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venerdì 31 maggio 2013

Il senso della vita sfugge, ma a volte ti sembra di afferrarlo...


MONTY PYTHON: IL SENSO DELLA VITA

(1983)

Umorismo inglese ai massimi livelli: surreale, intelligente, arguto.

Utilizza il non sense e l'ironia, il paradosso e la satira sociale, ma è dissacrante, trasgressivo, a tratti persino un po' disgustoso (il signor Creosote, in particolare), con qualche accento splatter.
 

Il film è suddiviso in episodi e affronta le sette fasi della vita dell'uomo, dalla nascita alla morte, cercando di carpirne il senso...

...Ma alla fine il senso c'è davvero?

A volte la pellicola pare suggerire di no e nel finale la soluzione viene consegnata in busta chiusa (di cui non svelo il contenuto)... Ma probabilmente il segreto sta nel pesce, ossia in quel siparietto che compare “alla metà del film”: il momento più difficile da decifrare, ma anche quello che alla fine continua a viaggiarti in testa, insinuandoti tra i tuoi pensieri e offrendoti interpretazioni diverse a seconda dell'angolazione da cui lo scruti... Probabilmente perché il senso della vita sfugge, ma a volte ti sembra di afferrarlo, e magari lo fai davvero... Quando riesci a spogliarti delle sovrastrutture sociali e dai falsi valori imposti dall'alto: dalla religione, dalla politica, dalla scuola... Perché non si è nascosto, lo hai sempre avuto davanti, ma tu finora non sei mai riuscito a vederlo...

A supporto di questa tesi, una curiosità: il titolo provvisorio dell'opera era proprio “Fish”, pesce.

Un film iperbolico, cinico, che trasuda humor nero e che regala sketch pazzeschi (il prologo con la guerra fra gli impiegati, la lezione di educazione sessuale, i menu per la conversazione, le conseguenze del mancato uso del preservativo...).

Metafisico, sarcastico, godibilissimo, sottilmente colto e sofisticato.

Ma soprattutto: divertente, spassoso, da sganasciarsi!

Intramontabile.

giovedì 30 maggio 2013

Locuste affamate, avide, ingorde, che si alimentano di ipocrisia...


IL GIORNO DELLA LOCUSTA
di Nathanael West


Ovvero lo stagnare di sogni (di per sé banali e inflazionati) che non si sono realizzati e non si realizzeranno, e che sono destinati a naufragare tristemente senza neppure la consolazione di un riscatto morale (o che, ci direbbe Michael Ende, l'autore de “la Storia Infinita”, diventano bugie).
In realtà non si soffre troppo per i protagonisti, uno più fastidioso, squallido, e insignificante dell'altro, persone comuni e pieno di odio con qualche irrisorio talento o nessuno, del tutto privi di afflati poetici e di buon cuore, e per cui, dunque, non c'è partecipazione emotiva né pietà nemmeno da parte dell'autore, che si limita ad osservarli con occhio clinico registrandone i passi e i non-progressi, le illusioni e le disillusioni.
Lo scopo non è infatti quello di immedesimarsi in loro e simpatizzare con i loro drammi, solitudine, incomunicabilità... ma è piuttosto una denuncia: su come la realtà di Hollywood, fabbrica di meraviglie e di stelle, corrompa e sia corrotta, frequentata sostanzialmente solo da locuste affamate, avide, ingorde, che si alimentano di ipocrisia e di menzogne.
La storia prosegue in modo cadenzato, tra nuove conoscenze e piccole batoste, ma poi, all'improvviso, si impenna, sfociando in una sorta di isteria collettiva, e tutto arde e si consuma in un lampo, così velocemente che ti sbalza su un lato, attonito, ustionato, col sedere per terra, e ti tocca rileggere le ultime pagine per capire se quanto è avvenuto è avvenuto davvero.
Ma lo è.
E ti lascia l'amaro in bocca.
Al contempo, però, conferisce un senso profondo al testo, strappando ogni illusione, lacerandola, e dimostrandoti empiricamente di quale vile materiale siano fatti i sogni.
Solo certi sogni, però, preciso io. E molto dipende dalla qualità dei sognatori, che, in questo caso, sono mossi più dall'ambizione e dal bisogno di rivalsa, che dal gusto per la bellezza.
Lo stile è rapido, asciutto, con pochi orpelli. Lucido, oggettivo, perfettamente intonato alla trama. Il romanzo è brevissimo, negativo, e per l'epoca (scritto e ambientato negli anni trenta, periodo d'oro del cinema hollywoodiano) assolutamente controcorrente, tutto teso, con pochi abilissimi tratti, a scrostare la doratura del mito cinematografico e con essa a rivelare il lato oscuro della società e del sogno americano: sfavillante, quanto fragile e inconsistente.
P.S.
Piccola curiosità, uno dei personaggi si chiama Homer Simpson, e anche se nulla ha a che spartire con il simpatico mangia-ciambelle di Springfield, è una casualità abbastanza buffa.

mercoledì 29 maggio 2013

Scene umoristiche di raffinata crudeltà...

PREACHER
di Garth Ennis

Uno dei fumetti più divertenti, anticonvenzionali, dissacranti, irriverenti, e amabilmente blasfemi dell'universo!!!
E anche uno dei miei preferiti, con scene umoristiche di raffinata crudeltà, che si destreggiano tra il grottesco e il demenziale ben calibrato, e che si rivelano ottime per stemperare la drammaticità di altri momenti.
Ricco di azione, di ritmo, di colpi di scena, e con personaggi strepitosi e sfaccettati (I love Jesse Custer, il protagonista... E Cassidy, il suo amico vampiro), azzeccatissimi, affascinanti, che seguiresti ovunque, perfino in una blobbosa soap opera, e per cui sarebbe necessario un Post a parte, cattivi e comprimari inclusi (alcuni sono così gustosi che hanno meritato dei brevi spin-off).
Per giunta si sollevano interessanti questioni religiose, se qualcuno avesse il tempo di soffermarvisi, tra una fuga, una scazzottata e una bella risata di pancia (abbiamo angeli, demoni, un santo, un reverendo... ma Dio no. Dio si è nascosto chissà dove quando sono spuntati i primi casini...).
E c'è una storia d'amore, naturalmente, una bella intensa, non zuccherosa, con qualche intoppo e qualche guasto... E una di amicizia, anche, un'amicizia insolita, curiosa, con risvolti inaspettati, un paio di pecche, e ritorni graditi... E pure una di amore filiale... E poi sangue, violenza, e altro sangue e altra violenza! Un'ambientazione Western con un po' di allusioni al genere... Femminismo, satira, l'analisi di vari temi sociali (tossicodipendenza, depressione, senzatetto...) e un po' di sano turpiloquio, a condire il tutto e ad esasperarlo ancora un po'.
Detto così può sembrare un assurdo mix di ingredienti presi a caso, ma non lo è: in realtà c'è pure John Wayne, ma ogni elemento è ben bilanciato e in sintonia con gli altri, che ne vengono così esaltati acquistando nuovi valori, e che comunque risultano tutti coerenti e naturali. Ad esempio, si ride molto meglio dopo un bel massacro... Non per sadismo, ma per reazione... Dicesi bisogno di catarsi.
La trama è ben strutturata, ed è evidente, nonostante il trionfo di intrecci/intrighi/personaggi, che è stata pensata prima della stesura, e perfettamente studiata e ponderata. Diversamente sarebbe stato davvero difficile per l'autore tirare le fila e permettere alla storia di svolgersi senza inciampare.
Persino le copertine (Glenn Fabry) sono belle, molto dettagliate e più seriose rispetto ai disegni essenziali di Steve Dillon, che si dedica alle vignette, peraltro efficacissime e perfettamente intonate al testo.
Insomma, il capolavoro di Ennis. Pura gioia mentale!

martedì 28 maggio 2013

Un romanzo corale, avvincente, commovente...


I RAGAZZI DI CHARLESTON
di Pat Conroy





Vale a dire lo stupendo romanzo che mi ha indotta a leggere l'”Ulisse” di Joyce per i continui riferimenti (non necessariamente dotti) che fa a quest'opera e che già emergono dal nome del protagonista, Leopold, e di suo fratello, Stephen!!!

Okay, non è “Il principe delle maree” – che ho amato infinitamente di più, che è più profondo, più poetico, più sofferto e autentico, meglio strutturato, con colpi di scena più riusciti, e con personaggi più intensi (Luke in particolare, il fratello maggiore di Tom, nonché il vero “principe delle maree”) – ma l'ho letto più di recente e comunque mi è piaciuto moltissimo: più di “Beach Music” (non tanto per i pregi letterari, quanto per i personaggi e la trama), e che contiene quasi tutti i sublimi elementi che caratterizzano le opere di questo magnifico autore, oltre a tanti temi a lui cari: un misterioso dramma del passato che continua ad influenzare il presente, il suicidio di una persona cara, e l'Amore, nell'accezione più vasta possibile, che ti illumina dall'interno e ti resta dentro, per sempre...

A colpire c'è innanzitutto l'ambientazione: Charlestone, di cui non puoi evitare di innamorarti, non solo per la forza delle descrizioni, ma altresì per lo spirito della cittadina che Conroy ti trasmette e ti permette di cogliere nella sua essenza più vibrante e vigorosa.

E poi i personaggi: forti, e molto caratterizzati, soprattutto gli splendidi (quasi tutti) ragazzi di Charlestone, ciascuno con un passato drammatico alle spalle, in certi casi non ancora sopito, e che si rubano la scena l'uno con l'altro, ammaliandoti e divertendoti, e a cui è impossibile non affezionarsi... E il protagonista: riflessivo, sensibile, simpaticissimo, e molto positivo, che però è capace di riservare sorprese...

La trama ha come nucleo una bellissima amicizia, con le sue complicazioni e i suoi drammi, quella dei ragazzi di Charlestone, appunto, che si snoda negli anni, dall'adolescenza sino alla maturità, e in cui emergono differenze caratteriali e sociali, in cui i personaggi si scontrano e si completano tra loro, trovando ciascuno la propria dimensione negli altri e, laddove è possibile, negli altri la propria salvezza.

Forse la vicenda si perde un po' verso il finale, e ci sono alcuni elementi che appaiono forzati e poco genuini (la morte di un personaggio, in particolare, risulta gratuita, pretestuosa e sembra volta solo a cercare di impressionare il lettore), ma sono difetti che possiamo perdonare, alla luce di tutto il resto.

Un romanzo corale, avvincente, commovente, ma anche carico di tensione, di segreti, e di scoperte, sostenuto da dialoghi brillanti e da una bellissima prosa, ma soprattutto dai suoi meravigliosi protagonisti.

Un romanzo scritto per essere amato e da cui, come lettore, ti senti totalmente ricambiato, tanto che fai davvero fatica a lasciarlo andare. Durante la lettura, ma anche dopo che l'hai finito.

lunedì 27 maggio 2013

Il punto è la carenza di coccole!


APPIOVRAMENTI AMOROSI





Il Mio Perfido Marito è davvero perfido e probabilmente mi costringerà ad abbonarmi ad uno studio di psicologi (certo, c’è chi ritiene ne abbia bisogno a prescindere…).

Il punto? Il punto è la carenza di coccole!

Ogni volta che mi avvicino per dargli amore vengo respinta, con accuse quali: mi mozzi il respiro, mi blocchi la circolazione, così mi procuri l’amputazione di un arto, mi perfori lo sterno, questa è una chiave articolare (mossa di Wrestling)…

Ma insomma! Neanche tentassi di ucciderlo! E non è che io sia un titano di donna, au contraire… E’ solo che mi piace dormire in certe posizioni di tenero incastro, con le gambe sul suo pancino morbidoso, e le braccia avvolte alle sue tondosità, come una scimmia aggrappata al cocco…

Il massimo che mi viene concesso, però, è di infilare un piede fra le sue gambe, mentre lui usa la mia testa come appoggio per il Kobo (un coso per leggere gli E-book), cui si dedica quella mezz’oretta prima di cominciare a sognare (a sentire il diretto interessato, naturalmente, lui non è che una povera vittima: costretto a girare le pagine con il naso)…

Più spesso vengo tacciata di “piovrosità” (da piovra) e allontanata… Anche perché tengo orribilmente caldo, pare… Ma uffa! Mon amour, guarda che il quotidiano tributo di baci rientra tra i miei privilegi coniugali, e anche qualche fettina di carne abbracciosa!!!

Del resto i miei approcci in pubblico hanno esiti anche peggiori: di tanto in tanto, quando vedo il MPM farmisi incontro, da lontano, non resisto alla tentazione e corro verso di lui come una novella Candy Candy.

Il copione vorrebbe che il mio tesoro spiegasse le braccia, trepidante, e mi accogliesse stringendomi a sé e sollevandomi nell'aere, facendomi volteggiare, magari in una nuvola di fiori magicamente apparsi (come nel manga di Candy)...

Invece? Che fa il Mio Perfido Marito?

Mi osserva, aspetta il momento buono, e… scappa!

Non sto scherzando! Fugge via!

Dice che lo terrorizzo, perché carico come un toro e sembro volerlo investire...

E a me tocca inseguirlo come Margherita con il Doctor Beruscus! Ma si può? Okay, lì per lì la faccenda è così comica che mi fa morire dal ridere... Però, dai! E si nasconde pure, il malvagio! Mi occhieggia da dietro le piante! Misericordia, mi fa sentire proprio un vecchio satiro... E sì che io voglio solo un abbraccio, e magari qualche bacetto extra... Mica stuprarlo, giuro!

Se poi capita che non riesca a tenere a freno il mio ardore e mi scappi un morsichino sul suo collo... Mi becco pure uno sculaccione!!! Sul serio, sulla natichella triste, quasi mi dovesse educare!

Poi le mie amiche si stupiscono se ogni tanto sbaglio e chiamo mon amour “mamma”!

Va mu...

A lui, comunque, non dispiace...

P.S.

Se nell'universo ci fosse qualche altra povera anima nella mia infelice situazione, ecco un articolo utile per la notte: il cuscino fidanzato a forma di braccio!!! Beddissimo!
 
 
Sto pensando di ordinarlo su Amazon...

domenica 26 maggio 2013

Scritto benissimo, con semplicità e scorrevolezza...


PADDY CLARKE AH AH AH!
di Roddy Doyle




Io adoro questo tipo di romanzi! Quelli in cui non è un adulto che scrive (a prescindere dall'età), ma un bambino, che ci mostra la sua quotidianità, i suoi amici, la scuola, e i suoi candidi e bellissimi modi di ragionare, riportandoci all'infanzia, rifacendocela vivere attraverso i suoi occhi, che sono un po' anche i nostri (poco importa che noi non avessimo dieci anni nel 1968 e che non siamo irlandesi)... Crudeli, a volte. Ma così logici ed esatti! Così ingenui e genuini!

E qui, in questo romanzo senza trama, fatto di pensieri che si aggregano e che ci commuovono e divertono, il bambino è autentico, puro, senza artifici.

Allegro, dispettoso, scanzonato, dotato di senso dell'umorismo e bramoso di avventure...

Paddy non racconta esattamente una storia, non ci sono un vero inizio ed una vera fine: si poteva cominciare dopo e concludere più tardi... Piuttosto ti offre un periodo della sua vita, in cui non va proprio tutto bene, e in cui anzi le cose tendono a peggiorare, a guastarsi... soprattutto in casa, dove papà e mamma litigano di continuo. Fa ridere e fa sorridere, ma ad un tratto il romanzo assume una piega amara.

Paddy se ne accorge, ma senza capirlo davvero: perché non è ancora corrotto, perché il mondo per lui è bello e interessante, e le cose semplicemente vanno così, senza tante spiegazioni.

Quindi lo accetta.

Ma si fa domande.

Senza retorica, però, perché i suoi non sono gli interrogativi che si porrebbe un adulto.

Ma Paddy sta crescendo, e nel farlo si rende conto che non sempre ad aspettarlo c'è la felicità.

Scritto benissimo, con semplicità e scorrevolezza, ti conquista subito per la sua immediatezza e godibilità.

E poi ti rimane dentro, indefinibile, come qualcosa di speciale, a cui vorresti ritornare, anche se sai che ormai è finito.

Per anni ho inseguito questo libro negli altri romanzi di Doyle, che mi hanno intrattenuto, emozionata, e divertita. Ma mai con la freschezza e il coinvolgimento di questa piccola perla.

sabato 25 maggio 2013

L’uomo è cattivo, senza rimedio, senza riscatto...


DISTRICT 9

Un film geniale: mascherato da lungometraggio di fantascienza (in stile documentaristico) è in realtà una denuncia contro il razzismo e l’apartheid in particolare.
La scena, infatti, si svolge a Johannesburg, in Sudafrica, nel Distretto 9: una sorta di fatiscente baraccopoli dove dagli anni ’80 sono stati relegati gli alieni (detti “gamberoni” giacché somigliano a dei crostacei antropomorfi, decisamente sgradevoli e volutamente bruttarelli) che, in seguito ad un guasto alla loro astronave, sono stati costretti ad atterrare sulla terra, mezzi morti di stenti. Qui vivono in condizioni pessime, affamati e sporchi, nutrendosi di cibo per gatti (di cui sono golosi, al limite della dipendenza) e venendo coinvolti nel mondo criminale nostrano.

E se in principio anche noi guardiamo agli alieni come ad un problema ed un fastidio, nella prosecuzione della pellicola è con loro che simpatizziamo e ci immedesimiamo… L’uomo è cattivo, senza rimedio, senza riscatto (atroce la parte relativa alla sperimentazione scientifica), pronto solo ad approfittare del prossimo, a sfruttarlo, e poi a buttarlo via… Salvo quando la sua prospettiva viene coattivamente ribaltata e si trova, suo malgrado, nelle stesse condizioni di chi fino a poco prima ha solo disprezzato. Perché finalmente apre gli occhi. E il cuore.
Una concezione degli alieni originalissima, in cui gli stessi sono visti non come minacciosi invasori, ma neanche come creature superiori in missione di pace, o teneramente affettuose, ma alla stregua di profughi, sporchi e ripugnanti… che però si rivelano straordinariamente umani.
Una pellicola spettacolare, intelligente, che fonde film verità, action-movie, e splatter, e che non punta solo sugli effetti speciali, ma che vanta una trama solida e intenti lodevoli, specie sul piano morale.

venerdì 24 maggio 2013

Tanti pregi... ma anche tanti difetti.


CARLOS RUIZ ZAFÓN



Uno scrittore potente, romantico, capace di incantare, di creare atmosfere magiche, altamente suggestive, ricche di descrizioni intense e pregne di bellezza, di riverberi, di luci e di ombre, con qualche sfumatura macabra o inquietante.

Zafón sa costruire trame complesse, accattivanti, un po' barocche, in cui abbondano misteri, intrighi, e segreti oscuri.

I suoi personaggi sono sempre molto caratterizzati, pronti per affascinare e per suscitare sentimenti forti, nel bene e nel male... Bellissimi o bruttissimi, e dal cuore gonfio di passione, e, talvolta di rimpianto, di nostalgia, di dolore.

Le ambientazioni sono dettagliate, e sembra di respirare la stessa aria dei protagonisti, perché i luoghi vengono colti nella loro essenza più viva e ti entrano dentro (Barcellona, soprattutto) diventando parte di te.

Lo stile è poetico, ma molto scorrevole, attento alla scelta di vocaboli evocativi.

Insomma, tanti pregi... ma anche tanti difetti.

Credo di aver letto tutti i suoi romanzi tradotti in Italia, e posso affermare che in quanto a tematiche quest'autore si rinnova poco (chissà perché quest'ossessione per le “creature meccaniche”?)...

Il punto di partenza è sempre interessante, ma quasi sempre va alla deriva: la storia si perde e diventa inverosimile... I personaggi sono quasi tutti eccessivi: troppo buoni, troppo malvagi, troppo consumati dall'odio: sembrano tagliati con il coltello e non risultano credibili, apparendo quasi delle caricature.

Anzi, a confrontarli complessivamente, considerando i vari romanzi, sono tutti uguali, una dozzina di “tipi” che si ripetono, neanche si trattasse di maschere da indossare.

Indubbiamente, esaminando le sue opere in ordine cronologico, dalla prima all'ultima scritta, si notano rilevanti miglioramenti ed infatti i suoi lavori più riusciti (che qui sono arrivati per primi) sono gli ultimi. Ma non per questo esenti da difetti.

Intendiamoci, le caratteristiche positive mantengono comunque viva la tua attenzione fino alla fine, e ti invogliano a continuare, a finire... Le trame sono coinvolgenti, e tu ti senti quasi da subito completamente assorbito, rapito, affascinato...

Solo che a volte, dopo che hai terminato il libro, non ti resta granché, salvo la sensazione di essere stato ingannato, deluso...

Alcuni sono davvero scontati, tanto che fanno pensare a delle operazioni commerciali. Allo stesso tempo, però, la scrittura sembra così sofferta in certi punti, e Zafón pare così tanto metterci l'anima, che forse si tratta solo di limiti...

In effetti, credo che la forza di questo autore sia anche la sua maggior debolezza: sentire tutto con lo spirito e l'innocenza di un ragazzino che si sta affacciando per la prima volta all'amore e alla sofferenza e che vede ogni cosa in termini assoluti, senza grigi... Questo può spiegare la meraviglia, il senso di stupore, e di bellezza, ma anche l'inverosimiglianza di tante trame e dei personaggi...

I più belli (ma sempre con riserva) per me sono: “L'ombra del vento” e “Il gioco dell'angelo”, collegati fra loro.

I più deludenti (e adolescenziali), sia pur piacevoli: “Il principe della nebbia”, “Marina”, “Il Palazzo della Mezzanotte”, “Le luci di settembre”.

A metà “Il prigioniero del cielo”.

giovedì 23 maggio 2013

La questione della copertina...

"TENTATIVI BIZZARRI DI VITA NORMALE"

 

 

Prove Cover
 

 
 
 
Trattasi del mio futuro nuovo eBook, che sarà reperibile su Amazon… Temevo non sarebbe stato pronto prima di luglio inoltrato, ma il Mio Perfido Marito (che è anche il Mio Perfido Editore) si sta dando da fare (occupandosi dell’editing, del "cambio di formato", e della copertina) e comincio ad avere delle speranze per giugno. W!!!
In particolare, oggi abbiamo definito la questione della copertina...
Invero, io avevo tutt’altra idea: mi ero premurata di reclutare dei volontari (i prodi Riccardo, Carmine, Andrea Beggi, e mio fratello Androide, che stranamente si era detto disponibile) che avrebbero dovuto essere fotografati dall’alto, in piedi di spalle, intenti ad interpretare rispettivamente i personaggi di Ni, Beta, e Alfa, e il protagonista, Zeta, che invece si sarebbe visto di fronte, legato ad una sedia, prossimo ad essere sottoposto ad un interrogatorio… Gli "attori" erano pronti, il mio spirito in fibrillazione… Ma, ahimé, alla fine ho dovuto rinunciare per noiosi motivi tecnici… Sob!
Mon amour, allora, ha lavorato sull’idea della sedia, decidendo di rappresentarla priva di umani, onde evitare complicazioni, ed ecco le sue tre proposte:
 
1) la sedia della casa abbandonata
 

L’ho scartata perché la sedia in questione mi ricorda vagamente una gelateria o una terrazza sul mare e mi pare troppo comoda per un interrogatorio, benché l’ambiente circostante sia perfetto e apprezzi l’atmosfera di fatiscente degrado…
 
 
2) la sedia di Van Gogh ritoccata
 
 
A mio avviso molto carina: sfrutta il dipinto di Vincent Van Gogh alludendo all’interrogatorio, ma sottolineando al contempo la stravaganza della situazione… Però non ho fatto in tempo a sceglierla perché il MPM mi ha sottoposto immediatamente quest’altra:
 
3) la sedia di Van Gogh con ulteriori modifiche
 

 

Quella che preferisco.
La circostanza che il nero "mangi" l’ambiente con più voracità mi piace e dà un tocco claustrofobia in più… Insomma, ho scelto questa. Se qualcuno non fosse d’accordo (anche se chiaramente dovrà basare le sue valutazioni esclusivamente sulla grafica) me lo faccia sapere… Per il momento sono soddisfatta! Bravo MPM! Se mai dovessi licenziarti come diletto sposo, ti riassumerò senz’altro come grafico!!!
Omaggi, e baci a tutti!

 

mercoledì 22 maggio 2013

I secoli, i pensieri, e le opere, che hanno definito la bellezza...


STORIA DELLA BELLEZZA
di Umberto Eco






Bellezza nella sua accezione più vasta, non solo estetica.

Della natura, della donna, dell'arte.

Ma anche di Dio.



Non un romanzo, ma un saggio.



In un'edizione splendida, molto curata, corredata da moltissime immagini, e impreziosita con testimonianze significative e variegate..



Un percorso attraverso i secoli, i pensieri, e le opere, che hanno definito la bellezza, spesso in modo contraddittorio e conflittuale.

Sovente ribaltandone i canoni, gli schemi, i caratteri...



Completo ed esaustivo, ma lungi dall'essere pedante, risulta invece avvincente, coinvolgente ed esaltante.

Perché ci avvicina all'assoluto, all'arte, alla poesia.

Perché è poesia esso stesso.



Senz'altro è un'opera intellettuale. Colta.

Raffinata.



Ma non si esaurisce in questo, perché reca in sé anche qualcosa di profondamente passionale, di sensuale. E in qualche punto arriva persino ad emozionare.

A “cantarti” dentro.

Vibra, si impenna. Ti colma.

Lo senti, come quando sei innamorato.



Eppure non basta ancora.



Perché racchiude altresì qualcosa di segreto, di spirituale.

Di mistico.

Che ti avvicina all'Assoluto. Che per un istante ti permette di toccarlo.



Probabilmente non c'è nulla in questo libro che non sappiamo già, eppure è utilissimo perché ci aiuta a mette ordine nei nostri stessi pensieri, nel nostro sentire, a rintracciare angolazioni e prospettive, riflessioni, che sono parte di noi, ma di cui prima non avevamo la consapevolezza. Non così lucida e compiuta.

Non così esatta.



Un libro bello da leggere e da rileggere, e da sfogliare e sfogliare di nuovo.

Ma profondo. Penetrante.

Intenso.

Perché in qualche modo ci rappresenta, a livello culturale, artistico, ma anche intimo, umano: in quanto individui e in quanto specie..

 
Di complemento a quest'opera, e sempre di Eco, “Storia della bruttezza” (più vario, più curioso, più imprevedibile, più fantasioso. E sicuramente interessante e sbalorditivo. Però non mi ha elevato allo stesso modo del “gemello”... per quanto sia comunque irrinunciabile) e “La vertigine della lista” (certamente interessante e suggestivo, ma anni luce meno rispetto ai primi due. Più didascalico, meno innovativo, e – per forza di cose – più... ripetitivo. Anche se, sì... la vertigine si sente).

martedì 21 maggio 2013

13 episodi, che van giù lisci lisci, come un bel bicchiere di acido muriatico...


AMERICAN HORROR STORY – ASYLUM

 

 

Ho ultimato la visione di questa serie Tv un paio di settimane fa e ancora le immagini mi si stanno assestando in testa: 13 episodi, che van giù lisci lisci, come un bel bicchiere di acido muriatico... mentre ti corrodono l'esofago.

“Asylum” è la seconda stagione di “American Horror Story”, ma è completa, indipendente. Cambia tutto: l'ambientazione, la trama, i personaggi... Restano l'inquietante motivetto della sigla e qualche attore, che è interessante osservare alle prese con un ruolo completamente diverso: da comparsa a protagonista, da cattivo a vittima...

Decisamente preferibile alla prima, anche se sul finale la tensione si allenta, il sadismo si acquieta, l'efferatezza si riduce... Aumentarli, del resto, era impossibile, perché si era già al limite, se non oltre: nei primi episodi (primi 6-7 più o meno) lo spettatore viene tramortito, traumatizzato, terrorizzato fino allo stremo (davvero, sembra di venir sottoposti ad un elettroshock, e poi ad una secchiata di acqua ghiacciata, magari sporca e con i vermi dentro, e poi, belli bagnati, ad un altro elettroshock...). Non solo le scene in sé, ma il contesto, l'atmosfera malsana, perversa, il marcio che trasuda ovunque, contribuiscono... Accresciuti dalla colonna sonora-supplizio “Dominique” di Suor Sorriso – sic! – (ascoltare per credere... ne esiste una versione italiana cantata da Orietta Berti), snaturata e associata alla morbosità esasperata delle situazioni... E poi l'assenza di redenzione e di speranza, la spersonalizzazione dell'individuo, il senso di perpetuo soffocamento... Sono disturbanti. E ti lasciano un po' scosso, un po' nervoso. Prostrato. Anche dopo che hai spento la Tv. Persino la sigla è faticosa da sopportare (in senso positivo), straordinariamente ricca, cruda, fastidiosa.
 
 
Siamo nel 1964 (ma ci sono anche parallelismi con la realtà attuale) a Briarcliff, un manicomio criminale gestito dalla Chiesa cattolica, fantasticamente infarcito di orrori, tra i quali i pazienti (assassini, psicopatici, serial killer, matti generici, ma anche ninfomani, omosessuali, microcefali, e sventurati innocenti – o un po' di queste cose tutte assieme –) sono davvero il meno.

C'è di tutto in questo telefilm: dagli alieni al diavolo, dalle suore sadiche al mad doctor nazista, dal serial killer all'angelo della morte...

Una serie che è un fermento di idee e un avvicendarsi di fatti che si intrecciano fra loro e a cui, sino a metà, continua ad aggiungersi materiale (radioattivo e maledetto)... Okay, quasi tutti elementi già sfruttati, già noti, ma mai amalgamati con tale generosità, con tanta baldanzosa abbondanza...

E state tranquilli, non finisce come in “Lost” che poi i filoni narrativi si spezzano e restano lì, inconclusi, cauterizzati, dimenticati, generando anacronismi ed incongruenze.

No, qui tutti i nodi vengono al pettine, la trama è coerente, e all'incirca da metà diventa più lineare, più snella, i personaggi acquistano sfaccettature, motivazioni, vengono approfonditi nel carattere e nella psicologia, assumendo toni più umani. Man mano che si prosegue nella narrazione si arriva ad affezionarcisi (i miei preferiti sono Kit Walker e suor Jude, che riserva un discreto numero di sorprese), mentre i pugni allo stomaco si fanno più sporadici, e la paura perenne viene sostituita alla curiosità e all'interesse per la storia.

I misteri si chiariscono (quasi tutti) e non rimangono dubbi irrisolti.

Spettacolari anche gli interpreti: James Cromwell – basta che ti guardi, per farti sentire operato senza anestesia –; la fulgentissima e splendente Jessicona Lange (suor Jude), che da sola ti sveglia dentro il terrore inconscio che hai accumulato in tre anni di asilo dalle suore e che credevi rimosso e obliato... Ma che nell'episodio 10 si scatena in una canzone frizzante e divertente (per quanto nel contesto risulti tragica), coinvolgendo i pazienti del manicomio in un ballo sfrenato, come in un musical o in una puntata di Glee; Zachary Quinto, che all'inizio pare così dolce, così da sposare... E che alla fine si rivela il più depravato di tutti; Lily Rabe che quando è pura ti abbacina con il suo candore, e quando è cattiva, beh... conviene scappare...


Una menzione d'onore spetta a Naomi Grossman, l'attrice che dà il volto a Pepper. Totalmente piatti ed incolore, e pure un po' antipatici, sono invece Joseph Fiennes e Dylan McDermott, che, poveretti, fanno quasi compassione vicino a tanti artisti ispirati.

Una serie Tv diversa da tutte le altre, che supera i confini dell'horror, e ti scava nelle viscere per divorarle mentre sono ancora calde e fumanti. Ma poi si pulisce educatamente le labbra in un tovagliolo di lino, bianco e piegato con cura.

lunedì 20 maggio 2013

Dei bei personaggi, ben delineati a livello psicologico, e dei bei cattivi...


LA BUSSOLA D'ORO, LA LAMA SOTTILE, IL CANNOCCHIALE D'AMBRA

di Philip Pullman

(La Trilogia di “Queste Oscure Materie”)





Una trilogia fantasy stupenda, scritta con sapienza e maestria. Ma non solo! L'opera è assai più complessa di un comune romanzo fantastico e di sicuro non è rivolta ad un pubblico di infanti. Ispirata vagamente a “Il Paradiso Perduto” di Milton, è infatti chiaramente anticlericale, e piacevolmente critica e blasfema.

Una vicenda avventurosa, affascinante, ricca di immaginazione, di misteri, di trovate interessanti, con riferimenti dotti e colpi di scena indovinatissimi, a tratti quasi spaventosa (la signora Coulter e il suo scimmiotto, tanto per dire...) o semplicemente così intensa da spaccarti il cuore (il bambino “reciso”). Con un colpo secco, però, duro, che non ti lascia il tempo per piangere, che puoi solo ingoiare...

Ci sono dei bei personaggi, ben delineati a livello psicologico, e dei bei cattivi, che non sempre sono proprio tali, anche se la narrazione ti porta a diffidare, e a ribaltare, talvolta, la tua prospettiva... Ci si affeziona a tutti e si soffre per ogni caduto.

In quanto alla protagonista, invece, Lyra Belacqua, benché sia coraggiosa, ribelle, etc. etc., all'inizio – almeno per l'intero primo tomo – mi è abbastanza antipatica... In compenso, man mano si prosegue, il suo carattere migliora, si evolve, screziandosi di sfumature, fino a che, ne “Il cannocchiale d'ambra”, comincio ad apprezzarla davvero.

Lo stile è denso di descrizioni, minuzioso, ma incalzante: ti avvolge, ti cattura. Ti strega.

Bellissima la rappresentazione dell'anima attraverso i daimon... Il concetto di peccato, di libero arbitrio...

Notevole l'opera a livello filosofico-intellettuale, sostenuta da una teoria articolata e originale.

Una trilogia convincente, adulta. Innovativa. Profondamente simbolica, evocativa, fitta di eventi, di emozioni, di suspence. Impegnativa per tematiche ed implicazioni, che trascendono e permeano il livello di lettura meramente fantastico, con paralleli e rimandi biblici, efficacemente reinterpretati.

Dal primo volume “la bussola d'oro” è stato tratto un film. Grazioso, in sé per sé, ma a dispetto degli effetti speciali e dei bravi attori coinvolti (Nicole Kidman, Daniel Craig...), ha ridotto la complessità del testo ad una favoletta per bambini, impoverendola drasticamente e privandola di... quasi tutto, salvo il gusto per l'immaginazione, che però qui resta un po' fine a sé stesso.

domenica 19 maggio 2013

La summa delle caratteristiche di tutti i dittatori della storia...


IL DITTATORE




 
Satirico, eversivo, demonizza l’America e demolisce i suoi valori, ma anche il razzismo, la misoginia, l'Islam, e quant'altro può venire in mente, attraverso il personaggio di Sacha Baron Cohen, Aladeen, il dittatore di un immaginario stato africano, idiota quanto crudele ed egocentrico, che racchiude in sé la summa delle caratteristiche di tutti i dittatori della storia.

La pellicola tocca temi importanti, ma lo fa divertendo (e divertendosi), senza freni inibitori, senza “correttezza politica”, scandalizzando e stupendo lo spettatore, ammiccando, distorcendo, esagerando, e a volte (negli sketch più riusciti) sfociando nell'assurdo, nel surreale… Ma con un po’ più di buon gusto rispetto al volgarissimo e a volte disturbante (in senso schifido) “Borat” e allo spesso eccessivo “Brüno” (che però in certi passaggi rasenta la genialità)... Più moderato nella forma, ma non negli intenti critici, forse con una lieve patina hollywoodiana...

Del resto, questo è proprio un film, non un fanta-documentario: vanta una trama simpatica (che fa persino qualche concessione alla stucchevolezza) e fa ridere davvero, con intelligenza e arguzia (anche se al contempo ti si contorcono le budella perché non puoi dimenticare che, per quanto estremizzati e ridicolizzati, quasi tutti i contenuti delle gags corrispondono a verità dolorose e irrisolte), limitando – per fortuna e per quanto possibile – l’uso dell’umorismo fecale (e ascellare, ancora più disgustoso)...

Oltre a Baron Cohen – protagonista assoluto e indiscusso – il Cast sfoggia un insolito Ben Kingsley e una quasi irriconoscibile Anna Faris (cui il taglio corto e scuro dona assai di più del biondo da svampita), e una serie di buffi e inaspettati camei (Megan Fox, Edward Norton)...

Una pellicola traboccante di trovate feroci e spassose, che ammiccano al demenziale, ma che intanto mordono, ironizzano e mettono il mondo in discussione.

sabato 18 maggio 2013

Il giorno ideale per fare qualcosa di sgradito…


POMERDI’





Pomerdì è l’ottavo giorno della settimana.

Ma non viene dopo la domenica. E nemmeno prima.

Pomerdì è periodico, e cade secondo l’umore.

A volte non cade proprio.

Di solito.

Per questo è così comodo, e a parlarne vi faccio davvero un regalo: che caspita! Dovrei brevettarlo!



L’avevo inventato per il Ragno, quando era picculo e indemoniato (ai tempi in cui lo chiamavo ancora “Pitone”):



“Otta, quando mi porti sulla Luna?”

Pomerdì!



“Otta, quando mi regali la tua camera?”

Pomerdì.



“Otta, quando muori?” – domanda che il mostriciattolo mi aveva rivolto davvero, e non senza una certa impazienza –

Pomerdì…



Insomma è il giorno ideale per fare qualcosa di sgradito…


Certo, dopo un po’ di “pomerdì” il Ragno aveva cominciato a subodorare la truffa e ad informarsi: “Ma quando viene pomerdì? Domani? Dopodomani? Quando?”.

La risposta non gli era piaciuta tantissimo, ma era stata sincera: “E’ un giorno periodico, ma potrebbe anche non capitare mai… Dipende da tante cose: congiunzioni astrale, umore delle sorelle, l’inclinazione del sole…”

“Ah!” aveva replicato il cucciolo, tra il piccato e il deluso.

E aveva desistito.

Grazie al cielo senza stressarmi più di tanto.



Pomerdì: se vi serve, è a vostra disposizione.



Bacissimi.



P.S.



Presto farò un post sull’attualità e la politica… Di sicuro entro pomerdì!