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martedì 21 maggio 2013

13 episodi, che van giù lisci lisci, come un bel bicchiere di acido muriatico...


AMERICAN HORROR STORY – ASYLUM

 

 

Ho ultimato la visione di questa serie Tv un paio di settimane fa e ancora le immagini mi si stanno assestando in testa: 13 episodi, che van giù lisci lisci, come un bel bicchiere di acido muriatico... mentre ti corrodono l'esofago.

“Asylum” è la seconda stagione di “American Horror Story”, ma è completa, indipendente. Cambia tutto: l'ambientazione, la trama, i personaggi... Restano l'inquietante motivetto della sigla e qualche attore, che è interessante osservare alle prese con un ruolo completamente diverso: da comparsa a protagonista, da cattivo a vittima...

Decisamente preferibile alla prima, anche se sul finale la tensione si allenta, il sadismo si acquieta, l'efferatezza si riduce... Aumentarli, del resto, era impossibile, perché si era già al limite, se non oltre: nei primi episodi (primi 6-7 più o meno) lo spettatore viene tramortito, traumatizzato, terrorizzato fino allo stremo (davvero, sembra di venir sottoposti ad un elettroshock, e poi ad una secchiata di acqua ghiacciata, magari sporca e con i vermi dentro, e poi, belli bagnati, ad un altro elettroshock...). Non solo le scene in sé, ma il contesto, l'atmosfera malsana, perversa, il marcio che trasuda ovunque, contribuiscono... Accresciuti dalla colonna sonora-supplizio “Dominique” di Suor Sorriso – sic! – (ascoltare per credere... ne esiste una versione italiana cantata da Orietta Berti), snaturata e associata alla morbosità esasperata delle situazioni... E poi l'assenza di redenzione e di speranza, la spersonalizzazione dell'individuo, il senso di perpetuo soffocamento... Sono disturbanti. E ti lasciano un po' scosso, un po' nervoso. Prostrato. Anche dopo che hai spento la Tv. Persino la sigla è faticosa da sopportare (in senso positivo), straordinariamente ricca, cruda, fastidiosa.
 
 
Siamo nel 1964 (ma ci sono anche parallelismi con la realtà attuale) a Briarcliff, un manicomio criminale gestito dalla Chiesa cattolica, fantasticamente infarcito di orrori, tra i quali i pazienti (assassini, psicopatici, serial killer, matti generici, ma anche ninfomani, omosessuali, microcefali, e sventurati innocenti – o un po' di queste cose tutte assieme –) sono davvero il meno.

C'è di tutto in questo telefilm: dagli alieni al diavolo, dalle suore sadiche al mad doctor nazista, dal serial killer all'angelo della morte...

Una serie che è un fermento di idee e un avvicendarsi di fatti che si intrecciano fra loro e a cui, sino a metà, continua ad aggiungersi materiale (radioattivo e maledetto)... Okay, quasi tutti elementi già sfruttati, già noti, ma mai amalgamati con tale generosità, con tanta baldanzosa abbondanza...

E state tranquilli, non finisce come in “Lost” che poi i filoni narrativi si spezzano e restano lì, inconclusi, cauterizzati, dimenticati, generando anacronismi ed incongruenze.

No, qui tutti i nodi vengono al pettine, la trama è coerente, e all'incirca da metà diventa più lineare, più snella, i personaggi acquistano sfaccettature, motivazioni, vengono approfonditi nel carattere e nella psicologia, assumendo toni più umani. Man mano che si prosegue nella narrazione si arriva ad affezionarcisi (i miei preferiti sono Kit Walker e suor Jude, che riserva un discreto numero di sorprese), mentre i pugni allo stomaco si fanno più sporadici, e la paura perenne viene sostituita alla curiosità e all'interesse per la storia.

I misteri si chiariscono (quasi tutti) e non rimangono dubbi irrisolti.

Spettacolari anche gli interpreti: James Cromwell – basta che ti guardi, per farti sentire operato senza anestesia –; la fulgentissima e splendente Jessicona Lange (suor Jude), che da sola ti sveglia dentro il terrore inconscio che hai accumulato in tre anni di asilo dalle suore e che credevi rimosso e obliato... Ma che nell'episodio 10 si scatena in una canzone frizzante e divertente (per quanto nel contesto risulti tragica), coinvolgendo i pazienti del manicomio in un ballo sfrenato, come in un musical o in una puntata di Glee; Zachary Quinto, che all'inizio pare così dolce, così da sposare... E che alla fine si rivela il più depravato di tutti; Lily Rabe che quando è pura ti abbacina con il suo candore, e quando è cattiva, beh... conviene scappare...


Una menzione d'onore spetta a Naomi Grossman, l'attrice che dà il volto a Pepper. Totalmente piatti ed incolore, e pure un po' antipatici, sono invece Joseph Fiennes e Dylan McDermott, che, poveretti, fanno quasi compassione vicino a tanti artisti ispirati.

Una serie Tv diversa da tutte le altre, che supera i confini dell'horror, e ti scava nelle viscere per divorarle mentre sono ancora calde e fumanti. Ma poi si pulisce educatamente le labbra in un tovagliolo di lino, bianco e piegato con cura.

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