LE
CRONACHE DI NARNIA
di C. S. Lewis
Ossia
sette romanzi per infanti, a base di immaginazione, magia e creature
fantastiche, tutti più o meno collegati, con protagonisti bambini –
suppergiù imparentati fra loro –, mentre le vicende sono
ambientate nel meraviglioso Reame di Narnia...
Sinceramente
li ho trovati molto faticosi da leggere (e da digerire).
E’
vero, sono fuori età, ma se fossi stata piccola dubito li avrei
apprezzati di più.
Il
primo romanzo del ciclo (di cui peraltro “Il nipote del mago” è
un prequel), “Il Leone, la strega e l’armadio” non è brutto, e
presenta alcuni elementi molto suggestivi (anche se, se devo essere
proprio onesta, mi hanno vagamente impressionata tutti i riferimenti
alla religione cristiana: per certi versi sono geniali e stuzzicanti,
ma al contempo ci vedo qualcosa di profondamente sbagliato, più che
altro perché mi sanno di propaganda nemmeno troppo occulta).
Il
problema, per quanto mi riguarda, è l’eccessivo paternalismo: la
circostanza che l’autore cerchi in tutti i modi di farci la morale,
insistendo e ribadendo, per giunta, molti concetti. E poi, sì, c’è
una certa indulgenza verso il patetismo, che da sempre giudico
disturbante, e il melodramma... per tacere dell'immonda propensione
alla zuccherosità…
I
seguiti sono persino peggiori: gli elementi fantastici (spesso
scopiazzati dalla mitologia – ma nulla quaestio in merito) non sono
nemmeno sgradevoli: il punto, però, è che non risultano sufficienti
a supportare la tendenza alla ripetitività e soprattutto la tremenda
abitudine dell’autore a volerci inculcare a tutti i costi il suo
punto di vista.
Le
trame non brillano per originalità, né per costruzione, né per
“visionarietà” o immaginazione: sono prevedibili, ovvie,
terribilmente lineari (anche se, bisogna ammettere, Lewis è stato
uno dei precursori di storie fantasy a base di animali parlanti e
commistioni mitologiche)… Si tratta di romanzi per bambini,
d’accordo, ma io ho sempre letto letteratura per l’infanzia in
età adulta, e sono parecchi gli autori che non incorrono in questi
limiti.
Poi
– come peraltro ironicamente sottolineato da Neil Gaiman nel suo
racconto “Il problema di Susan” – non si capisce perché la
maggiore tra le sorelle Pevensie ad un certo punto diventi cattiva.
Così, dal nulla. Perché si interessa di faccende femminili.
Lo
trovo davvero aberrante.
Anche
perché, effettuando un confronto altresì con gli altri personaggi
incontrati precedentemente, Lewis ne esce come un misogino. Pare,
infatti, che il messaggio implicito sia: le donne non sono pericolose
solo se restano bambine.
Insomma,
non sono una grande fan di Lewis…
Io
avevo letto un’edizione (si parla di una decina di anni fa), forse
Mondadori, con tutti e sette i romanzi, anche abbastanza economica…
E be’, l’unica cosa che mi era piaciuta davvero era stato il
breve saggio in appendice!
A
parte ciò, forse sono stata troppo severa. Non è che questa prosa
non abbia anche dei pregi (perché li ha). E’ solo che, a pensarci
ex post. Rammento soprattutto irritazione.
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