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domenica 30 agosto 2015

Racconto inedito

Racconto inedito, scartato da un'eventuale seguito di “Raccontini Malati”...

L'INTERVENTO


Sembrava una barzelletta e all'inizio Anna aveva cercato di prenderla in ridere, come previsto dal suo carattere vagamente squinternato, solo che dopo, a freddo, erano iniziati gli incubi.
Ne aveva già avuti quando le avevano diagnosticato il tumore.
Benigno, certo. Ma un tumore.
Al seno, per giunta.
Si era immaginata mutilata per sempre, una sorta di amazzone anacronistica e non mentalmente plagiata, perché, ragionava Anna, bisogna essere mentalmente plagiate per tagliarsi volontariamente una mammella. Però, che diamine, meglio una tetta in meno che un tumore, quindi, d'accordo: zak! Ci era voluto un po', ma alla fine si era rassegnata.
Poi, però, il chirurgo, il Dottor Berruti, quello che dovrà operarla, l'aveva rassicurata: Ma va'!, aveva obiettato. Nessuna asportazione: facciamo un taglietto, togliamo il baubau, e fine della storia! È un intervento di routine, una scemenza, stia tranquilla!
In effetti, Anna non aveva mai chiesto informazioni prima, a nessuno dei medici che l'aveva visitata, nemmeno alla ginecologa che le aveva prescritto l'ecografia. Era troppo terrorizzata per farlo, aveva trovato più pratico e più naturale fasciarsi la testa e disperarsi.
Non le resterà neanche il segno!, le aveva promesso invece il Dottor Berruti.
Fiuuu! Grazie!, aveva replicato lei con gli occhi lucidi, prossima alla commozione.
E quindi, quella mattina, a distanza di due settimane, si era presentata al colloquio pre-ricovero con animo sereno.
Era andato tutto bene: l'infermiera era premurosa, la gente in sala d'attesa affabile, l'elettrocardiogramma e i risultati delle analisi del sangue e delle urine perfetti. Anna era allegra.
Poi aveva parlato con l'anestesista.
«Allora, signora», aveva esordito la dottoressa, una matrona bionda con i capelli annodati ben stretti in cima alla nuca e le labbra contratte, «così bisogna rimuoverle un seno...»
«Eh?», aveva ribattuto Anna. «No! No, assolutamente!», si era affrettata a rispondere, con un mezzo sorriso stampato sulla faccia per genuino sentimento dell'assurdo. «È solo un intervento di routine, così ha detto il Dottor Berruti...»
«Qui c'è scritto mastectomia sottocutanea, signora. Vuol dire che glielo tolgono», aveva insistito la matrona, seccata e condiscendente.
«A me il chirurgo ha detto di no.»
«La firma è del Dottor Berruti, signora...»
«A me, però, lui ha assicurato che non è necessaria l'asportazione. E se non la è preferirei tenermi entrambe le tette...»
«Ma su, signora, se gliele tolgono poi gliele sostituiscono!»
«Eh, ma potendo preferirei tenermi quelle originali!», aveva replicato Anna, scioccata e incredula. «Sa com'è...»
Tuttavia l'anestesista, priva della benché minima solidarietà femminile (seppur dotata di un notevole paio di poppe), non lo sapeva, ma finalmente aveva accettato di telefonare al chirurgo per chiarire la situazione.
Per fortuna il Dottor Berruti aveva confermato la versione di Anna, motivando la dicitura “mastectomia sottocutanea” con incomprensibili ragioni di matrice burocratica.
L'anestesista era parsa contrariata e Anna si era fatta quattro risate raccontando l'episodio alle amiche, più che altro nella speranza di sdrammatizzare.
Perché un po' di ansia le stava tornando.
Al galoppo.
Ciliegina sulla torta: sua madre era stata così carina da tirare in ballo diversi esempi di malasanità, di denunce fioccate a destra e sinistra e di donne rovinate per un errore banale che ora avevano il seno asimmetrico, storto, o di dimensioni ridicole...
E l'ansia era tornata del tutto, in pompa magna.
«Non ti agitare inutilmente...», l'aveva però rimproverata il fidanzato, pacato e ragionevole. «Ad operarti sarà il Dott. Berruti, non l'anestesista. Si ricordava di te, e, da quel che mi riferisci, al telefono è stato preciso...»
Era vero. E sensato.
Quindi alla fine Anna si è imposta di stare tranquilla.
E adesso che è giunto il giorno del Day Hospital si sta sforzando di continuare ad esserlo.
Ci sta riuscendo.
È solo un intervento di routine, si ripete citando il chirurgo. Una scemenza.
Ma poi un'infermiera annuncia che il Dottor Berruti non c'è, che verrà un sostituto, mentre la dottoressa preposta a farle l'anamnesi le domanda di confermare che il seno da asportare è il sinistro.

Gesù!

venerdì 28 agosto 2015

L'incanto di “Educazione siberiana”

IL RESPIRO DEL BUIO
di Nicolai Lilin


Ultimo romanzo della Trilogia Siberiana, meno poetico e appassionante del primo, ma più interessante del secondo...
In alcuni capitoli si recupera l'incanto di “Educazione siberiana”, ad esempio quando si narra della Taiga e di nonno Nicolai, del modo di vivere e della mentalità degli abitanti della foresta, che sanno essere generosi, ma posso ucciderti senza tante cerimonie perché hai invaso il loro territorio... In altri si torna all'equivalente cittadino (mi si passi la definizione) della guerra in Cecenia, con i falsi attentati per lo pseudo KGB, le armi e gli esplosivi... Ma ci sono anche elementi nuovi, come la parte iniziale relativa al Disturbo Post Traumatico da Stress di cui soffre Nikolaj dopo il congedo (assai notevole), o la figura dell'anziana sola che non sa come accendersi la stufa (davvero lirica)...
Le tematiche, dunque, sono varie, alternate, la narrazione lineare, cronologicamente definita, ma ricca di parentesi, di storie nelle storie (splendidi i consigli relativi alla sopravvivenza nella foresta)... Ed è stimolante osservare come le prospettive e le persone continuano a cambiare, ad evolversi, a succedersi, e quali bizzarre e avventurose pieghe intraprende la vita di Nicolai... Al contempo, però, dispiace che non ritornino i personaggi del primo romanzo, anche solo en passant (fatta eccezione per nonno Boris, che comunque viene giusto menzionato un paio di volte), e che ci sia una maggior continuità tra le tre singole opere, il cui filo conduttore, alla fine, è principalmente il protagonista...

Nel complesso una lettura coinvolgente, seppur non in modo trascendente, intimista, benché priva vibrazioni, con qualche descrizione molto bella, scorrevole, ed alcuni (scusabili) inciampi a livello di ritmo.

mercoledì 26 agosto 2015

Ti pare di viverlo!

IL VEDOVO
di Dino Risi
(1959)


Adoro le commedie nere, specie quando, come in questo caso, virano sul grottesco, sono salaci e ricche di verve! Non siamo al livello de “Lo scopone scientifico” (peraltro successivo di oltre un decennio), c'è meno fiele, e meno graffi, in compenso abbiamo una Franca Valeri strepitosa e un Alberto Sordi (quasi) alla sua altezza, che insieme formano una coppia esplosiva!
Anche se, la differenza maggiore rispetto al capolavoro di Comencini, sta nel fatto che mentre la trama di questa pellicola è prevedibile in ogni suo passaggio, in ogni suo presunto colpo di scena, “Lo Scopone” vanta ancora adesso un finale – coerente e non gratuito – che ti tramortisce.
Ma ciò non guasta la godibilità del film di Risi, non solo per via degli interpreti stellari (compresi quelli dei ruoli minori, specialmente Livio Lorenzon, alias il Marchese Stucchi), ma anche per merito della vivacità del montaggio, dei micidiali battibecchi tra i personaggi, del succedersi incalzante degli eventi, che, pur essendo lineari, risultano coinvolgenti e ben avvicendati.
Per dirla tutta, il giorno dopo ho visto pure “Crimen” – altra commedia nera made in Italy con Alberto Sordi e Franca Valeri (più Silvana Mangano, Nino Manfredi e Vittorio Gassman), questa volta del 1960, per la regia di Mario Camerini – gustosissima, con una trama assai più intricata e peculiare, ma... ho preferito “Il vedovo”, per la maggior dose di brio e per la perfezione dei tempi comici. Perché mentre lo guardi, quasi non ti accorgi di star guardando un film, ti pare di viverlo!
Sebbene ormai un po' inflazionato, anche lo spunto di base è carino: il Commendator Alberto Nardi (Sordi) è un pasticcione megalomane sommerso dai debiti, la cui fabbrica, per giunta, sta per andare a bagno. Sua moglie, invece, Elvira (Franca Valeri), oltre ad essere ricca di famiglia è intelligente e ha un gran senso degli affari. Peccato che ormai, dopo tanti anni, si sia stancata del marito, lo apostrofi comunemente con l'epiteto di “cretinetti”, divertendosi ad umiliarlo, e soprattutto non gli sganci più un quattrino. Ad un certo punto però, viene data la notizia che la donna è morta in un tragico deragliamento ferroviario, così Alberto si ritrova ricco sfondato... Almeno fino a che...
Una pellicola davvero notevole, divertente, folle, lucida e amenamente perfidella, che non è invecchiata di un giorno e che, se vogliamo, è altresì una denuncia nei confronti della miseria di chi si atteggia a più di quel che è. E che insegna che quando si appone una firma è importante leggere prima!
P.S.
Curiosità:
- Anche in Crimen il personaggio di Sordi si chiama Alberto, ha un pessimo rapporto col denaro ed è un Commendatore;

- Come mi ha fatto notare il Mio Perfido Marito, ne “Il Vedovo” è possibile riconoscere un giovanissimo Gigi Reder, alias il Ragionier Filini di “Fantozzi”.

lunedì 24 agosto 2015

Piccole perle di saggezza


L'ENIGMA DEL SOLITARIO
di Jostein Gaarder
 
 
Gaarder è diventato famoso con “Il Mondo di Sofia”, ma trai suoi libri quello che avevo preferito io in gioventù era senz'altro questo.

Altri come “Il viaggio di Elisabet” o “C'è nessuno?”, pur gradevoli, mi erano parsi infantili e pedanti, “Il mondo di Sofia” eccessivamente didascalico...

L'enigma del Solitario”, invece, era perfetto, per giunta con un'impostazione di base più variegata e originale.

Ricordo poco della trama, se non che mi era piaciuta, che riguardava legami familiari perduti e che era ricca di corrispondenze e colpi di scena, oltre che pregna di suggestioni filosofiche. Anche qui c'era la trovata de “il libro nel libro”, ma connotata da una maggior omogeneità con la vicenda principale, inoltre i personaggi, in generale, mi erano più simpatici, suscitavano più spontanea empatia, mentre la narrazione risultava più genuina e meno paternalistica.

Jostein Gaarder visto dal nostro vignettista

Ad impreziosire ulteriormente l'opera, poi, le piccole perle di saggezza sparse un po' ovunque: magari non tali da rivelare verità fondamentali, ma espresse con garbo e chiarezza, senza petulanza, ma con incisività.

In seguito alla lettura, poi, rammento di aver sviluppato un'attrazione particolare per i Joker dei mazzi di carte... In effetti, mi piaceva che fossero un elemento importante a livello narrativo e mi incuriosiva l'interpretazione che ne dava l'autore.

A conti fatti, anche in questo caso la storia era più che altro un paradigma – per quanto fantasioso e immaginifico – della vita, con le sue grandi domande... Domande che non sempre trovano una risposta assoluta, ma che sono profonde e interessanti di per sé, tanto più che hanno il potere di farti venire le vertigini.

Anche se, ammettiamolo, anche in quanto ad inventiva e fantasia, Gaarder non se la cava per niente male!

sabato 22 agosto 2015

Zweig fa diventare vera la Storia

MOMENTI FATALI
di Stefan Zweig


Il sottotitolo è “quattordici miniature storiche”, ed infatti l'intento di Zweig è quello di immortalare alcuni momenti storici fondamentali (o “sublimi e indimenticabili”) che hanno determinato grandi cambiamenti nella trama dell'umanità, per cui si spazia dalla conquista di Bisanzio alla morte di Cicerone, dalla gara per la conquista del Polo Sud alla composizione de “La Marsigliese”.
La Storia viene spiegata, ricostruita, reinterpretata, analizzata, dando spazio anche a quelli che sono stati i suoi moti dell'animo, e se pure ci vengono offerti brani romanzati e basati su un preciso punto di vista, spesso volto a “restituire la verità ai posteri” o a “fare giustizia”, non si può negare il fantastico entusiasmo che pervade l'opera e che spesso porta l'autore ad assumere toni lirici o addirittura epici!

Stefan Zweig ritratto dal nostro vignettista

In effetti, in un certo senso, Zweig fa diventare vera la Storia, ricordandoci che i momenti cruciali di essa non sono stati solo un inanellarsi di eventi, ma anche di passioni, di scelte, di bilanciamenti e compromessi... e... sì, a volte di fortuna (o sfortuna).
Se all'inizio, visto lo stile descrittivo e il linguaggio dal gusto retrò, che tende a ribadire e a riprendere più volte gli stessi concetti non senza un certo compiacimento retorico, pur genuino e sincero, può non essere immediato immergersi nella lettura, superate le prime pagine, invece, vi si sprofonda completamente, apprezzandone la ricchezza verbale e la fluidità di fondo, tanto che la fatica, semmai, è uscirne.
I brani, per giunta, hanno il pregio di essere molto vari e talvolta riservano delle sorprese: ad esempio il “Momento Eroico” dedicato a Dostoevskij è redatto in poesia e non in prosa, mentre il brano “La fuga verso Dio” è la versione di Zweig della conclusione del dramma incompiuto di Tolstoj “E la luce splende nelle tenebre”.

Personalmente non sempre condivido la prospettiva dell'autore o i suoi giudizi, più o meno velati, ma il suo trasporto è tale che non posso non esaltarmi anche io, riempiendomi di ammirazione per questo focoso narratore, spesso, peraltro, scoprendo eventi che ho sempre trascurato, se non, addirittura, bellamente ignorato, dal momento che certi attimi, ahimè, hanno in qualche modo la tendenza a finire in secondo piano, inghiottiti da altro.

giovedì 20 agosto 2015

Una personalità monomaniaca

LA MIA CASA DEI SOGNI


In gioventù avevo progettato un’allegra magione a forma di fungo allucinogeno, adesso mi accontento di aspirazioni più modeste e tradizionali.
Che so benissimo essere irrealizzabili, non solo per l’inevitabile mancanza di adeguate risorse economiche (dovrei essere milionaria o giù di lì), ma altresì perché dubito che, allo stato attuale, il mio progetto sia tecnologicamente sostenibile.
Dunque, intanto voglio che voli e sia invisibile, così che nessuno possa disturbarmi.
E poi grande e provvista di domestici robot, di cosi mangiapolvere, e, perché no, di incantesimi di protezione (di qualunque tipo, compresi quelli per tutelarmi da vulcani, invasioni spaziali e via dicendo. Giusto per stare tranquilli), energeticamente autosufficiente e capace di autoprodurre ossigeno, acqua, carta, alimenti e toner per stampanti.
Al piano terra dovrebbe esserci un grande atrio pieno di libri e divanetti, a seguire, su un piano rialzato dopo una scalinata, un bel bosco di alberi e conigli educati. Tutt’attorno libri, fumetti e statue di personaggi che adoro (per lo più derivanti da fumetti, libri, e film).
Nel bosco anche una bella tavolata (lì si consumerà il desinare), un dondolo per il relax, un’amaca, una cyclette, un assortimento di statue e un pozzo dei desideri (non si sa mai), artisticamente disposti.
Poi, chiuse e isolate, un po’ di stanze noiose, come cucina (con i robot), stanza della manutenzione e dispensa (strafornita di sfiziosità).
Ci sarebbe anche una bella stanza da bagno gigante con tutti i comfort e sotto una piscina olimpionica, più una saletta cinema per il MPM.
Tornando al bosco, guardando in su, in corrispondenza delle pareti, ci sarebbero ampie scalinate che corrono tutte attorno alla casa (in sostanza il centro, immediatamente sopra il bosco, sarebbe vuoto, e il resto si svilupperebbe sui lati), corridoi e passaggi, prospicenti a stanze e salottini che danno sull'esterno, piene di libri (il modello è quello della Feltrinelli di Genova) e di angoli relax, con almeno una stanza dei giochi a piano, per i diversi livelli di infanzia, e un paio di trenini per il giro turistico.
All'ultimo piano (il tredicesimo), le stanze da letto, ciascuna munita di toilette privata. Una ventina, così che possa avere un bel po' di ospiti contemporaneamente.
Niente ascensore.
Il tetto, invece, si potrebbe aprire per contemplare il cielo stellato...
A ben rifletterci, e a rileggere quanto descritto, considerato che la casa è la proiezione spaziale di sé, direi che rivelo una personalità monomaniaca con molte problematiche connesse...

Per fortuna mi accetto come sono!

martedì 18 agosto 2015

Un labirinto mentale rarefatto e allusivo

MIND MGMT - Vol. 2
di Matt Kindt


E dopo gli spillatini, arriviamo al fantastico secondo volume!
Ed è fantastico sul serio: uno dei fumetti più stimolanti e intelligenti letti quest'anno (e l'anno scorso)!!! Matt Kindt è un genio, tanto che non so da dove iniziare!
Magari dalla trama?
E' spettacolare, altera il tessuto stesso della realtà sguazzando tra le sue pieghe! Sperimentale, misteriosa, lontana dalla linearità (che detesto) come un verme dalla luna, con un montaggio fantastico, simpatici e inquietanti avvisi in cima alle pagine (I contenuti nell'area di stampa costituiscono il rapporto in prima persona di un agente. E' un resoconto di un narratore inaffidabile. Archiviare il rapporto di conseguenza), finte pubblicità occulte, e un modo di narrare fatto di flashback, parentesi e digressioni (e non è detto che qualcosa non accada anche in fondo alla pagina...)...
All'inizio, sono sincera, non ci capivo nulla (e la pubblicazione periodica non aiutava), mi sembrava di perdermi in un labirinto mentale rarefatto e allusivo, ma questo non sottraeva niente al fascino totale da cui ero avvinta! C'erano delle frasi ogni tanto, delle situazioni, che sfioravano il sublime, processandomi il cervello, confondendo essere e non essere, spazio e tempo, e facendomi sentire come una supertossica nel pieno del suo trip...
I personaggi sono ambigui (chi è buono e chi no? Di chi posso fidarmi?) e ancora adesso mi dibatto nel dubbio! Lo adoro! Per tacere dell'originalità di fondo, della complessità dell'ordito, delle molteplici sovrapposizioni, e di questi disegni evanescenti, appena sbozzati, dai colori chiari, sfumati, assolutamente in armonia con la storia.
Storia che è un meraviglioso caos... e che non riassumo: sappiate solo che ci sono spionaggio, complotti, poteri psichici, una scrittrice dal passato misterioso alla ricerca di una trama (o di se stessa), omicidi, attentati, Immortali e la tremenda Cancellatrice...
E anche se può sembrare una vicenda basata soprattutto sull'immaginazione, sono in realtà l'originalità del linguaggio e gli elementi umani a prevalere, mentre come genere... direi che siamo nell'alveo del thriller.
Anche se a venir presa (e sconvolta e deliziata) è soprattutto la mente.

Semplicemente, da divorare.

domenica 16 agosto 2015

L’epilogo completamente diverso

WAYWARD PINES – 3 L’ULTIMA CITTA’ 
di Blake Crouch


E siamo, dunque, al terzo ed ultimo romanzo, sostanzialmente corrispondente all’episodio finale della prima stagione del telefilm.
Le differenze sono sempre di più, con tanto di inattesa parentesi romantica tra due personaggi inaspettati (almeno dai semplici spettatori della Serie Tv), mentre la strage commessa da XXX (autocensura) viene rappresentata nel dettaglio, non viene concesso alcuno spazio agli studenti e, soprattutto, l’epilogo è completamente diverso: più ottimistico, o più incerto, o più/meno desolante, a seconda di come lo si guarda (c’è la faccenda individualistica, ma anche quella relativa alla specie, all’estinzione e alle risorse alimentari, e poi c’è quanto non ci viene narrato ma siamo costretti ad immaginare, i ruoli giocati dai singoli personaggi…). L’unica cosa sicura è che se mai dovessero proseguire, Serie Tv e saga letteraria, i protagonisti così come le stesse vicende, partirebbero da prospettive diametralmente opposte… E forse sguazzerebbero persino in generi differenti!
Tra i tre romanzi ho preferito il secondo, ci sono più eventi, più inquietudini, nel terzo alcuni fatti risultano forse un po’ fini a se stessi, ripetitivi… Non sono noiosi, per nulla, anzi la tensione è al massimo, però… Però, ecco, avrei gradito qualche squarcio in più sul passato, o, ancora meglio, sul futuro o sugli Abbie e la loro stirpe.
Valutando, invece, l’opera nel complesso, la storia è accattivante, con molti picchi di genialità e suggestione, di adrenalina e ansia, ma nel complesso risulta un po’ superficiale, più votata all’intrattenimento che alla letteratura... Da un lato dà dipendenza e permette al fruitore di leggerla davvero velocemente, dall'altro però suscita un po’ di rimpianto. Perché avrebbe potuto essere molto, molto di più. Le idee ci sono, ma la psicologia dei personaggi è poco approfondita e questi non suscitano molta empatia (non si soffre per nessuna delle vittime e, tutto considerato, non si prova nemmeno autentico odio per i cattivi), inoltre, con così tanta carne al fuoco, i romanzi (specie i primi due) avrebbero potuto dipanarsi facilmente per il doppio delle pagine, così che la trama, pur meno immediata, sarebbe rimasta più a lungo nell’anima dei lettori...
In effetti, Wayward Pines avrebbe potuto essere una di quelle trilogie che restano per sempre, che divengono cult… In questo modo, invece, temo che possa evaporare fin troppo in fretta.

Comunque sono contenta di averla letta, è notevolmente interessante e, per qualche ora, mi ha indotta a dimenticare il resto del mondo.

venerdì 14 agosto 2015

Il miglior film di Stallone

DEMOLITION MAN
di Marco Brambilla
(1993)


Questo è un film d'azione come vorrei ce ne fossero di più: perché c'è tutto, alternato in una miscela perfetta, in cui ogni elemento si bilancia alla perfezione con gli altri, impreziosendolo ed esaltandolo!
Combattimenti bellissimi, ottimo ritmo, adrenalina a gogo e tante chicche (l'occhio staccato per superare il controllo retinico, ad esempio), una buona matrice fantascientifica di tipo distopico (siamo nel futuro, a San Angeles, fusione tra San Diego e Los Angeles, la cultura è morta e si è ridotta a dei jingles pubblicitari d'epoca, la violenza è stata apparentemente debellata, le parolacce, la caffeina e i giocattoli non educativi dichiarati fuorilegge, ma ci sono i terroristi nelle fogne e qualcuno si prepara a prendere il potere), due figaccioni non ancora stagionati che se le danno di santa ragione, ma soprattutto abbiamo un contesto ironico (nonché autoironico) e divertente, con tantissime gag dal sapore fantastico-sociale o semplicemente da ridere a profusione, tra un ammiccamento e l'altro (inclusi quelli su Schwarzy)!
Carinissima e azzeccata, poi, la coppia Sly/Bullock, così come quella Sly/Snipes...
Siamo quasi nel 2000 quando John Spartan (superpoliziotto nell'esercizio delle sue funzioni - Stallone) e Simon Phoenix (supercriminale e superpsicopatico - Snipes) compiono una strage... John, poveretto, non ne può nulla, ci è solo finito in mezzo, ma entrambi vengono condannati all'ibernazione (rispettivamente per 70 anni e per l'eternità)...
Solo che Phoenix ne esce dopo 30 (scopriremo alla fine perché), nel futuro malaticcio sopra descritto, e l'unico modo per fermarlo è svegliare pure Sly, affinché gli dia la caccia...
A coadiuvarlo, l'adorabile e nostalgica Lenina Huxley, alias Sandra Bullock.

Sandra Bullock, vista dal nostro disegnatore

Forse il miglior film di Stallone in assoluto, perché, per una volta, il nostro eroe non si prende per niente sul serio (pur restando stramitico)! Da vedere e rivedere in famiglia, se non si hanno stomachelli disperatamente deboli, perché la violenza è spesso stemperata e comunque discussa e analizzata...
Buoni auspici!
P.S.

All'epoca dell'uscita del film si era fatto un gran discutere per la scena in cui Stallone, all'apice della forma, appariva ignudo... Peccato che al cinema fosse stata tagliata!

mercoledì 12 agosto 2015

Un povero e sfortunato uomo comune

MARCOVALDO
di Italo Calvino


Ossia un’antologia di racconti che hanno sempre lo stesso protagonista, Marcovaldo, appunto, di cui viviamo le bizzarre disavventure e che, a poco a poco, conosciamo in tutta la sua ingenua umanità.
La prima volta l’ho letto alle Elementari: brani selezionati dal libro di lettura, se possibile ancora più brevi di quelli “canonici”.
Mi piaceva, lo trovavo simpatico, divertente, leggero. Specie la novella della panchina o quella dei funghi.
Da grande ho recuperato l’opera integrale e ho cambiato idea: non fa ridere, per niente, piuttosto è il canto dell’amarezza, del rimpianto della natura, della povertà e dell’ignoranza, e mi ha riempita di tristezza!
Ho rivisto tanti racconti con occhi diversi, e soprattutto quello del supermercato mi ha lasciata afflitta, perché non senti solo il dolore del protagonista, ma pure quello dei suoi pargoli e di sua moglie Domitilla, e il sentimento rimbalza dall’uno agli altri, ravvivandosi nella pena reciproca, quella del padre verso la prole, della prole verso il padre (etc.), che va oltre il semplice scontento materiale, ma tocca pure l’inadeguatezza di vivere...
Vero, io sono una che se guarda Fantozzi (lasciamo perdere gli ultimi, imbarazzanti film, alludo ai primi, quelli che erano ancora Cinema) patisco anziché ghignare, però… Però Marcovaldo non è Fantozzi. E' peggio.
E’ un povero e sfortunato uomo comune, un manovale, con una famiglia numerosa sulla schiena (sei figli), meno grottesco e più sensibile, più “normale”, più sognatore. Più tragico dunque. E più terribile.
Perché le sue storie sono plausibili e a loro modo attuali: il poverello fatica ad arrivare a fine mese e spesso cerca assurdamente (e fantasiosamente) di arrangiarsi... peggiorando la situazione.

Italo Calvino, rivisto dal nostro vignettista

Indubbiamente dal punto di vista letterario questi racconti sono adorabili (che diavolo, sono di Calvino!), e hanno pure il pregio di essere brevi e apparentemente poco impegnativi. Strutturati attorno alle quattro stagioni, prendono in considerazione il loro succedersi in città – brutta e industriale –, con i tipici pro e contro (più contro che pro) di estate, inverno etc... Ma sotto sotto sono un invito alla riflessione su molte questioni, inclusa quella ecologica.

Contestualizzando, l’intento di Calvino era criticare con ironia il boom economico anni ’60 e il conseguente passaggio da una realtà agreste ad una industriale, insistendo sul riflesso che questo ha avuto sull’uomo medio, di estrazione popolare… Adesso, forse, questo tema è meno sentito, ma... resta tutto il resto: l'umanità, il disagio, la crisi, lo stile impeccabile.

lunedì 10 agosto 2015

Siamo a regime dimezzato


TAGLI ESTIVI
 

Mi spiace, ci siamo di nuovo.

Da oggi sino al 15 settembre siamo a regime dimezzato: non nel senso che dimezzo i post (che altrimenti, essendo ora a cinque a settimana, sarebbero meno), ma nel senso che ne comparirà uno un giorno sì e l’altro no, inclusi, però, i week-end.

Come l’anno scorso.

E come lo scorso anno ciò è dovuto alla circostanza che voglio dedicarmi alla redazione del mio romanzillo annuale… Ho già buttato giù parecchie idee, e, insomma, approfitto delle vacanze per immergermici con rigore e dedizione (come se fossi una pallavolista giapponese – Mimì docet)!

Naturalmente sono riuscita a cambiare idea all’ultimo momento riguardo al periodo esatto delle mie ferie, che, tecnicamente, sono iniziate il 1° agosto, e non oggi, come di consueto (più o meno), e che si concluderanno il 1° settembre, e non il 15… Ma non è una questione grave, perché possiedo una macchina del tempo e pertanto sono tornata alla scorsa domenica 26 luglio e sto scrivendo tutte le recensioni, sproloqui etc. in un’unica soluzione.

No, non è vero.

Controllavo foste attenti.

Però, insomma, i post che compaiono dal 1° agosto in avanti (incluso il presente) li ho scritti tra il 25 e il 26 e il w-end successivo... Perché non cambio in toto il calendario, piuttosto?

Perché sono pigra.

Perché l’avevo già in precedenza inviato a chi di dovere.

E poi perché sono pigra, e così ho più “bonus”.

E dopo questo, nella prima estate veramente degna di questo nome da un po’ di anni a questa parte, vi saluto e vi bacio, vi auguro buone vacanze, e angurie, gelati e tanto mare!

A dopo domani con la me con problemi spazio-tempo!

Al 16 settembre con la me con problemi di ogni genere!

venerdì 7 agosto 2015

Pura arte sequenziale

QUI
di Richard McGuire


Un fumetto incredibile, strabiliante, che è pura arte sequenziale e che al contempo cristallizza il divenire, l'eternità, facendoci comprendere quanto siamo piccoli e quanto siamo grandi.
Provocandoci vertigini e dandoci la sensazione di volare, facendoci assaporar l'immensità. O restituendocela sotto forma di graphic novel.
Tutto avviene qui, contemporaneamente, nel salotto di questa bella casa americana.
1622.
2015.
1903.
Ad esempio.
E cambiano gli arredi, i vestiti, o la casa non c'è proprio, o è in costruzione, o viene dilaniata da un incendio o ricostruita con un programma informatico...
E alla vignetta principale – che occupa due intere facciate – si sovrappongono riquadri più piccoli, che evidenziano come la quotidianità, nei decenni, resti la stessa (hai ricordato il portafogli?), o cambi, attraversando vari umori, sfiorando tragedie, osservandole accadere o condividendo momenti lieti.
O andando migliaia di anni indietro, o centinaia di anni avanti.
O mostrando il fatto mentre accade e poi mentre viene ricordato e riguardato, a distanza di tempo, sotto forma di filmato.
E a volte è solo la fotografia di un attimo, a volte assistiamo a intere scene, ci sono ammiccamenti e richiami, mentre l'autore gioca con noi, offrendoci molto più che una serie di immagini, perché, mentre le accosta, suggerisce nuovi significati.
E più procedi con la lettura, più ne vuoi, più sai che comunque non potrà bastarti...

Perché, per una mezz'ora, è come essere Dio.

giovedì 6 agosto 2015

Migliore del primo

WAYWARD PINES 2 – IL BOSCO
di Blake Crouch


Decisamente migliore del primo volume, meno lineare, più complesso, meno paradossale, e con numerose differenze in più rispetto alla serie televisiva, tanto che quasi non avrebbe senso elencarle.
Più o meno direi che “Il Bosco” corrisponde alle puntate 6-9, ma, ad esempio, ci sono alcuni capitoli dedicati ad Adam Hussler, il capo di Ethan nel 2013, che illustrano aspetti che nel telefilm sono stati completamente ignorati. Quelli su Pilcher, poi, dedicati a sua moglie e sua figlia, sono davvero notevoli (di nuovo, nella serie non ve n'è traccia) e lui come personaggio, in generale, risulta ben più terrificante, sin dal principio.
In merito alla questione scuola, invece, la Serie è più analitica: qui siamo sempre tra il detto e il non detto, e non ci viene mostrato pressoché nulla. Sappiamo solo che Ben si sta allontanando dai genitori – che, in generale, ignorano che cosa venga insegnato ai figli e non possono fare domande in merito – e che è convinto che Pilcher sia il suo vero padre (non in senso biologico). Incontriamo Megan solo una volta a cena, laddove nella serie è invece uno dei comprimari principali (benché scopriamo un po' di cosette in più circa il suo matrimonio).
Poi c'è la questione dei ribelli, che per certi versi fa apparire tutto ancora più tremendo... Non dirò nulla al riguardo per evitare spoiler, ma devo ammettere che se la serie si fosse attenuta di più all'originale ci sarebbero state più tensione, più aberrazioni (lasciando da parte gli Abbie) e la trama sarebbe filata più liscia, meglio giustificata, meno campata in aria.
Ad ogni modo, e a parte ciò, la lettura “ti prende”, sia per la sua somma scorrevolezza (frasi brevi, ad effetto, descrizioni ridotte all'osso, parecchia azione, dialoghi essenziali, montaggio in stile cinema), sia per quanto la narrazione è rapida e incalzante, con molti particolari (diversi rispetto al telefilm) che incuriosiscono e fanno venir brama di sapere...
Ad esempio, l'angosciante questione dell'omicidio di Alyssa, una bella figliola, amata da tutti, ritrovata per strada da Ethan torturata, nuda e senza vita. Non è una cittadina di Wayward Pines, era un'infiltrata di Pilcher, una dei suoi collaboratori, che doveva mescolarsi ai ribelli e scoprire le loro intenzioni...
La conclusione – stringi stringi e semplifica– è la medesima dell'episodio 9, con le rivelazioni di Ethan e il cancello che viene aperto, ma molte premesse sono differenti, quindi non è detto che gli esiti siano gli stessi.
P.S.
Il personaggio di Pam non c'entra più nulla con quello del telefilm, ed infatti qui si mantiene fedele a se stessa, vera psicopatica doc.

A presto con il terzo volume!

mercoledì 5 agosto 2015

La condizione del diverso

FIORI PER ALGERNON
di Daniel Keyes


Algernon è un topo. Una cavia da laboratorio.
Charlie è un uomo ritardato.
Charlie cerca di battere Algernon in intelligenza, cimentandosi nella prova dei labirinti, ma non è facile: le potenzialità del topo sono state triplicate grazie ad un esperimento scientifico.
Cui si sottopone anche Charlie.
E funziona: non solo Charlie riesce a trionfare su Algernon, ma gli si spalancano dinanzi le porte della conoscenza e della comprensione, fino a che, gradualmente, diventa un genio.
Ma i geni sono destinati alla solitudine e, si sa, la felicità non va a braccetto con l'intelligenza: Charlie si rende conto di tante cose, e in particolare di come i compagni di lavoro – faceva l'inserviente – si prendessero gioco di lui quando era ritardato e ora siano terrorizzati dalle sue capacità... O di come Alice, la ragazza con cui ha instaurato una relazione sentimentale, non sia più al suo livello... O di come i due professori che lo hanno reso ciò che è siano, fondamentalmente, limitati, con un sapere settoriale e specifico...
Ma siamo ancora a metà romanzo circa quando Algernon comincia a perdere colpi, a regredire... Che succederà allora a Charlie?

Daniel Keyes, nella vignetta del nostro disegnatore

Una trama geniale, commovente, bellissima; un classico della fantascienza e una riflessione profonda su tanti aspetti dell'umanità, sulla solitudine, sulle applicazioni scientifiche... Ma più di tutto, sulla condizione del diverso. Sui molti modi di esserlo. Sulle reazioni di chi lo circonda e di lui stesso.
Sulla natura dell'uomo.
E il sentimento, già intenso e potente, viene ulteriormente acuito dallo stile di scrittura: in prima persona, da Charlie. Per cui passiamo da pagine estremamente poetiche infarcite di errori e ingenuità (che spesso ci stringono il cuore, perché se Charlie può permettersi il lusso di non capire, noi invece non possiamo evitarlo) a pagine in cui concetti e linguaggio si raffinano, raggiungendo un nuovo doloroso livello di consapevolezza.
Curiosità: ho conosciuto “Fiori per Algernon” grazie al Dylan Dog n. 23 “L'isola misteriosa”, che gli rende un tenero omaggio. Ma ce ne sono tracce anche ne “I Simpson”, ad esempio...

Curiosità II: in origine “Fiori per Algernon” era un racconto... Poi è stato allungato, integrando in particolare il vissuto di Charlie. Io, però, ho letto solo il romanzo... Pare che il racconto sia più incisivo.

martedì 4 agosto 2015

L'assurdo plausibile

THE MINDY PROJECT


Divertente Sit-com su una ginecologa trentenne (davvero? Dimostra almeno 40 anni), egocentrica, egoista, gioiosamente ignorante, cicciona e indiana che vive a New York, e che – probabilmente perché ad interpretare la protagonista è la stessa sceneggiatrice, produttrice etc. – mentre rincorre la storia d'amore della vita, coniugando carriera e parentesi romantiche, viene inspiegabilmente e irrealisticamente corteggiata da metà degli uomini di New York...
Comunque, devo ammetterlo, alla lunga (siamo alla terza stagione) la serie diventa carina, aumentano e crescono i personaggi di contorno (soprattutto Danny Castellano e l'infermiere Morgan, il mio preferito, pregiudicato che vive con la nonna e quaranta cani), mentre vengono fatti fuori senza pietà (manco accennando ad un pretesto, ma semplicemente facendoli sparire) i personaggi – quasi sempre femminili – considerati meno rilevanti (Shauna, Gwen etc.).
Persino l'inguardabile Mindy (ma perché indossa sempre abiti corti? Non si può coprire quelle gambacce?) finisce per risultare simpatica (per quanto a volte continui ad essere irritante) e meno superficiale...
Certo, spesso si viaggia di stereotipi da commedia romantica (Mindy stessa, nonostante l'apparente velo di follia e la ricercata imbranataggine alla Bridget Jones, è piuttosto convenzionale come donna), ma la Sit è divertente, con un buon ritmo e buoni tempi comici, e, forse perché ci viene somministrata due puntate per volta, fa compagnia, diventando un piacevole appuntamento serale.
In effetti, piace più al MPM che a me, che non impazzisco per le digressioni amorose o pseudoromantiche, ma mi divertono le dinamiche dello studio “Shulman e associati” (il cui titolare sparisce alla terza puntata), l'amicizia e l'alchimia fra i vari comprimari, che a volte giunge a vertici di pura spassosità, o le disavventure ospedaliere e non della protagonista, che ha una propensione innata per combinare pasticci e complicare le situazioni semplici...
Pure la storia contenitore diviene vieppiù interessante, la continuity aumenta e si vira sempre più verso “l'assurdo plausibile”, mentre l'irrequieta Mindy finisce per stabilizzarsi anche dal punto di vista sentimentale (unico rammarico, la partenza del personaggio di Peter per il Texas)...
Insomma, una commedia frizzante e leggera, in continua evoluzione, che più ci si affeziona ai protagonisti più diventa gradevole (anche se, tra tutti, Mindy è il personaggio meno interessante)!

Per il resto, segnalo le periodiche guest star: da James Franco a Seth Rogen, passando per Kevin Smith...

lunedì 3 agosto 2015

L'amore verso Twin Peaks


I MISTERI DI WAYWARD PINES
di Blake Crouch
 

Come promesso (si veda il post del 27 luglio scorso), dopo il rutilante finale di stagione sono oggi a parlare del primo dei romanzi da cui è stata tratta l’omonima Serie Tv (e magari, si veda altresì il post del 10 luglio scorso). …Sostanzialmente corrisponde ai primi cinque episodi e, benché riservi qualche sorpresa, non se ne discosta in modo sostanziale.

Certo, l’infermiera Pam è giovane, belloccia, e non ha legami di parentela con nessuno, lo sceriffo Pope biondo e alto, Beverly è sui trentacinque anni e belloccia pure lei (sono tutte bellocce qui), Kate (sempre belloccia) è più anziana, Ben più piccolo mentre lui e Theresa – rispettivamente figlio e moglie del protagonista, l’agente speciale Ethan Burke – arrivano a Pines prima del loro congiunto e ci sono diverse parentesi sull’esperienza militaresca di Ethan a Falluja, ma niente di sconvolgente (a parte la circostanza che Pilcher appare come uno psicotico megalomane sin da subito, rendendo più coerenti diversi passaggi)…

Semmai ci sono particolari in più, che come tali risultano più grotteschi, ma anche più brutali e interessanti: le esecuzioni pubbliche, ad esempio, vengono definite “fêtes”, festa, in francese, e i partecipanti (tra cui numerosi bambini) sono soliti indossare costumi vistosi, mascherarsi, presentarsi seminudi, costituendo uno spettacolare e realistico ritratto della bestialità umana…

Indubbiamente si tratta di una lettura piacevole, con una notevole idea di base, e uno stile scorrevolissimo e semplice, che ci permette di perdonare la circostanza che i personaggi tutti siano un po’ piatterelli e scialbi.

E’ pur vero che le rivelazioni finali sugli Abbie (Aberrazioni) etc. etc., per certi versi risultano inverosimili… Forse se fossimo stati tenuti un po’ più col fiato sospeso, o se fossero stati seminati più indizi nella prima parte… Ma allo stesso tempo non dispiacciono, sono affascinante, più digeribili che nella Serie Tv, e rendono originale un incipit che sapeva troppo di già sentito…

D’altro canto, dopo la lettura della postfazione dell’autore, con la sua dichiarazione d’intenti e di amore verso Twin Peaks, si comprendono molte cose, e non si può esimersi da un cenno di approvazione.

Perché se il vero scopo di Blake Crouch era di creare una cittadina incantevole in superficie, quanto storta e agghiacciante sotto: beh, direi che ci è riuscito in pieno.