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domenica 30 novembre 2014

Un inizio che sfugge


THE COUNSELOR – IL PROCURATORE
di Ridley Scott

(2013)
 
 
Inutile, non riesco a togliermelo dalla testa.

E non perché mi sia piaciuto in modo così stratosferico (anche se: sì, la mia recensione sarà positiva). E' che proprio mi si è conficcato nel cervello e non riesce più ad andarsene. E continuo a figurarmi il contenuto di quel dvd che non ci è stato mostrato... God!

La verità è che all'inizio ero davvero smarrita: vedevo delle scene che non riuscivo a collegare fra loro, e che mi davano l'idea di espandersi in modi bizzarri, disperdendosi in mezzo a dialoghi interessanti, ma dai confini evanescenti... Insomma, annaspavo, ed è stato solo il mio amore incondizionato per Cormac McCarthy ad indurmi a resistere senza scivolare nel sonno.

Intendiamoci, le scene di per sé sono belle, per giunta sostenute da un cast stellare, ma era il quadro d'insieme a sfuggirmi... Poi, la trama diviene comprensibile anche per i comuni mortali, e allora... allora tremi. Perché non sai bene che cosa aspettarti, sai solo che sarà terribile...

Ed infatti lo è, e ogni volta è diverso.

Tutto parte da questo avvocato (Michael Fassbender), chiamato sempre solo con il suo titolo, innamoratissimo della fidanzata Laura (una dolcissima Penelope Cruz) e del denaro, il quale per ottenerne di più si infila nel giro della droga e dei cartelli messicani, senza rendersi conto di quali sono i rischi, benché i suoi complici Westray e Reiner (Brad Pitt e Javier Bardem – conciato in modo assurdo –), cerchino di metterlo in guardia... Naturalmente, qualcosa va storto.

Il film può non piacere, ma (se si regge la parte iniziale) non può non colpire: alcuni dialoghi sono insuperabili, gli interpreti strabilianti (Cameron Diaz, in particolare, nel ruolo di Malkina, la ricca, viziata e trasgressiva donna di Javier Bardem, è divina, e non è che io sia una sua grande fan!), e poi ci sono quelle scene, dicevo, che ti si fermano nelle pupille e non se ne vanno più. Quelle girate (ad esempio la “ginecologica” sequenza di sesso con la Ferrari gialla, che lo stesso Bardem vorrebbe solo dimenticare, o la morte con il laccio, per come arriva inaspettata e pur attesa – alludo alla seconda, non alla prima – ), e ancor di più quelle non girate, soprattutto il contenuto del già citato dvd.

Che ti resta lì, indigeribile.

Alla fin fine pure la trama mi è piaciuta, e anche se, forse, qualche aggiustatina servirebbe... la lascerei esattamente così.

sabato 29 novembre 2014

Estremamente coinvolgente


EVANGELION
di Yoshiyuki Sadamoto

Finalmente, dopo mille anni di attesa, il manga giunge a conclusione! Senza deludere e senza infiammare, almeno per quanto mi riguarda, laddove, invece, il mio giudizio sulla serie nel complesso è decisamente entusiasta!
La trama (che ha ampiamente ispirato in molti punti gli autori di Nathan Never) è affascinante, ricca di motivi di interesse – anche a livello etico –, di dinamismo, colpi di scena shock, di ribaltamenti e di sfumature, mentre in certi passaggi arriva ad essere cruda, persino tragica... Ma soprattutto è estremamente coinvolgente sotto il profilo emotivo, portandoci, letteralmente, a fare nostri i sentimenti dei personaggi.
E pazienza se il protagonista, Shinji, è anonimo e remissivo (a volte mi è venuta voglia di ficcargli la testa nel water e affogarlo), e se le comprimarie sono rispettivamente una viziata isterica (Asuka), e un'apatica cronicamente timida (Rei): insieme fanno scintille, alternando momenti drammatici, ad altri simpatici o addirittura passionali o semplicemente teneri, denotando molta sensibilità/delicatezza da parte dello sceneggiatore, che riesce a combinare i caratteri sfruttandone le potenzialità e a ritrarre il contesto adolescenziale con le sue problematiche, anche dal punto di vista della personalità in formazione e del residuo di innocenza che preclude la crescita, nonché al rapporto con adulti/genitori con realismo e autenticità...
Il sottotesto, comunque, resta prevalentemente crudo, e ci induce a soffrire per questi ragazzini in cui, in qualche modo, viene rubata la giovinezza per combattere una guerra che, alla fine, non siamo nemmeno sicuri sia giusta, e che, anzi, pone innumerevoli interrogativi: di quelli con la maiuscola, sull'Uomo, sul Destino, sulla scienza, su Dio e sul Mondo...
Dunque, anche se all'inizio Evangelion può sembrare la classica lotta con i robottoni in cui bisogna difendere la Terra, in realtà siamo parecchio più avanti...
Serie magnifica e, per quel che ricordo, perfettamente in armonia con l'anime da cui è tratta...
Da evitare come la peste, invece, l'insulso e ripetitivo spin-off Shinji Ikari Raising Project, di una pochezza imbarazzante, in cui i personaggi non fanno che cadersi uno addosso all'altro infilando le mani dove non devono... Ai limiti del ridicolo e dell'improbabile. Più carina, ma trascurabile, Evangelion – Cronache degli angeli caduti, con qualche scena d'azione apprezzabile, mentre Evangelion Iron Maiden, ovvero che cosa sarebbe successo ai nostri eroi se di fossero conosciuti in un mondo più roseo, in principio può incantare, ed essere addirittura sentita come necessaria... Ma presto stanca e la storia è tristemente priva della liricità e della poesia della saga principale, virando troppo spesso sullo scontato... Peccato!

venerdì 28 novembre 2014

Solitudine e tristezza


LES REVENANTS
 
 
I ritornanti.

Dalla morte.

Ma non sono zombie, anzi hanno un aspetto normalissimo. Direi che dunque siamo sulla stessa linea di “Resurrection” (successivo, ma da noi arrivato prima), in cui il punto focale sono i drammi umani, non l'orrore, e, in particolare, le reazioni dei vivi, lo sconcerto di ritrovare i propri cari alla cui perdita ci si era già rassegnati, e i meccanismi che ciò innesca, a più livelli: individuali e non.

E poi ci sono le reazioni dei morti che ritornano, che non ricordano di essere deceduti o di quello che è successo in mezzo, laddove i vivi, invece, vogliono risposte, e tutti hanno bisogno di un motivo, di un significato... Perché accade tutto questo? Chi determina chi “resuscita” e chi no?

Qui, rispetto a “Resurrection”, c'è meno fantascienza, meno adrenalina, le scene scorrono con maggior lentezza, ma una lentezza che ha il suo peso, quello del silenzio, che ti sconcerta e ti lacera. E che resta. Stagna. Fermenta.

Non c'è un protagonista unico, la storia è corale e c'è spazio per il bambino come per l'adulto. A poco a poco i caratteri si definiscono e si scoprono gli altarini, gli scheletri nell'armadio, e forse si intuisce un disegno...

La serie è piuttosto stimolante, con personaggi dai caratteri forti, complessi e problematici, molto sfumati e molto umani, che in soli otto episodi riescono persino ad evolvere; un'atmosfera perfetta e gravida di solitudine e di tristezza, ma non senza sprazzi di speranza; e una colonna sonora inquieta (di Mogwai), che ti si insinua in testa.

Ma non basta: perché ci sono altri elementi sapientemente sparsi che suscitano domande ed interesse e che vanno al di là dei singoli destini: la diga e la città sotto di essa, i poteri che sembrano avere i defunti ritornati, e quelle macchie di putrefazione che a poco a poco si estendono sui loro corpi intatti, e la ferita sulla schiena di Lena, la gemella di Camille, viva e quindicenne, mentre la sorella è morta quattro anni prima, ritornata, ed è rimasta com'era a undici anni...

Verso il finale (che più aperto di così non si poteva, e che suscita molte domande e nessuna risposta, preannunciando la seconda stagione) abbiamo un cliffhanger in cui capita di tutto e si comincia a cogliere una parvenza di legame e di motivazione, che solletica, ma che non offre certezze: solo la possibilità di avanzare ipotesi.

Tra le scene che ho preferito, considerando tutta la serie, c'è quella iniziale in cui prima si inquadra una teca da entomologo con le farfalle trafitte dagli spilli e poi si nota una delle molte farfalle defunte, una soltanto, che comincia a battere le ali, sino a rompere misteriosamente il vetro e a volare via...

giovedì 27 novembre 2014

Niente sorpresa


UOMINI CHE ODIANO LE DONNE
di Stieg Larsson
 
 
Il primo tomo della trilogia Millennium, dal nome della rivista fondata dal protagonista. E a questo mi sono fermata.

Non è un brutto libro, si legge in fretta e intrattiene, il personaggio di Lisbeth Salander, la coprotagonista, è interessante, anche se non troppo originale, e ci sono alcune scene memorabili, un'ambientazione riuscita, però...

Lo stile dell'autore è meramente funzionale: fluido, scorrevole, sì, ma senza particolarità, bellezza o fascino.
 
Stieg Larsson, nella caricatura del nostro vignettista

La trama è scontata: io non sono una gran lettrice di gialli, ma non ero nemmeno a metà quando ho intuito i presunti colpi di scena... Tutti e due, quelli più importanti. Quindi niente sorpresa.

Insomma, che cosa ha fatto di questo volume un caso letterario? Non lo so, ma il più delle volte sospetto che il successo a questi livelli sia determinato soprattutto dal fatto che la basicità di tanti elementi (letterari e non) possano far breccia anche presso i non lettori, e siano proprio loro a fare la diferenza.

Tra i miei conoscenti, ad esempio, sono proprio i non lettori a tessere le lodi di questo romanzo, mentre i lettori abituali, come me, si sono fermati al primo volume, senza nutrire grande interesse per un'opera che, in fin dei conti, ha più che altro il pregio di essere molto commerciale.

Non brutta, però. Non noiosa. Non prolissa. Non pretenziosa. E meravigliosamente catartica in alcuni passaggi: perché sì, in certi punti ti provoca un'autentica rabbia, e poi ti consente di sfogarla tramite l'auspicata vendetta/giustizia.

In modo banale, magari, un po' scontato, troppo rapido e quasi pretestuoso.

Ma pazienza.

La verità è che se non me lo avessero spacciato per un capolavoro probabilmente la mia recensione sarebbe stata più indulgente. E forse avrei concluso la lettura della trilogia.

Per il resto, è soprattutto la storia di varie solitudini, determinate da motivi differenti. E come tema mi piace, ma avrebbe potuto essere affrontato in modo più introspettivo e meno superficiale.

mercoledì 26 novembre 2014

Drammaticamente ipnotico


1984
di George Orwell
 
 
Descrive un futuro distopico, non troppo lontano (in teoria nel 1984, appunto, ma si tenga conto che questo romanzo è stato scritto nel 1948... L'autore ha semplicemente invertito le due ultime cifre dell'anno in corso, per cui, se volessimo farne un “remake aggiornato”, doveremmo intitolarlo 2041), in cui il mondo è alla frutta.

Londra, Oceania (uno dei tre Stati totalitari in cui il pianeta è ripartito, perennemente in guerra): la nostra vita è in mano al Grande Fratello, che diffonde propaganda sullo stile “l'ignoranza è la forza” e ti controlla anche quando vai in bagno, mediante un sistema di telecamere piazzate ovunque, e alla Pscicopolizia, che ha il compito di far rispettare la Legge. Principalmente all'uomo è vietato di pensare, di amare (salvo per fini riproduttivi), di essere... Ridotto quasi ad un automa ha però a disposizione un'ora d'odio al giorno (mi pare...) in cui può sfogarsi, per poi tornare alla sua quieta e alienante quotidianità... Il nostro protagonista, Winston Smith, in apparenza un uomo qualunque, cerca di sottrarsi a tutto questo (anche perché si innamora di Julia, ricambiato, e questa è una grave infrazione)... Ma non sarà facile ammesso che ci riesca...

Si tratta di un romanzo straordinario, di grande impatto emotivo, che ti logora l'anima e ti provoca soffocamento e sofferenza, ma al contempo ti rende libero, perché ti aiuta a pensare...

Siamo in un ambito fantascientifico, certo, ma solo di facciata: questo è più un esercizio di fantapolitica misto a denuncia sociale, il paradigma di ciò che avrebbe potuto essere. Infatti, ci troviamo estremamente vicini alla realtà, specie se consideriamo che il Grande Fratello è una sorta di fusione tra Hitler e Stalin e che il romanzo, dunque, è soprattutto un baluardo contro tutti i tipi di totalitarismo.

Approfondiamo, inoltre, il concetto di individuo umano, di libertà, in primis di libertà dello spirito e di pensiero, e di come questo possa essere asservito, manipolato e schiacciato, anche contro la nostra volontà (la parte sulla tortura è davvero angosciante, non solo sul piano fisico, e ci rivelerà qualcosa su noi stessi che non ci piacerà).
 
George Orwell, ritratto dal nostro vignettista

Il libro ci propone svariati motivi di riflessione che vanno ben oltre il mero intrattenimento (salvo forse per un masochista) e ha il potere di scuoterci e di stimolarci nel profondo, imponendoci l'affermazione di noi stessi (tra un dubbio e l'altro)... e tuttavia scorre senza inciampi, fluido, semplice, elegante, specie dopo che si sono superate le pagine iniziali e si è entrati nel vivo della storia.

Drammaticamente ipnotico (e decisamente più complesso del pur bellissimo “La fattoria degli animali”).

martedì 25 novembre 2014

Carico di malessere


UN CUORE COSI' BIANCO
di Javier Marìas
 
 
Più che un romanzo un monologo interiore edificato sulle divagazioni: un lungo pensiero fatto di ricordi, parentesi, riflessioni, denso di rifrazioni e corrispondenze e di momenti sospesi, spesso ripiegati su se stessi... Non per questo non racconta qualcosa, la trama c'è, pur avvolta da digressioni: parla dei segreti e dell'opportunità di mantenerli o divulgarli, delle loro conseguenze e implicazioni, del matrimonio (nella sua accezione più complesssa) e dell'amore...

L'inizio è formidabile, misterioso e destabilizzante: narra del suicidio, in apparenza immotivato, di una giovane sposa appena tornata dalla luna di miele... Questa donna, Teresa, è la zia del protagonista, Juan, anche lui fresco di matrimonio... Il marito di Teresa, invece, il vedovo, di Juan è il padre, Ranz, un tipo davvero notevole: dopo che la moglie si è uccisa si è risposato con la sorella minore di lei, Juana... Ed anche lei, la madre di Juan, è morta prematuramente... Ma la cosa più pazzesca, scopre il protagonista alle sue nozze, è che che quella che lui crede la seconda vedovanza di suo padre è in realtà la terza... Forse...

La storia è molto bella, e si dipana facendo attenzione ad ogni minuzia: ad ogni esitazione, timore, dubbio, non solo del protagonista. E' pregna di digressioni (stupenda quella di Berta)... e quando va avanti va indietro, mentre quando retrocede va avanti. A tratti pare rarefatto, inconsistente, eppure è sempre tangibile, e così incredibilmente lirico!

Non si deve avere fretta, però. Si devono rispettare i tempi dilatati della trama, avere fiducia nel suo autore e nel fatto che nulla verrà tralasciato, anche quando l'impressione è che un filo sia stato dimenticato... Per comprenderne davvero la profondità e la bellezza, infatti, dobbiamo aspettare di averlo finito...

Il titolo, a proposito, allude ad una battuta del Macbeth di Shakespeare, dopo l'omicidio del re Duncan, e, in un certo qual modo, contiene il paradigma dell'opera, nel corso della quale più volte viene spiegato e rievocato.

Triste, dolce, intellettuale, carico di malessere e di sfumature.

In coda, due brevi brani di Marias che commenta il suo modo di scrivere e le tematiche affrontate nel romanzo...

lunedì 24 novembre 2014

Commovente e poetico


NIENTE DI NUOVO SUL FRONTE OCCIDENTALE

di Erich Maria Remarque
 

...Nel senso che al massimo sono crepati un po' di altri soldati, ma tanto che novità è? Succede tutti i giorni e ormai quasi non ci facciamo caso.

Questo il significato del titolo, ma non quello del romanzo (in parte autobiografico?) che, ovviamente, viaggia in direzione contraria, contribuendo a sensibilizzarci al dramma del fronte, permettendoci di farlo nostro e di immedesimarci, vivendolo quasi sulla nostra pelle, liberandoci della retorica e delle frasi propagandistiche preconfezionate.

Ambientato durante la Prima Guerra Mondiale ci narra le vicissitudini di Paul Bäumer e dei suoi amici, arruolatisi come volontari per spirito di avventura, ispirati da ideali eroici, dal patriottismo, i quali, loro malgrado, sono presto costretti a scontrasi con la realtà per scoprire che la guerra è sporca, miserevole e sostanzialmente senza scopo, in cui ogni soldato, anche tu o il tuo migliore amico, alla fine è soltanto un numero...

Non è un libro crudo quanto desolante, che ti atterrisce nella sua fulgida e tragica bellezza, che punta sulla sensibilizzazione, sulla smitizzazione della guerra (da sempre virilmente esaltata), sulle emozioni e non trascura la sofferenza di chi resta a casa.
 
Remarque ritratto dal nostro caricaturista.

Scritto con maestria e sensibilità, commovente e poetico, lacerante, e straordinariamente educativo, pregno di verità. E, com'è logico, fortemente antimilitarista.

L'azione non manca (ed anzi, il romanzo è piuttosto incalzante), ma è commista a riflessioni, a interiorizzazioni, che sono in parte sono le nostre, ma più essenziali, più concise, ed espresse meglio.

Molti i momenti memorabili, magnifico e amaro il finale.

E non importa quanto tempo è passato, perché questo è un romanzo eterno, sempre attuale.

Che ti arriva dritto al cuore e ci rimane.

Così come ogni caduto.

Che hai imparato a conoscere, e ad amare.

Che sei tu.

Che è il nemico.

E che ormai fa parte di te.

domenica 23 novembre 2014

Al bando la musica rock


FOOTLOOSE
di Herbert Ross

(1984)
 
 
Lo dico in tutta onestà, quando ero piccola apprezzavo questo film soprattutto per i balli (che a rivederli ora non sembrano tutti così incredibili, specie l'ultimo), per Kevin Bacon (che per una volta non faceva la parte del cattivo/psicopatico, ma del figo, vantando pure un dinamismo pazzesco), e per la musica (stupenda ed esaltante, tanto che avevo pure comprato il cd)...

Da adulta, invece, preferisco i riferimenti a Vonnegut e il clima di ribellione: del resto la trama è incentrata su questo, e anche il ballo ne rappresenta un aspetto.

Ci troviamo in una piccola comunità semi-rurale, Beaumont, in cui il Reverendo Shaw Moore (John Lithgow), dopo aver tragicamente perso un figlio, impone al paesino la sua visione arretrata e bigotta, per cui sono più le cose proibite che quelle lecite, e, per giunta, le proibizioni si fondano più su ignoranza, pregiudizio e paura che su ragioni plausibili. Ecco perché “Mattatoio n. 5” (di fatto un romanzo contro la guerra) è considerato una lettura proibita. Così come sono al bando la musica rock e il ballo.

Le cose inizieranno a cambiare quando Ren McCormack/Kevin Bacon si trasferirà in città, portando una ventata di aria fresca (e corteggiando Ariel, la figlia del Reverendo) e di “ribellione”.

Il film, in realtà, è abbastanza all'acqua di rose, più atmosfera che sostanza, con molte scene ovvie, e altre quasi di repertorio, ma è carino, si vede volentieri, e anche se adesso risulta per molti versi un po' datato, sotto altri profili è intramontabile, sotto altri divinamente vintage... E poi ne apprezzo il senso generale, il significato ultimo (la faccenda dolore/bigottismo/libertà di scelta/cultura)... anche se, lo ammetto, è resa in modo un po' semplicistico e pretestuoso.

Curiosità:

Di Footloose esiste un remake del 2011, con Dennis Quaid nel ruolo del Reverendo, mentre nel cast di quello del 1984 c'è anche Sarah Jessica Parker...

sabato 22 novembre 2014

Un romanzo perfetto


IO NON HO PAURA
di Niccolò Ammaniti
 
 
Già l'idea di partenza è geniale, per il ribaltamento che offre e per il realistico e terribile orrore che racchiude.

Il punto di vista è quello di un bambino, Michele Amitrano, nove anni. Un ragazzino come tanti, ma vitale, allegro, e in fondo buono, povero, ma onesto. Che fa amicizia con un altro bambino, un bambino ricco, privilegiato, Filippo, che è stato rapito. Dal padre di Michele, tra gli altri.

Padre che quindi è un mostro, uno spietato e cattivo, uno di quelli di cui avere paura... Ma come fa ad esserlo, un mostro, se è il tuo papà e tu gli vuoi bene e con te è sempre stato bravo?

Un romanzo dolcissimo, ma altrettanto crudele.

Un romanzo perfetto.

Con una trama semplice e lineare, ma basata sul paradosso e la dicotomia, che sconvolge e ribalta la prospettiva, più volte, tramortendoci con la forza di un maglio.

Con uno spaccato del Sud Italia del 1978 così vivido e genuinamente popolaresco che pare una fotografia vivente, convertita in parole.

Con uno stile essenziale, limpido, cinematografico, che ti ipnotizza, facendoti precipitare nella storia già dalle prime righe.

E poi la potenza dei bambini, con la loro innocenza/saggezza, ingenuità, ma anche crudeltà e tradimenti, resa con l'autenticità più smagliante, più vera, che ci incanta e ci ferisce.

Una storia toccante, senza retorica, che costringe il piccolo Michele a crescere tutto d'un colpo, dando una scossa alle sue certezze e frantumandone la maggior parte. E che fa crescere anche noi, come solo i grandi libri sanno fare.
 
Ammaniti visto dal nostro vignettista.

Ed è buffo, perché durante la lettura, né dell'una né dell'altra opera, non lo avevo colto, me ne sono accorta adesso, facendo mente locale: per certi elementi, specie a livello di trama, ci sono moltissime somiglianze – con le dovute modifiche di tempo e di luogo – tra “Io non ho paura” (precedente) e “Il bambino con il pigiama a righe” di John Boyne... Ad esempio, l'amicizia tra due bambini che si trovano in condizioni sociali opposte, per giunta uno prigioniero e l'altro libero; il ruolo del genitore del ragazzino libero; il punto di vista narrativo; alcuni aspetti del finale...

Entrambe, comunque, sono opere eccellenti, e poco importano le somiglianze di base, senza contare che sotto altri profili i due libri sono molto distanti, avendo una carica poetica di matrice diversa, meno fiabesca per il romanzo di Ammaniti, e con un protagonista più scaltro, meno infantile...

venerdì 21 novembre 2014

I pregiudizi della gente


MALAINFORMAZIONE SUI CONIGLI E COMPORTAMENTI IRRESPONSABILI DI GENTE PER MALE
 
 
Come spesso capita, lo spunto di questo post viene dalla conversazione avuta con una mia collega: costei si stava rammaricando per non poter prendere un cane, che le richiederebbe troppo impegno... io le ho consigliato un coniglietto: sono indipendenti e affettuosi, e non abbisognano di molte cose, solo di amarti (o poco più)!

Ecco che cosa ha risposto: non voglio un animale deficiente e poco affettuoso, e poi i conigli puzzano!

Misericordia! Ma da dove li prende la gente 'sti pregiudizi?

Uno: i conigli sono intelligenti almeno quanto i cani. Io ho un coniglio (Dado) e quando rincaso mi viene incontro, quando lo chiamo viene (specie se sto guardando un film horror e ho bisogno di sostegno morale), e se lo faccio arrabbiare si offende e tiene il broncio... E guai se gli sposti le sue cose (tunnel, giochi, ciotola)! Se poi la pappa non gli garba (ad esempio, guai a proporgli insalata gentilina) fa la rivoluzione e rovescia il piatto. Se è malato e dobbiamo somministrargli l'antibiotico occultandolo nel cibo, ad esempio polverizzando la pastiglia e arrotolandola nella catalogna, il cucciolo fiuta l'inganno, disfa l'involtino, e lo sbatte sul pavimento finché si disfa e il medicinale finisce sul pavimento...

Due: i conigli sono affettuosi! Da morire! Capita spessissimo che Dado reclami coccole, che ci appoggi la testina addosso o la inclini per riceve carezze... e fa pure le fusa! Quando è particolarmente felice ci corre attorno e, se proprio è ispirato, ci dà pure una leccatina timida (poi corre via). In questi tre anni mi ha morso una sola volta (senza nemmeno lasciarmi il segno) e solo perché – temo – ha confuso la mia mano con il pezzo di mela che tenevo in mano (e infatti si è subito ritratto, più spaventato di me).

So che ci sono conigli che hanno atteggiamenti più aggressivi... ma quando si approfondisce un po' si scopre che i poveretti vengono tenuti tutto il giorno da soli, isolati e pure in gabbia! Dado gira libero per casa (e fa i suoi bisognini nella lettiera)... certo, ha la passione per le rosicchiate, ma basta mettere in sicurezza i fili, e non ci sono problemi! Se vuoi dell'amore, comincia a darlo, e vedrai che il coniglietto te lo restituirà centuplicato!

Tre: i conigli non puzzano! Sono bestioline pulite, abituate a stare nel pulito: tutto ciò che chiedono e di essere magari strofinate una, due volte alla settimana con delle salviettine umidificate tipo Fresh & Cleen, e, se hanno il pelo lungo (ma se non ce l'hanno male non fa), una spazzolatina con la spazzoletta per conigli (ai cani, ricordo, bisogna fare almeno un bagno alla settimana, se no tanfano come l'inferno)!

Personalmente, credo che non ci siano inquilini/animaletti migliori!

Ciò nondimeno sento sempre più spesso di coniglietti abbandonati: solo dove abito io quest'estate una coniglietta è stata trovata sull'autostrada, uno sulla spiaggia, tra le cabine. Ma si può?

Ora, a parte che chi pone in essere certi comportamenti è senza dubbio un criminale e ha tutto il mio disprezzo, non capisco che diavolo ci voglia a rifletterci meglio se si vuole o meno un animaletto, o a tener presente che, comunque, se hai cambiato idea, devi almeno accertarti che stia bene e sia felice. Con tutto che anche le bestiole si affezionano e soffrono se vengono abbandonate (sull'autostrada, poi...)!

Insomma, se il vostro bambino vuole un animale e voi temete che dopo una settimana se ne stanchi (a parte che probabilmente non avete insegnato all'infante il rispetto per le creature viventi): o siete disposti ad accudirlo voi, o evitate di comprarglielo.

I conigli sono morbidi e graziosi, ma non sono giocattoli (e nemmeno le altre bestiole, se è per questo), e siccome dipendono da voi, o li trattate come si deve o evitate di prenderli!

Gli animali sono amore, ma anche responsabilità!

giovedì 20 novembre 2014

Comincia quasi a stancare...


XIII
di J. Van Hamme e W. Vance
 
 
Una serie a fumetti che doveva finire con il numero 13 (così mi era stato detto quando avevo iniziato ad acquistare i volumi), ma che è ancora in corso (siamo al n. 22) e, per giunta, ha dato vita ad una serie parallela composta da volumi autoconclusivi, ciascuno dedicato ad un personaggio della serie principale, al suo passato e al perché è diventato com'è (molto carina pure quella).

Si comincia su una spiaggia, quando questo bel figliolo si risveglia senza memoria e con il tatuaggio XIII sul collo... subito viene soccorso ed aiutato da una coppia di anziani gentili, che lo accudisce, ma presto il nostro viene aggredito da alcuni sicari ed è costretto a fuggire. In che cosa è coinvolto? Perché non ricorda nulla? E soprattutto... chi è? A noi pare un persona buona e coscienziosa, ma a volte spuntano dettagli che potrebbero suscitare dubbi... A poco a poco, però, cominciamo a scoprire chi è il nostro eroe: la storia è intricatissima, costellata di false piste, di soggetti ambigui, di enigmi, e, sullo sfondo, niente meno che un complotto per uccidere il Presidente degli Stati Uniti (la storia è per lo più ambientata lì, nonostante il fumetto sia franco-belga)... Ma non ci basta risolvere questi misteri, perché poi la trama prosegue, e ci regala altri cicli narrativi, con nuove matasse da dipanare.

La serie è intelligente, adrenalinica, e ben costruita, intessuta di colpi di scena e di rivelazioni shock, assai godibile, estremamente incalzante e ben disegnata.

Il protagonista ci piace, è un tipo carismatico, intelligente ed eroico q.b., ma sono altri due i personaggi che preferisco: il Tenente (poi Maggiore) Jones, una bellissima donna, spiritosa, concreta, coraggiosa, uno dei pochi comprimari di cui davvero ci si può fidare perché è una vera amica (e forse qualcosa di più...) ed è assolutamente in gamba (io la adoro soprattutto per via del rapporto che la lega a XIII...) e poi il Generale Carrington, anziano ma eccezionale, e soprattutto leale e non troppo rigido. Ma devo dire che quasi tutti personaggi di contorno sono degni di nota e ben caratterizzati (da qui, come accennavo sopra, la serie parallela XIII Mystery, incentrata sui comprimari)...

I primi numeri sono davvero coinvolgenti, quasi ipnotici, poi ci si perde un po', la “regia” si fa meno sicura. Il fumetto si continua a leggere con piacere, ma non si ha più l'impressione di essere al cospetto di una storia che viaggia esattamente nella direzione in cui vuole andare, e alla lunga la pubblicazione comincia quasi a stancare... Questa, almeno, è la sensazione che ho io adesso: se in principio ero impaziente di leggere un volume nuovo, adesso inizio ad auspicare che la saga di XIII si concluda... Peccato.

Rimane comunque una serie interessante e che si legge volentieri e che non manca di regalare qualche emozione.

mercoledì 19 novembre 2014

La putrefazione degli spettatori


LA RESURREZIONE DI THE WALKING DEAD
 
 
Alludo alla Serie Tv, naturalmente, visto che il fumetto è partito alla grande ed ha continuato sempre meglio, con una fantastica escalation di tensioni, lotte e drammi umani, oltre ad un notevole ricambio di personaggi (ogni tanto mi sembra di sentire il canto di Lucille, nella notte... e chi legge il comics di Kirkman non può ignorare a quale tremenda scena mi riferisco: a quella su due pagine, con il cervello e l'orbita di fuori...), mentre la versione televisiva, specie nella scorsa stagione, appariva sempre più bolsa e defatigante, con ogni dialogo, sospiro, pensiero, dilatato sino allo strenuo inverosimile, forse con lo scopo di indurre lo spettatore al suicidio per noia... Ma quest'anno! Quest'anno la resurrezione!

Le basi erano già state poste negli ultimi dieci minuti dell'ultimo episodio della IV stagione (gli unici decenti in oltre venti puntate di nulla), subito dopo l'arrivo all'agognata Terminus...

Il mio timore era che, tuttavia, dopo aver risolto la questione in altri dieci minuti, nella V si tornasse si ritornasse al Nulla che Avanza... invece... Invece fuochi d'artificio, ritrovamenti, sparatorie, lanciafiamme, nuove sottotrame, e, finalmente, anche un po' di sana adrenalina!

La prima puntata è stata velocissima e densa di emozioni, con in più un po' di allegra vendetta, che sempre è gradita! Ma non ci siamo fermati qui: anche nel prosieguo (con qualche pausa ogni tanto, va be', ma se siamo giunti fin qui possiamo gestirle tutte) il ritmo è stato sostenuto, e ho apprezzato pure la puntata flashback dedicata a Beth, che fino a poco prima consideravo uno dei personaggi più inutili della serie (in questo simpatico ritrovo in cui è approdata suo malgrado, i nonmorti si chiamano putrefatti. E' pazzesco che in una serie sugli zombi, si parli di vaganti, di infetti, di greggi, di tutto, ma mai di zombie!).

La puntata successiva, quella su Eugene è stata un po' pallosa, e così la successiva con su Carol e Daryl, ma niente in confronto al vergognoso passato... E sembra che ci sia ancora qualche carta da giocare (con chi è tornato Daryl? Che succederà all'Ospedale?)...

Speriamo... Perché, davvero, lo scorso anno rischiavano di putrefarsi gli spettatori...

martedì 18 novembre 2014

Sensazioni quasi contrastanti


LA FINE DEL MONDO E IL PAESE DELLA MERAVIGLIE

di Haruki Murakami
 
 
Un romanzo dall'immaginazione potente, raffinata e geniale, con due storie che scorrono parallele, semplici e complesse ad un tempo, affascinandoci per motivi diversi, comunicandoci sensazioni quasi contrastanti, eppure ricche di corrispondenze, fino a che si scopre che sono la stessa, assai più intrecciata di quanto non sembri!

C'è questo ragazzo, un cibermatico (un soggetto che elabora dati attraverso un processo particolare chiamato shuffling), che si reca ad un colloquio di lavoro. Ad accoglierlo, in un palazzo al centro di Tokyo, una fanciulla in tailleur rosa, meravigliosamente cicciottella, che emette suoni senza senso... Il cibermatico dovrà attraversare il buio, stando attento agli Invisibili (creature misteriose che, se potranno, lo cattureranno e lo infileranno nell'acqua, mangiando la sua carne man mano marcisce) e attraversare una cascata a cui è stato tolto il sonoro...

E c'è questo altro ragazzo, il lettore di sogni, che arriva in questa città circondata da mura: dovrà lasciare la sua ombra all'ingresso, sino a che essa non morirà, e con essa i suoi ricordi, quindi iniziare il suo nuovo lavoro: leggere vecchi sogni – teschi di animali morti – in biblioteca... E intanto il nostro cibermatico riceve in regalo il teschio di un unicorno...

La prima storia è più realistica, nonostante gli elementi futuristici, quelli fantastici (Semiotici, Invisibili, Cibermatici...), e la creatività scientifica, densa di riferimenti alla cultura passata (film, libri, musica...), condita con un po' di azione e adrenalina...

La seconda è più suggestiva, più poetica, appartiene ad un mondo altro, bellissimo e sconosciuto, immaginifico, in cui tutto è rarefatto, simbolico, inconsistente... Con un Guardiano che fa promesse che non mantiene, un Colonnello gentile, ed individui non identificati che vivono nel bosco e da cui pare sia meglio mantenersi distanti, e attività che non hanno scopo, svolte per il puro gusto di lavorare...

Entrambe le trame procedono a passi misurati, ma coinvolgenti, sono disseminate di indizi e di curiosità, di dettagli e riflessioni, e sono stimolanti e profonde, oltre che scritte in modo sublime... Ed è strano, perché non ci si affeziona ai personaggi: per certi versi sono troppo troppo lontani, quasi anonimi, perché possano suscitare i nostri sentimenti. Ma è la trama sdoppiata che ci avvince: la sua costruzione è impeccabile, il suo contenuto multiforme, la sua filosofia rivoluzionaria... Che non non si arresta lì, perché quella che stringiamo fra le mani, alla fine, è una vera e propria reinterpretazione della vita e del suo significare.

lunedì 17 novembre 2014

Aspetti inquietanti e densi di fascino


NOAH
di Darren Aronofsky

(2014)
 
 
Per quel che ho potuto osservare le caratteristiche precipue di Aronofsky sono la visionarietà e l'ossessione... e in questo direi che stiamo “migliorando” (non nel senso di aumento di pregi o diminuzione di difetti... è solo che più andiamo avanti, più il quadro umano/psicologico globale che emerge dai suoi film è sempre meno pessimistico). Nelle ultime pellicole, infatti, ho assistito ad un progressivo alleggerimento della sua poetica: le visioni sono divenute più evocative e meno allucinanti, mentre l'ossessione, pur ancora presente, si è ridotta di molto, concedendoci, infine, anche qualche spiraglio di luce (in “Pi greco, il teorema del delirio”, c'era veramente da trapanarsi il cranio!).

A parte ciò, e a parte che a tratti Noè/Russell Crowe (perfetto nel ruolo del patriarca) sembra uno psicopatico fatto e finito (all'inizio le sue motivazioni sono comprensibili, ma verso il finale rasentiamo la follia...), questo film mi è piaciuto. Non è molto diverso dal fumetto, ma ha il pregio di non essere stato diviso in due volumi...

Inoltre, nonostante sia estremamente lungo (138 minuti) il tempo non si avverte e scorre via veloce, tra azione (non ce n'è poca), evocazione, iperboli, epicità e buoni dialoghi, personaggi incisivi e ottimi interpreti... La storia, poi, quella biblica dell'Arca (non priva di aggiunte), è ricca di aspetti inquietanti e densi di fascino: dagli angeli caduti alle reazioni degli umani condannati (e la domanda: ma sono davvero tutti colpevoli? Tanti sono solo vittime...), dalle conseguenze della loro morte (li sentiamo urlare mentre l'acqua sale...), alle personalità dei protagonisti, e in specie quella sofferta di Noè e quella di Matusalemme/Anthony Hopkins, suo nonno, che a volte sembra ben più di un uomo, altre pare un vecchietto svagato... Notevoli la fotografia, il montaggio e le immagini in generale, specie con gli animali che arrivano in massa, per categorie (e, a proposito, assai suggestiva l'idea che alcuni spariscano divorati... e così il sistema ideato dalla famiglia per addormentarli...), l'alternanza tra materialità e suggestione incantata e il racconto sulle origini del mondo...

A livello “filosofico” gli spunti di riflessione sono parecchi: la colpa, naturalmente, e le sue conseguenze, la solitudine, il dovere verso Dio (quello inflessibile del Vecchio Testamento) e la necessità di sopravvivere... Bello, infine, il significato che assumono le donne, la moglie di Noè/Jennifer Connelly e Ila/Emma Watson, che in parte sono il contraltare del protagonista, in parte il suo sostegno e la nostra voce...

Riassumendo: la potenza del mito fusa con l'immaginazione di un grande visionario talentuoso, colma di spesso ossessive implicazioni morali!

P.S.

E comunque, per citare il MMP, vuoi mettere un film con il padre di Thor, la moglie di Hulk e il padre di Superman? E c'è pure l'amica di Harry Potter...

domenica 16 novembre 2014

Un capolavoro immenso


DELITTO E CASTIGO
di Fedor Dostoevskij
 
 
Che dire, a parte che è un capolavoro? Dostoevskij scrive da dio (assai più orgasmatico di Tolstoj), è acuto, penetrante, ricco di dettagli, delinea la psicologia dei suoi personaggi come nessun altro, e “Delitto e Castigo” è forse il suo romanzo più noto (ad essere onesti-onesti io ho preferito “I Fratelli Karamazov”, ma va bene lo stesso, anche se lo sguardo di comprensione che intercorre fra Razumichin e Raskol'nikov alla fine della quarta parte – mi sembra – è forse, narrativamente parlando, il momento più alto di cui abbia mai letto...). Sublime.
 
Dostoevskij, nella caricatura del nostro vignettista.

E anche curioso, in fondo: perché, in un certo senso, il delitto andava “moralmente” compiuto – quasi – mentre del castigo, tutto sommato, noi avremmo fatto a meno... noi lettori, magari, nel senso che perdoniamo subito Raskol'nikov per l'omicidio... il problema è che lui non perdona se stesso e sprofonda nell'angoscia e nella solitudine più nere (e quando per strada gli viene sussurrata la parola “omicida”, io non ho potuto trattenere un brivido)...

Per il resto, sì, “Delitto e castigo” viene considerata una lettura impegnativa. Perché è lunga, profonda, riflessiva e divinamente redatta... Ma attenzione ai pregiudizi: non è un mattone, anzi l'inizio è piuttosto incalzante, e serve per entrare in confidenza con lo stile munifico di particolari dell'autore... Ma poi, quando la storia comincia un poco a rallentare, divenendo più meditativa e lasciando meno spazio all'azione (che comunque non scema mai del tutto), subentrano in noi la dipendenza da questa prosa perfetta e, sì, anche il febbrile bisogno di sapere come se la caverà (se se la caverà) il nostro eroe. In questo senso, invero, il titolo ci rivela già molto, tuttavia senza rovinarci il finale o il percorso del protagonista (il vero succo dell'opera), che, comunque, è meno terribile di quanto ci si sarebbe potuti aspettare... Non per gli eventi in sé, quanto piuttosto per come Raskol'nikov affronta i fatti e finisce per cambiare prospettiva, maturando e divenendo una persona migliore.

Non dirò altro, in merito, se non che, come spesso accade nel nostro Fedor, nella trama troverà posto pure l'amore... Un po' tragico e un po' disperato, magari (come sempre), ma comunque amore con la maiuscola...

Un capolavoro immenso, etico, che esplora svariate tematiche, che si pone interrogativi e propone critiche e dilemmi, percorso da uno straordinario (e ottimistico) afflato religioso...

sabato 15 novembre 2014

Le ipotesi più bizzarre


SOLARIS
di Stanislaw Lem
 
 
Un classico della fantascienza fuori dal tempo, uno dei più sconvolgenti e profondi, di quelli che scavano nell'inconscio e nei segreti più riposti degli individui. Cerebrale, filosofico, ragionato, magari un po' freddo dal punto di vista del lettore (personalmente ho faticato ad empatizzare con i personaggi), ma che ti dà una vertigine mentale, una serie di scosse elettriche, e cui, ciò nondimeno, non si può non riconoscere una squisita finezza psicologica.

Siamo in una remota stazione spaziale, sopra il misterioso pianeta Solaris, fatto di liquido plasmatico dal quale periodicamente emergono strutture complicate di cui non si riesce a cogliere lo schema, né il significato. Da decenni i terrestri lo studiano per carpirne i segreti, c'è chi addirittura suppone che il pineta sia in grado di pensare, che sia vivo e dotato di volontà...

Noi arriviamo nella stazione con Kris Kelvin, psicologo incaricato di stabilire un contatto con Solaris... Solo che cominciano a capitare cose strane. Ad esempio, che ci fa a bordo Harey, la moglie di Kelvin? Ed è proprio lei? Perché a noi risulta che Harey sia morta suicida, anni fa...

E dunque questo accade: che ci ritroviamo a confrontarci con i nostri ricordi, meglio se dolorosi, e quindi con noi stessi, le nostre paure, solitudini, desideri. E questi ci mandano in crisi, ci distruggono, ci lacerano, ci fanno impazzire, assumendo le sembianza di incubi... Anche perché noi non riusciamo ad accettarli... Ma se li cacciamo, loro ritornano, e a volte reagiscono male...

Ed infatti impieghiamo un po' a capire che di questo si tratta, e in tanto ci intratteniamo con le ipotesi più bizzarre.
 
Stanislaw Lem, ritratto dal nostro vignettista.

Lo stile è alto, sofisticato, dotato di una certa ricercatezza, ma scorrevole, seppur in modo placido e misurato, incline alle descrizioni elaborate e non immediato... Talvolta inquieta, talaltra strazia o intenerisce, ma sempre centra il bersaglio, alimentando i nostri sensi di colpa e inducendoci a ragionare sul significato stesso dell'esistenza.

Un romanzo profondamente metafisico, paradossalmente oggettivo, che ci incanta e ci sferza, ci suggestiona, e che è immortale e ricco di spunti che possono ancora essere indagati e che, in parte, cambiano ad ogni rilettura.

venerdì 14 novembre 2014

Alla ricerca di se stessi


LE ETA' DI LULU'
di Almudena Grandes

Lulù ci appare come una donna disinibita che “ama l'amore” e si dà e lo prende in tutti i modi, senza freni e senza limiti, spesso con una certa ossessività (che di solito non è indice di divertimento, né di vocazione... e non è libertà, ma schiavitù)...
Scopriamo allora chi è veramente la bella Lulù: una fanciulla che a quindici anni è stata sedotta da un amico di famiglia, Pablo, di dodici anni più vecchio di lei, e che lei ha finito per sposare, legandosi a lui in un matrimonio sui generis, fatto di libertinaggio e di perversione, in cui Lulù, sostanzialmente, deve sempre essere una ragazzina di quindici anni... Fino a che non decide di crescere e di svincolarsi una volta per tutte, con l'unico sistema che davvero le è familiare: il sesso, che quindi qui assume una valenza pura, esistenziale...
Non ho letto molti romanzi considerati erotici: c'è stato il brutto “Cento colpi di spazzola” di Melissa P., di una tristezza sconfinata e che tutt'al più ha la capacità di anestetizzarmi per reazione; la “Justine” di De Sade (la prima versione, quella più soft, contenuta ne “I Meridiani” Mondadori, e a tratti mi ha infastidita pure quella, sebbene magistralmente scritta); “La pianista” di Elfriede Jelinek, che non mi era dispiaciuto, benché fosse un po' morboso e dell'erotismo avesse giusto l'aroma... e direi basta (Le “Cinquanta sfumature” me le sono risparmiate: mi sembrava una saga squallida, soprattutto a livello letterario, già dalle recensioni favorevoli)... Insomma, non sono un'estimatrice del genere, né un'esperta, ma questo romanzo di Almudena Grandes mi era piaciuto...
Almudena Grandes, ritratta dal nostro vignettista.
Non tanto a livello erotico, le mie fantasie e quelle presentate nel libro non combaciano granché (ma qualche guizzo c'è, specie all'inizio), quanto piuttosto a livello di prosa. Perché, hey, la ragazza sa scrivere! E riesce a non cadere nel volgare a tutti i costi. Ha uno stile caldo, invece, dolce, coinvolgente, e riesce a creare aspettazione, attesa, a incuriosire e a solleticare (anche quando esagera un po').
E poi non c'è solo sesso, ma anche sentimento, e non sto parlando di una banale e trita storia d'amore, quanto piuttosto di un rapporto adulto (più o meno... più meno che più), complicato, torbido e complesso, dalle molteplici implicazioni. Sessuali, sì. Ma non soltanto (in effetti, uno dei punti forti del romanzo è dato dalla capacità introspettiva e dalla finezza psicologica dell'autrice). E poi si va più in là, alla ricerca di se stessi, della propria essenza, della libertà.
Ed è interessante scoprire perché Lulù abbia “più di un'età”...