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mercoledì 30 settembre 2015

E vattelapesca


IL GIOVANE HOLDEN
di J. D. Salinger


Un romanzo che avevo letto in gioventù e che mi era piaciuto molto, non tanto per i pregi letterari (benché ne avessi senz'altro apprezzato lo stile colloquiale e disinvolto, seppur vulnerato dai troppi, voluti, “vattelapesca” e la freschezza espressiva), ma soprattutto per lui, per Holden Caufield, questo sedicenne in fuga da se stesso che rifugge ogni ipocrisia, tremendamente solo, ma anche tremendamente simpatico e spigliato, fragile ed emotivo, divertente, che ogni tanto ti sorprende con la sua perspicacia, con la sua ferrea logica, e ogni tanto ti spiazza per il suo candore!

L'ho adorato, sto ragazzino, con la sua dissimulata solitudine, con il bagaglio tragico che si porta appresso, il cui unico, dolcemente inadeguato, punto di riferimento è la sorellina Phoebe, di dieci anni!

Certo, mi si dirà, è un classico della letteratura... vero, ma è anche qualcosa di più: un amico fidato, con cui confidarsi e da cui accettare ogni apparente stravaganza...

Non c'è una vera e propria trama: questo è un romanzo di formazione e quel che ci interessa è il percorso di maturazione di Holden.

Che è straordinario, proprio perché il protagonista non matura.

Siamo negli anni Cinquanta, il giovincello viene espulso da scuola per il cattivo rendimento e gironzola per New York, andando alla deriva, senza confessare l'accaduto ai genitori: incontra gente, vive esperienze, e a poco a poco si rivela, esternandoci il suo disagio, la sua sensibilità, ma anche dimostrandosi straordinariamente fresco e autentico.

Come se anche Salinger fosse rimasto un ragazzino di sedici anni.

E pure noi.

E alla fine della fiera forse è questo il punto, che lo differenzia da tutti gli altri romanzi di formazione: ad Holden gli adulti non piacciono, li considera falsi e bugiardi, e noi, nel finale, non assistiamo al suo proverbiale ravvedimento, non lo vediamo affrontare le sue difficoltà, i suoi insuccessi scolastici, i genitori... ma soltanto guardare la sorellina Phoebe mentre va sulla giostra.

Perché Phoebe è una bambina, e in fin dei conti, vuole rimanerlo pure Holden.

Perché l'infanzia è innocenza, mentre essere adulti è sinonimo di corruzione...

Ed è un ragionamento sbagliato, immaturo...

Ed è bello così.

E vattelapesca.

martedì 29 settembre 2015

Non vi lascerà indifferenti!


CINEMA PANOPTICUM
di Thomas Ott


Avete una moneta?

Entrate nel Luna Park, non spaventatevi se è un po' fatiscente, dentro ci sono degli schermi tutti vicini, vagamente vintage e demodé (questo è il Cinema Panopticum!), che hanno in sé qualcosa di curioso, ma pure di inquietante. Sceglietene uno: se inserirete una moneta, vi consentirà di affacciarvi sulla vita di uno sconosciuto, in tutta la sua nudità e crudezza...

L'episodio sarà breve e rapido, ma, lo prometto, non vi lascerà indifferenti!
 
Si tratta di un fumetto che avevo letto qualche anno fa: un volume unico, che mi aveva colpito per originalità, finezza e lampi di genio!

Per quanto ci sia una cornice comune (di cui in qualche modo noi facciamo parte), si tratta di una serie di storie fulminanti e mute, prive di spiegazioni, in cui a farla da padrone sono il montaggio efficace, le inquadrature intimistiche e deformanti, e i disegni, così peculiari che mi avevano ricordato l'Espressionismo: grotteschi, un poco claustrofobici, ma senza dubbio densi di spessore.

Rigorosamente in bianco e nero (e realizzati con una tecnica particolare, che parte da fogli neri per ricavarne il bianco) è come se portassero i colori dell'anima dentro di sé, regalandoci spunti onirico-surreali e impennate cerebrali... Che disorientano, ma incidono altresì qualcosa sulla nostra pelle...

L'atmosfera, infatti, è lugubre, kafkiana, e ci fa pensare a sostrati suggestivi, inconsci, annidati nelle pieghe del nostro essere, ma “sbagliati”, “storti”, che però sono inesorabilmente così, benché offrano più piani di lettura, prestandosi a molteplici interpretazioni: amari e annichilenti, ma pure straordinariamente ipnotici.

Dello stesso autore, consiglio altresì l'eccezionale “Il numero 73304 – 23 – 4153 – 6 – 96 -8”, forse ancora più sottilmente folle ed angosciante, e intanto spero che il mio prode fumettivendolo riesca a procurarmi “Exit”...

Eccezionale!

lunedì 28 settembre 2015

L’Ordine della Motosega d’Oro


SHARKNADO 3 – Oh Hell No!
di Anthony Ferrante
(2014)
 
E qui, ahimè, si comincia a perdere un po’ di smalto…
Gli squali tornano, arrabbiatissimi; il Tornado si fa più grande e pericoloso; Fin/Ian Ziering è sempre più in gamba, e conosciamo pure altri membri della sua superfamiglia (che tra gli altri annovera Bo Derek nei panni della madre di April/Tara Reid), torna Nova (dal primo film), mezza isterica e mezza nuda; ci sono i cameo di Lou Ferrigno e Lorenzo Lamas (che, devo dire, con l’età è migliorato); la moglie è incinta e incappiamo in numerose chicche (ad esempio George R. R. Martin divorato al cinema, con dovizia e simpatia), però…
Però questa volta ci vengono propinate un sacco di spiegazioni prolisse che inficiano parzialmente il delirante ritmo della pellicola… Per tacere del finale patetico con il padre di Fin (David Hasselhoff, niente meno, che dopo la deliziosa performance in “Pirana 3DD”, in cui interpreta se stesso, non poteva non fare un salto anche in Sharknado!) che ci ricorda un po’ “Armageddon” e un po’ un carico di zucchero raffinato…
Una volta rimasto nello spazio ci aspettavamo almeno che il papà venisse sbranato, ma niente: il nostro ex bagnino si limita a contemplare rapito il panorama!
Eh, sì, a proposito: nel terzo capitolo gli squali finiscono nello spazio (come capiterà a Machete)!
Per il resto, abbiamo una pre-sigla alla James Bond e viene finalmente insinuato il dubbio che Fin porti sfiga – visto che gli squali lo seguono anche a Washington D.C. (dove il nostro eroe viene premiato, diventa il primo membro dell’Ordine della Motosega d’Oro – gliene viene conferita una a non so quanti carati, funzionante – e salva il Presidente USA) e dopo lo precedono sulla Costa Est... Ci sono anche un po’ di scene gustose: tipo lo squalo infilzato dalla bandiera americana.
Amena, nel prosieguo, la fine di ... (non dico chi), davvero ai confini della demenza, laddove, in the space, c’è invece la motosega laser, tipo lightsaber di Star Wars…
Ma i fasti dei primi due episodi sono lontani…
In realtà pure il finale-finale non è malaccio (benché resti aperto e non ci riveli l’effettiva conclusione): questa volta, dallo squalone finale, Fin non trae una ragazza, né l’anello di fidanzamento per sua moglie, ma… April/Tara Reid esce da sé (ricordate che le avevano mozzato la mano? Indovinate con che cosa l’ha sostituita!) e già che c’è, ha pure partorito (sì: in volo, nella pancia di un carcarodonte che stava arrostendo, e… con i pantaloni!). Consegna dunque il pupo al padre, abbraccia la figlia e…
AIUTOOOOO!!!
Per il seguito dovremo aspettare Sharknado 4…

venerdì 25 settembre 2015

Una visione più cupa delle cose

STONEHENGE
di Bernard Cornwell


Non è bello come “Excalibur”, ma sicuramente è il romanzo di Cornwell che preferisco fra quelli letti successivamente.
In effetti, presenta alcune caratteristiche simili all'epopea su Artù (“Storia” romanzata, ma verosimile, che si intreccia con la magia; parallelismi fra parecchi personaggi), ma qui ci sono meno protagonisti e, in generale, una visione più cupa delle cose… Anche se forse affermo questo perché ho sofferto per il destino riservato al mio personaggio preferito, Derrewyn, benché sotto alcuni profili ciò rappresenti la “quadratura del cerchio” e lo abbia apprezzato molto dal punto di vista narrativo.
Siamo in Britannia, nel 2000 a.c.: la realtà del piccolo villaggio di Ratharryn viene sconvolta a causa dell’oro… La storia si dipana per parecchi anni (anche se è la parte iniziale del romanzo quella che ho prediletto) e coinvolge, in particolare, tre fratelli, il cui ruolo sarà molto diverso: Saban, il protagonista; Camabam, potente sacerdote; e Lengar, che possiamo tranquillamente etichettare come l’antagonista avido e cattivo. Ma ci saranno delle sorprese riguardo ai ruoli che giocheranno gli altri personaggi, e dei bellissimi ribaltamenti (di cui uno, per quel che mi riguarda, davvero apprezzato, visto che concerne quella sgualdrina di… Okay, taccio. Niente spoiler.)
Seguono drammi, ambizioni, sacrifici, passioni, crudeltà, efferatezze (c’è almeno una scena che non scorderò mai), cadute e risalite. Si potrebbe anche affermare che, nonostante le varie traversie, tutto finirà per il meglio. Ma non è esattamente così, e il prezzo da pagare potrebbe rivelarsi troppo alto, benché, noi lo sappiamo, la profezia su Saban sia destinata ad avverarsi…
Il romanzo mi è piaciuto: i personaggi sono carismatici, e ad alcuni ci si affeziona mentre per altri si prova un forte sentimento di odio; la trama è interessante, e, per quanto scontata in alcuni passaggi, non si può negare che ci siano anche delle sorprese; il ritmo è buono e così la rappresentazione del periodo storico, dettagliata, seppur in bilico tra verità e suggestione. Peraltro non si esagera troppo, e, se si accettano alcune premesse, può persino risultare semi-credibile.
Le questioni afferenti la magia e i culti druidici, comunque, sono state capaci di destare il mio interesse e di indurmi ad approfondire, e naturalmente è affascinante la “versione alternativa” che ci viene suggerita riguardo alle origini di Stonehenge…
Per certi aspetti, insomma, il classico bestseller scorrevole, che appassiona e intrattiene, per altri, però, qualcosina di più.

Qualcosina di emotivamente pesante, che scava con gli artigli e lascia cicatrici sottili.

giovedì 24 settembre 2015

Niente minorenni, per favore!


CANNIBAL FEROX
di Umberto Lenzi

(1981)
 
 
Sarà in onore dell'uscita di “The Green Inferno”... Sarà perché ho recentemente terminato la lettura di “Guida al Cinema Horror Made in Italy!” di Antonio Tentori e Luigi Cozzi (Ed. Profondo Rosso), che mi ha solleticato i sensi... Sarà perché mon amour è di là che guarda la stupida partita... ma stasera (23 settembre 2015, ore 21.33) faccio una cosa che capita di rado: rimando la “programmazione ufficiale” (era prevista la recensione di “Interstellar”), per un'edizione straordinaria... dedicata a “Cannibal Ferox”, un classico del filone cannibalico!

Ebbene: paura zero, disgusto tanto, alcuni preziosissimi gioiellini splatter, e anche impagabile umorismo involontario, con compiaciuti tocchi d'exploitation... La verità è che se non fosse per le atroci scene con gli animali (niente, comunque, in confronto alle oscenità di “Cannibal Holocaust”, per cui non posso che lanciare un “J'accuse”), sto filmaccio sarebbe davvero una perla!

Ecco perché, contrariamente al solito, vi racconterò la trama per filo e per segno, più che buttar giù un commento (l'ho visto più di una settimanella fa, ma durante la visione avevo preso appunti – giuro – indi posso essere precisa).

Dunque, preparatevi: questo sarà un post assai più lungo del solito. E più disgustoso.


TRAMA

Partiamo con una gagliarda musichetta tipicamente anni 70, che un po' ci fa pensare ai vecchi cartoni animati con i robottoni e un po' ci induce a temere di aver sbagliato film... L'inizio, infatti, è in stile poliziesco, col il tossico newyorkese, appena uscito dall'ospedale, che si reca a casa dello spacciatore Mike e qui viene freddato da due malviventi, i quali, da tempo, cercavano invano di rintracciare lo stesso Mike.

Stacco: Rio delle Amazzoni.

Eh? Cu fu?

Rimaniamo un attimo spiazzati, ma... tranquilli!, la musichetta riattacca: il film è sempre lo stesso.

Conosciamo Gloria, una svenevole lobotomizzata che non ha niente di meglio da fare che scrivere una tesi di laurea per confutare il mito dei cannibali, sostenendo che è solo un'invenzione del colonialismo razzista (della serie, andiamocele a cercare), suo fratello Rudy e Pat, una studentessa sgualdrina (e non è un modo di dire, giacché la fanciulla esercita il mestiere), dalla fantastica fascetta hippy sulla fronte, che non perde occasione e va giustappunto a farsi la doccia a casa di un pittoresco poliziotto locale...


Tanto per non farci mancare niente, mentre viaggiamo sul battello alla ricerca del popolo dei Manioca (presunti cannibali), ci imbattiamo in una farfalla grande e bellissima, dalle ali variopinte.

Subito la uccidiamo e ce la mangiamo.

Gloria rimette.

Soprassederò sulle altre questioni inerenti agli animali perché non mi aggradano. Segnalo solo una cosetta: ad inizio pellicola, quando mi ha visto armata di penna, mon amour mi ha pregato di non insultare Umberto Lenzi. Dopo circa un quarto d'ora, ha ritrattato: “Insultalo pure”, ha detto.

Seguono paesaggi esotici, un viaggetto sulla jeep e poi i tre idioti finiscono fuori strada. E allora qual è la cosa più sensata da fare? Sbevazzare superalcolici. Per motivi inspiegabili i tre si sono addentrati nella jungla con una discreta riserva di bottiglie, 5.000 dollari, e nessuna guida o cognizione. Va mu.

Proseguiamo a piedi, a colpi di machete, troviamo un indigeno imperturbabile, che non si capisce se stia andando di corpo o solo pasteggiando con bei larvoni extra pasciuti, mentre i suoi compagni stanno nascosti nella verzura, rivelandosi appena i tre procedono ignari.

L'indomani incocciamo altri due poveri indios massacrati da stranissime trappole che ci spiace non riuscire ad osservare più attentamente, mentre Pat ha un'inevitabile crisi isterica, curata con sonori schiaffoni in stile Bud Spencer.

Ma le emozioni non sono finite: dal verde emergono due occidentali, piuttosto malmessi, che chiedono aiuto, lamentando di essere stati assaliti dai cannibali. E... Pubblicità! Che recita: “Vivi il Festival Verde”!

No, sul serio. Mica scherzo...

Comunque...


Quando il film ricomincia i tizi spiegano di essere in fuga, e uno è... Mike, guarda un po'! Lo spacciatore! (L'altro si chiama Joe.) Ed infatti è cocainamunito: la paura viene accantonata e ci si fa in allegria...

Mike e Joe raccontano la loro vicenda (ma ci accorgiamo subito che qualcosa puzza), descrivendo, tra l'altro, l'evirazione subita da un loro compagno indigeno, i cui testicoli sono poi stati mangiati dai cannibali.

Cala la sera, Pat va in calore e si ripassa Mike (Giovanni Lombardo Radice, che somiglia un po' ad un Owen Wilson con l'espressione intelligente), mentre Gloria sembra pascersi del pensiero dell'evirazione.

Al mattino Gloria è scomparsa: gli altri si dividono in due gruppi e vanno a cercarla (Pat ha sempre la sua triste fascetta in testa).

Rudy e Joe arrivano al villaggio dei selvaggi (tra le proteste di Joe): ci sono bei cadaverelli malridotti, l'evirato legato ad un palo, semidecomposto e mangiato da larve di insetti preistorici, e gli abitanti del luogo, curiosamente infarinati, che osservano i nuovi venuti seduti, muti e impassibili.

Intanto Pat e Mike individuano Gloria, precipitata in un buco, una trappola (siamo nella jungla e la cretina ha pensato bene di andarsi a rinfrescare senza avvertire nessuno).

Nel mentre Rudy osserva che i selvaggi senza espressione paiono terrorizzati da loro (ignoro da che cosa lo deduca), e che sono solo vecchi e bambini. I giovani, plausibilmente, sono temporaneamente lontani, ma torneranno...


La prudenza imporrebbe quindi di filarsela, ma prontamente Joe sviene. Mike propone di abbandonarlo, Gloria e Rudy si oppongono.

Naturalmente restano tutti, Joe viene curato, i selvaggi restano impassibili e ci si trastulla con sesso e droga.

Passiamo sopra il triste livello dei dialoghi (peraltro perfetti per questo film), e decidiamo (Mike e Pat) di rapire una ragazzina india per stuprarla in coppia. E magari prima la torturiamo un po', già che ci siamo. Ma, ohibò, la piccola cerca di scappare, così Mike la uccide con un colpo di pistola, a tradimento.

Eravamo già abbastanza convinti prima, ma ora preghiamo che i cannibali li macellino tutti.

Al solo scopo di rafforzare la nostra risoluzione, ci viene raccontata la verità su quel che ha indotto Mike e Joe a fuggire: sono stati loro (più che altro Mike) a divertirsi a massacrare e torturare gli indigeni, ed è stato Mike a perpetrare l'evirazione sull'ex compagno.

Quando finalmente Rudy e Gloria comprendono che forse sarebbe opportuno lasciare il villaggio a gambe levate, scoprono che Pat e Mike si sono già allontanati, derubandoli simpaticamente...

Stacco... New York! Myrna, la fidanzata/inquilina di Mike, viene fermata dalla polizia e interrogata. Al momento il senso di questa parentesi ci sfugge completamente.

Torniamo al villaggio: Joe è spirato (Alleluja!), Rudy e Gloria si imbattono in una papaya marcia, che sinifica maledizone (sic!), e i giovani indios rincasano (infarinati pure loro), trovano il cadavere di Joe e lo squarciano estirpandone i visceri.

Gloria si nasconde in una capanna col fratello, ma il MPM la ammonisce: “Eh no, devi fare la tesi!”. Lei però non lo ascolta, e i due se la svignano. O almeno ci provano: presto vengono catturati e ricondotti al villaggio e... chi altro c'è!? Ma i nostri amici fedifraghi, Pat e Mike!



E FINALMENTE COMINCIA LA PARTE SUCCULENTA (benché la recitazione degli attori sia desolante)...

Mike viene appeso al palo dell'evirazione, gli altri infilati in una gabbia di bambù posta nel fiume, in compagnia di affamate sanguisughe.

Per migliorare i rapporti diplomatici, Mike sputa sugli indigeni e loro, in risposta, gli tagliano il pipino (oh, yeah!). La scena è piuttosto dettagliata e si conclude con una merendina a base di salsiccina cruda. Gloria delira le sue ridicole teorie e...

Et voilà New York.

Myrna viene menata e quasi accoppata dai due malviventi che cercavano Mike, ma la polizia, che la sorvegliava, la salva. Lei, in cambio, confessa i tragici trascorsi con spacciatore e della sua partenza, oltre tre settimane fa, per Panaguayà... La dichiarazione seguente è volta ad informarci che pure tre studenti sono recentemente spariti nei paraggi. La situazione è così sfrontata, disinvolta e grossolana che MPM mi chiede se questo è il momento comico.

Cannibalilandia. Gli indigeni cauterizzano la ferita di Mike (ricordiamo che è stato evirato) per protrarne il supplizio. Dopo che sorge il sole i quattro protagonisti vengono portati sul fiume: Rudy e Gloria elaborano un piano di fuga geniale, che ovviamente si conclude con una spassosa parentesi con i piranha e il decesso di Rudy.

Il commento sonoro è fantastico.

Villaggio: Mike viene chiuso in una gabbia scavata nel terreno; Gloria e Pat in una sorta di capanna di fango. Si ripetono le crisi isteriche di repertorio mal recitate, mentre Gloria si diletta con le sue teorie sull'antropofagia. Dall'alto viene calata una prelibatissima frattaglia cruda e le fanciulle, digiune, hanno famina, ma Gloria diffida Pat: “No! Può essere il cuore di Rudy!”, e suggerisce una bella cantata (già!), così si procede in tal senso (davvero). Gli indios ascoltano impassibili e infarinati.

Intanto sono iniziate le ricerche dei dispersi: ritroviamo il poliziotto della doccia e poi conosciamo il console americano (Urrà!).

Quando il regista ci riporta a tra gli indios, Mike, più vitale che mai nonostante tutto, cerca di scappare, e anche le due ragazze paiono prossime all'evasione grazie ad un ragazzino indio pietoso (l'amico della fanciullina uccisa da Mike), ma per ragioni inspiegabili Mike lo impedisce e se va da solo.

Contemporaneamente le ricerche continuano in aereo (Dio, come si farebbe volentieri a meno di 'ste parentesi), e Mike viene raggiunto dai selvaggi subito dopo aver avvistato il mezzo in volo. Poi gli viene amputata la mano.

Gloria e Pat avviliscono gli spettatori con le loro frasine patetiche e noi ringraziamo quando finalmente i cannibali le ripescano dal buco e piantano un gancio nelle poppe di Pat (che ce le ha già mostrate in tutte le salse).


Naturalmente, nel frattempo, scorgiamo di nuovo l'areo che sorvola la zona. Il Console avvista la Jeep finita fuori strada, ma gli indigeni gli raccontano che i ragazzi sono stati divorati dai coccodrilli e bye bye alla speranza.

Pat, appesa per le poppe, agonizza dissanguandosi; Mike viene scalpato (anzi, salutiamo pure la sua calotta cranica), ed è di nuovo l'ora della merenda, giacché i selvaggi ne spiluccano il cervello.


Durante la notte, però, il ragazzino compassionevole torna alla carica, libera Gloria e la aiuta a fuggire. Ovviamente il poveraccio schiatta malamente a causa di una trappola costruita dai suoi compagni (qui, anche se ho riso, un pocherello mi è dispiaciuto).

Gloria medita di suicidarsi, ma poi ci ripensa e si addentra nel verde, trovando la salvezza...

Stacco.

Musichetta gagliarda dell'inizio.

Colonna Sonora Originale di Roberto Donati

Cerimonia di Laurea di Gloria (c'è anche Myrna, perchè?). E qui Umbertone Lenzi ci fa un bello scherzetto perché Gloria dimostra nella sua tesi che l'antropofagia non esiste. Complimenti! E le danno pure la medaglia d'oro (mentre io assegno ufficialmente un OTTA AWARD a Lenzi)!

Inquadratura sulla faccia dolente di Gloria, e vai con la musichetta anni 70!



E dunque? Dunque sono le 23.11, la partita di là è finita, e io ho un poquito sonno (e... è vero, questo post è vergognosamente lungo)... Ma mi è così piaciuto ripercorrere il film dal principio! E mi è pure venuta fame...

Non so perché ma quando ci sono di mezzo i cannibali mi capita sempre!

P.S.

Tra il poliziotti spicca il tenente Rizzo, che ha recitato pure in Cannibal Holocaust! Zora Kerowa, invece, la gioiosa Pat, era nel cast di Antropophagus di Joe D'Amato...

mercoledì 23 settembre 2015

Davvero aberrante


LE CRONACHE DI NARNIA
di C. S. Lewis
 
 
Ossia sette romanzi per infanti, a base di immaginazione, magia e creature fantastiche, tutti più o meno collegati, con protagonisti bambini – suppergiù imparentati fra loro –, mentre le vicende sono ambientate nel meraviglioso Reame di Narnia...

Sinceramente li ho trovati molto faticosi da leggere (e da digerire).

E’ vero, sono fuori età, ma se fossi stata piccola dubito li avrei apprezzati di più.

Il primo romanzo del ciclo (di cui peraltro “Il nipote del mago” è un prequel), “Il Leone, la strega e l’armadio” non è brutto, e presenta alcuni elementi molto suggestivi (anche se, se devo essere proprio onesta, mi hanno vagamente impressionata tutti i riferimenti alla religione cristiana: per certi versi sono geniali e stuzzicanti, ma al contempo ci vedo qualcosa di profondamente sbagliato, più che altro perché mi sanno di propaganda nemmeno troppo occulta).

Il problema, per quanto mi riguarda, è l’eccessivo paternalismo: la circostanza che l’autore cerchi in tutti i modi di farci la morale, insistendo e ribadendo, per giunta, molti concetti. E poi, sì, c’è una certa indulgenza verso il patetismo, che da sempre giudico disturbante, e il melodramma... per tacere dell'immonda propensione alla zuccherosità…

I seguiti sono persino peggiori: gli elementi fantastici (spesso scopiazzati dalla mitologia – ma nulla quaestio in merito) non sono nemmeno sgradevoli: il punto, però, è che non risultano sufficienti a supportare la tendenza alla ripetitività e soprattutto la tremenda abitudine dell’autore a volerci inculcare a tutti i costi il suo punto di vista.

Le trame non brillano per originalità, né per costruzione, né per “visionarietà” o immaginazione: sono prevedibili, ovvie, terribilmente lineari (anche se, bisogna ammettere, Lewis è stato uno dei precursori di storie fantasy a base di animali parlanti e commistioni mitologiche)… Si tratta di romanzi per bambini, d’accordo, ma io ho sempre letto letteratura per l’infanzia in età adulta, e sono parecchi gli autori che non incorrono in questi limiti.

Poi – come peraltro ironicamente sottolineato da Neil Gaiman nel suo racconto “Il problema di Susan” – non si capisce perché la maggiore tra le sorelle Pevensie ad un certo punto diventi cattiva. Così, dal nulla. Perché si interessa di faccende femminili.

Lo trovo davvero aberrante.

Anche perché, effettuando un confronto altresì con gli altri personaggi incontrati precedentemente, Lewis ne esce come un misogino. Pare, infatti, che il messaggio implicito sia: le donne non sono pericolose solo se restano bambine.

Insomma, non sono una grande fan di Lewis…

Io avevo letto un’edizione (si parla di una decina di anni fa), forse Mondadori, con tutti e sette i romanzi, anche abbastanza economica… E be’, l’unica cosa che mi era piaciuta davvero era stato il breve saggio in appendice!

A parte ciò, forse sono stata troppo severa. Non è che questa prosa non abbia anche dei pregi (perché li ha). E’ solo che, a pensarci ex post. Rammento soprattutto irritazione.

martedì 22 settembre 2015

Mostriciattoli assortiti


L’ALBERO
Risale ai tempi dell’Università, e aveva lo scopo di intrattenere il Ragno quando era piccolo, infatti (benché lamentasse la presenza di troppe creature balzane), al cucciolo piaceva guardarmi disegnare, e, talvolta, si cimentava lui stesso, con ottimi risultati (in effetti, il piccolo, nonostante le sue insicurezze, era piuttosto dotato)…
Non era una produzione originale, però: come spesso capitava avevo tratto lo spunto da un dipinto di epoca romantica di non ricordo quale autore… Invero, le sue fronde erano popolate da graziose fatine e non da mostriciattoli assortiti.
Ad ogni modo, a distanza di anni, mon petit frère, ormai alle Medie, aveva a sua volta tratto ispirazione dal mio disegnuccio (cambiandolo e personalizzandolo ancora) per partecipare ad un concorso scolastico internazionale (la Giuria era giapponese) cui, se non ricordo male, era arrivato tipo quarantesimo su sedicimila….
Bravo Ragno!
E pensare che, pur impegnandosi, l’aveva realizzato alla spiaggia, appoggiando il foglio da disegno direttamente sulla sabbia…
Come premio, gli avevano inviato un bellissimo certificato di merito (pieno di ideogrammi), già incorniciato, con la riproduzione in miniatura del suo capolavoro, a quanto pare intitolato “Tree of life”.
Come sorella maggiore (che non ha mai vinto un accipigna di nulla) ero stata molto orgogliosa!

lunedì 21 settembre 2015

Un legame fortissimo con i protagonisti


IL DIO DEL FIUME e IL SETTIMO PAPIRO
di Wilbur Smith
 
 
Sono stati i miei primi due romanzi di Smith (ero al Liceo) e forse per questo sono quelli che in assoluto ho preferito, benché, avendo ricevuto “Il Settimo Papiro” in regalo, abbia letto prima quest’ultimo, senza preoccuparmi dei numerosi collegamenti con “Il Dio Del Fiume” (che comunque, anche scoperti a ritroso si sono rivelati interessanti e piacevoli).

Ebbene, se “Il Dio del Fiume” si svolge nell’Antico Egitto e riguarda le vicende della nobile Lostris – che vediamo crescere, innamorarsi, combattere e soffrire – e dell'ingegnoso e devoto schiavo Taita – un eunuco che adoreremo senza ritegno –, “Il Settimo Papiro” si svolge invece in epoca attuale e concerne una spedizione sulle tracce proprio di Taita, inoltre, se “Il Dio Del Fiume” abbraccia svariati anni di Regno, “Il Settimo Papiro”, invece, è relativo ad un’unità temporale assai più circoscritta.

Peraltro, le due opere sono strettamente connesse, non solo per l’ambientazione (anzi, in un certo senso si può affermare che Taita sia anche un personaggio importante del sequel), ed entrambe hanno svariati elementi in comune: un’atmosfera vivida e storicamente accurata (per quel che posso ricordare); personaggi bellissimi che ti prendono il cuore, inclusi i comprimari (rammento Kratas, l’amico di Tanus – il grande amore di Lostris –, con straordinario affetto); una forte componente avventurosa da cui puoi aspettarti di tutto – torture e morti incluse –, intrighi, malvagità e paesaggi meravigliosi.


Due narrazioni davvero appassionanti (che forse adesso osserverei con maggiore disincanto, trovando la trama non proprio originale), che hanno questo pregio, soprattutto: di coinvolgerti a livello emozionale, non solo di intrattenerti per qualche ora, permettendoti di creare un legame fortissimo con i suoi protagonisti.

La scrittura è semplice è scorrevole, ma la grandezza dell’autore sta proprio nel saper catturare l'aria che si respira...

Totalmente trascurabili, invece, i seguiti: “Figli del Nilo” e “Alle fonti del Nilo”, che continuano la storia di Taita.

venerdì 18 settembre 2015

Un perfetto equilibrio tra dialoghi e azione

VAGABOND
di Takehiko Inoue


E va bene, “Slam Dunk”, spassosissimo e relativo al mondo del basket, mi era piaciuto di più, ma ciò non toglie che pure “Vagabond” sia un capolavoro!
Ambientato nel Giappone del XVII secolo, dopo la battaglia di Sekigahara, questo manga (ispirato al romanzo di Eiji Yoshikawa, che peraltro io non ho letto) narra la storia di Takezo/Musashi Miyamoto, il samurai autore de “Il Libro dei Cinque Anelli”, di come abbia imparato a combattere (sostanzialmente si tratta di un autodidatta) elaborando la sua “filosofia della spada” attraverso varie peripezie e peregrinazioni, e del suo carattere focoso e contraddittorio.
La vicenda, naturalmente, è romanzata e personalizzata secondo lo “stile Inoue”, e ci sono anche molti personaggi di contorno: alcuni, guerrieri come Musashi, amici/rivali (tra tutti troneggia l’incredibile Sasaki, sordomuto, candido e abilissimo), ma non mancano aspiranti discepoli, monaci sui generis, contadini, vecchiacce o l’amore della vita, alcuni realmente esistiti, altri forse no…
I pregi sono tantissimi: dai disegni meravigliosi, che sanno essere introspettivi e poetici, ma anche rappresentare il dinamismo dei combattimenti e la plasticità dei corpi, alla ricostruzione storica dettagliata e fascinosa… Ma i punti di forza maggiori, per quanto mi riguarda, sono: in primis l’alternanza di momenti divertenti (frequenti soprattutto nei primi numeri) o ironici a riflessioni interiori, momenti di passione – non necessariamente amorosa – e il percorso di crescita spirituale del protagonista (con tutto che ci sono moltissime parentesi, anche lunghe, dedicate agli altri personaggi), e, ovviamente, situazioni drammatiche a bei combattimenti. In secondo luogo, come sempre avviene nelle opere più riuscite, sono stupendi, e superbamente caratterizzati, i personaggi: approfonditi nel loro modo di essere e nelle loro motivazioni, in perenne evoluzione e sensibili ai cambiamenti, sfaccettati e lontani da qualsivoglia bidimensionalità e percorsi da continue tensioni drammatiche (in particolare, adoro Otsu, la donna innamorata di Musashi, cocciuta e simpaticissima, e il monaco Takuan, dalla verve niente male).
Nel complesso, il manga (arrivato al 37mo tankobook, se non erro, e comunque ancora in corso) presenta un perfetto equilibrio tra dialoghi e azione, e risulta molto “arioso” forse grazie alle continue digressioni e flashback, e ai “paesaggi meditativi”, che ampliano i pensieri e gli stati d’animo.

Imperdibile, articolato e… disponibile in due edizioni: quella “normale” (più piccola, e quindi portante un numero più alto di volumetti) e la deluxe, con sovracoperta e pagine a colori (non so se ci siano anche nell’altra).

giovedì 17 settembre 2015

Il percorso umano

CUORE PRIMITIVO
di Andrea De Carlo


Ammettiamolo, la trama è sempre la stessa: la coppia che si sfalda, il nuovo improbabile amore che fiorisce, il confronto tra uomo e donna e tra uomini diametralmente diversi… Craig Nolan, un impostato antropologo inglese che è anche personaggio televisivo, e Ivo Zanovelli, spontaneo, italiano e oscenamente grezzo, ma simpatico, onesto, e con un piglio avventuroso…
Come andrà, attesi i litigi che esacerbano sempre di più la coppia formata da Nolan e sua moglie, la scultrice di gatti, Mara Abbiati, dal carattere solare e genuino, è quasi scontato, e allora… allora perché continuare a leggere De Carlo, specie se, come nel mio caso, le storie d’amore non ci piacciono nemmeno?
Perché il ragazzo scrive bene, ecco perché!
E perché riesce ad analizzare tutto, anche il respiro, cambiando prospettiva, punto di vista, portandoci ad immedesimarci in chiunque, investendoci di emozioni, di sentimenti, e poi sezionandoli, interpretandoli, ricostruendo e decostruendo (questa volta persino con l’ausilio di un antropologo, che ci spiega che cos’è il cuore primitivo e come questo concetto sopravviva ancora oggi, in ogni civiltà, e persino, in fondo, in fondo, in qualunque relazione umana).
Perché ha uno stile particolare, spesso intrinsecamente ironico, in cui il tempo è sempre al presente e il lettore vive in soggettiva... Uno stile con un suo ritmo, che, quando ci si abitua, diviene veloce, vertiginoso, e non ti consente pause, nemmeno per pulirsi le lenti degli occhiali.
Perché non sono storie d’amore, queste, ma storie di vita, in cui veniamo posti di fronte a noi stessi e, semplicemente, ci sforziamo di scrutare il nostro sentire nel profondo, di respingere tutti i filtri, affrontando la nostra stessa essenza, in primo luogo, le grandi domande, e facendo luce sulle pastoie che, magari inavvertitamente ci siamo costruiti e che hanno finito col negarci la libertà. Libertà di essere, innanzitutto, più che di fare.
Perché, nonostante qualche ripetizione, qualche parola insistita, forse per la sua squisita contezza, il frasario dell’autore è notevole, di una varietà assoluta (tanto che gli perdoniamo volentieri qualche noiosa similitudine e le – pur contenute – polpettose zuppe di stampo motociclistico) persino armonioso, anche se siamo in una prosa.
E perché alla fine della trama ci importa poco, in effetti: quello che conta, semmai, è il percorso umano, che è quello dei protagonisti, ma è anche il nostro, e che è bello replicare in ognuna delle varianti che De Carlo continuerà riproporci, oggi e in futuro.
P.S.

In ultimo segnalo che il romanzo è ambientato in Liguria, nonché la divertente struttura delle prime pagine, che, tra le altre amenità, sfrutta la realtà di twitter e che ha il pregio di calarci da subito nel cuore della vicenda in modo realistico, ma anche di strapparci qualche sorriso.

mercoledì 16 settembre 2015

La solita priapesca motosega

SHARKNADO 2
di Anthony Ferrante
(2014)


Pensavo fosse solo un omaggio all'episodio sul Gremlin del film “Ai Confini della Realtà”, ma... era vero! C'era sul serio uno squalo sull'aereo!
Poi gli squali sono diventati innumerevoli e hanno iniziato a finire nei reattori, a sfasciare la carlinga... e a mangiare hostess e passeggeri, oltre alla mano di Tara Reid, mentre lei sparava, armata di pistola...
Tutto nei primi quattro minuti, più o meno.
Naturalmente Ian Ziering (il resto del cast di Beverly Hills 90210 lo starà amaramente invidiando), oramai quasi un supereroe, riesce a salvare la situazione! Certo, la domanda è: perché mai gli squali continuano a seguirlo (si veda post 16 luglio 2014 relativo al primo film di questa meravigliosa saga Asylum)?
Non so e non mi importa, il punto è quanto è stramitico, demenziale e insensato questo secondo capitolo a basso costo con effetti speciali orribilini!
Tra parentesi, già nella scena dell'aereo (come mi ha fatto notare mon amour) c'è un altro cameo/citazione: Robert Hays, il protagonista de “L'aereo più pazzo del mondo” nel ruolo, guarda un po', del comandante!
E non solo: dopo compaiono Andy Dick, Judah Friedlander e altri simpaticoni. Per tacere di Vivica E. Fox nel ruolo di una vecchia fiamma di Fin/Ian Ziering (sformatella, ma sempre sexy)...
Ad ogni modo la formula è la stessa del primo, ma potenziata, come imposto dalla “regola del sequel”: non siamo più a Los Angeles ma a New York, e... ci sono più squali, più sangue e più demenza!
I carcarodonti, poi, sembrano tuffarsi sulla testa di chiunque abbia la sventura di pronunciare una battuta e non rientri nel novero dei protagonisti per divorarlo in modo artistico... E ciò che non possono gli squali, oh be', lo possono gli alligatori (pochini, però) e la testa della statua della libertà (che ci regala una sequenza strabiliante).
Ma niente paura, se qualcuno muore, basta un'espressione corrucciata e tutto è dimenticato. Niente piagnistei.
Ci sono poi un sacco di armi interessanti, a parte la solita priapesca motosega, pistole d'acqua caricate a napalm, spadoni medioevali, mazze da baseball giganti... per tacere del fatto che quasi ogni newyorkese sembra avere un discreto assortimento nel bagagliaio.
Segnalo poi l'omaggio a Star Wars, poco prima di “salta lo squalo” (Ian Ziering può questo ed altro), la simpatica riunione di famiglia in corso in questo sequel spuntano la sorella, il cognato e il nipote di Fin), e le deliziose previsioni del tempo con gli squali...
E... sì, ci sono pure un bel po' di incongruenze: gente che transita tranquilla per strada mentre infuria lo sharknado, Tara Reid che dopo l'intervento (oltre ad essere perfettamente truccata) non risente degli effetti dell'anestesia... ma... embè? Chi se ne cale? La bellezza del film sta anche in questo: il ritmo è a mille, nessun tentativo di introspezione, nessuna retorica, e dall'inizio alla fine ci si diverte un mondo, senza tregua!
Triplo Wow!!!

P.S.
A presto con il terzo capitolo, in onda su Sky in questi giorni!

martedì 15 settembre 2015

Intenso e pieno di verità

AGOSTO, FOTO DI FAMIGLIA
di Tracy Letts


Forse il libro più bello e intenso e pieno di verità che abbia letto quest’estate. Quello da cui è stato più difficile interrompersi e l’unico veramente impossibile da dimenticare!
Non un romanzo, ma un dramma teatrale, basato quindi quasi esclusivamente sul dialogo, ma incredibilmente avvincente, “nero” e ricco di… di colpi di scena, di rivelazioni shock, di personaggi pazzeschi e coloriti, e di triste umanità.
Che cos'è l’amore, sembra chiederci l’autore?
A volte non quello che crediamo, è la risposta, perché non sempre è sufficiente aver legami di sangue con qualcuno o stare insieme. Spesso ciò che scambiamo per amore, è sopportazione o convivenza. E può essere orribile, se guardato dalla prospettiva sbagliata.

Tutto inizia con la scomparsa del padre, forse morto, forse morto suicida.
La famiglia si riunisce: c’è la madre, dipendente da farmaci, prepotente e prevaricatrice, con un cancro alla gola; le tre figlie, sulla quarantina, ognuna con un problema ed un vissuto diverso (la maggiore, Barbara, con il marito perfetto, che però l’ha tradita, più la figlia adolescente e ribelle; quella di mezzo, Karen, con neofidanzato pluridivorziato appresso; l’ultima, Ivy, zitella, che a quanto pare finalmente ha trovato un uomo, ma si ostina a non parlarne…); e poi la sorella della moglie, che cela un segreto, con il marito e il figlio – particolarissimo – al seguito…
Ebbene, l’unica sana di mente e dotata di buon senso è la domestica, peraltro assunta da pochi giorni e quindi estranea alle malsane dinamiche familiari, che… sono un delirio! A base di recriminazioni, cattiverie, assurdità, con gli equilibri che si spostano, che si ridefiniscono continuamente, varie crisi e semi-crisi, difficili da contenere… Perché, adesso che il papà non c’è più è venuto il momento che i segreti, le verità taciute e tutti i nodi vengano al pettine!
Bastano poche righe a caratterizzare ogni comprimario, rendendolo lui, oltre ogni dire, e a delineare con maestria il contesto e la situazione. Poi, semplicemente, assistiamo al deflagrare delle varie bombe, una dopo l’altra, mentre, a bocca aperta, non possiamo che contemplare questo rutilante sfacelo.
Rimaniamo quasi sempre in casa, in questa magione dell’Oklahoma in cui il caldo è afoso e asfissiante, e in cui, soprattutto, benché quasi non usciamo dalle pareti domestiche, accade di tutto e di più…
Tanto che a tratti ci sembra normale, in modo desolante e scontato, anche se diverso da ogni altro ambito familiare (ricordandoci inevitabilmente l’apertura di “Anna Karenina” sulle famiglie infelici, ognuna infelice a modo suo), a tratti ci pare di virare sul grottesco o di finire tra le maglie di una gustosa commedia nera, per cui ci scapperebbe una risata, se non fossimo agghiacciati.

Scrittura magistrale, costruzione della trama perfetta, graffiante, feroce, dalle dolenti riflessioni iniziali fino al meraviglioso cliffhanger finale.

lunedì 14 settembre 2015

Uno strazio e un aborto


UNDER THE DOME
 

Questa serie Tv è uno strazio e un aborto e l’unico motivo per cui continuo a guardarla è che sono costretta, in quanto, inspiegabilmente, al Mio Perfido Marito piacicchia (ma sospetto che non sia davvero così, e che il fine ultimo sia torturarmi).

Lasciamo perdere la circostanza che del romanzo di King cui si ispira (si veda post 11.3.2015) siano rimasti giusto la cupola, il paese e qualche nome. Non sono una purista e qui i veri problemi sono altri.

Intanto, sin dall’inizio (ahimè siamo alla terza, sofferta stagione) c’è stato da crepare di noia. I dialoghi rasentano il ridicolo, ci sono troppi sospiri ed eccessive diluizioni, parentesi inutili e sconclusionate, buchi e via dicendo. I momenti drammatici, poi, sono snervanti e fasulli in egual misura e spesso riguardano tizi e situazioni di cui non ci importa una cippa.

Elemento ancora peggiore: i personaggi. A parte la circostanza che taluni a tratti scompaiono per ricomparire, magari, dopo una stagione di silenzio e poi morire (si veda, ad esempio, l’amico di Joe, di cui manco ricordo il nome), gli altri o sono piatti da uccidersi (specie Barbie, il protagonista – Mike Vogel – dotato dell’espressività di un ferro da stiro) e/o schizofrenici, nel senso che – come ormai accade in molte Serie Tv – cambiano così di frequente personalità e obiettivi da indurci il mal di testa. In effetti, pure le alleanze e le inimicizie oscillano di continuo: quello che oggi è il tuo peggior nemico, domani sarà l’unico su cui potrai contare, e viceversa.

In quanto alla trama, poi, è partita per la tangente già da illo tempore: sembra che lo sceneggiatore (che, assurdamente è l’ottimo fumettista Brian K. Vaughan, che non si capisce come possa, quando si dedica alla televisione – si veda anche “Lost” – buttar giù simili scempi senza senso) si scordi periodicamente di quanto avviene nelle puntate precedenti (per tacere delle stagioni), lasciando indietro vicende e personaggi, resettando e proponendo nuovi filoni che non hanno nulla a che fare con i precedenti.

Insomma, dire delirio è dire poco…

Le idee, oltretutto, sono ben lungi dall’essere originali, sanno sempre di stantio e riscaldato, mentre i colpi di scena sono troppo spesso sleali: i morti non restano tali, ma resuscitano, la fine del mondo, per cui si è sparsa tanta ansia, era solo immaginata, la fuga dalla cupola e i vari cambiamenti ad essa conseguenti erano solo un sogno, e via dicendo… Che flebo, sembra “Dallas”! In pratica è come se non capitasse mai nulla. E quello che capita, su cui si sprecano ipotesi e congetture, e che lì per lì viene descritto come vitale, viene presto scordato (tutta la manfrina sulle “quattro mani”, o sulla sorella di Barbie, ad esempio), o, più raramente, ribadito e ritritato fino allo sfinimento (l’omicidio di Angie).

Ad ogni modo, non è che si fatichi a seguire, se non per la noia suprema, per le involuzioni narrative, per le attese disattese (ci sono pure dei tocchi di umorismo involontario, che, se non altro, sollevano un po’ il morale), e, ammettiamolo, capita pure qualche trovata carina… solo che si perde nel mare magnum delle cretinate o viene rovinata alla prima occasione…

In sostanza, ‘sta sbobba sotto la cupola è tremenda, gratuitamente melodrammatica e somiglia sempre più ad una soap opera, tanto che temo non sia prevista una fine, se non quando gli spettatori saranno tutti morti.

Io spero caldamente di essere la prossima.

domenica 13 settembre 2015

Un periodo estremamente produttivo


DA LUNEDI' NORMALITA'
 
 
Nel senso che si ritorna al solito trantran: cinque post settimanali, dal lunedì al venerdì (tipo sciroppo per la tosse)...

Avevo detto che avrei ripristinato la routine dal 15, ma va bene lo stesso.

A parte ciò, devo ammettere che il periodo dimezzato è stato estremamente produttivo (benché vulnerato dai soliti disgusti lavorativi e da numerosi stress), nel senso che, innanzitutto, ho ultimato “Dietro la Porta Turchese” (che uscirà il 16 giugno 2016, se tutto va bene), ossia il seguito (effettivo, questa volta, e ricco di risposte) di “Corpi Nudi” e de “L'immemore”... E in sole tre settimanelle scarse! Proprio soddisfatta!

La verità è che avevo preso così tanti appunti e ci avevo rimuginato così tanto sopra che si è praticamente riversato sulla carta da solo, e non mi pare nemmeno che necessiti di grandi rifiniture... La verità, però, è anche che è più breve del solito, nel senso che, al momento (non si sa mai nei lunghi mesi di correzione che cosa possa capitare) non arriva nemmeno a 120 pagine formato A4... Va mu.

Ad ogni modo, non mi sono trastullata dopo, e sono riuscita finalmente a portare a compimento un progettino di qualche anno fa “Il Sogno di Ecate”, una sorta di lungo raccontino malato (“lungo” nel senso di 40 pagine A4), che uscirà su Amazon (sempre se tutto va bene) suppergiù a metà dicembre... In questo caso, a scriverlo mi sono fatta delle gran ghignate. Non è niente di che, e non ha grosse pretese: è una storia ad incastri, con due bambine che giocano con una testa mozzata, una vecchietta che conserva i canarini nel congelatore, qualche scena divertente, e un bel po' di momenti grotteschi. Ma ci sono anche virate sul fantastico-onirico e qualche attimo dolente.

Ora il caos sarà trovare la copertina...

Per entrambi.

A questo punto saluto, ma prima... una notizia pazzesca e sensazionale!

Un prode viaggiatore, nonché lettore del blog – che ringrazio sentitamente, rendendogli omaggio – è andato in vacanza in Montenegro e mi ha portato un prezioso esemplare di... “Belino”! Sì, il croissant dal nome pazzesco a cui il 27 maggio u.s. avevo dedicato un post!

Nonostante il giovine l'abbia caldamente sconsigliato, peraltro, il Mio Perfido Marito ci ha pure fatto colazione... Dopo ha impiegato un po' a riprendersi. Non perché il prodotto non fosse buono, ma perché gli era “rimasto in gola”. Pare, infatti, che in Montenegro (i croissant) siano più grossi che da noi e “con un peso specifico maggiore”, secondo MPM, nel senso che sono più burrosi e pesantelli...

Tuttavia, è stata senz'altro un'esperienza incredibile, quindi... applausi a M.M., il nostro eroe estivo!