DISTRICT
9
Un film
geniale: mascherato da lungometraggio di fantascienza (in stile
documentaristico) è in realtà una denuncia contro il razzismo e
l’apartheid in particolare.
La scena,
infatti, si svolge a Johannesburg, in Sudafrica, nel Distretto 9: una
sorta di fatiscente baraccopoli dove dagli anni ’80 sono stati
relegati gli alieni (detti “gamberoni” giacché somigliano a dei
crostacei antropomorfi, decisamente sgradevoli e volutamente
bruttarelli) che, in seguito ad un guasto alla loro astronave, sono
stati costretti ad atterrare sulla terra, mezzi morti di stenti. Qui
vivono in condizioni pessime, affamati e sporchi, nutrendosi di cibo
per gatti (di cui sono golosi, al limite della dipendenza) e venendo
coinvolti nel mondo criminale nostrano.
E se in
principio anche noi guardiamo agli alieni come ad un problema ed un
fastidio, nella prosecuzione della pellicola è con loro che
simpatizziamo e ci immedesimiamo… L’uomo è cattivo, senza
rimedio, senza riscatto (atroce la parte relativa alla
sperimentazione scientifica), pronto solo ad approfittare del
prossimo, a sfruttarlo, e poi a buttarlo via… Salvo quando la sua
prospettiva viene coattivamente ribaltata e si trova, suo malgrado,
nelle stesse condizioni di chi fino a poco prima ha solo disprezzato.
Perché finalmente apre gli occhi. E il cuore.
Una
concezione degli alieni originalissima, in cui gli stessi sono visti
non come minacciosi invasori, ma neanche come creature superiori in
missione di pace, o teneramente affettuose, ma alla stregua di
profughi, sporchi e ripugnanti… che però si rivelano
straordinariamente umani.
Una
pellicola spettacolare, intelligente, che fonde film verità,
action-movie, e splatter, e che non punta solo sugli effetti
speciali, ma che vanta una trama solida e intenti lodevoli, specie
sul piano morale.
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