IL
GIORNO DELLA LOCUSTA
di Nathanael West
Ovvero
lo stagnare di sogni (di per sé banali e inflazionati) che non si
sono realizzati e non si realizzeranno, e che sono destinati a
naufragare tristemente senza neppure la consolazione di un riscatto
morale (o che, ci direbbe Michael Ende, l'autore de “la Storia
Infinita”, diventano bugie).
In
realtà non si soffre troppo per i protagonisti, uno più fastidioso,
squallido, e insignificante dell'altro, persone comuni e pieno di
odio con qualche irrisorio talento o nessuno, del tutto privi di
afflati poetici e di buon cuore, e per cui, dunque, non c'è
partecipazione emotiva né pietà nemmeno da parte dell'autore, che
si limita ad osservarli con occhio clinico registrandone i passi e i
non-progressi, le illusioni e le disillusioni.
Lo
scopo non è infatti quello di immedesimarsi in loro e simpatizzare
con i loro drammi, solitudine, incomunicabilità... ma è piuttosto
una denuncia: su come la realtà di Hollywood, fabbrica di meraviglie
e di stelle, corrompa e sia corrotta, frequentata sostanzialmente
solo da locuste affamate, avide, ingorde, che si alimentano di
ipocrisia e di menzogne.
La
storia prosegue in modo cadenzato, tra nuove conoscenze e piccole
batoste, ma poi, all'improvviso, si impenna, sfociando in una sorta
di isteria collettiva, e tutto arde e si consuma in un lampo, così
velocemente che ti sbalza su un lato, attonito, ustionato, col sedere
per terra, e ti tocca rileggere le ultime pagine per capire se quanto
è avvenuto è avvenuto davvero.
Ma
lo è.
E
ti lascia l'amaro in bocca.
Al
contempo, però, conferisce un senso profondo al testo, strappando
ogni illusione, lacerandola, e dimostrandoti empiricamente di quale
vile materiale siano fatti i sogni.
Solo
certi sogni, però, preciso io. E molto dipende dalla qualità dei
sognatori, che, in questo caso, sono mossi più dall'ambizione e dal
bisogno di rivalsa, che dal gusto per la bellezza.
Lo
stile è rapido, asciutto, con pochi orpelli. Lucido, oggettivo,
perfettamente intonato alla trama. Il romanzo è brevissimo,
negativo, e per l'epoca (scritto e ambientato negli anni trenta,
periodo d'oro del cinema hollywoodiano) assolutamente controcorrente,
tutto teso, con pochi abilissimi tratti, a scrostare la doratura
del mito cinematografico e con essa a rivelare il lato oscuro della
società e del sogno americano: sfavillante, quanto fragile e
inconsistente.
P.S.
Piccola
curiosità, uno dei personaggi si chiama Homer Simpson, e anche se
nulla ha a che spartire con il simpatico mangia-ciambelle di
Springfield, è una casualità abbastanza buffa.
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