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venerdì 28 settembre 2018

Una vera schifezza

PICNIC AD HANGING ROCK


E' il giorno di San Valentino del 1900 e siamo ad Hanging Rock, in Australia. Nel corso di un picnic, quattro studentesse si allontanano. Una torna indietro urlando, incapace di fornire spiegazioni, le altre scompaiono e con loro una delle insegnanti. Dopo svariate ricerche, una delle ragazze viene ritrovata, ma non ricorda nulla.
Il romanzo di Lindsay Joan, giallo sui generis dalle forti suggestioni mistiche, mi era piaciuto moltissimo, per quanto non risolvesse tutti i dubbi (a causa dell'ingente porzione che ne era stata tagliata), ed egualmente ero rimasta incantata dal film di Peter Weir, pressoché identico per stile e atmosfera, benché l'avessi visto che ero un'infanticella e mi avesse grandemente turbata. 
Questa miniserie televisiva, invece, è davvero brutta.
Per la fine, soprattutto, che assorbe e distrugge anche quel che c'era di buono prima. 
Sei puntate, ma luuuunghe, laddove ne sarebbero bastate due. 
Peccato, perché non mancano i lati positivi: brave le interpreti (non solo Natalie Dormer), colori vivissimi e una luce abbagliante che pervade tutto alternata ad un buio ai limiti dell'oscurità, paesaggi magnifici e richiami ancestrali, che evidenziano la forza e il Mistero della Natura, inquadrature allegoriche e sontuosamente inquietanti, costumi sfavillanti e accurati.
Ma i tempi sono eccessivamente diluiti, e se in principio ciò pare avvantaggiare una maggior contestualizzazione, nel prosieguo la trama si sfilaccia, le digressioni risultano troppe, gratuite, sterili, e già dalla terza puntata subentra la noia che prende il posto dell'atmosfera ansiogena.
La fine, come già rilevato, è una vera schifezza e travolge, a ritroso, il resto.
In ultimo, per curiosità, segnalo la presenza di una quasi irriconoscibile Yael Stone (la graziosa Morello di “Orange is the New Black”).

giovedì 27 settembre 2018

Ci sono cose che non sopporto

LE NOSTRE ANIME DI NOTTE
di Kent Haruf


La storia è bellissima, di una tristezza che consuma. 
Procede a piccoli passi, ma delinea un affresco vasto e complesso, screziato di sfumature dolorose. Tocca le corde profonde dello spirito, è dolce, consolatorio, a tratti ferisce, a tratti illumina. Oppure ci fa vibrare di sdegno per l'ingiustizia vile che denuncia. 
Trama lineare, ma a singhiozzo, con tanti spazi, tanti respiri intermedi. 
Romanzo immersivo, defilato, ma al contempo tracimante: ti porta a calarti completamente nell'umanità dei protagonisti. E ti fa sentire le ferite passate, ormai cicatrizzate, e te ne fa percorrere segni e rimpianti. Ti fa assaporare nuova bellezza che, quando non ci credevi più, torna a sorriderti e a dare pienezza e significato alla tua vita, restituendotene i colori. Ma poi... Poi. Non rivelo nulla, salvo che... Ci sono cose che non sopporto. 
Che capisco, ma non sopporto. 
Tanto che, per come sono io, pur capendo perfettamente a che cosa rinuncio, piuttosto mi taglio via il braccio (che non è un braccio, né una parte del corpo), ma preferisco resistere, a costo di soffrire.
Certe cose non posso che respingerle. 
Del resto, concordo appieno con la famosa frase di Benjamin Franklin: “Chi rinuncia alla libertà per raggiungere la sicurezza, non merita né la libertà, né la sicurezza”.
Poco cambia che al posto della sicurezza, qui ci sia qualcos'altro, di più nobile. Se si rinuncia alla libertà, per quanto mi riguarda, non si merita niente lo stesso.
Per quanto concerne lo stile, invece, è peculiare: ci sono moltissimi dialoghi incastonati nel testo, che gli conferiscono fluidità e splendida ariosità. Le frasi sono brevi, e paiono come affiancate, più che in successione: vanno subito al punto, eppure riescono a ritagliare pure tutto quello che c'è attorno. 
Ma non ti accorgi mentre accade. 
Semplicemente a un certo punto ti rendi conto che è lì, bello sagomato.
Grazie a Gian che me lo ha regalato e me lo ha fatto conoscere... 
Prossimamente su questi schermi: la trilogia di Holt.

mercoledì 26 settembre 2018

Il Guanto e il Mercenario

AVENGERS: INFINITY WAR
di Joe e Anthony Russo (2018)
VS 
DEADPOOL 2
di David Leitch (2018)


Lo so che cosa state per dire. Che “Avengers: Infinity War” è il miglior film di supereroi di sempre. Magari no. Magari siete così fortunati da non rientrare nella percentuale degli spettatori massificati, ma il punto è che non ci rientro nemmeno io. E Infinity War mi è piaciuto, ma non così tanto. E certamente non più della trilogia di Nolan. Per me quelli sono i migliori film di supereroi.
A parte ciò, durante la battaglia finale mi sono semi addormentata. Il film è epico, sì. Ma non abbastanza. E c'è troppa roba. Delle morti avvenute non mi è importato nulla, poiché nulla mi importava dei personaggi. Il finale, poi, mi sa di un ibrido a metà fra una supercazzola e un buco narrativo. Nel fumetto la faccenda poteva funzionare (non l'ho letto, me lo ha raccontato MPM), ma effettivamente qui mancano i presupposti. E troppe cose stanno in piedi per miracolo. Non nego però che ci siano alcune scene carine. Il confronto tra Thor e Starlord è molto simpatico (anche se, per quanto mi riguarda, pur a un panino dall'obesità, tra Chris Pratt e Chris Hemsworth... Pratt tutta la vita!!!), ed è bello quando le varie trame convergono e i personaggi si uniscono... E' bello quando si combatte tutti insieme per un unico fine. Ma la pellicola è eccessivamente lunga e non tutti i personaggi spaccano. Nemmeno Hulk, a questo giro (benché resti sempre il mio preferito. Non Mark Ruffalo. Hulk). Sicuramente la Disney ha fatto un passo avanti rispetto ai suoi standard: meno commedia e più pathos. Ma non siamo ancora all'equilibrio perfetto. E le premesse impiegano troppo a dipanarsi. Incluse quelle comiche. Che, peraltro, poi stonano col dramma finale. 
E comunque, benché non c'entri nulla, io ho preferito Deadpool 2.
Di tanto.
Più sporco, più graffiante, più intelligente. Grazie a dio le menate stucchevoli con le aspirazioni borghesi da famiglia del mulino bianco vengono spazzate via quasi subito. 
Non tutto è prevedibile e politicamente corretto. I contrasti funzionano meglio, e paiono intenzionali, non casuali. E' vero, anche questa pellicola è troppo lunga. Ma la lunghezza pesa meno. E ci sono momenti, pur venati di grottesca tragicità, che fanno schiattare dal ridere (si veda, ad esempio, la squadra alle prese coi paracadute). In generale: sono rimasta sveglia, non ho sbadigliato, ho riso un sacco, e i combattimenti e le scene d'azione mi sono parse assai più coinvolgenti e appassionanti (si veda quella divina alle terme, o quel che sono...). C'è più equilibrio, una trama più decisa, più lineare, senza falle, battute migliori, citazionistiche, incalzanti. E c'è più gusto, in generale. Forse anche da parte di chi ci ha lavorato. Ho preferito persino la colonna sonora.
Per quanto mi riguarda... Deadpool wins.

martedì 25 settembre 2018

Storie di dignità, di miseria e di fallimento

LO SFIDANTE. MILLION DOLLAR BABY
di F. X. Toole


Uno specchio sul mondo del pugilato attraverso sei racconti brevi, da parte di uno che ha vissuto l'ambiente per tutta la vita, in tutti i ruoli (atleta, cucitagli, manager...), con tutto se stesso. 
Uno che in poche righe è capace di condensarne lo spirito e l'impegno. 
Non il pugilato d'élite, ma quello sudato e sanguinante che ha il sapore della verità e di sentimenti intensi, spremuti nei pugni chiusi. 
Storie di dignità, di miseria e di fallimento, così realistiche da parere più vere che inventate. 
Genuine. 
Storie che impattano la carne. 
Alcune stupende. 
La prima, ad esempio. 
E poi, sì, “Million Dollar Baby”, il racconto che ha ispirato il superbo film di Clint Eastwood. Brevissima, ma rotonda e densa, non proprio identica alla pellicola, ma comunque strepitosa. 
La scrittura, poi, è eccezionale, tanto nella parte dialogica quanto in quella più strettamente narrativa: sintetica e descrittiva insieme, asciutta, ma particolareggiata. 
Non tutti i racconti possiedono la stessa bellezza fulminante, ricca di vibrazioni, ma sono tutti da leggere. 
E sia chiaro, a me della boxe, in sé per sé, non importa un tubo. Il mio è amore per la letteratura. Nulla più.

lunedì 24 settembre 2018

Un saggio di psicologia basato sulle fiabe

DONNE CHE CORRONO COI LUPI
di Clarissa Pinkola Estés


Volume originalissimo, consigliatomi da Vi: è un saggio di psicologia basato sulle fiabe. Ne esamina una per volta – fiabe classiche come Barbablù o La Piccola Fiammiferaia, ma anche appartenenti ad altre tradizioni – e ne trae insegnamenti ed esempi, analizzandone la struttura narrativa, i personaggi, le evoluzioni e confrontandone le versioni. Nel mentre fa riferimenti a miti, leggende e folklore, tracciando paralleli, ed è un piacere, soprattutto a livello di stimoli culturali.
Questo se si sta bene e si è in pace con se stessi. 
Ho iniziato il libro in una fase della mia vita in cui ero felice (senza sapere di esserlo) e, lo riconosco, spesso i consigli dell'autrice mi sembravano superflui. Incoraggianti, preziosi, ma inutili per una persona che, come me, rischiava, se mai, di essere troppo sicura di se stessa.
Poi alcune cose sono cambiate ed è stato allora che il libro si è fatto salvifico. Quel  che prima mi pareva scontato all'improvviso non lo era più, e, insomma, al di là dei riferimenti mitici, il volume ha iniziato a spiegare tutto il suo potenziale, dimostrandosi molto valido anche sotto i profili che prima avevo valutato con sufficienza. Il capitolo su “Scarpette Rosse”, in particolare, mi è piaciuto da morire e in molti punti il saggio mi è risultato confortante, consolatorio. Senza illusioni, ma insegnando l'accettazione e l'affermazione di sé.
La prospettiva è indubbiamente molto femminile, ciò non toglie che possa essere una lettura interessante ed educativa anche per gli uomini. Non solo per capire l'universo muliebre, ma altresì per comprendere meglio se stessi o come uscire da certe situazioni. O, semplicemente, per comprendere che cosa ci succede in certe situazioni, e che se si sta soffrendo è normale, e va bene, e prima o poi passerà. 
Non in virtù di qualche miracolo, ma perché quando passa abbastanza tempo accade così.
Catartico e liberatorio.

venerdì 21 settembre 2018

Piccolo schermo estivo

SERIE TV...


E ci infilo anche i cartoni animati, perché sono stati quello che ho preferito: tra questi, il meglio del meglio è “Rick & Morty”, a metà tra Doctor Who e Ritorno al Futuro, ma vietato ai minori... Creativissimo, fantasioso, geniale e totalmente folle! Lo adoro! (Ci sono già tre stagioni, ma io l'ho appena scoperto). Al secondo posto metto “Disincanto”, quello nuovo di Matt Groening. Okay, non fa ridere e la trama orizzontale è piuttosto fiacca, ma ogni tanto qualche coniglietto dal cilindro esce... E poi “Bojack Horseman”, deprimente e dissacrante il giusto, con un sacco di particolari ghiotti (Anche qui, non è recentissimo, ma io l'ho appena scoperto).

Sitcom: la palma va senza dubbio ad “A.P. BIO”. Strepitoso l'incipit, con questo Prof. di filosofia di Harvard ridottosi ad insegnare – anzi a non insegnare – biologia ad una classe di nerd di provincia, che vuole vendicarsi della sua nemesi, e strepitosi i personaggi (Heather su tutti). La verità è che dopo un po' diventa ripetitivo, ma ci sono alcune scene che fanno piegare dal ridere. Non guarderò mai più gli opossum con gli stessi occhi.

Mini: Mah... Avrei detto “Picnic ad Hanging Rock”. Ma la fine è così brutta che preferisco soprassedere.

Serie Tv vera e propria: MPM direbbe “Riverdale 2”, ma a me la seconda stagione non sta facendo impazzire. Direi, allora, “Westworld 2”, “Glow 2” e “Insatiable”. Lo so, quest'ultima è un po' demenziale, amorale, diseducativa e politicamente scorretta. Ma è proprio questo che adoro.  

La verità è che ormai preferisco le Serie Tv ai film.
A parte ciò, dopo questa minicarrellata, da lunedì torno alle recensioni normali?
Non lo so. Sempre in movimento è il futuro, dice Yoda.

giovedì 20 settembre 2018

Pochi ma buoni

FILM...

Non potevo scrivere “filmando”, perché ha tutt'altro significato... Ad ogni modo in questo periodo di pausa di film ne ho guardati pochi, e molti li ho lasciati a metà, tuttavia qualche pellicola valida mi è capitata...


Per svagarsi, le migliori sono state: “Ready Player One” (di cui però ho preferito di gran lunga il romanzo, anche perché alcune licenze del film un po' mi hanno indispettita), “Deadpool 2” (spassosissimo, nonostante qualche stucchevolezza gratuita) e “Avengers: Infinity War” (eccessivamente lungo e non all'altezza della sua fama, ma complessivamente piacevole).

Per angosciarsi: “Unsane” di Steven Soderbergh, che mi ha mezza sconvolta e mezza incantata. Spettacolare, davvero, e pieno di sorprese. Perché sembra una cosa e invece è un'altra.

Film impegnato, e non horror: “Effetto Lucifero” di Kayle Patrick Alvarez. Sconcertante. E bellissimo. Devo assolutamente procacciarmi il libro di Phil Zimbardo. Che non è un romanzo, ma un trattato di psicologia che descrive un esperimento realmente effettuato.

E poi c'è questa chicca allucinante, che forse presto recensirò, perchè proprio merita, e che mi è quasi costata il divorzio da MPM: “Raw, una cruda verità”. Disgustoso e senza freni inibitori, ma anche coraggioso e, in qualche punto, originale. Da evitare come la peste se si è debolucci di stomaco o delicatini di sentimenti.

mercoledì 19 settembre 2018

Fumetti sotto il sole

FUMETTANDO...

Ossia menzionando i fumetti più interessanti letti ultimamente (vale a dire nel mio periodo di pausa, agosto-settembre)...
Be', non c'è tantissimo.
Ne ho letti parecchi, ma pochi che mi siano davvero piaciuti.
Tra questi, in ordine sparso:

“Mattéo” di Jean-Pierre Gibrat, di cui ho riletto i primi tre volumi in attesa dell'imminente pubblicazione del IV, nonostante non ami molto i suoi personaggi, men che meno il protagonista. Ma apprezzo i riferimenti storici, il disegno e i ghiribizzi della trama;
“Gulliveriana” di Milo Manara, più per i riferimenti a Swift che per il resto, ma comunque gradevole e non impegnativo. Delizioso da leggere in treno per il gusto di scandalizzare i vicini;
“Il Guardiano della Diga” di  Robert Kondo e Dice Tsustumi, pucciosissimo e con un'atmosfera fiabesca, ma non stucchevole. Aspetto con ansia i successivi due volumi;
“Royal City 2” di Jeff Lemire, soprattutto per il montaggio (ma di Lemire amo quasi tutto);
“Harrow County 4” di Bunn e Crook, perché la storia va avanti senza cedimenti, ma anzi arricchendo la sua mitologia.

In quanto ai manga, ho finito “Chiisakobe” e proseguo con “Battle Royale”, ma mi paiono entrambi sopravvalutati. Il primo, però, vanta un tratto magnifico e qualcosa in più da dire, specie a livello di sottintesi, il secondo è rozzo ed esagerato. Lo so, non è giusto paragonarli, sono completamente diversi, in più di “Battle Royale” avevo già letto il romanzo, quindi il manga partiva comunque svantaggiato.  

Per il resto... no, dei Bonelli non parlo. Mi rifiuto.
A domani con i film.

martedì 18 settembre 2018

Alla fine arriva Albinus...

NESSUNA RECENSIONE, OGGI
(PERO' CIARLIAMO DI LIBRI)


E forse nemmeno in settimana.

Non ne ho voglia. E sono troppo vecchia per fare cose che non mi vanno.

Un po' mi secca, perché avevo già calendarizzato tutto fino ad ottobre, e ho tante cose interessanti di cui parlare. Ma al diavolo, le Otte fanno quello che vogliono. E ora vogliono mantenere la promessa fatta – tornare – ma senza cedere alla contingenza – scrivere recensioni per le quali non sono ispirata –.

Quindi parlo a braccio, senza criterio, facendo un riassunto rapido della mia “vita vera” (che non è quella vissuta, ma quella sognata) delle ultime settimane. Poi magari riprenderò gli stessi argomenti o parte di essi nelle prossime settimane, ma intanto mi diverto un po'. 

Ecco i libri più interessanti letti in questo periodo (seguiranno, da domani a venerdì, Fumetti, Film, Serie Tv):

Romanzi, in ordine sparso: “Le nostre anime di notte” di Kent Haruf (assai intimo); “L'inganno” di Thomas Cullinan (un bel pugno nello stomaco, tra vezzi e merletti), “Lo Schiaffo” di Christos Tsiolkas (splendidi lo stile, la storia e la resa dei personaggi), “Mi chiamo Lucy Barton” di Elizabeth Strout (uno dei migliori della Strout che abbia mai letto), “Nuvole di Fango” di Inge Schilperoord.  Due me li ha regalati Gian. 

Teatro: “Lo zoo di vetro” di Tennessee Williams, nonostante l'amarezza che ti lascia sulle labbra;

Poesia: “Il poeta è un fingitore” di Ferdinando Pessoa (l'avevo già letto, ma i volumi di poesia sono gli unici che riprendo spesso in mano); 

Altro: “Donne che corrono coi lupi” (salvifico nei momenti di sconforto);  “100 Serie Tv in pillole – Manuale per malati seriali”, i deliranti e bellissimi volumi illustrati di Claudio Romo, ed. Logos, specie “Viaggio nel fantasmagorico giardino di Apparitio Albinus”.

lunedì 17 settembre 2018

I'm baaack!!

SONO TORNATA


Più o meno.
Nel senso che sono di nuovo qui, ma non al cento per cento. Indy – nel senso di Indiana Jones – direbbe che non sono gli anni, sono i chilometri. Io dico che sono i post: forse ne ho scritti troppi. 
Non so perché, ma non ho più tutta sta voglia di buttarli giù. Ho voglia di dedicarmi ad altro. Scrivere sarà sempre importante per me. Ma scrivere non è redigere i post. 
Non ho poltrito nel periodo di pausa: ho dato alla luce tre fiabette sfigate da mettere in coda alla versione cartacea de “Il Sogno di Ecate”, se mai MPM riuscirà a farla uscire, e, ovviamente, ho scritto il librino nuovo, “Catarsi”, il quinto dell'esalogia delle Fanciulle del Mare. Non so esattamente come sia venuto. A volte mi sembra ottimo, altre uno schifo. Sono piuttosto altalenante. Ad ogni modo c'è tempo da qui a luglio, perciò avrò modo di riprenderlo e limarlo e magari riuscirò a guardarlo con occhio più critico. 
Per il resto, ho ripreso a leggere a pieno regime, in base ai miei parametri. Ho visto pochi film e qualche serie tv. E ho bevuto per dimenticare. 
Ho bevuto tisane, non alcolici. Gli alcolici non mi piacciono. Ma ho immaginato fossero alcolici e un po' hanno funzionato, nel senso che ora sono leggermente più in pace con me stessa. 
E forse questo mi porterà davvero a chiudere il blog. 
Ma non subito.
Pensavo di sì, ma ora ho deciso di aspettare ancora un po'.
E magari, per una volta, anziché sposare il mio solito motto “o tutto o niente”, che mi governa sin dall'infanzia, opterò per una via di mezzo. Magari ridurrò i post a tre a settimana. Non lo so, vedremo. 
Intanto sono qui.
E domani ci sarò di nuovo.
Baci a tutti. 
E già che MPM mi dice sempre che mi diverto a mettere emoji a caso: uomini col turbante e omettini col cappello da muratore.