LA
SOLITUDINE DEI NUMERI PRIMI
Bellissimo
il titolo e il concetto in esso racchiuso (due persone speciali –
nel bene e nel male –, uniche, vicinissime, e che, proprio in virtù
di questo sono matematicamente assimilabili ai cosiddetti “numeri
primi gemelli”, come 11 e 13, o 17 e 19: destinati a sfiorarsi,
rimanendo però eternamente separati – c'è sempre un numeretto fra
loro – incapaci di colmare la piccolissima distanza che li divide.
Tuttavia continuano a inseguirsi, rincorrersi, cercarsi, in un gioco
infinito che non possono vincere).
Bellissima
la copertina, bellissimo l'incipit.
La
bellezza, però, è tutta lì.
La
storia parte bene, si complica dignitosamente, acquista spessore, ma
poi si aggroviglia, inciampa e si appiattisce, senza arrivare da
nessuna parte.
Una
mia amica (Dany) l'ha definita “un giocattolino”. Ha ragione: la
trama è costruita a tavolino ed incartata con un bel fiocco
sgargiante, che sa tanto di corso per scrittura creativa e che non va
molto più in là. Una storia che, anziché scaldarsi, si raffredda e
si irrancidisce, e in cui, alla fine, mancano sia lo zucchero che il
sale.
Si
badi, non mi sto lamentando per la mancanza dell'happy end: quello
non poteva esserci, è chiaro, o avrebbe disatteso il titolo,
rendendo solo la vicenda più banale, impoverendola. E non sono
nemmeno così superficiale da pretendere che la narrazione debba
essere allegra per poterla apprezzare.
No,
quello che lamento è che qui non c'è amore da parte dell'autore.
Manca il suo personale vissuto, la sua esperienza. Manca lui. O
comunque non si avverte.
I
sentimenti vengono descritti, certo. Ma sembrano solo appiccicati ai
personaggi, che non danno l'idea di viverli davvero, ma soltanto di
accompagnarcisi casualmente.
Non
sembrano fatti affrontati di persona, sulla propria pelle, ma
ritagliati un po' qua e un po' là e poi assemblati in un collage.
L'ultima
parte, poi, sembra frettolosa, come se ad un certo punto Giordano non
sapesse bene che pesci prendere.
Si
è fatto tanto clamore per questo romanzo, ma credo che sia solo
perché è piaciuto alla gente che non legge (o che legge sei libri
l'anno) e che non è abituata ad arrivare in fondo ad un'opera che
può essere considerata – per l'argomento trattato, almeno –
“impegnata”.
C'è
di molto, molto peggio, sia chiaro (ad esempio: “Acciaio” della
Avallone, “Va' dove ti porta il cuore” della Tamaro, o “Il
codice da Vinci” di Dan Brown). Questo romanzo, se non altro, ha
dei contenuti e dei motivi di interesse, e anche lo stile non è
male: semplice, scorrevole, con qualche tocco di originalità grazie
alla commistione con il linguaggio “della fisica”. Lucido, a
volte quasi chirurgico.
Insomma,
“La Solitudine dei Numeri Primi” si guadagna la sufficienza
piena.
Ma
il capolavoro... Quello è un'altra cosa.
Un vantaggio secondo me questo libro lo ha avuto: ha indotto parecchia gente ad aprire un libro di matematica per capire cosa fossero questi fantomatici numeri primi "gemelli"
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