentimenti appaiono pretestuosi, esacerbati, troppo carichi di autocompatimento e dolore, insistiti, e insistiti ancora, fino a risultare stancanti, insulsi, fini a se stessi.... Bisogna essere scrittori eterni per permettersi simili libertà, e Nina George non la è. Troppo debole, troppo scontata.

In sostanza, se mai dovessi prescrivere questo romanzo come farmaco, lo consiglierei in caso di malinconia e depressione, perché può avere un effetto consolatorio/lenitivo... Ma attenzione! Non più di 30 pagine al giorno: il sovradosaggio può indurre all'isteria!

giovedì 23 ottobre 2014

Soddisfatti per il viaggio


L'UOMO CHE GUARDAVA PASSARE I TRENI
di Georges Simenon
 
 
Kees Popinga è un tipo odioso, un ometto da nulla, irrilevante, e adagiato alla sua vita alto-borghese per il semplice fatto che così è abituato. Ma d'improvviso si ritrova, non per sua colpa, a veder crollare ogni certezze e quindi (per usare parole sue) “a liberarsi” dalle pastoie della sua esistenza.

La moglie crede che sia impazzito, ma lui, tranquillo e beato, decide solo di cambiar vita e fugge, stupendo tutti, a cominciare da se stesso, per rivelarsi ancor più inutile e miserando di quanto già non apparisse in realtà! E' per orgoglio malato, e quasi per caso, che ammazza la povera Pamela, rea di averlo irriso e respinto, ma va bene così, tanto di scrupoli Popinga non se ne fa. Né per la famiglia, che abbandona sommersa dai debiti e senza spiegazioni, né per altro. Il punto è che finalmente può salire su uno dei treni della notte (più interessanti perché più viziosi) e andare lontano, come ha sempre desiderato fare, ma non ha mai osato...

E, dunque, Popinga, braccato come omicida, inizia la sua partita a scacchi con la polizia di Parigi, e con se stesso, in cerca della propria identità... Perché è questo uno dei punti cardine del romanzo: il protagonista non sa chi è veramente, nel profondo, sa solo che ha sempre indossato una maschera e non vuole più essere come lo vedono gli altri, comunque lo vedano...

il papà del commissario Maigret, ritratto dal nostro artista
 
Personalmente, se non si fosse ancora compreso, io lo considero un ometto da nulla, ma il romanzo (appena 211 pagine) è davvero godibile... Intanto per la scrittura di Simenon, che non avevo mai letto: sintetica, ma dettagliata, con un frasario demodè, semplice, ma denso di atmosfera, che con poche pennellate riesce a descrivere un ambiente come lo stato d'animo del protagonista, indagato nelle più minute sfumature o cambio di umore. Noi (io, almeno) odiamo Popinga e lo troviamo di una (voluta) banalità e pochezza esasperanti: ma è proprio per questo che Simenon è un maestro, riuscendo a renderne l'ambiguità, la perversione sottile, la vuotezza interiore, l'ossessivo bisogno di ritrovarsi...

La trama non è originalissima, tuttavia risulta imprevedibile ai massimi gradi, dipanandosi in modo insolito e (apparentemente) senza schemi: da una pagina all'altra può davvero accadere di tutto, tanto che non facciamo che chiederci non solo come andrà a finire il romanzo, ma anche che succederà fra due righe...

Ma quando ci arriveremo, alla fine, saremo soddisfatti, per il viaggio e per la sua conclusione, intuendo persino un certo simbolismo nelle scelte ultime dell'autore.

mercoledì 22 ottobre 2014

Una sorta di Pinocchio al contrario


GELSOMINO NEL PAESE DEI BUGIARDI
di Gianni Rodari
 
 
Un romanzo dagli otto anni in su, che io avevo letto in prima Media, attingendo alla biblioteca scolastica, e amato spassionatamente! Tanto che per i due o tre anni successivi l'avevo eletto a mio libro preferito!

Per dirla semplicisticamente è una sorta di Pinocchio al contrario, in cui Gelsomino è un bravo bambino che deve confrontarsi con una città in cui la regola primaria, assurta a legge, è... mentire, mentire spudoratamente e su tutto! Naturalmente il nostro eroe si adopererà per rimediare a questa incresciosa situazione...

E se vogliamo questo ci porta ad una serie di riflessioni: sulla verità e la finzione, sui potenti e il loro modo di coartare il popolino, e sulla sua incapacità di ribellarsi (sì, certe cose sono straordinariamente attuali)... Ma, onestamente, non era stato questo il motivo della mia affezione al romanzo... No, il motivo era stato il divertimento!

Già, perché Gelsomino è un protagonista specialissimo (con la voce ultra potente) cui si deve per forza volere bene! E altrettanto carini sono i comprimari (ricordo il gatto Zoppino, che non era un vero micio, ma un disegno!), le situazioni paradossali in cui vengono a trovarsi, a complicarsi, a intrecciarsi, e il modo fantastico in cui si risolvono! Avevo riso, ma mi ero anche emozionata e avevo sentito crescere in me un senso di giustizia, di indignazione e di solidarietà! E poi, certo, c'è l'immaginazione! Una festa di trovate, di idee bislacche, di buffosità! Ma garbate, ben miscelate e in armonia tra loro e con noi! Di quelle che non vogliono stupire per forza, ma regalano incanto e tenerezza...

Unite, in più, ad un senso di avventura, di scoperta, che mi aveva procurato – ricordo – un senso di pazzesca esaltazione! E' vero – ahimè – ormai non ho più undici anni, e anche se un paio d'anni fa ho comprato il romanzo (dovevo per forza possederlo), non l'ho ancora riletto...

Tuttavia confido con una certa sicurezza che questa sia una di quelle storie che non invecchiano mai e che si mantengono fresche, delicate e fragranti anche quando il lettore, magari, è un po' stagionato!

martedì 21 ottobre 2014

Un capolavoro immortale


IL SIGNORE DEGLI ANELLI
di J. R. R. Tolkien
 
 
...che va letto dopo “Lo Hobbit”, e consta di tre romanzi (“La Compagnia dell'Anello”, “Le due torri” e “Il ritorno del Re”) e che può essere approfondito con “Il Silmarillion”... Ma non sono qui per fornire dati tecnici (reperibili ovunque), ma solo per esternare la mia umile opinione.

Ebbene, “Il Signore degli Anelli” è un capolavoro immortale, a partire dall'inquietante filastrocca d'apertura!

L'ho amato soprattutto per i personaggi (Aragorn, in particolare, ma anche Sam e Merry e Tom Bombadil, non importa se appare poco, per tacere di Gollum, splendidamente perfido e ambiguo: uno dei cattivi meno cattivi e più infidi di sempre), con cui ho sofferto e trepidato e che mi sono rimasti nel cuore... Per l'atmosfera (che è fantasy in senso classico, con elfi, nani e orchi, ma che spesso si tinge di nero e fa paura, o culmina in momenti di tetraggine che farebbero invidia a Poe), per l'immaginazione, per le situazioni epiche, e per la trama, ricca di incanto, di stupefazione e di pathos, di solidarietà e amore, nella sua accezione più vasta, ma anche di dolcezza, di compassione... E poi per il mondo della Terra di Mezzo, così abbondante di dettagli e di coerenza, così allettante e scrupolosamente approfondito a livello linguistico e geografico...

Non importa se la storia non è originalissima (Tolkien attinge a piene mani al ciclo dei Nibelunghi e all'”Edda” di Snorri), e se nel finale si perde un po', allungandosi troppo... Pur di restare ancora in compagnia degli hobbit (creature fantastiche innovative e di tutto rispetto) sono più che disposta ad accompagnarli fino a casa e dopo (mentre nella versione cinematografica – rea altresì di aver tagliato il personaggio di Tom Bombadil – ho trovato la sequenza de “i falsi finali”, pur fedele al libro, davvero estenuante).

Inoltre, ho apprezzato le tematiche trattate: la lotta tra Bene e Male, ma anche il tema della seduzione del male, che assaporiamo attraverso il tradimento, ma anche la corruzione (lo stesso Unico Anello, del resto, ne è un esempio...), lungi dal manicheismo, e poi l'amicizia e l'eroismo, inteso non sempre in senso classico.
 
Tolkien, in una caricatura del nostro autore
 
E se “Lo Hobbit” è di fatto un romanzo per l'infanzia, più semplice, meno truce e in certi passaggi un poco ripetitivo, “Il Signore degli Anelli”, benché si edifichi su tematiche fantastiche e fondamentalmente asessuate e ne costituisca il seguito, a mio avviso è troppo impegnativo come lettura per bambini. Non tanto per la corposità dell'opera, quanto per la meticolosità dello stile, per le descrizioni particolareggiate, forse, per il terrore che provoca in certi punti...

Io avevo provato ad affrontarlo alle elementari, e mi ero scoraggiata in fretta, mentre al Liceo, beh... l'ho divorato!

Uno di quei libri che sono per sempre, e che non si possono non amare!

lunedì 20 ottobre 2014

Un sacco di misteri


OPEN GRAVE
di Gonzalo Lòpez Gallego
(2013)

Questo è un film che ho visto in due sere, e che mi è rimasto straordinariamente impresso.
La prima sera ne ho visto diciamo più o meno il primo tempo: il protagonista (Sharlto Copley) si sveglia immemore in una fossa comune, una donna muta (Josie Ho) lo aiuta ad uscirne e lui raggiunge una casa isolata con altre cinque persone dentro, tra cui la muta. Nessuno ricorda nulla, né tanto meno che fa lì in mezzo e perché ci sono tanti morti. Invero, la muta sembra di sì, ma ovviamente non è in grado di parlare (di scrivere non se ne parla: la donna è asiatica e non conosce il nostro alfabeto). La zona circostante è disseminata di cadaveri appesi agli alberi, e pare che tra qualche giorno qualcuno debba “venire a prenderci”.
Ci sono un sacco di misteri, di cose che non si capiscono e di spunti stimolanti e suggestivi. Le sequenza sono rapide, e tengono lo spettatore in spasimante attenzione, bramoso di capirci qualcosa. Eppure, man mano si procede, le domande aumentano, e si susseguono shock e dettagli inquietanti. ...Insomma, una meraviglia!
Siccome però era molto tardi, io e MMP abbiamo deciso, seppur a malincuore, di interrompere la visione. Io, non paga, nell'attesa ho preso a divorare recensioni in rete... Tutte pessime! Com'è possibile?, mi sono chiesta... Che diavolo succede nel secondo tempo (più o meno) per far cadere così in basso questo gioiellino?
E la sera dopo l'ho scoperto: arrivano le spiegazioni.
La verità, però, è che io non sono rimasta così tragicamente delusa, anzi mi sono parse oneste e in linea con le premesse... E va bene, niente Oscar, però la pellicola non è così piatta, le idee ci sono, e non sono nemmeno sviluppate tanto male. Anzi, il film è riuscito a tenermi sveglia benché stessi morendo di sonno, la fotografia è assai d'effetto, il ritmo è buono (c'è chi sostiene di no!!!), l'atmosfera assolutamente accattivante, ma è proprio la trama l'elemento che preferisco...
E non è nemmeno troppo pessimistica, alla fine, o abusata... C'è chi tira in ballo Saw... A me non pare c'entri molto (tutt'al più mi ricorda “Lost”)... e, sarà pure una bestemmia, ma io ho preferito di gran lunga “Open grave” (Saw non mi è piaciuto: si riduce alla trovata finale, neanche così incredibile, e un mucchio di torture di cui avrei fatto a meno...)
Riconosco che i personaggi non suscitano molta empatia (direi che il protagonista nemmeno lo vuole, ma sicuramente è incisivo)... Giusto la muta ha un certo fragile fascino che intenerisce, ma fa lo stesso: la storia è più che sufficiente per avvincere e lo spunto di partenza, comunque, resta eccezionale!
Forse il punto è che io non sono stata tanto a preoccuparmi delle tematiche sociali (ce ne sono, ma si riducono a mera occasione e non vengono approfondite) o dei personaggi, aspettandomi solo un film adrenalinico, che mi regalasse qualche spavento.
Certo, al di là delle montagne di cadaveri, non è che si possa proprio proprio definire un horror... La pellicola è abbastanza castigata, in questo senso, e siamo più vicini alla zona thriller... Ma un thriller che mi sono goduta dall'inizio alla fine e che ha saputo tenere viva la mia attenzione, poco importa che sia soprattutto in virtù del meccanismo mentale che ha innestato!

domenica 19 ottobre 2014

Un surplus di fantastico


IL GIOVANE LOVECRAFT
di José Oliver e Bartolo Torres
 
 
Come potrei non amare queste strip? Okay, non proprio tutte fanno ridere, e hanno la tendenza a ripetersi un po', ma per il resto sembrano fatte apposta per me: i disegni sono tenerissimi e macabri, ci sono un mucchio di mostri (adorabili, Cthulhu compreso) e pure di citazioni letterarie! Insomma, il livello nerd è abbastanza alto, e alcuni sketch sono assai gustosi.

Intendiamoci, io non sono una fan sfegatata di Lovecraft, ha uno stile tremendamente prolisso, benché lo apprezzi infinitamente come inventore di mostri e di pseudobliblia (il riferimento, ovvio, è al Necronomicon), ma questo è Lovecraft in versione giovane, sfrondato delle parti noiose, arricchito da trovatine pazzesche, che spesso finisce in situazioni comiche e assurde... Per esempio evocando chi non dovrebbe...

La verità è che Lovecraft young è delizioso, e ha un rapporto incantevole con tutti, dalle zie ai ghoul di passaggio... Inoltre, tra gli altri, compaiono pure Baudelaire, Rimbaud, Whitman, Verlaine e Poe... e sono davvero carini, e ben caratterizzati, anche a livello grafico!

Certo, se uno vuole delle strip e basta, per farsi due risate, è meglio che si dedichi ai Peanuts o a Calvin & Hobbes, ma se si brama un ulteriore surplus di fantastico e di citazionismo, con una spruzzata di horror soft (o, semplicemente, Schulz e Watterson si sanno a memoria)... eccoci qua! Certo una conoscenza, seppur superficiale, dello scrittore di Providence è indispensabile per apprezzare le strip, e ci vuole anche quel minimo di cultura basic per cogliere gli altri riferimenti, ma non si richiede molto di più...

L'idea di fondo è una genialatina (poco importa che potesse essere realizzata meglio a livello contenutistico – i disegni, invece, sono perfetti – : di fatto, prima non ci aveva mai pensato nessuno)...

Per il momento sono usciti due volumetti, graziosamente sviluppati in orizzontale, corredati da belle illustrazioni e da tanta simpatia... Tra i due, ho preferito il primo, ma si consumano alla velocità della luce, e personalmente non vedo l'ora esca il terzo...

sabato 18 ottobre 2014

Un capolavoro


DIALOGHI CON LEUCO'
di Cesare Pavese
 
 
Di Pavese, a parte le poesie, avevo letto “La casa in collina” e lo stupendo “La luna e i falò”, entrambi romanzi realistici (anzi neorealisti) che affrontavano temi come la guerra e la politica...

Dunque non mi aspettavo proprio un'opera così immaginifica come “Dialoghi con Leucò” (alias Leucotea, una dea tebana, alias Bianca, la donna amata dall'autore all'epoca), così intrisa di grazia e di sentimenti, di sogni e desideri, ed al contempo così alta, così sublime, così universale, in cui Pavese ci regala quasi una trentina di brevi racconti in forma dialogica, altamente poetici, incredibilmente suggestivi, spesso struggenti, i cui interlocutori sono sempre personaggi della mitologia greca, dall'accento umano, spesso dolente, ma che racchiudono, in qualche modo, persino echi psicanalitici...

Costoro, oltretutto, siano dei od eroi, affrontano i temi più vari tra quelli atti a definire l'individuo (dalla morte, all'amore, al destino...) in modo profondo ed illuminante, riuscendo ad eternizzarli, a renderli archetipo.

Un capolavoro.

E un'idea geniale ed originalissima, suggestiva e ricca di tensioni, che ti avvincono, ti fanno sentire vivo, e ti inducono a riflettere e ponderare, mettendo in dubbio tutto, per poi riscoprirlo in un'ottica diversa.

Di certo se si masticano un po' i miti greci il piacere raddoppia, ma non è indispensabile, essendo questa, in primis, un'opera letteraria.

Tutt'al più, non si resisterà alla curiosità di approfondire e di procurarsi qualche manuale o dizionario...
 
Cesare Pavese, in una caricatura ad opera del nostro artista.
 
Ad ogni modo, Pavese mi piace molto, come scrittore e come poeta, ma credo che con quest'opera abbia raggiunto il vertice della sua produzione letteraria, per tematiche ed intenti, ma altresì per resa poetica, e per la capacità di stupire ed emozionare, ma anche per quanto rimane al lettore dopo che ha voltato l'ultima pagina.

venerdì 17 ottobre 2014

Alla faccia di Dorian Gray


BUFFOSITA' DEL MIO PERFIDO MARITO
 
 
Di fatto mon amour è una creatura morbida e tenera, il cui punto di forza principale è l'innato umorismo. Ogni tanto se ne salta fuori con delle assurdità irresistibili, che mi fanno piegare in due dalle risate.

Negli ultimi tempi, sono soprattutto due le sue uscite che mi hanno fatta sbellicare.



La prima riguarda lui: nonostante la sua capacità di rallegrare il prossimo non è particolarmente lieto in quest'ultimo periodo e si crogiola nell'autocommiserazione (uno dei suoi hobby). Ebbene, il suo paragone preferito è: “Sono come la mucca di Under the Dome1, quella che si vede nella sigla, quella tagliata a metà”... La prima volta che ha pronunciato questa meraviglia aveva gli occhioni grandi e tristi. E a me sono venute le convulsioni a furia di sghignazzare. MPM, dal canto suo, ci si è affezionato così tanto, alla mucca, che ogni volta che guardiamo il telefilm sta attento a non tagliare il riassunto, così che, essendo giunti alla fine della seconda stagione, abbiamo visto la sventurata bovina suppergiù 26 volte, almeno...



La seconda assurdità riguarda me, e non è molto lusinghiera. Cito mon amour: “Tutti pensano che tu sia tanto cara e dolce (chi?), ma non la sei: sei un mostro. Come il ritratto di Dorian Gray2... E io a casa... ho il ritratto!!!”

L'espressione rende così bene l'idea della mia presunta malvagità che non ho potuto che adorarla...

Piuttosto, per la cronaca, Gian (mio ex corvo, mio schiavo e mia stellina) ha recentemente dichiarato che, benché io abbia dei modi un po' del beep, ho fondamentalmente un cuore gentile. Ha! Ha!

E Guido Guinizzelli cantava “Al cor gentile rempaira sempre amore”. Ha! Ha! Alla faccia di Dorian Gray.

E del suo ritratto.



1 “Under the Dome” è il telefilm brutto, senza ritmo e con i personaggi più piatti dell'universo tratto dal romanzo di King “The Dome”, anche se ormai è partito completamente per la tangente e del romanzo ha giusto lo spunto iniziale e poco più... Narra di questa cupola invisibile che è calata sulla città di Chester Mills, senza preavviso o spiegazioni, e che ha tranciato a metà un bel po' di roba... Tra cui una mucca, poveretta... Perfettamente divisa in due semi-mucche, simmetriche e sanguinolente...
2 Immagino che lo sappiano tutti, ma lo preciso ugualmente: “Il Ritratto di Dorian Gray” è il romanzo di Oscar Wilde sul giovane dissoluto che si dà agli stravizi, sapendo che tanto a farne le spese sarà il suo ritratto. Mentre lui si mantiene bello e giovane, infatti, il suo sé dipinto modifica le sue fattezze e diviene sempre più corrotto e mostruoso...

giovedì 16 ottobre 2014

Promosso a pieni voti!


LA SIRENETTA
Walt Disney

(1989)
 

Quando era uscito questo lungometraggio ero alle Medie, in un'epoca in cui credevo che al massimo mi sarei dovuta accontentare di rivedere i classici Disney all'infinito, che già conoscevo a memoria, per poter vedere materializzata davanti a me una fiaba con un lieto fine...

Insomma, che l'uscita de “La Sirenetta” era stata una sorpresa meravigliosa ed io ero impazzita dal piacere, imparando tutte le canzoni (nonostante sia stonata come una campana) ancor prima di andare al Cinema a gustarmi la pellicola (tre volte di fila, un tempo ancora si poteva...).

Intanto ero contenta che la protagonista fosse una sirena, perché che c'era di più bello e romantico? In più ero lieta che Ariel non fosse, come invece suggeriva la fiaba di Andersen, un personaggio tragico e sofferente. Certo, tanto dolore le è stato risparmiato, non solo con riguardo all'happy end (per la sirenetta originale, se non ricordo male, ogni passo in forma umana equivaleva ad essere trafitta da mille spade, o qualcosa del genere, eppure lei si muoveva sempre con grazie estrema), ma non si trattava solo di questo. Ariel era vitale, allegra, scanzonata e irresponsabile... una ragazza normale, insomma, non una tizia seria e musona, e poi, lungi dalla perfezione, aveva persino un rapporto conflittuale con il padre... E in aggiunta un'aria sbarazzina e davvero simpatica, ma espressiva e dolce.

La storia era leggera e con più intrecci del previsto, Ursula una cattiva strepitosa (simpatica, esuberante, terrificante e caliente, a dispetto del lardo, a seconda di quel che vuole essere, e quei tentacolacci da piovra sono una meraviglia), mentre Sebastian, beh... era il mio preferito! E lo è anche adesso, tanto più che alla fin fine, le canzoni più belle sono le sue, non quelle di Ariel! Ma anche i personaggi di contorno erano carini e ben riusciti, specie le due malefiche murene, Florsam e Jetsam... E... Sorry, sono preda della nostalgia. Veniamo al presente.

La Sirenetta è un cartone che mi è piaciuto molto e continua a piacermi: mescola momenti sereni e spiritosi ad altri drammatici, c'è una stupenda battaglia finale, e dei fondali magnifici, con una colonna sonora da urlo... E poi, finalmente, prima di sposarsi, i due protagonisti fanno la debita conoscenza (questi matrimoni basati sullo scambio di una canzone sono qualcosa che durante l'infanzia pativo tantissimo)...

Insomma, promosso a pieni voti! L'unica cosa, a rivedere la pellicola un migliaio di volte, non ho potuto non notare che in alcuni punti i volti dei personaggi (Ariel inclusa) – stupendi nei primi piani – sono tratteggiati in modo un po' approssimativo... ma pazienza, nel complesso si tratta di un film che mi piace moltissimo, e che, grazie al cielo e alla Disney, finisce bene.

Sicuramente la versione originale era più poetica e struggente, ma quella c'era già, e vedere Ariel sciogliersi nella schiuma del mare sarebbe stato davvero intollerabile, specie in gioventù...

mercoledì 15 ottobre 2014

Un'esperienza spirituale


JORGE LUIS BORGES
Caricatura del nostro artista

Io amo perdutamente quest'uomo, che infatti è il mio scrittore preferito, che ha influenzato tanti dei miei amori/maestri (Alan Moore, Tiziano Sclavi, Italo Calvino, Grant Morrison...) e di cui ho letto tutto ciò che mi è capitato in mano: dai “Nove saggi danteschi” originalissimi, densi di sensibilità, e stupendamente umani, al “Manuale di zoologia fantastica” breve ed essenziale, ma ugualmente entusiasmante, per la delicatezza da fiaba e per il fatto stesso che uno scrittore del calibro di Borges lo abbia scritto (la teratologia è una delle mie passioni)...
Benché come critico sia affascinante e acuto, i suoi grandi capolavori, quelli che lo hanno reso immortale, sono i racconti, specie quelli di tema fantastico, e le poesie, suggestive e impalpabili, in cui per un istante ti sembra di afferrare il segreto dell'universo... Ma soprattutto i racconti, come “La biblioteca di Babele”, “Il giardino dei sentieri che si biforcano”, o “L'Aleph”, ricchi di atmosfera, di immaginazione, di... metafisica! In cui l'impressione è quella di accedere ad un'altra dimensione, che rivela i più riposti segreti del cosmo, più che di leggere un brano irreale...
I miei prediletti, tuttavia, non sono i più noti, quelli di “Finzioni” o de “L'Aleph”, che pure ho adorato, ma quelli fulminei di “Atlante”, che spesso si concludono in una pagina (e, sinceramente, scrivere racconti così brevi significa essere davvero bravi) che evidenziano non solo capacità stilistiche e tensioni filosofiche, ma autentica, pura, genialità. Invero, il racconto che prediligo in assoluto è “Un incubo”, che ti inquieta e ti spiazza, lasciandoti qualcosa di angosciante che ti accompagnerà per sempre.
Anche i suoi temi ricorrenti, spesso sono i miei. Non condivido la sua fascinazione per le tigri (che per carità, sono bellissime, ma a livello simbolico non mi attraggono), ma di quasi tutto il resto sì: i sogni, i libri, le biblioteche, il labirinto, gli specchi... Che per lui sono simbolo e suggestione, appunto, e trascendono il loro significato comune, includendo e svelando misteri.
La verità è che leggere Borges, inesprimibile ed ineffabile, non è come scoprire un qualunque Mastro da Nobel, ma è soprattutto un'esperienza spirituale che ti porta a confrontarti con te stesso e con il significato ultimo delle cose, in modo leggero, talvolta garbatamente ironico, ma anche straordinariamente profondo e magnificamente destabilizzante. E indimenticabile.
Immenso.