AMERICAN
HORROR STORY – ASYLUM
Ho
ultimato la visione di questa serie Tv un paio di settimane fa e
ancora le immagini mi si stanno assestando in testa: 13 episodi, che
van giù lisci lisci, come un bel bicchiere di acido muriatico...
mentre ti corrodono l'esofago.
“Asylum”
è la seconda stagione di “American Horror Story”, ma è
completa, indipendente. Cambia tutto: l'ambientazione, la trama, i
personaggi... Restano l'inquietante motivetto della sigla e qualche
attore, che è interessante osservare alle prese con un ruolo
completamente diverso: da comparsa a protagonista, da cattivo a
vittima...
Decisamente
preferibile alla prima, anche se sul finale la tensione si allenta,
il sadismo si acquieta, l'efferatezza si riduce... Aumentarli, del
resto, era impossibile, perché si era già al limite, se non oltre:
nei primi episodi (primi 6-7 più o meno) lo spettatore viene
tramortito, traumatizzato, terrorizzato fino allo stremo (davvero,
sembra di venir sottoposti ad un elettroshock, e poi ad una secchiata
di acqua ghiacciata, magari sporca e con i vermi dentro, e poi, belli
bagnati, ad un altro elettroshock...). Non solo le scene in sé, ma
il contesto, l'atmosfera malsana, perversa, il marcio che trasuda
ovunque, contribuiscono... Accresciuti dalla colonna sonora-supplizio
“Dominique” di Suor Sorriso – sic! – (ascoltare per
credere... ne esiste una versione italiana cantata da Orietta Berti),
snaturata e associata alla morbosità esasperata delle situazioni...
E poi l'assenza di redenzione e di speranza, la spersonalizzazione
dell'individuo, il senso di perpetuo soffocamento... Sono
disturbanti. E ti lasciano un po' scosso, un po' nervoso. Prostrato.
Anche dopo che hai spento la Tv. Persino la sigla è faticosa da
sopportare (in senso positivo), straordinariamente ricca, cruda,
fastidiosa.
Siamo
nel 1964 (ma ci sono anche parallelismi con la realtà attuale) a
Briarcliff, un manicomio criminale gestito dalla Chiesa cattolica,
fantasticamente infarcito di orrori, tra i quali i pazienti
(assassini, psicopatici, serial killer, matti generici, ma anche
ninfomani, omosessuali, microcefali, e sventurati innocenti – o un
po' di queste cose tutte assieme –) sono davvero il meno.
C'è
di tutto in questo telefilm: dagli alieni al diavolo, dalle suore
sadiche al mad doctor nazista, dal serial killer all'angelo della
morte...
Una
serie che è un fermento di idee e un avvicendarsi di fatti che si
intrecciano fra loro e a cui, sino a metà, continua ad aggiungersi
materiale (radioattivo e maledetto)... Okay, quasi tutti elementi già
sfruttati, già noti, ma mai amalgamati con tale generosità, con
tanta baldanzosa abbondanza...
E
state tranquilli, non finisce come in “Lost” che poi i filoni
narrativi si spezzano e restano lì, inconclusi, cauterizzati,
dimenticati, generando anacronismi ed incongruenze.
No,
qui tutti i nodi vengono al pettine, la trama è coerente, e
all'incirca da metà diventa più lineare, più snella, i personaggi
acquistano sfaccettature, motivazioni, vengono approfonditi nel
carattere e nella psicologia, assumendo toni più umani. Man mano
che si prosegue nella narrazione si arriva ad affezionarcisi (i miei
preferiti sono Kit Walker e suor Jude, che riserva un discreto numero
di sorprese), mentre i pugni allo stomaco si fanno più sporadici, e
la paura perenne viene sostituita alla curiosità e all'interesse per
la storia.
I
misteri si chiariscono (quasi tutti) e non rimangono dubbi irrisolti.
Spettacolari
anche gli interpreti: James Cromwell – basta che ti guardi, per
farti sentire operato senza anestesia –; la fulgentissima e
splendente Jessicona Lange (suor Jude), che da sola ti sveglia dentro
il terrore inconscio che hai accumulato in tre anni di asilo dalle
suore e che credevi rimosso e obliato... Ma che nell'episodio 10 si
scatena in una canzone frizzante e divertente (per quanto nel
contesto risulti tragica), coinvolgendo i pazienti del manicomio in
un ballo sfrenato, come in un musical o in una puntata di Glee;
Zachary Quinto, che all'inizio pare così dolce, così da sposare...
E che alla fine si rivela il più depravato di tutti; Lily Rabe che
quando è pura ti abbacina con il suo candore, e quando è cattiva,
beh... conviene scappare...
Una
menzione d'onore spetta a Naomi Grossman, l'attrice che dà il volto
a Pepper. Totalmente piatti ed incolore, e pure un po' antipatici,
sono invece Joseph Fiennes e Dylan McDermott, che, poveretti, fanno
quasi compassione vicino a tanti artisti ispirati.
Una
serie Tv diversa da tutte le altre, che supera i confini dell'horror,
e ti scava nelle viscere per divorarle mentre sono ancora calde e
fumanti. Ma poi si pulisce educatamente le labbra in un tovagliolo di
lino, bianco e piegato con cura.
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