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lunedì 30 settembre 2013

Shockante


Il PIANETA DELLE SCIMMIE
di Pierre Boulle

 
Classico della Fantascienza che ha ispirato film e telefilm, parzialmente diverso dal capostipite con Charlton Heston, ma comunque un capolavoro.

La breve cornice introduttiva (con i due personaggi che nello spazio recuperano il messaggio nella bottiglia – ossia sostanzialmente il romanzo – e che nel finale, scettici, si rivelano scimpanzé) è terribilmente scontata ormai (ma l'opera risale agli anni '60), tanto che non mi sono auto-censurata nemmeno lo spoiler... Tutto il resto, però, è intramontabile...

In sostanza atterriamo su questo mondo identico alla Terra in cui uomini e donne sono bellissimi (grazie all'evoluzione), ma ridotti allo stato bestiale, senza nemmeno facoltà di favella, ed infatti vengono cacciati dalle scimmie alla stregua di selvaggina. Scimmie che invece, suddivise in caste, governano il pianeta, indossano abiti, parlano e fanno esperimenti scientifici.

Il protagonista, il giornalista terrestre Ulisse Mérou, il narratore, dopo molti sforzi, riesce a farsi notare da una studiosa scimpanzé come creatura senziente, ma farsi accettare dal resto della comunità è un altro paio di maniche...

Il libro solleva molte problematiche, dando applicazione pratica (e fantasiosa) a teorie scientifiche quali la relatività e l'evoluzionismo... Mette in guardia gli uomini dall'impigrirsi troppo, specie a livello cerebrale, poiché è così che le scimmie hanno preso il sopravvento, e ci permette di immedesimarci nel prossimo sia esso “il diverso” o “l'inferiore”, invitando alla tolleranza e alla comprensione... Soprattutto, però, è coinvolgente (davvero non possiamo evitare di sentirci chiamare in causa in prima persona), fascinoso (soprattutto nelle parti relative alla descrizione della società scimmiesca e al destino dell'umanità), straniante, benché, inevitabilmente e volutamente, affligga il lettore con ondate di malessere toccando in lui corde profonde e dolorose. Shockante, ad esempio, è la sorte del Professor Antelle o di Arturo Levain, compagni di avventura di Ulisse Mérou.

Nel complesso, una lettura veloce, fluida, dallo stile asciutto, ma sovente percorso da afflati poetici. Una trama geniale e annichilente.

domenica 29 settembre 2013

Denso di risonanze


LA LUNGA VITA DI MARIANNA UCRIA
di Dacia Maraini

 
Soprattutto un romanzo sulla miserevole condizione della donna nell'arcaica e contraddittoria Sicilia del 1700, aberrante sotto molti aspetti, allucinante sotto altri, la cui protagonista, Marianna, nobile della famiglia Ucrìa, costretta a tredici anni a sposare il vecchio zio, tuttavia, anziché abbattersi su se stessa e ammutolire nella rassegnazione (espressione non casuale) riesce a trovare un modo per sopravvivere ed affermarsi, elevandosi al di sopra del mondo gretto e meschino che la circonda.

Il suo apparente handicap, infatti, il sordomutismo, non congenito ma sopraggiunto nell'infanzia, è dovuto ad un terribile segreto, facilmente intuibile, certo, ma che qui desta scalpore non tanto in virtù della prevedibile rivelazione -colpo di scena, quanto piuttosto per le sue implicazioni e per l'analisi puntuale – mostrata, più che argomentata – che l'opera svolge a livello sociale, storico e intimo.

Una vita lunga, dunque, quella di Marianna – come ci informa il titolo – in cui non accade nulla e succede tutto, in cui assistiamo al destino dei suoi familiari e seguiamo il suo, quello che lei decide di costruirsi, scoprendo a poco a poco che non è costretta a seguire le regole imposte dal suo ceto, e in cui i fatti sono importanti nella misura in cui assumono il suo punto di vista e con lei si confrontano.

Sotto il profilo narrativo è sicuramente un romanzo piacevole, con espressioni interessanti e garbate, uno stile scorrevole, ma puntiglioso, capace di emozionare e di suggestionare con le parole, senza limitarsi a confezionare frasi scontate, ma ricercando la bellezza in ogni vocabolo.

Breve, rapido, ma complesso, denso di risonanze, di musicalità, di dettagli fra le righe, e capace di lasciare una traccia di sé.

sabato 28 settembre 2013

L'uso improprio della "forza"

 
Caro MPM,
mi chiamo Luca Cielocamminatore e ti scrivo dal pianeta Tatooine, una amena località tra le stelle che ha tra i suoi maggiori eventi turistici il Rally delle Valli e l'annuale raduno dei cloni alpini, pressappoco come il vostro Col di Nava. Ultimamente ho litigato con il mio babbo che ha pensato bene di amputarmi la mia mano preferita, la destra, Federica. Come siamo giunti a tanto è presto detto... Poiché su Tatooine la vita sociale è inesistente, quando ho raggiunto la pubertà gli zii, presso i quali mi aveva mandato a stare papà, hanno pensato bene di regalarmi un bidone di lubrificante ed un bambolotto dorato dal nome impronunciabile. Ero talmente depresso... Fortunatamente, un giorno, il vecchio Chenobbio mi ha spiegato che noi uomini non abbiamo bisogno delle donne, basta che usiamo la mano con la "forza"! Quando è venuto a saperlo il babbo, miiii come si è arrabbiato! Ha detto che se avessi continuato, sarei diventato cieco. Mi ha costretto a fare i bagagli e ad andare dal nonno, Yomario, un vecchio botanico esperto di funghi e muffe. Forse pensava di farmi pensare ad altro, grazie a tutte le minestre del nonno e ai successivi "viaggi" che ci facevamo con le spore che il vegliardo raccoglieva. Poi però è arrivata mia sorella, con il fidanzato ed il cane, ed io ho sentito nuovamente pulsare con forza nella mano. Papà voleva portarmi da un chiropratico delle palpatine, io però mi sono chiuso nel suo ufficio,  allo Studio di Architettura Morte Nera, facendolo andare su tutte le furie. Avessi sentito come sbuffava! Così ha sfondato la porta e mi ha tagliato la mano. MPM, come posso fare ora?
 
Con i miei più cari saluti,
Luca Cielocamminatore
(luke@deathstar. sw)


Caro Luca,
il problema mi pare di facile soluzione. Hai mai sentito parlare di ambidestri? Occorre solo un po' di pratica e sono sicuro che troverai qualcuno che sarà disposto a darti una "mano". Magari chiedi al vecchio Chenobbio.

Un abbraccio
MPM

venerdì 27 settembre 2013

oh!


KILLER JOE
(2012)

C’è chi (My Movie), a proposito di questo film, parla di “un aggiornamento coraggioso dello stile tarantiniano” (parafraso)… Non sono assolutamente d’accordo! Ma che c’è di Tarantino, qui? Magari si può far riferimento ai fratelli Coen, ma non c’è abbastanza virtuosismo o divertimento per l’autore di Kill Bill… Violenza sì (ma neanche così tanta e sicuramente non così goduta), elementi pulp, okay, personaggi interessanti, sì… Ma, sul serio, mica basta, accipigna!
Ben inteso, il film è molto carino, una sorta di truce noir (che avrebbe potuto esagerare parecchio di più) che diverte e impietosisce al contempo, con una trama intelligente e sfiziosa e qualche colpo di scena… Però, davvero, le similitudini con il Maestro finiscono qui e sono superficiali! La pellicola è troppo amara, troppo dolente… Non che sia un difetto, è che le differenze sono più dei punti in comune, quindi che senso ha il richiamo? E’ sviante!
Comunque, la pellicola è assai gradevole, piena di tensione, un lieve tocco poetico, ma anche una manciatina di curiosità… Persino Matthew McCounaghey azzecca la parte, laddove di norma è solo un bellimbusto rigido e senza espressione, qui riesce a dimostrarsi eclettico, simpatico, dolce e… terrorizzante.
Interpreta Joe, un sicario a pagamento che viene ingaggiato dalla scalcinata famiglia di Emilie Hirsh (poveri diavoli senza un soldo e con poco cervello che abitano in una roulotte) per ucciderne la madre, separata e convivente con la nuova fiamma e che pare abbia una succulenta assicurazione sulla vita a favore della figlia minore. Ma naturalmente le cose non sono destinate ad andare lisce…
Sinceramente sono rimasta piacevolmente sorpresa, ma non ho avvertito l’esaltante scarica di energia tipica dei film di Tarantino… La maggior parte dei colpi di scena è prevedibile (ma non per questo meno apprezzabile), a tratti il film rallenta, si perde, inciampa, e nel complesso si ghigna meno… Però… Ecco, la fine è pazzesca.
Ti lascia lì, letteralmente, tra un’imprecazione e una “oh!” di sconcerto.
C’è chi non la troverà soddisfacente, ma per me è assurda quanto perfetta. Magari non originalissima, tutto considerato, ma calza così a pennello che: chi se ne cale? E alla fine non importa se sono stata tratta in inganno e di Tarantino spunta a mala pena l’ombra perché la varietà è sempre gradita.

giovedì 26 settembre 2013

Un dipinto del Romanticismo


PRIMAVERA

 
L'ideale quando si è ormai ufficialmente in autunno, ossia, come dico io, prossimi alla fine della vita... Ad ogni modo questo è il mio disegno più recente e risale, mi pare, a due anni orsono (non sono molto prolifica, in effetti).

E' ispirato ad un dipinto del Romanticismo, di cui, come al solito, non ricordo né autore né titolo e che sono troppo pigra per controllare. Del resto, dell'originale non resta più di tanto, perché l'ho “mostricizzato” e i colori tenui e delicati hanno assunto qui una sfumatura violenta... Se ha una forma inconsueta, sviluppata eccessivamente in orizzontale, è perché era nato per essere sfruttato come disegno su tazze... Solo che, dopo aver realizzato i prototipi (che ho regalato senza conservarne esemplari), il MPM si è dimenticato di proporle sul suo sito ufficiale e io non ne ho saputo più nulla...

Forse mon amour si era un po' scoraggiato perché alcune erano giunte difettose e la malvagia ditta realizzatrice non aveva voluto sostituirle, adducendo che rispondeva solo in caso di cocci...

La prossima volta provvederemo a spaccare le tazze, in caso di sbavature, e non far cenno ad altro.

Va mu... perché “Primavera”?

Perché a questo il disegno mi fa pensare...

Bau!

mercoledì 25 settembre 2013

Uno dei miei romanzi preferiti


IL BUIO OLTRE LA SIEPE
di Harper Lee

 
Dapprima si rimane incantati dalla prosa semplice e immediata della scrittrice, capace di coinvolgere sin dall'incipit, con simpatia e con leggerezza, anche se la storia che ci verrà narrata, per quanto vissuta attraverso gli occhi di due bambini, per quanto ci farà ridere e spesso sorridere, già lo sappiamo, ci toccherà nel profondo, scuotendoci la coscienza, commuovendoci, ed arrivando dritta al nostro cuore.

Poi sono i personaggi a rapirci: Scout, piccola e pestifera (sei-otto anni), irresistibilmente pragmatica, con una logica ferrea e implacabile capace di spiegare qualunque cosa, ma anche di porre le domande giuste, quelle che davvero ti mettono a nudo; Jem, suo fratello maggiore, più riflessivo, più sensibile, dolcissimo; e poi lui, Atticus Finch, il papà, l'avvocato che tutti vorrebbero avere, un uomo che, parafrasando le parole della vicina, “in casa si comporta come fuori”. Idealista, coraggioso, integerrimo. Eppure a vederlo è solo uno stanco gentiluomo di mezz'età, colto, gentile, placido, con un discreto senso dell'umorismo e la passione per la lettura serale. Chi lo direbbe che in gioventù con il fucile era il migliore della contea? Odia le armi e non ne possiede...

Conosciamo il paesino di Maycomb, nell'Alabama degli anni '30, le sue ipocrisie – che spesso ci suonano divertenti, fino a che non ci fanno indignare – la sua multiforme umanità (che sovente è qualcosa di più di quel che sembra, ma a volte anche qualcosa di meno), le vicine, l'assurdo metodo di insegnamento di Miss Caroline, e personaggi bellissimi, magari tratteggiati con poche righe, come la signora Maudie, o il signor Cunningham, o boo Radley...

La parte più intensa, però, quella più bella di tutte, è quella del processo, in cui sogghignamo con il Giudice, ci commuoviamo con Dill, speriamo con Jem... E poi ci arrendiamo di fronte alla realtà, trovandoci a fare i conti con essa.

E forse dei motivi per consolarci ci sono lo stesso, ma così piccoli, così minuscoli, che non è semplice coglierli.

Il tema affrontato è quello del razzismo, della discriminazione, che viene studiato da più punti di vista (“mettendoci nei panni degli altri”), svolto in modo quasi corale, grazie a più verità sovrapposte, di contorno alla vicenda principale, con un'acutezza dolorosa ed esatta, che Atticus, Scout e Jem ci permettono di interpretare nel modo più tollerante, ma anche più impietoso, accompagnandoci mentre traiamo le nostre conclusioni, dopo lo SBAM! che abbiamo preso in faccia.

Il finale, poi, ci sorprende con una morale implicita, suscettibile di ermeneutiche difformi, che potrebbe far discutere molto, ma che io trovo realistica, brillante e perfetta.

Sinceramente, questo è uno dei miei romanzi preferiti.

E Atticus è uno dei personaggi più belli della letteratura (anche se, non posso farci niente, io preferisco Scout).

martedì 24 settembre 2013

Un capolavoro inarrivabile


LONE WOLF & CUB
di Kazuo Koike e Goseki Kojima


Manga magistrale per testi e per disegni che esprime la “nipponicità” nel suo sentire più profondo, più tradizionale, con un senso della dignità e dell'onore che magari non coincidono con i nostri, ma che a poco a poco impariamo a comprendere e a lodare.

Senza esagerare, il migliore che abbia mai letto.

Siamo nel Giappone feudale, il nostro protagonista, Ogami Itto, è un ronin che viaggia in cerca di ingaggi (da killer) con il figlioletto Daigoro, un bimbo di tre anni. Presto però scopriamo che non è solo questo, ma un uomo incorrotto, integro, giusto e nobile, oltre che pressoché imbattibile, specie con la spada, e ricco di risorse di ogni tipo, che ha perso tutto a causa di una falsa accusa e che quindi medita vendetta contro il clan responsabile, quello degli infami Yagyu. Anche il suo cucciolo, Daigoro, avrà più volte modo di sorprenderci per la sua dolcezza, per la sua dignità, ma anche per le sue insospettabili doti guerresche.

Il fumetto è davvero violento, crudo, sanguinoso, con combattimenti spettacolari e molto variegati, curatissimi nelle inquadrature e nel montaggio, che però non sono mai privi di significato, e che spesso esaltano sentimenti positivi quali la pietà e la devozione. Ci offre uno spaccato dettagliato del Giappone del XVII secolo, indagando le sue abitudini a qualunque livello sociale e la sua “filosofia”, il suo sistema di pensiero, riuscendo nella non facile impresa di trasmettercelo e fornirci gli strumenti per capirlo attraverso una ricostruzione storica impeccabile quanto precisa.

Il taglio è cinematografico, rapidissimo, con molti silenzi alternati a dialoghi intensi e poetici, vedute paesaggistiche che richiamano riflessioni esplicitate o implicite, e scoppi improvvisi, duelli mortali, battaglie epiche...

I personaggi sono ben delineati, ed estremamente espressivi: in principio appaiono freddi, distaccati, ma quando si apprendono le loro motivazioni, i loro valori, e si comincia ad entrare nella loro ottica è impossibile non tributar loro semplice e adorante ammirazione, fino ad amarli per la loro incommensurabile grandezza e coerenza.

L'opera, scritta negli anni '70, consta di ventotto volumi di circa 300 pagine ciascuno, suddivisi in episodi, di cui alcuni indipendenti, altri (sempre di più proseguendo nella lettura) legati dalla continuity, tutti appassionanti e godibilissimi.

Nel complesso, un classico, un capolavoro inarrivabile più bello (e più adulto e complesso e stratificato) di “Vagabond” e de “L'immortale”, che pure apprezzo tantissimo.

lunedì 23 settembre 2013

Spiritualmente libero...


HYSTERIA

 
Un film che non volevo vedere, che non mi ispirava per niente, verso cui ero totalmente prevenuta. Ispirato alla storia del vibratore (sic!), a come è nato (pare, per curare l'isteria delle donne) e ai suoi perché.

Ambientato nel 1880 e condito con le più astruse tesi pseudo scientifiche, assolutamente non porno, né erotico, né perverso... Piuttosto sagace, intelligente e un po' alternativo, con dialoghi avvincenti e personaggi pittoreschi (una menzione d'onore all'interpretazione di Rupert Everett, davvero meravigliosa!).

C'è anche una spruzzata di denuncia sociale, una riflessione sulla condizione femminile, ottime ricostruzioni, ma soprattutto lo spettatore avrà il sorriso perennemente sulle labbra. Niente volgarità, ben inteso, le pazienti, poi, sono quasi tutte vecchie carampane, quindi non ci saranno neanche troppi bollenti spiriti da quietare, però... che deliziose risate all'inglese!

Invero, io temevo soprattutto che fosse un film verboso e saccente, ma non è nemmeno questo, anzi è frizzante, spiritualmente libero, talvolta spiazza, ma non esagera, ed i protagonisti sono un amore. Specie Maggie Gyllenhall, adorabile, anche quando è irritante.

Una commedia, insomma, non un documentario, un po' piccante in alcuni spunti, ma nel complesso morigerata. Anzi, ad un tratto (purtroppo) vira addirittura nel romantico e nel prevedibile, ma anche se questo un pocherello guasta - perché la pellicola avrebbe potuto regalare molto, molto, di più, osando un briciolino ancora – la fine garbata e rasserenante rimane comunque gradevole.

domenica 22 settembre 2013

Beffardo, ma senza sorriso...


TRE
di Tiziano Sclavi

 
Romanzo che continuo a leggere, che possiedo in quattro edizioni diverse, e che continuo a non capire, che mi lascia l'amaro in bocca avviluppandomi in trame grottesche e lampi di genialità che si intersecano e sovrappongono inchiodandosi in se stesse, che spesso recano echi lontani o vicini, o contemporanei, uno stile asciutto e un'ironia graffiante, che però ha il gusto per l'autocommiserazione.

Un libro nero, beffardo, ma senza sorriso, che ama contraddirsi da solo e che non lascia speranze di salvezza o di riscatto. Che non consola, non salva, ma sempre sconcerta e affascina, senza permettere a nessuno di prenderlo in mano. Perché non si può, perché è come l'acqua o la sabbia, e scivola via.

Ispirato a tante cose (da “Mattatoio n. 5” di Vonnegut a “Freaks”, il film di Tod Browning), le accarezza tutte e non ne coglie nessuna.

Però Sclavi – l'autore di Dylan Dog – ci ha messo un pezzo della sua anima dentro e leggerlo è come guardare l'Aleph (vedi Borges), dove tutto accade contemporaneamente.

Un tempo lo avrei definito uno dei miei romanzi preferiti, ora non sono più così giovane, e prediligo la sostanza alla mera suggestione.

Però, ecco, qualora non si fosse compreso, è un libro che mi piace, questo, e che trovo significativo, perché è uno di quelli in cui al lettore è chiesta un po' di collaborazione ed offerta una bella atmosfera. In cui i nodi si formano ma non sempre vengono al pettine, ma se decidono di farlo non hanno limiti e possono disfarsi o invertirsi o sfasciare tutto.

Un libro interessante, onirico, con un pizzico di delirio e in mezzo una risata. Un po' gracchiante, però, e un po' agra.

A mio modesto avviso, il più bello che Sclavi abbia scritto. Eccetto forse Dellamorte, Dellamore... Ma dovrei rileggerli di nuovo per esprimere un giudizio definitivo...

sabato 21 settembre 2013

Una mail piccola e blu


Benvenuti a tutti,
questo è il primo appuntamento con La Posta del Quore, la rubrica di confidenze intime che sostituirà settimanalmente un post della Otta, al momento impegnata con il suo nuovo libro. Dal mucchio di missive, arrivate dopo l'annuncio di ieri della mia presenza qui, ho scelto questa...
 
Caro MPM,
mi chiamo Puffetta e vivo in un piccolo villaggio di cui preferisco non fare il nome, per ovvi motivi di privacy. Quando sono arrivata qui sono stata accolta in pompa magna, capirai ero la prima ragazza che gli abitanti di questo posto vedevano! Ho ricevuto lettere d'amore, regali e proposte praticamente da ognuno di loro. Il problema, MPM, è che sono lesbica! Appena si è saputa la notizia, nella nostra piccola comunità è sceso il gelo. Tutti girano con musi lunghi e tristi. Qualcuno però ha anche avuto a cuore la mia situazione. Inventore, per esempio, mi ha costruito un attrezzo per farmi sentire meno sola. Si tratta di una specie di scandaglio ma dalle forme più vivaci. Lo stesso GP, il vecchio sindaco del nostro villaggio, si è interessato al mio caso. Ogni giorno ho appuntamento a casa sua, dove mi sottopone ad un'accurata visita medica, con lo scopo di rendermi una ragazza normale. L'esame dura circa un'oretta, giusto il tempo che occorre all'anziano dotto per infondere "energia puffa" (lui la chiama così) in ogni recondita parte del mio corpo. Domani mi dovrò presentare da lui con l'attrezzo, perché vuole vedere se lo so usare correttamente.
Sono perplessa, mio buon MPM, e se non dovessi guarire?
Con affetto
Puffetta
(tipablu@villaggio. pf)


Cara Puffetta,
non crucciarti. Non pensare di essere difettosa solo perché sei diversa dagli altri. Visto che al villaggio avete Internet, perché non dedichi una sera a navigare sulla Rete? Scoprirai un mondo fantastico là fuori, pronto ad accoglierti. Quindi rispolvera il sorriso e preparati all'avventura!
Mi raccomando, prima di andartene, saluta GP e stringigli la mano da parte mia, lui sicuramente capirà. Bacioni!
MPM

venerdì 20 settembre 2013

Mumble mumble...


PONDERAZIONI E PROPOSTA INDECENTE

 
Sarò breve e arriverò subito al sodo: un post al giorno è una faticaccia... Di norma no, di norma è un piacere, ma ora che ho ripreso a lavorare a pieno regime e che soprattutto voglio dedicarmi all'ultimo romanzo che ho in cantiere (e di cui, benché mi ci sia spremuta ben bene tutto agosto, non ho nemmeno finito la prima stesura), che reclama ogni istante attenzione, risucchiando week-end, pause pranzo e vita sociale, i post stanno diventando un compito titanico...

Ecco perché sto vagliando soluzioni alternative: le più ovvie sono ridurre il ritmo o prendersi un mesettino di pausa... Conoscendomi piuttosto schiatto, ma vado avanti così, anche da zombie... Ma ci sarebbe una terza ipotesi, la cui fattibilità però non dipende interamente da me...

Ebbene, anche il Mio Perfido Marito porta avanti un blog (delittando.blogspot.com) e ha lo stesso problema che ho io: un post al dì è impegnativo! Per cui gli ho rivolto una proposta indecente, ossia di collaborare insieme, alternandoci e ripartendoci gli spazi... Insomma, assorbirlo (non perché il suo blog sia “meno” qualcosa del mio, ma solo perché lui non fa che minacciare di chiudere i battenti, e questo sì che sarebbe un delitto!)... E' da parecchio che lo corteggio in questo senso e magari prima o poi cederà... Incrocio le dita.

P.S.

Mi auguro prima che io abbia finito il romanzo nuovo...

giovedì 19 settembre 2013

Anche una patata al forno...

 
IT
di Stephen King
 

Romanzo monumentale che si legge in un fiato, etichettato come horror, ma in realtà, per quanto di brividi ne regali, e conditi con un bel po' di suspence, è al contempo molte altre cose.
 
Il libro, infatti, si svolge su due piani: i protagonisti bambini, i protagonisti adulti, a fare i conti con lo stesso mostro: It, che affligge da secoli la città di Derry, nel Maine, e assumendo le sembianze dei tuoi terrori più grandi: quindi può essere Pennywise, l'orrendo clown, ma anche una patata al forno, a seconda di chi è la sua vittima.
 
Ebbene, la parte sull'infanzia è riuscitissima e per quanto mi riguarda mentre leggevo di questi sette bambini – emarginati rispetto agli altri per un motivo o per l'altro (c'è l'asmatico, la ragazzina povera, il ciccione...) – stringere amicizia fra loro, progettare la casa sull'albero (che non sarà sull'albero) e scontrarsi con i bulli della scuola, ero così presa da loro che di Pennywise non mi importava più un accidente... I fanciulli sono uno più adorabile dell'altro e forse ci ricordano un po' "i Goonies", ma meno scanzonati e al cospetto di vicende assai più drammatiche (e non alludo solo a It, che forse è il meno peggio)...
 
La faccenda cambia quando i piccoli crescono, perché a tratti la storia si fa stantia, stancante, perde poesia, e quel bellissimo incantesimo che conteneva in nuce, inespresso, legato a come si vede il mondo quando ancora si sogna ad occhi aperti in ogni momento della giornata, si infrange inevitabilmente...
 
Per giunta, se pure, nel complesso, King sforna davvero un bel libro, quando alla fine si scopre chi è It, la delusione è cocente... Evito spoiler, ma ci sono persino alcuni punti di umorismo involontario...
 
Per il resto, chiaro, lo stile è una meraviglia: ironico, divertente, capace di approfondimenti psicologici ineguagliati come di creare tensione totale... Non solo horror, però...
 
Senz'altro, checché si dica, non è il capolavoro di King (al più potrà essere il suo libro più famoso), che, sinceramente, ha scritto di meglio (chi ha mai sentito parlare di Roland di Gilead, figlio di Steven?)... Però, per i kinghiani doc è sicuramente un testo irrinunciabile anche perché si riallaccia a molti altri... Ad esempio ritroviamo It di sfuggita ne "Le creature del Buio" o Richie e Bev in "22/11/'63"... Per tacere dei collegamenti da esaltazione nerd con la saga de "La Torre Nera"... Per i lettori occasionali, invece, può comunque rivelarsi una piacevolissima, entusiasmante sorpresa...

mercoledì 18 settembre 2013

La trama è un gioiello


7 PSICOPATICI

(2012)


Una storia che si compie mentre ci viene raccontata e che ne comprende altre, che si arricchiscono a vicenda, creando nuovi sviluppi narrativi. Geniali, spiazzanti, divertenti. Con un sacco di morti (di alcuni dei quali avrei davvero fatto a meno, ma amen, erano belli), senza pietà, molta ironia, molta violenza, umorismo, il senso del racconto, e una discreta dose di sangue.

Veniamo lasciati a bocca aperta sin dalla prima scena: coinvolti con un bel dialogo alla Tarantino ci convinciamo di essere al cospetto dei nostri protagonisti, o almeno di due personaggi chiave. Errore. Il personaggio chiave sopraggiunge cinque minuti dopo. E noi rimaniamo fulminati.

La verità è che la trama è un gioiello, ma anche i protagonisti sono magnifici. E sono davvero psicopatici, senza rimedio, ma ciascuno con una sfumatura diversa: Woody Harrelson allegro e gigione, Sam Rockwell a metà tra un bimbo e il vero autore della commedia nera che stiamo vivendo, Christopher Walken con una stanca poeticità rassegnata e imperscrutabile, che induce alla tenerezza, E Tom Waits, che... Beh, lui è un tantino sconclusionato, ma ha dei conigli e una storia di amore e di vendetta alle spalle (ma soprattutto dei conigli), quindi dobbiamo amarlo per forza.

C'è anche Colin Farrell, con la sua perenne aria stropicciata da neo vittima di stupro, che qui, nel ruolo dello scrittore, contrariamente al consueto non mi dispiace e si cala perfettamente nel personaggio. Infatti sembra non capire niente, ma si dimostra sensibile e tenerello, e tanto basta.

Il motore della storia, se vogliamo (niente male neanche questo), è il finto rapimento di un cane, che ci porterà sempre più allegramente a discendere nella follia (ma con qualche parentesi in mezzo. Alcune di “follia parallela”, altre di “vita”. Regaliamo un fiore virtuale alla signora Myra, la moglie di Hans).

Alcune immagini sono visivamente folgoranti, molto suggestive, dialoghi ottimi, spettacolare la resa dei conti finale. Diciamo, entrambe. Sia quella immaginaria al cimitero, che quella “reale” nel deserto.

Un film davvero entusiasmante!

martedì 17 settembre 2013

Magnifica ricostruzione storica


L'ALTRA DONNA DEL RE
di Philippa Gregory

 
Splendido romanzo storico ambientato alla corte di Enrico VIII d'Inghilterra che ci istruisce doviziosamente sul modo di vivere e sulle ambizioni dell'epoca, precipitandoci letteralmente tra balli e cavalcate... La storia si incentra su Anna Bolena e su sua sorella Maria che si contendono l'amore e la passione del re: ma se Anna sfrutta intelligenza, astuzia e capacità seduttive, perseguendo soprattutto la sua brama di elevarsi al di sopra del suo rango, Maria, invece, rifiuta i giochi di potere ed è dedita solo all'amore, al rispetto (anche verso la sfortunata regina Caterina) e alla bontà. E, suo malgrado, all'affetto che nutre per la sorella.

Chi vincerà in definitiva, tra le due, sarà il lettore a determinarlo, quello che è certo è che a livello narrativo, per quanto Anna in un certo senso rappresenti l'oscurità e Maria sia l'incarnazione della luce, la prima ha un fascino così potente, un carattere talmente forte e intenso, per quanto corrosivo, che non preferirla è davvero difficile. Non è il suo punto di vista quello che ci viene offerto, ma quello di Maria, dell'altra Bolena, eppure di lei ci importa solo fino ad un certo punto, perché in effetti è proprio così: “l'unica, vera, indimenticabile Bolena” è proprio Anna.

Una storia emozionante tra continue ascese e ricadute, intrighi, smacchi, paure, passioni e grandi personalità (e che infatti ha come pregio massimo quello del realismo e della forza dei personaggi e delle relazioni che si instaurano fra loro). Magnifica ricostruzione storica, che non si limita ad illustrarci gli eventi, ma ci consente di coglierne i retroscena, conducendoci all'interno e dietro di essi. Atmosfera coinvolgente, stile fluido, con qualche tocco ironico e molte espressioni felici.

Da segnalare che non si tratta del solo libro di quest'autrice sulla dinastia Tudor: se non erro sono disponibili altri cinque titoli.

lunedì 16 settembre 2013

Piccoli dettagli della quotidianità


BANANA YOSHIMOTO

 
Autrice giapponese, freschissima e molto giovanile, dallo stile semplice, immediato ed intimista, ma dal frasario ricercato, accattivante, capace di infondere nel lettore un senso di tranquillità, di dolcezza ed accettazione per le cose del mondo, oltre che di permettergli di conoscere qualcosa del Giappone: non solo a livello di usi, costumi, vocaboli e di cucina, ma anche del modo di ragionare, di pensare, di sentire.

Spesso parte da piccoli dettagli della quotidianità per narrarci una storia che, seppure affrontata con calma e levità, a piccoli brani, rivela aspetti traumatizzanti, nel passato o nel presente, toccando temi cupi e importanti, come la morte, la malattia, la sessualità, la solitudine, e, talvolta arrivando ad avere persino accenti terrorizzanti, se pure poi temperati dalla personalità rassicurante – talvolta un po' infantile – del/della protagonista.

Una delle scene più spaventose che abbia mai letto, infatti, si trova in uno dei suoi romanzi (purtroppo non ricordo quale) e descrive una fanciulla che fa il bagno. Ad un tratto, dal nulla, nella vasca compare una paperella di plastica, che lei sa essere stata (mi pare) dei vecchi proprietari deceduti... Capisco che detto così non sembri granché ma a me era venuta la pelle d'oca (cosa che non mi è mai capitata con Stephen King...). Probabile ci fossero altri particolari che mi sfuggono, comunque...

Il suo difetto peggiore, invece, a parte il semplicismo di alcuni passaggi logici – che però di solito risulta perdonabile – è che le sue numerose e brevissime opere alla fine sembrino tutti uguali. Non tanto per il ripetersi dei temi, (che sono essenzialmente un pretesto per indagare angosce ed emozioni) quanto per l'atmosfera sempre identica, per i personaggi che si somigliano, per l'incedere sempre uguale della narrazione. Che apprezzo e che mi ha indotto a leggerla parecchio, senza mai pentirmene, ma che alla lunga disincentiva, regalando solo l'ennesima versione di se stessa.

Ad ogni modo, quello il suo romanzo che ho preferito in assoluto è “N.P.”, forse il più ricco di spunti. Quello che mi è piaciuto meno è forse “Sly”.

domenica 15 settembre 2013

I foglietti gialli…


URLA NELLA NOTTE

 
Questo post è stato espressamente richiesto dal Mio Perfido Marito, che vuole che mi auto denunci. In effetti gli sono debitrice di un bel po’ di notti insonni, quindi è giusto che espii.

Ebbene, il problema?

Il problema è che, di norma lunedì notte (why?), tra l’una e le quattro, mi sveglio urlando. Oh, yeah, come nel più classico degli horror sulle case infestate! Più esattamente, trasalgo come una posseduta strillando (non bisbigliando) “Oddio!” in un paio di varianti. Naturalmente il mio povero tesoro si sveglia, sotto shock, e mi chiede che succede: se la casa va a fuoco, se Dado è stato rapito, se ho avuto un’epifania divina… o satanica.

Di solito non è nessuna di queste ipotesi e io mi limito a dire: “aspetta”, mi spremo le meningi per qualche istante, e poi crollo riaddormentandomi, beata, senza proferire verbo e risolvere il mistero (curiosamente in questi giorni di tregenda la mia quotidiana insonnia non dà segni di sé).

Non sempre mon amour ha la stessa fortuna e trascorre il resto della notte ben desto, rimirando il soffitto, chiedendosi se ho combinato qualcosa di grave o se la vita continuerà anche domani.

Di norma sono innocente, ma lui come lo sa? (Ora ci sta facendo il callo e prende la cosa abbastanza sportivamente, ma se avessi fatto queste uscite tra qualche anno forse sarebbe deceduto per un infarto.)

Però le sere più gustose sono quelle in cui fornisco una spiegazione… Perché è delirante, senza eccezioni, (spesso raccontini o suggestioni narrative scaturiscono da lì). Ad esempio, una notte, ho sognato di aver dimenticato i foglietti gialli… Quali foglietti gialli? Quelli essenziali, per prolungare l’esistenza, che settimanalmente vanno spediti al Reggente Cosmico, pena la privazione dell’aria… Ho impiegato un discreto tempo per realizzare che non era la realtà ma solo un incubello, perché lì per lì, conscia di aver siglato la condanna a morte di tutta la famiglia, ero davvero in ansia e non ragionavo molto lucidamente. Il MPM si è affannato a consolarmi, ma mi ha confessato che ero alquanto scettica quando mi sono riappisolata.

Un mio amico, per lusingarmi, mi parla di “genio e sregolatezza”, ma credo che i più mi consiglierebbero la psicanalisi… O di rinunciare a “certi film e certe letture” (come se potessi!)… O un buon albergo, nel caso del mio diletto.

Se ci saranno aggiornamenti, quali spettri, demoni, o interventi della neuro, sarà mia cura comunicarlo.

Se ne avrò la possibilità.

Baci a tutti!

sabato 14 settembre 2013

Rapisce e ammalia


L’UCCELLINO AZZURRO
di Maurice Maeterlinck

 
Un’opera teatrale soave e magica, altamente allegorica, che si legge come una fiaba e che ne ha la levità, la quale, senza eccedere nel paternalismo, ci insegna dove trovare la felicità… E un mucchio di altre curiosità, quali: che cosa fanno i bambini prima di nascere? E com’è la vita dopo la morte? Che cosa si nasconde nel palazzo della Notte?

Immagini bellissime e poetiche, allusive, potentemente simboliche e un po’ descrittive si alternano momenti più salienti, inquietanti, a volte drammatici (sin dalle prime pagine c’è persino spazio per il tradimento e per l’ipocrisia), a volte quasi feroci (quando i piccoli protagonisti, Tyltyl e Mytyl, fratello e sorella, vengono attaccati da alberi e animali, intenzionati ad ucciderli), ma sempre suggestive, mai banali, indiscutibilmente capaci di affascinare.

Disturba un po’ (del resto, la prima messa in scena è del l908) la concezione antropocentrica che permea certi dialoghi, la sudditanza che viene imposta agli oggetti e agli animali a favore dell’Uomo (definito addirittura Dio dal cane), ma viene riscattata ampliamente dall’atmosfera incantevole e dai significati celati nel testo.

La trama è semplice: la fata Beriluna (o la vicina di casa, signora Berlingot?) ha bisogno di un uccellino azzurro per far guarire la nipotina malata (il cui male consiste nel desiderare di essere felice) quindi si rivolge ai piccoli vicini, poveri e tenerelli, che dotati di diamante magico potranno scorgere la vera essenza delle cose. Affiancati da molti rappresentativi compagni (cane, gatto, pane, luce, fuoco, zucchero,etc.) si cimentano dunque nell’impresa di cercare l’uccellino simbolo della felicità attraverso meravigliosi mondi fantastici, ma che talvolta si rivelano insidiosi.

Un buon ritmo, che rapisce e ammalia, costellato di dolcissimi richiami favolistici (come il vestito color della luna di Pelle d’Asino, che chi si è nutrito di fiabe durante l’infanzia non può che apprezzare) per un capolavoro senza tempo, delicatissimo, illuminante e sorprendente.

Oltretutto si legge in un fiato!

venerdì 13 settembre 2013

Uno strepitoso urban fantasy


RAGAZZE LUPO
di Martin Millar

 
Sulla falsa riga di Twilight, con i licantropi al posto dei vampiri, l’umorismo in cambio della melensaggine e la ferocia anziché la stucchevolezza... Un romanzo bellissimo, atipico, laddove, invece, il ciclo della Meyer non mi attizza per niente, nonostante qualche intuizione carina…

Mi piacciono la trama, piuttosto originale, lo stile frizzante e ironico (benché si tenda un po’ alla ripetizione), very british, e la concezione dei Lupi Mannari che qui rinverdisce la sua mitologia grazie ai Clan scozzesi e un riuscito mix tra antico e moderno… Ma anche gli Spiriti del Fuoco hanno il loro perché!

Tra scontri familiari, musica a tutto volume, misteri, moda, drammi e passioni assolute, un romanzo “fantastiglioso”, strabordante di trovate divertenti e di tocchi frivoli, di strizzate d’occhi, ossessioni malate e di strane dipendenze, in cui i personaggi sono uno più bello e tormentato (ma in sensi diversi e a volte assolutamente scanzonati) dell’altro!

Non saprei proprio chi scegliere tra Malveria, Dominil, Thrix e le meravigliose e indisciplinate cugine innominabili: Beauty e Delicious… Hanno più difetti che pregi, ma sono irresistibili! Forse all’ultimo posto metterei proprio Kalix, la protagonista (a tratti un po’ pesantina), con tutto che mi piace anche lei, con le sue innumerevoli ansie, ingratitudini e contraddizioni… Sebbene a volte venga davvero voglia di strangolarla (ma come si fa ad essere così scortesi?)! Ci sono momenti in cui si sfiora il brivido, con combattimenti belluini e all’ultimo sangue, intrighi politici e alleanze, altri in cui semplicemente si sghignazza, ma con molto, molto gusto!

Di questo strepitoso urban fantasy, lontano dai canoni del genere, esiste anche un seguito, all’altezza del primo volume: “Vex e Kalix”, al quale forse, chissà, seguirà un terzo tomo… La trama sembra prometterlo, e io mi auguro tanto che sia così!

giovedì 12 settembre 2013

Suspence e colpi di scena


DAMAGES
 

Un telefilm perfetto per trama, cast e montaggio. Ma soprattutto per il montaggio, magistrale, che più ti rivela, più ti nasconde, consumandoti nel desiderio di procedere con l'intreccio, fino allo spasmo. La trama infatti non è presentata linearmente, ma con continui salti temporali, in cui spesso viene riproposta la stessa scena, ma arricchita di uno o più elementi fondamentali, che non mancano, ogni santa volta, di folgorarti.

Non è il mio genere, siamo al cospetto di una sorta di legal thriller, e tuttavia è una capolavoro a base di suspence e colpi di scena, in cui nulla è come sembra e basta che si aggiunga un particolare perché i valori si ribaltino e le prospettive si invertano.

Inizia con una fanciulla coperta di sangue (Rose Byrne), che sia aggira per le strade di New York mezza nuda e mezza sconvolta, la quale viene fermata dalla polizia. A questo punto facciamo marcia in dietro e scopriamo chi è: Ellen Parsons, brillante neolaureata in giurisprudenza che si affaccia al mondo del lavoro e che è disposta a rinunciare all'occasione di entrare nel prestigioso studio legale dell'avvocato Patty Hewes pur di presenziare al matrimonio della sorella. E tuttavia, nello studio di Patty, ci entrerà lo stesso...

I due personaggi femminili sono molto forti, e tutto il telefilm, sin dalla prima puntata, è incentrato su un teso contrasto fra le protagoniste, che oscillano fra l'ammirazione reciproca e il conflitto, implicito o dichiarato. All'inizio Ellen apparirà assai svantaggiata rispetto alla collega più navigata e più cinica, ma presto imparerà a farsi valere, perdendo la sua patina di ingenuità e dolcezza, e anche il loro rapporto ne uscirà arricchito, complicandosi e acquistando spessore.

Ogni stagione corrisponde ad un caso civile (la classica class action americana, spesso frammista a risvolti penali), e coinvolgerà le due donne anche a livello personale, ma senza indulgere troppo su aspetti romantici, piuttosto su buoni sentimenti quali l'odio, il desiderio di rivalsa, sfide di intelligenza, complotti...

Tra i molti pregi della serie si è menzionato il cast, che, a parte le splendide protagoniste (peccato per il tremendo posteriore della pur graziosa Byrne, evidentemente affetta da callipigia: ma dalla seconda stagione il regista evita saggiamente di inquadrarlo), bravissime, intense, e capaci con uno sguardo di passare dall'amabilità all'incenerimento dell'interlocutore, (e va bhe, Glenn Close spopola, ma anche la piccola Rose se la cava benone), vanta attori del calibro di Ted Danson, William Hurt, Marcia Gay Harden, solo per citarne alcuni.

Per ora le stagioni ammontano a cinque (io al momento ho visto solo le prime tre, perché le ultime due sono state trasmesse nel nostro idioma solo nella Svizzera Italiana) e constano di una decina di episodi ciascuna (tra 13 e 10), ma la più bella, la più efficace e fulminante è sicuramente la prima (nel prosieguo, in effetti, le trame si fanno meno avvincenti e il sistema narrativo stanca un po', cominciando a ristagnare, ma restano pur sempre un prodotto valido e comunque superiore alla media dei telefilm in circolazione). Da non perdere.

mercoledì 11 settembre 2013

Un complesso meccanismo mentale su carta


LA VITA, ISTRUZIONI PER L'USO
di Georges Perec

Un romanzo peculiare, che non assomiglia a nessuno, più “in potenza” che “in atto”, geometrico, surreale, teso al paradosso, dalla intensa cerebralità, che prima ti sconcerta e poi ti affascina.
Diciamo, molto semplicisticamente, che narra degli inquilini di un palazzo parigino dedicando un capitolo ad ogni stanza del caseggiato, meno una.
Però, anche se il nostro quando è individuabile con precisione (23 giugno 1975, otto di sera circa, appena dopo la morte del protagonista, l'eccentrico miliardario Percival Bartlebooth) le storie spaziano anche nei cento anni precedenti e in fondo il protagonista non è poi così importante, per quanto senz'altro un tipo curioso. Ciò non solo per il proliferare di intrecci (scatole cinesi dentro scatole cinesi), ma soprattutto perché a farla da padrone è se mai la struttura del libro, che assurge a “macchina per ispirare racconti” grazie alle sue liste di cose (nel senso più ampio del termine) che dovrebbero poi essere in qualche modo incluse nel capitolo di riferimento.
Se non l'avete letto immagino che il commento più comune possa essere: “Eh!!!????”
Avete ragione, in effetti siamo di fronte ad un complesso meccanismo mentale su carta, più che ad un romanzo, alla sovrastuttura delle sovrastrutture narrative, ad un puzzle, piuttosto, in cui ogni tassello viene esaminato nel dettaglio in ogni suo elemento, con uno spiccato gusto per l'enumerazione prima, di essere accostato agli altri a acquisire significato, spesso doppio.
Attenzione, però, questo è uno di quei libri che richiedono la collaborazione del lettore, nel senso che qualcosa, perché il mosaico finale si formi, deve mettercelo anche lui o non riuscirà a vedere nulla, nonostante gli indizi sparsi ovunque.
Sarà per questo che alla fine manca un tassello?
Io scommetterei di sì.

martedì 10 settembre 2013

Un libro maledettamente graffiante


INVISIBLE MONSTERS
di Chuck Palahniuk

 
Il romanzo che ho preferito fra quelli dell'autore di “Fight Club”. “Fight Club” incluso.

Più cattivo del solito, più incisivo, più crudele, ha però tanti elementi del miglior Palahniuk: il divertito cinismo portato allo stremo, la circolarità della trama, personaggi curiosi ed esasperati, il grottesco che fa capolino ovunque, ed uno stile dal taglio cinematografico, sferzante, minimale, al limite della staffilata e del delirio, cosparso di espressioni gergali e irto di volgarità. Ma non gratuite: bensì piazzate proprio lì, dove devono stare.

E ciò nonostante, nonostante i mal di pancia che ti provoca con compiacimento e intelligenza a furia di prenderti a calci, riesce anche a farti sghignazzare un po'. E a sorprenderti, perché i colpi di scena abbondano e sono incredibili.

In più, tocca tematiche attuali come la superficialità della bellezza, l'omosessualità, l'AIDS... magari lo fa in modo anticonvenzionale, spesso strumentalizzandole, asservendole ai suoi scopi, ma non per questo è meno efficace. Anzi. E poi... be' a chi non piace la vendetta? O la ricerca della propria identità?

Un libro maledettamente graffiante, che narra di una bellissima fotomodella, non più bellissima né fotomodella da che qualcuno (chi?) si è preso la briga di spararle dritto in faccia staccandole la mascella e trasformandola in un mostro mentre la sua vita va a rotoli...

Ma niente è come sembra e anche se la sensazione è quella di una discesa nella follia a velocità massima, con l'acceleratore schiacciato, tutto però finisce per acquisire un senso e soddisfare ogni interrogativo in un finale intenso e inaspettato.

Irrinunciabile.

lunedì 9 settembre 2013

Qui si divertono tutti un mondo


MACHETE

(2010)


Ovvero il film più tamarro dell’universo, dove anche i preti sparano e le gnocche hanno la benda sull'occhio. Nessun regista ha mai osato tanto, nessun action-movie è mai stato così esagerato, estremo e… divertente!

E’ nato come finto trailer in “Grindhouse” e poi è diventato pura magia cinematografica a base di sparatorie, combattimenti, splatter, violenza, testosterone, “sexytà” e spasso nudo e crudo. Il tutto frullato con ameni accenti di pura demenzialità, che però non sciupano la “machosità” che permea tutta la pellicola...

Qui si divertono tutti un mondo: il regista, gli interpreti (si segnalano alcuni nomi notevoli, tipo Robert De Niro, in particine gustose, il cattivissimo Steven Segal – che per una volta riesce anche ad essere convincente – e il protagonista Danny Trejo, davvero perfetto per la parte) e soprattutto gli spettatori (come sempre avviene nelle opere di Robert Rodriguez, che io amo alla follia).

Certo, come Planet Terror è un omaggio ai b-movie… Ma c'è qualcosa di male in questo? No!!! Specie se il risultato è una figata come questa!

Il trailer sembrava già dire tutto... invece c'è un mucchio di altra roba adorabile e very saporita! E c'è anche la trama... Poteva sembrare di contorno, superflua, inutile, invece non è niente male, per quanto semplice, e se vogliamo sa anche un po' di denuncia sociale, seppur realizzata in modo atipico... L'argomento? Ma gli immigrati messicani! Machete si schiera con loro, naturalmente, e ci mostra come giustizia e legge non sempre vadano di pari passo (uno dei dibattiti più interessanti della filosofia del diritto, in cui mi sono imbattuta di recente in un bel saggio di Norberto Bobbio)... Sono già stati annunciati due seguiti! Yeeeee!!!