Se ti è piaciuto il mio blog


web

giovedì 30 maggio 2013

Locuste affamate, avide, ingorde, che si alimentano di ipocrisia...


IL GIORNO DELLA LOCUSTA
di Nathanael West


Ovvero lo stagnare di sogni (di per sé banali e inflazionati) che non si sono realizzati e non si realizzeranno, e che sono destinati a naufragare tristemente senza neppure la consolazione di un riscatto morale (o che, ci direbbe Michael Ende, l'autore de “la Storia Infinita”, diventano bugie).
In realtà non si soffre troppo per i protagonisti, uno più fastidioso, squallido, e insignificante dell'altro, persone comuni e pieno di odio con qualche irrisorio talento o nessuno, del tutto privi di afflati poetici e di buon cuore, e per cui, dunque, non c'è partecipazione emotiva né pietà nemmeno da parte dell'autore, che si limita ad osservarli con occhio clinico registrandone i passi e i non-progressi, le illusioni e le disillusioni.
Lo scopo non è infatti quello di immedesimarsi in loro e simpatizzare con i loro drammi, solitudine, incomunicabilità... ma è piuttosto una denuncia: su come la realtà di Hollywood, fabbrica di meraviglie e di stelle, corrompa e sia corrotta, frequentata sostanzialmente solo da locuste affamate, avide, ingorde, che si alimentano di ipocrisia e di menzogne.
La storia prosegue in modo cadenzato, tra nuove conoscenze e piccole batoste, ma poi, all'improvviso, si impenna, sfociando in una sorta di isteria collettiva, e tutto arde e si consuma in un lampo, così velocemente che ti sbalza su un lato, attonito, ustionato, col sedere per terra, e ti tocca rileggere le ultime pagine per capire se quanto è avvenuto è avvenuto davvero.
Ma lo è.
E ti lascia l'amaro in bocca.
Al contempo, però, conferisce un senso profondo al testo, strappando ogni illusione, lacerandola, e dimostrandoti empiricamente di quale vile materiale siano fatti i sogni.
Solo certi sogni, però, preciso io. E molto dipende dalla qualità dei sognatori, che, in questo caso, sono mossi più dall'ambizione e dal bisogno di rivalsa, che dal gusto per la bellezza.
Lo stile è rapido, asciutto, con pochi orpelli. Lucido, oggettivo, perfettamente intonato alla trama. Il romanzo è brevissimo, negativo, e per l'epoca (scritto e ambientato negli anni trenta, periodo d'oro del cinema hollywoodiano) assolutamente controcorrente, tutto teso, con pochi abilissimi tratti, a scrostare la doratura del mito cinematografico e con essa a rivelare il lato oscuro della società e del sogno americano: sfavillante, quanto fragile e inconsistente.
P.S.
Piccola curiosità, uno dei personaggi si chiama Homer Simpson, e anche se nulla ha a che spartire con il simpatico mangia-ciambelle di Springfield, è una casualità abbastanza buffa.

Nessun commento:

Posta un commento