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venerdì 30 dicembre 2016

«L'Orrore! L'Orrore!»

CUORE DI TENEBRA
di Joseph Conrad


Romanzo breve e intenso, nonostante il ritmo misurato, dalle descrizioni potenti e insinuanti, dai mille riflessi inquietanti, sconvolgente, soprattutto a livello concettuale, specie se si considera che è pervaso di elementi autobiografici.
Lo conoscete tutti, è quello che ha ispirato la parte finale del film Apocalypse Now di Coppola, quella con Marlon Brandon che interpreta Kurtz, ossia il personaggio attorno a cui ruota il libro, benché il protagonista sia Marlow, il narratore.
E’ un classico, e come tutti i classici presenta una molteplicità di piani di lettura, che in questo caso sono quasi stordenti, sovrapposti l’uno all’altro…
Lì per lì, infatti, potremmo essere portati a pensare che il cuore di tenebra sia il Congo (per quanto mai venga nominato) ai tempi della colonizzazione belga, e quindi il cuore dell’Africa… Vuoi perché sconosciuto, vuoi perché pericoloso…
Ma no. Il cuore di tenebra è il nostro, quello dell’uomo bianco, che si corrompe, come quello di Kurtz, stimato e ammirato e invidiato dai conterranei, idolatrato come divinità dagli indigeni, eppure divenuto folle, tormentato e violento, poiché, appena si allontana dalle sovrastrutture della cultura occidentale e viene a contatto con il mondo apparentemente senza regole del Congo, l’uomo bianco rivela la sua vera natura... che è il male, ossia l’avidità, di denaro e di potere.
Non perché venga corrotto dai nativi.
Siamo noi ad essere già corrotti, nel nostro intimo. Marlow stesso ne sente il richiamo, ma si salva perché fugge, tenendosi il più possibile ancorato a quelle che, appunto, sono le nostre sovrastrutture.
E tuttavia il personaggio di Kurtz giganteggia, nonostante le sue immani criticità: ci avvince, ci ammalia, come ammalia Marlow a dispetto di tutte le nefandezze compiute (quelle teste impalate sono così vive nella mia memoria… e con esse gli echi cannibalici).
In superficie, dunque, trattasi di un romanzo contro il colonialismo, che spaccia la razzia e lo sfruttamento per progresso. Il colonialismo del Belgio, ma anche dell’Europa tutta, del presente (fine Ottocento), così come del passato.
Ma il romanzo è assai di più, dal momento che invece indaga la categoria stessa del male, le sue origini, il suo motore… che a quanto pare allignano nel cuore dell’uomo occidentale.
E poi ci spiega in modo acuto, moderno e lungimirante che per giudicare un popolo non possiamo applicargli i nostri parametri, in quanto ne risulterebbero compromessi e distorti, ma dobbiamo prima capire e assimilare i loro. Ossia diventare loro. Diversamente, anche solo parlando, sia pure con buone intenzioni, rischiamo di macchiarci di razzismo.
Un romanzo scritto nel 1899, eppure modernissimo.

P.S.
Consiglio l’Edizione Einaudi. Vuoi per la bellezza della traduzione, vuoi per il meraviglioso saggio introduttivo che ti aiuta a comprendere passaggi e sottintesi, oltre che il senso più profondo dell’opera.

giovedì 29 dicembre 2016

Un reportage appassionante

IL SESSO INUTILE
di Oriana Fallaci


Inizi anni 60. Oriana Fallaci, in principio scettica, fa il giro del mondo con il fotografo Duilio per scoprire il ruolo della donna nelle varie società: dalle Geishe del Giappone, educate per compiacere, alle favolose Matriarche dell’Indonesia, passando per le povere mussulmane represse o per le bellissime cinesi, represse pure loro, ma in modo diverso…
Un reportage appassionante, attualissimo, ricco di momenti commoventi, di storie, di ironia, di episodi buffi o malinconici, che sa essere critico, ma anche indulgente, e che ha la tipica, fluente scorrevolezza di quest’autrice granitica e sensibile, incapace di accontentarsi della superficie delle cose, ma pronta ad indagare, a chiedere, a rischiare, pur di decifrare la complessità di ogni macrocosmo, che è frutto di tante circostanze, non solo di indole od opportunità.
Eppure si procede linearmente, secondo cronologia, dandoci il tempo di mettere insieme i pezzi ed effettuare confronti, per scoprire, infine “se le donne possono essere felici” e al contempo affrontando “un percorso iniziatico all’interno del potere e dei suoi meccanismi”, come illustra Giovanna Botteri nella prefazione .
In coda ancora una storia - vera, tragica e dolcissima –, quella di Soraya, che non ci lascerà indifferenti.
Perché, dunque, il sesso inutile?
Per provocazione, direi, e per sberleffo.
Così si sentono tante donne, nel mondo, per ragioni culturali e religiose, a causa di una serie di ridicoli tabù.
Così proclama l’amica di Oriana, come ci viene spiegato nella premessa, una donna di successo, che fa quello che “fanno gli uomini”, ma che non vorrebbe. Vorrebbe invece non contare nulla, perché così proprio non è felice.
Un volume intenso, personale, ma anche analitico, oggettivo e tridimensionale.

Per donne e per uomini.

mercoledì 28 dicembre 2016

Un romanzo di formazione felino

LEONID
di Fredric Brrémaud e Stefano Turconi


Un fumetto che ti incanta per i disegni, che ameresti anche se fosse brutto o inconsistente, ma che poi scopri avere anche altri pregi.
Iniziamo dai disegni, dunque… Sono bellissimi!!! Non avevo riconosciuto subito lo Stefano Turconi de “Il porto proibito”, ma è lui e non ha perso né sfumature né espressività, anzi, ha guadagnato simpatia!
I personaggi – specie i gatti – sono puro splendore, agguerriti, monelli e teneri, come anche perfidi e spaventosi, a seconda del contesto, nei musetti come nella sinuosità scattante dei movimenti! Colori poetici, piacevolmente “pastellosi” li impreziosiscono ulteriormente, esaltandone le peculiarità fiabesche, giocose e sovente ironiche.   
La storia, un romanzo di formazione felino (ma ci sono anche altre bestiole), è gradevole. Prevedibile e poco originale, ma ben raccontata, con qualche impennata di realistica crudeltà, e assolutamente intonata ai disegni. 
Carini i personaggi, ben caratterizzati, che facilitano l’immedesimazione, e in particolare il protagonista, Leonid, appunto, che da prudente diventa coraggioso e astuto, per quanto non sia certo un gattone guerriero.
Molto buona la costruzione delle scene, tale da rendere avvincente ogni passaggio, adeguati i dialoghi, non verbosi, ma neppure scarni. L’opera ha inoltre il merito di miscelare con sapienza diversi registri e stati d’animo, permettendoci di sprofondare nella tranquillità della vita di campagna, per poi scuoterci con rocamboleschi inseguimenti, fino ad arrivare a momenti in cui si sfiora l’horror (altro che orda: quei due albini da soli sono pura, studiata inquietudine…).
Forse un po’ sbrigativo e zuccheroso il finale, ma non lascia insoddisfatti ed anzi risveglia il buon umore e favorisce i sentimenti positivi.      
Adatto a tutte le età.

martedì 27 dicembre 2016

Non manca nulla

I PRERAFFAELLITI
di Heather Birchall


Premessa dovuta:
leggo da sempre diversi libri d'arte, e, tra tutti, i Basic Art Taschen sono quelli che maggiormente incontrano il mio gusto.
Per lo stupefacente rapporto qualità prezzo.
Per la vastità dei titoli a catalogo.
Per l'eccezionale proporzionalità tra immagini e testo.
Per il perfetto equilibrio tra tecnicismo e divulgazione: sono chiari, diretti, specifici, poco inclini a parlarsi addosso, a sbrodolare deliri senza capo né coda, ma non sono nemmeno ridotti a lapidarie didascalie ripetitive, se non tautologiche. 
Al contrario creano un contesto, approfondiscono, offrono gli strumenti per comprendere periodo storico e sensibilità di autori e movimenti, concedono qualche aneddoto, ma soprattutto offrono tutte le informazioni essenziali, biografiche come ermeneutiche... e sovente molto di più.
Certo i miei preferiti-preferiti sono i sontuosi volumi che celebrano i venticinque anni della Casa Editrice (straordinari, in particolare quelli dedicati a “I Simbolisti” e “Van Gogh”), ma anche questi, i Basic Art 2.0, relativi al trentennale e con un minor numero di pagine, sono decisamente validi.
Ultimamente ne sto consumando parecchi, ma fra tutti il volume che prediligo è appunto “I Preraffaelliti”, sebbene solo per amor dell'argomento...
Ebbene.
Trattasi di un tomo di grande formato, elegante, con una grafica chiara, dotato di carta patinata e ricco di ottime riproduzioni fotografiche a colori (è pazzesco che costi solo 9,99 Euro). 
Comincia con uno sguardo al movimento, i suoi protagonisti e fondatori, la loro storia ed evoluzione, dando spazio a brevi digressioni ed evidenziando le debite peculiarità.
Quindi esamina le singole opere, scegliendo tra le maggiormente significative dei vari esponenti: a sinistra il testo, con commento e spiegazioni, a destra l'immagine, a tutta pagina. 
Come dicevo, per quanto si tenda a sintetizzare e ci si esprima con semplicità, non manca nulla: informazioni, interpretazioni, curiosità. Non si avverte nemmeno il gravame dello schematismo, anzi il discorso procede con fluidità, soddisfacendo il desiderio di conoscenza e incentivando la continuazione...
In altre parole: grazie e complimenti!

lunedì 26 dicembre 2016

Un buon mix

ROGUE ONE: A STAR WARS STORY
di Gareth Edwards
(2016)


Ben fatto. 
E probabilmente sarei più entusiasta (o meno???) se non fosse che devo ancora riprendermi da quell'infame e squallida sozzura blasfema che è stata l'aborto di J.J. Abrams (non riesco a chiamarlo film), rea di avermi indotta a smettere di credere nella Forza e pure di sperarci. Ma Rogue One... Beh, non è perfetto. Risulta leggermente ridondante (soprattutto all'inizio), un poco verboso, volutamente cupo. 
I personaggi classici ricostruiti in digitale (Leila su tutti) sono agghiaccianti e paiono statue di cera (anche se è bello ritrovarli, dal Grand Moff Tarkin a Mon Mothma...). 
E, ovviamente, si sa già come va a finire la pellicola, visto che deve incastrarsi tra la prima e la seconda trilogia. 
Però, ehi, ha cuore, anima e cervello. 
Una sceneggiatura degna di questo nome, credibile e priva di buchi narrativi, fedele a se stessa, che non indulge al bisogno patetico e parossistico di compiacere un pubblico di infanticelli a costo di ridicolizzarsi da sola. 
Personaggi originali, dotati di dignità e spessore, con un'ottima alchimia di gruppo (per quanto non indimenticabili a livello individuale) e valorizzati da un cast di pregio. 
Un buon mix di pathos, epicità, atmosfera, azione e tensione, alleggeriti da qualche battuta azzeccata. 
Inoltre denota immaginazione, creatività e impegno ed è disseminata di ammiccamenti e citazioni, non invadenti, non forzate, che, d'accordo, se non si è fan possono risultare impercettibili, ma che diversamente sono puro, autentico piacere. 
Oddio, magari se non si è fan pure alcuni passaggi possono restare un po' oscuri. 
Ma chi se ne cale. 
Se non sei fan puoi rimediare. 
Se non ti va, cavoli tuoi. 
Certo, come per le pellicole di George Lucas, richiede un minimo di dedizione da parte dello spettatore (per carità, non è una pecca, anzi: mi limito a sottolinearlo, visto lo spaventoso quantitativo di plebe pseudo-ripulita che va al cinema per far passare i minuti, specie durante le vacanze di Natale). Ma è più armonica degli episodi I-III, meglio costruita, comunque dotata di equilibrio, sia sotto il profilo della trama che sotto l'aspetto strutturale. Non eguaglia i fasti della trilogia classica, ma si fa amare. 
Anche se si è fan. 
E tanto basta. 

P.S. 
Con tutto che c'è quella scena con Darth Vader che riluce del suo nero splendore che fa venire i brividi, di terrore e godimento insieme...

venerdì 23 dicembre 2016

Picchi di violenza e sentimento

SOGNO NUMERO 9
di David Mitchell


Non mi ha presa subito.
In principio faticavo ad orientarmi, sentendomi subissata da un eccesso di input e trovandomi dislocata in un sistema di regole capovolte e a se stanti, che non mi sembrava di poter afferrare.
Ma sono andata avanti, un po’ per fiducia, un po’ perché… beh, la bellezza e l’immaginazione erano palpabili, intense, la fascinazione complementare allo smarrimento, e sentivo che c’era della sostanza alla base e non solo il vuoto gusto di stupire.
Ed ecco che allora, a dispetto di parentesi, digressioni e ribaltamenti continui, ho potuto godere con pienezza e appagamento di un romanzo che va oltre la parola scritta, ma è pure un’esperienza lisergica ed extracorporea, in quanto combina elaborazioni mentali, reminiscenze e azione come vetrini in un caleidoscopio.
Originale, raro, fantasmagorico, con picchi di violenza e di sentimento, che sublimano la vita e la verità, le radici e il senso dell’universo, fino a confonderli e creare nuovi microcosmi. Destinati a esplodere e a tornare all’ordinarietà del quotidiano. Che tuttavia ordinario non è, dipanandosi in modi imprevedibili e rapidi, fino al ripiegamento su se stesso come a rinnovate, improvvise deflagrazioni.
Il protagonista – che dapprima ci sembra un folle psicopatico, ma che è solo un ragazzo di vent’anni con un passato difficile e molta fantasia – si chiama Eiji Miyake e viene a Tokyo in cerca del facoltoso padre che lo ha abbandonato... Ovviamente gli capiterà di tutto e di più, con noi al seguito, a decifrare le sue ingarbugliate vicende e i suoi ricordi, a conquistare, avvicinarsi, comprendere e perdere tutto.
Per certi versi, e a prescindere dall’ambientazione, ci ricorda il miglior Murakami (di cui, ad esempio, viene compiutamente citato “L’uccello che girava le viti del mondo”), per altri se ne distanzia, risultando più denso, scioccante, “catramoso”.
Da leggere, però.

Anzi, da affondarci le dita e immergerci il cervello.

giovedì 22 dicembre 2016

Il regista che ha reinventato il cinema

I FILM DI QUENTIN TARANTINO
di Alberto Marsiani


Sottotitolo: “Il regista che ha reinventato il cinema”.
Bella questa guida, con tante foto (grandi, ma molte in bianco e nero), uno stile semplice e scorrevole, qualche informazione e tante velleità interpretative.
Non si accontenta, infatti, di illustrare, ma si adopera per “farci capire”, così da poter amare più compiutamente l’opera del nostro Quentin.
Dopo un’introduzione generale condita con notizie biografiche non fini a se stesse ma atte a contestualizzare, ripercorriamo la filmografia di Tarantino, analizzandone le trame, le scelte stilistiche, le citazioni e i rimandi, verso se stesso, la cultura di massa e il grande cinema, soffermandoci non solo sui suoi capolavori indiscussi (incluso “The Hateful Eight”), ma altresì su sceneggiature e partecipazioni amicali, anche come attore.
Perché, dunque, Tarantino ha reinventato il Cinema?
Per la sua capacità di fondere generi e riferimenti alti e bassi, aggiungendo un tocco personale, sul piano tanto intellettuale quanto estetico, citando a man bassa ed al contempo, dando nuova forma ad ogni cosa. Appunto, reinventandola.
Se devo essere onesta, mi aspettavo maggior attenzione ad aneddoti e curiosità, invece (ma non sono delusa, anzi) si prediligono aspetti tecnici, analisi e riflessioni.
Seguirle è un piacere, sia per la disinvoltura con cui vengono esposte, sia perché prima l’autore ci rinfresca doviziosamente la memoria, non solo riassumendo la trama, ma ricostruendo per noi ogni scena che riterrà utile esaminare insieme.
Anche se sono un’attiva consumatrice dell’opera del regista, ammetto che ho scoperto dettagli nuovi, apprezzando la perspicacia di certi richiami e osservazioni, intelligenti, ma non paternalistiche.

L’opera è piacevolissima da leggere: caratteri grandi, frasario sufficientemente vasto, ma colloquiale, sia pur attento alla specificità dell’argomento, stile fluido permeato – elemento che non guasta – da picchi di emozione ed entusiasmo. 

mercoledì 21 dicembre 2016

Una scrittura scabra

VERGOGNA
di J. M. Coetzee


Romanzo notevole per trama e prosa: mi piace questa scrittura scabra, che parte da punti di vista obliqui e va dritta al cuore del problema, anche quando ci gira intorno, e che, pur con semplicità, dà la dimensione di tutto: ragionamenti, pensieri, stati d’animo… Insinuando prima di mostrare.
Peculiari e specifiche le tematiche affrontate: il sesso, la vecchiaia, l’amore, la debolezza psicologica, la colpa, l’integrità (o rigidezza?) morale, lo stupro e l’ecologia… Per quanto apparentemente discordanti si amalgamano invece bene tra loro, tracciando un percorso, divenendo l’uno lo specchio dell’altro e rivelando, con ogni sfumatura, qualcosa di nuovo.
La vergogna è l’unico elemento che ci riconosco poco (il titolo originale, peraltro, è “Disgrace”).
Due sono i grossi eventi attorno ai quali ruota il romanzo: il primo è lo scandalo provocato dal protagonista, l’anziano Prof. David Lurie, che, pur senza avvedersene e senza intenzione, si approfitta di una studentessa (che del resto è maggiorenne e vaccinata), fino a che viene cacciato dall’Università; il secondo, che fa da contraltare al primo, è l’aggressione con violenza sessuale al seguito, che subisce la figlia di Lurie, in casa sua, mentre al padre viene dato fuoco.
E non ci interessano tanto gli accadimenti in sé, quanto i loro strascichi, il modo in cui vengono affrontati e accettati e le motivazioni alla base di ciò.
Che vengono elaborate e analizzate e possono portare a conclusioni diverse, che non sempre è facile condividere, ma che, al contempo, si riescono ad intuire.
Ma che solo di striscio, incidentalmente, hanno a che fare con la vergogna, rivelandosi assai più stratificate e profonde.

Una trama sconcertante, metaforica, di una complessità sottile, per una storia che può essere ambientata solo in Sudafrica, di cui, in particolare attraverso Lucy Lurie, la figlia del protagonista, viene messa a nudo l’anima, compresi i suoi moti più oscuri e segreti.

martedì 20 dicembre 2016

Sconcertante

CHILDREN
di David Bacter


Dunque.
Questo fumetto ha vinto il Project Contest, ossia il concorso che Lucca Comics riserva agli esordienti italiani.
Dopo che l’ho sfogliato, su consiglio del mio prode negoziante di fiducia, l’ho lasciato lì.
Sti disegni mi disgustavano.
Non amo l’underground, lo splatter era troppo accentuato (“spremuto”, se date un’occhiata di persona capite), e c’era qualcosa di ributtante nei corpi e nei tratti somatici dei protagonisti e in tutti quei dettagli e rughe.
Poi, per gli stessi motivi, sono tornata.
L’impatto iniziale era stato forte, e mi è rimasto nelle pupille.
Finché il ribrezzo non è diventato curiosità, quindi interesse.
La verità è che certi stili hanno bisogno di tempo per essere metabolizzati, specie se osano, se non sono convenzionali.
E così ho comprato il fumetto e letto la storia.
Che è come lo stile.
Crudele, spietata, con tocchi grotteschi, assurdi e scatologici, sbudellamenti in abbondanza, disillusioni, deliri mentali… Ma frammisti a ironia e ad umanità.
La storia mi è piaciuta, ma sul serio.
Non è che la consigli prima di andare a dormire.
Però la consiglio. E’ originale, densa di fascino, ed a suo modo di lirismo, di amore, di sentimento.
E sconcerta.
Ed è piena di meraviglie. E schifezze. Che a volte sono la stessa cosa. Mai gratuite, però.

P.S.
Chi è il mio personaggio preferito?
Ma Mosca, è ovvio.

P.P.S.
Non sarebbe il caso, vista la peculiarità dell’opera, di fornire un accenno di trama? No. Gné gné.

lunedì 19 dicembre 2016

Strange Hospital Days

L’INCREDIBILE ODISSEA DI UN CERTIFICATO MEDICO


Lo chiedo all’ospedale con una settimana d’anticipo, pur sentendomi eccessivamente paranoica, ma al contempo ricordando la battuta di “Strange Days” in cui la paranoia viene definita la realtà su una scala più sottile.
All’ospedale mi risponde la segreteria, che mi fa lasciare nome e recapito telefonico con la promessa che verrò richiamata.
Non vengo richiamata. Richiamo io il giorno dopo.
Non faccio in tempo a dire “buongiorno” che la persona dall’altra parte della cornetta sibila: “Le ho telefonato io questa mattina!”
“No”, replico. “Tra l’altro quello che ho lasciato è il numero di un cellulare, per cui, nel caso, avrei trovato la chiamata persa!”
“Io l’ho chiamata questa mattina!”
“Mi spiace, a me non risulta. E comunque è irrilevante visto che ci stiamo parlando adesso…”
“Io l’ho chiamata!”
“Se anche fosse non ci siamo parlate. Non possiamo passare oltre?”
“No, io l’ho chiamata! Il suo numero è 3xxxxx36xx”
“Ah! Ecco il qui pro quo: è 86, non 36!”
“No, il suo numero è 36.”
“Signora, io lo so qual è il mio numero…”
“Il suo numero è 36.”
“No, signora. Non lo è. E’ 86. Ma visto che ci stiamo parlando non capisco che importanza abbia…”
“Qui c’è scritto 86!”
“Ma non l’ho scritto io: chi l’ha scritto ha sbagliato.”
“...”
“Senta, non ha nessuna importanza. Tanto ci stiamo parlando. L’unica che può essere arrabbiata sono io, e io non la sono. Non si preoccupi… Andiamo oltre, va bene? L’ho chiamata perché il 6 vengo operata e avrei bisogno di un certificato che lo attesti…”
“Eh, ma non si può! Sarebbe un falso!”
“Ma io vengo davvero operata il 6… Che falso?”
“Se si fa prima è un falso.”
“Signora, non è un falso se si dice che verrò operata e verrò operata. Sarebbe un falso se attestasse qualcosa di non vero…”
“Io lo so come si fa. L’ho già fatto anche per me. L’INPS vuole che si faccia il giorno stesso!”
“Signora, a me non importa nulla dell’INPS. Non sono un dipendente pubblico, né sono soggetta ad INPS. Sono una libera professionista e il certificato mi serve da depositare in Tribunale per chiedere il rinvio di un’udienza. Ma devo depositarlo prima, tempestivamente. Anche perché così il Giudice non si studia il fascicolo inutilmente. Se me lo fa trovare il 5, che comunque devo venire in ospedale accompagnata da un collega, il 6 posso farlo depositare senza disturbare nessuno perché il mio collega deve già di suo andare in Tribunale...”
“Ah, ho capito. Allora va bene.”
“Grazie. Quindi per lunedì 5 mi fa trovare il certificato?”
“Eh, no. Non posso. Per quello deve chiamare il chirurgo che la opera. Ma ha fatto la notte, adesso ha appena finito il turno. Provi più tardi.”
Provo più tardi.
Avendo il cellulare del chirurgo lo chiamo direttamente e lo stesso, che pure ora non è in istituto, mi assicura che per lunedì 5 il certificato sarà pronto in accettazione.
Ottimo.
Ma lunedì 5 il certificato non c’è.
“Non importa”, dico in segreteria. “Sono le 7.30: devo fare gli esami preoperatori e prima delle 11.00 non torno. Basta che sia pronto per quell’ora. Il chirurgo c’è?”
“Sì, sì. Non si preoccupi, quando torna troverà il certificato.”
Torno per le 12.30 circa. Il certificato non c’è. Si sono dimenticati e il chirurgo è in sala operatoria, indi non è disponibile. “Non si preoccupi”, mi dicono, “il certificato glielo facciamo trovare domani.”
Visti i precedenti, però, mi preoccupo eccome. Chiedo se non ci sono altre soluzioni.
Si intromette un chirurgo diverso dal mio, giovine e antipatico, che mi apostrofa con un: “E’ colpa sua: doveva chiamare prima!”
Sono tentata di sputargli in faccia, ma mi trattengo. “Ho chiamato prima. Una settimana fa.”
“Ma non ha chiamato me!”
“Io ho chiamato il mio chirurgo e in segreteria. Non pensavo di dover telefonare a tutti i medici dell’ospedale! Lo terrò a mente per la prossima volta o mi procaccerò direttamente una sfera di cristallo.”
Il mio fido accompagnatore, che nota il mio ghigno malefico e il sarcasmo affiorare nella mia voce ormai arsurata, mi fa cenno di moderare i toni. Poi per sicurezza mi assesta una gomitata.
“Ah… Va beh… Glielo faccio io il certificato” acconsente il medico.
“Splendido. Grazie.”
“Tra mezz’ora, però. Adesso devo andare in sala operatoria. Ma è una cosa veloce.”
Sarebbe stato più veloce se mi avesse scritto subito tre righe, invece di questionare. Ma pazienza. Aspetto.
Mezz’ora.
Un’ora.
Un’ora e venti.
Alle 14.30 circa il chirurgo torna e mi riceve nella sua stanza.
Scrive – un ditino alla volta, come se mai prima d’ora si fosse imbattuto in un pc – un bel certificato ultra tecnico e ultra dettagliato. Me lo rilegge, mi chiede se va bene.
Correggo una virgola, poi, dopo che il mio prezioso accompagnatore mi molla un calcio leggero, lascio perdere il resto della punteggiatura e trillo entusiasta: “E’ perfetto, grazie!”
Ormai sono le 15.00 passate.
Io e il mio diletto accompagnatore, che è anche il collega che dovrà depositare il certificato in Tribunale, usciamo dal padiglione. Paghiamo il bigliettino del parcheggio – quasi sette Euro – e ci infiliamo in auto. Grazie a Dio, finalmente abbiamo il tanto sudato certificato!
Quasi non ci credo.
E faccio bene.
La data scritta sopra è novembre, non dicembre.
Così non serve a nulla.
Gesù, da non crederci.
Novembre.
Il mio prode accompagnatore prende il foglio e torna di corsa dal medico, conscio che se quello ha finito il turno o è andato a mangiare siamo fott… ehm, quello.
Fortunatamente non è così.
Certo, appena vede spuntare il mio amico, il giovin chirurgo alza gli occhi al cielo e impreca. Ma modifica la data.

Scrive “dicembrreee”. Ma va bene così. 

venerdì 16 dicembre 2016

Un film cult

1997: FUGA DA NEW YORK
di John Carpenter
(1981)


A metà tra fantascienza, denuncia sociale, thrilling, western e action-movie, col retrogusto dell’exploitation, un film cult cupo, violento, crudo e insieme beffardo e controcorrente – per quanto ormai classico nella sua impostazione – dove 1997 significa futuro prossimo e New York è un immenso carcere di massima sicurezza, di fatto senza regole (a parte che chi entra dentro, eccezioni a parte, ci rimane e cavoli suoi).
Nel suo apparente cinismo è una pellicola incisiva, con un finale inaspettato e “morale” ed un protagonista silenzioso e duro, che riesce a non essere tamarro (ammetto che questa sia un’affermazione opinabile), ma soltanto figo.
Ovviamente parlo del mitico Jena/Snake Plissken (un giovanissimo Kurt Russell), truce anti-eroe pluridecorato e senza paura, ma con la fedina penale sozza, che è sempre un passo avanti agli altri, volutamente ambiguo e perennemente in bilico tra bene e male, ma dotato di un suo codice comportamentale, e che da solo sarebbe sufficiente per consacrare il film all’eternità proprio in virtù della sua ambivalenza, e che pure è l’ultimo baluardo positivo e non del tutto corrotto in mezzo allo sconcertante crollo di ogni valore.
Con tutto che, sebbene lamenti la mancanza di battute ironiche (che in effetti qui stonerebbero, snaturando il senso della storia), il film spacca in tutti i sensi: dalla trama, lineare ma ben concepita e pregna di spunti e colpi di scena, alla colonna sonora affascinante e d’atmosfera (composta dallo stesso regista), dalla colorita caratterizzazione della fauna delinquenziale al viscidume del Presidente USA da salvare (Donald Pleasence), dal carisma del Nemico, alias il Duca, alias Isaac Hayes, alle implicazioni sociali, simboliche e antropologiche, nonché alla fantasiosa (ma chissà) rappresentazione del domani, delle sue sfumature, delle varie declinazioni – legalizzate o no – della criminalità, per tacere della partecipazione di nientemeno che Lee Van Cleef, nei panni dello Sceriffo e dell’immancabile seduzione vintage di una pellicola invecchiata con stile...
Chi sono i buoni, chi i cattivi?
E’ proprio questo il punto: in un mondo marcio non è così facile distinguerli (tra lo Stato dittatoriale e fascistoide e il sottobosco di perduta gente), e spesso ci sentiamo sopraffare da un senso di nera oppressione e mancanza di speranza.
Ma, stiamo sereni, alla fine saremo appagati e divertiti.

Piuttosto, del film abbiamo anche un sequel (che in effetti è più che altro un remake aggiornato) del 1996, sempre di John Carpenter e sempre con Kurt Russell, ossia Fuga da Los Angeles. Carino, ma senza la carica innovativa e la lugubre delizia retrò dell’originale.

giovedì 15 dicembre 2016

Proponendo... (VI)

PROPOSTE LETTERARIE VI


Solito Avviso:
A fianco di ognuna segnalo se il volume è già stato recensito sul blog (se no lo sarà in futuro, ecco perché non mi dilungo) con la dicitura G.R. cui seguirà la data. Nei tag, comunque, il nome degli autori (con i titoli uso troppo spazio):

Per chi vuole un libro bello, e altro non sa precisare:
“Stoner”, di John Williams, Edizione Fazi, G.R. 5 febbraio 2014;
“Anima”, di Wajdi Mouawad, Edizione Fazi, G.R. 30 novembre 2015;
“Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte” di Mark Haddon, Ed. Einaudi, G.R. 30 giugno 2016;

Per vivere una storia di delirante umorismo disperato e tocchi di altro:
“Branchie”, di Niccolò Ammaniti, Ed. Einaudi, G.R. 11 aprile 2014;
“Woobinda” di Aldo Nove, Ed. Castelvecchi, G.R. 5 luglio 2014;

Per chi vuole immergersi in un’altra epoca storica o in un altro paese e intanto vivere una o molte vite:
“L’altra donna del Re” di Philippa Gregory, Ed. Pickwick, G.R. 17 settembre 2013;
“Memorie di una Geisha”, di Arthur Golden, Ed. Tea, G.R. 5 maggio 2015;

Per chi ha voglia di teatro ed è incline alla follia:
“Aspettando Godot”, di Samuel Beckett, Edizione Einaudi;
“La cantatrice calva”, di Eugène Ionesco, Ed. Einaudi, G.R. 19 luglio 2014;.

Per riflettere sull'attualità:
“La Rabbia e l'Orgoglio” di Oriana Fallaci, Ed. Rizzoli, G.R. 8 settembre 2016;

Per chi preferisce un classico:
“Il Signore delle Mosche”, di William Golding, Ed. Oscar Mondadori, G.R. 11 marzo 2014.


Prossimo appuntamento: se tutto va bene, 27 dicembre.

mercoledì 14 dicembre 2016

Un dramma fatto di piccinerie

LA CADUTA DELLE CONSONANTI INTERVOCALICHE
di Cristovão Tezza


Il titolo è stupendo – riferito al fenomeno linguistico che ha portato alla separazione del portoghese dallo spagnolo – la copertina e l’idea alla base anche.
Trattasi, tra un delirio e l’altro, della pseudautobiografia che il protagonista, Heliseu, anziano professore di filologia romanza, ci spaccia più o meno inavvertitamente mentre fa le prove del discorso per il ritiro del suo premio alla carriera in Università.
La verità è che se il prof. non fosse così insopportabile, pomposo e arrogante, così lontano dalla rettitudine morale e dal suo inesorabile essere perbene, ci ricorderebbe Stoner, nel senso che, tra una vanteria e l’altra, il racconto di Heliseu, come quello di Stoner, è un inno all’uomo qualunque, magari più solo di altri.
La storia, in sostanza, di un tizio insignificante che ha studiato e si è formato una famiglia, ma che non è stato amato particolarmente da nessuno, né dalla moglie, dal figlio, dagli amici o dall’amante, ed è afflitto da rimpianti e nostalgie.
Al di là delle differenze umane e biografiche, peraltro, e delle sapute digressioni filologiche (che in realtà sono l’unico rifugio/riscatto di Heliseu), rispetto a Stoner sono diversi i toni: qui improntati all’ironia e all’autoironia, con un protagonista che, alla lunga, anziché suscitarci compassione, solidarietà ed empatia, ci fa sostanzialmente sghignazzare. Alle sue spalle.
Naturalmente l’autentico valore del romanzo si scopre grattando sotto: sotto le parole, ma ancor più sotto gli atteggiamenti di Heliseu, e a poco a poco scopriamo che, al posto di una commedia, stiamo vivendo un dramma, fatto di piccinerie e piccoli rancori, di speranze frustrate e delusioni, ma anche di misteri, due che restano aperti, se volgiamo, ma sono ingenti e destano sospetto.
Un romanzo un po’ diverso dal solito, breve, fluente, volutamente – ma simpaticamente – arzigogolato, a botte di flashback e di parentesi aperte, che si affronta volentieri, intrattiene, offrendo però diversi spunti e piani di lettura.
A differenza di Stoner, tuttavia, non abbaglia. E’ carino, intelligente, sicuramente migliore della media dei romanzi in circolazione, specie in quanto ad originalità, con diverse trovate azzeccate e qualche passaggio profondo e interessante, ma non un capolavoro assoluto.

Però, da leggere. 

martedì 13 dicembre 2016

Dotata di valenza ermeneutica

GUIDA COMPLETA ALLA SAGA DI HARRY POTTER
i Libri, i Film, i Personaggi, i Luoghi, l’Autrice, il Mito
di Francesca Cosi e Alessandra Repossi


In effetti qui c’è tutto, e per giunta strutturato bene, in modo schematico ma di piacevole lettura, immediato, esaustivo e con un sacco di curiosità!
Intanto, le autrici mi risolvono il mistero sul perché in “Harry Potter e la maledizione dell’erede” i nomi di tanti personaggi siano in originale, anziché quelli cui i fan di vecchia data come me erano abituati (comunque, una tirata d’orecchie alla Salani io la darei: ribadisco, che ci voleva ad aggiungere una paginetta ed esplicitare la modifica?). Poi…
Si comincia con “L’Opera”, ossia “Come leggere la saga di Harry Potter”, ossia si rivelano e analizzano le fonti cui ha attinto la Rowling. Questo è un capitolo che non mi interessa granché, in quanto non mi svela nulla di nuovo, essendo io una divoratrice compulsiva di volumi di mitologia, folklore e teratologia… Però è fatto bene: semplice, scorrevole, ma profondo, nel senso che non si limita a fornire dati, ma indaga le motivazioni alla base di ogni scelta, creando paralleli e sinallagmi (questo, invero, è il trend di un po’ tutta la guida, che tra l’altro, anche per questo, risulta divertente, ma pure dotata di valenza ermeneutica).
Segue un excursus sui personaggi principali (e qui viene spiegato il mistero dei nomi, oltre a ragionare su assonanze e giochi di parole contenute negli stessi e a come il loro significato si delinei e vari nel corso della saga), si esaminano le caratteristiche precipue dei personaggi e il ruolo che li connota, incluse, anche qui, curiosità (ad esempio, in principio Hermione doveva fidanzarsi con Harry e non con Ron), dietro le quinte (ad esempio, si rivela che Hermione – si capisce che è la mia preferita? – è sostanzialmente la Rowling da studentessa) e citazioni…
Seguono “Vita da maghi”, vale a dire una sorta di “making of” su Hogwarts, dalle bacchette magiche alle materie di studio, e tutto quello che vogliamo sapere sui film e lo spettacolo teatrale, inclusi attori, registi, numeri, sceneggiatori, varianti dal libro al film (con le ragioni, talvolta, che le hanno determinate) e, di nuovo, le curiosità disparate (c’è anche una disamina del prequel “Animali fantastici e dove trovarli”, in uscita adesso…
Quindi si approfondiscono luoghi e location dei film, notizie sulla Rowling, critiche alla saga, le accuse di satanismo (e qui sorrido), più amenità varie (librini collegati, Siti internet, Portali, videogiochi, Lego...) e infine il glossario, suddiviso tra creature fantastiche, piante magiche, incantesimi e maledizioni (utilissimi per un ripasso), pozioni, oggetti incantati e chi più ne ha più ne metta…
E sì, in ultimo, per la mia felicità, persino una sezione intitolata “nomi: breve guida ai cambiamenti più significativi”.

Ve l’ho detto che c’era tutto, no?

lunedì 12 dicembre 2016

Un incipit fulminante

DOMANI NELLA BATTAGLIA PENSA A ME
di Javier Marìas


Come con “Un cuore così bianco”, un titolo di derivazione scespiriana, abbastanza criptico e polivalente, per una storia dall’incipit fulminante e la prosecuzione leeeeeeeeentaaaaaa, tanto da scoraggiare.
In effetti, leggere questo libro è stata una fatica (ritmo: 80 pagine in un anno), almeno fino a che, come per l’altro romanzo, il mio stato d’animo si è allineato con quello dell’autore e ho divorato la seconda metà in poche ore, ammaliata dalla trama, dalla curiosità di carpirne i segreti, e dallo stile labirintico, afflitto da periodi troppo lunghi, ma incantevole e dal frasario ineccepibile, specie per quanto concerne le descrizioni degli stati d’animo e degli “inciampi” mentali.
Tuttavia “Un cuore così bianco” mi era piaciuto di più, sebbene qui le divagazioni siano meno (più luuuunghe, però) e più pertinenti e il tema di base, quello della morte e della vita e dei drammi insiti in essa, sia assolutamente intrigante.
Di norma odio quest’aggettivo, specie se usato impropriamente, come nella fattispecie, a mo’ di sinonimo di affascinante, ma con una punticina di pepe in più. Eppure, in questo caso… beh, diciamo che ci sta.
Il protagonista, Victor Francés, infatti, conosce appena Marta, la donna, sposata e con un bimbo piccolo nell’altra stanza, che si appresta a commettere adulterio con lui. Se non fosse che muore. Così, giovane e bella, all’improvviso, non si sa di che o come, semplicemente lo fa, e Victor non può che andarsene nella notte, tentando invano di contattare il marito all’estero per lavoro…
Ma poi cerca di insinuarsi in quel che rimane nell’esistenza della mancata amante, in modo quasi ossessivo, portando a galla tensioni e segreti e interrogandosi continuamente sui se i perché, tra un flashback e un monologo infinito, regalandoci, peraltro, anche qualche riflessione profonda, che solleverà in noi maremoti e onde anomale.
Nel complesso, quindi, un bel libro, sofisticato, peculiare, ma impegnativo. Tanto. Salvo che si sia ben sintonizzati sul piano emotivo, senza fretta e bramosi di lenire le ferite della propria anima.

In tal caso è quel che ci vuole.

venerdì 9 dicembre 2016

Da sberluccicare gli occhi

INIEZIONE DI FUMETTI STREPITOSI

…Usciti da poco, che mi fanno godere! Perché presi singolarmente sono belli, ma insieme ti fanno sberluccicare gli occhi dalla felicità dando vita ad un carnevale di sentimenti profondi e contrastanti che ti sollazzano mente e cuore!
Vorrei recensirli uno per uno, ma visto che ogni settimana altri se ne aggiungono e sono già in ritardo di non so quanto, questi quattro, tutti della Bao (grazie, snif, ne avevo bisogno), ve li sparo di botto:


BLACK SCIENCE 4 di Remender, Scalera e Dinisio
Perfetto, come i volumi precedenti. E non sai che cos’è meglio: se la trama, i disegni, il ritmo o i colori… Una complessa storia di fantascienza, originale e immaginifica, che però sviluppa tematiche etiche e personali che vanno al di là di essa: dal fascino oscuro della scienza e delle sue implicazioni, al concetto di responsabilità, ai motivi che le determinano e alle molteplici declinazioni di un tradimento… e che al contempo, anziché scadere nella verbosa e retorica, riesce ad essere pura, trascinante azione! Sbalorditivo!


ODIO FAVOLANDIA di Skottie Young:
Gustoso mix di zuccherosità, autoironia e splatter caramelloso, con una ultratrentenne sadica nel corpo di deliziosa bimba settenne destinata a compiere una missione nel fantastico Regno di Favolandia. Fauni zombie, lanci di arcobaleni omicidi, disegni superlativi… Ogni vignetta una chicca, magari cattiva, ogni pagina un colpo di scena. Provare per credere. Inventiva, immaginazione e sottile, splendida ferocia all’ordine del giorno.


PLUTONA di Lemire, Lenox e Bellaire
Romanzo di formazione dei più originali e colmi di disillusioni, ricco di spunti e tridimensionalità, con commistioni supereroistiche dai toni umani, coglie la fragilità della preadolescenza e la crudeltà alla base delle dinamiche di alcune amicizie. Semplice, lineare, eppure di uno spessore corposo, che è quello dei sentimenti, sfrontati e puri, ancora privi di filtri.


SENTINELLE D’INVERNO di Brian Vaughan e Steve Skroce
Canada contro Usa cento anni nel futuro: Guerra, thriller e fantascienza si mescolano in una trama spiazzante, dai connotati cupi, spietati, all’insegna del ribaltamento, che ci insegnano che in guerra sono tutti cattivi e tutti buoni, a seconda dei punti di vista. La narrazione procede rapida e avvincente, tra un flashback e una rivelazione, e noi siamo interessati tanto a scoprire il passato quanto le sfumature del presente, che ci appare vieppiù stratificato.

Non il miglior Vaughan, ma certamente un buon fumetto.

giovedì 8 dicembre 2016

L'Urban Fantasy di Murakami

TUTTI I FIGLI DI DIO DANZANO
di Haruki Murakami


La fissa per la danza è ricorrente in Murakami, ma è prevalentemente simbolica. Si riferisce all’amore per la vita, all’incessante divenire, all’impossibilità di fermarsi, e quindi di arrendersi… Qui dà il titolo ad uno dei sei racconti dell’antologia, ma anche alla raccolta stessa, facendo, se vogliamo, un po’ da trait d’union.
Il secondo motivo comune tra i racconti – per il resto slegati e indipendenti, anche se con Murakami non si sa mai ed è possibile immaginare corrispondenze e legami inespressi – è dato dal terremoto di Kobe, verificatosi nel 1995.
Viene toccato in modo lontano, come pensiero sullo sfondo, o consapevolezza, oppure filtrato a livello immaginifico, con una ricostruzione che, pur non sdrammatizzandolo, ne muta le premesse o le ridefinisce, conservando però intatta la sua portata tremenda, che non viene esplicitata, ma sussurrata, insinuandosi nelle pieghe del pensiero.
I protagonisti sono tipi ordinari, afflitti da una perdita, prigionieri delle loro stesse esistenze ed in cerca di un cambiamento, che di solito trovano… Ci sono trame realistiche, impregnate di normalità, ed altre che virano sull’urban fantasy proprio di Murakami, con i suoi labirinti e giochi di specchi. La faccenda del ranocchio gigante e del Gran Lombrico, soprattutto, mi è piaciuta da matti, piena com’è di spunti e di suggestioni.
Per il resto, nel complesso, si tratta di un volume gradevole e coinvolgente, ma non trascinante, il cui pregio maggiore è lo stile dell’autore, che invece è al suo solito livello e non presenta sbavature, e poi l’atmosfera, nostalgica, pacata, ma in un qualche modo improntata alla positività e persino consolatoria.
Sono onesta, di Murakami prediligo i romanzi.

Ma, non so perché, adesso ho comprato “Uomini senza donne”, che è un’altra antologia…

mercoledì 7 dicembre 2016

Un profilo tormentato

NESSUNO SIAMO PERFETTI
di Giancarlo Soldi
(2014)


Trattasi del documentario su Tiziano Sclavi, che, per quanto mi riguarda, è un discreto e mirabile prodotto, ma lungi dall’essere esauriente.
Ammesso e non concesso che voglia esserlo.
Tralasciamo il titolo, giustificato, ma irritante, come quasi tutti i solecismi, su cui non comprendo perché si debba indulgere al solo scopo di attirare mediocremente – e tristemente – l’attenzione, e concentriamoci sul film: Soldi fonde due interviste a Sclavi, rilasciate a dieci anni l’una dall’altra, in cui lo scrittore racconta se stesso, in modo intimo, umano, ma anche riservato, ossia toccando questioni personali e delicate (l’alcolismo, il processo creativo, i traumi dell’infanzia, la depressione, il rapporto con i genitori), ma al contempo evitandone altre che restano sospese e non dette, come piccoli buchi neri che risucchiano il silenzio (ad esempio, nemmeno un cenno incidentale alla moglie).
Il quadro che ne esce, per quanto riveli assai poco che non si è già letto o che non è emerso in precedenti interviste (unica novità, per quanto ne so, è data dall’interessante sistema creativo descritto di Sclavi, che arrivava a stendere dieci e più storie di Dylan per volta, procedendo per “scene”, senza nemmeno sapere come si sarebbero concluse) delinea un profilo tormentato, ma affascinante, fragile e tenero, con risvolti potenti, che alternano luce e buio, e tante stupende contraddizioni, e che costituisce la vera forza dell’opera (benché avrei amato veder approfondito il tema delle musiche da abbinare alle varie poesie dylandoghiane e poi i gusti di Sclavi: letture, film, autori… Lo so, sono in buona parte deducibili dalle sue opere, e da Dylan in particolare, ma un aggiornamento organico/confronto sarebbe stato gradito).
A tali stralci, abilmente diversificati per inquadrature, si alternano voci illustri (Grazia Nidasio, Alfredo Castelli, Bianca Pitzorno, Dario Argento…) ad altre meno illustri (giovani attori sconosciuti, un pasticcere – sic! –) o che direttamente non si capisce che ci facciano lì (Sergio Castellitto, inserito giusto per inserirlo, giacché ha poco da dire) che ci raccontano Tiziano Sclavi autore e persona… Oppure amene banalità, in quanto non lo conoscono, e se lo hanno letto, lo hanno letto poco e in modo superficiale, ma fanno numero e ce li hanno buttati.
In mezzo immagini suggestive, assai d’effetto, anche quando si ripetono, e spezzoni del film “Nero.”, riconducibili al vissuto di Sclavi.
E qui c’è, secondo me, la magagna più grande, che forse, però, è dovuta ad un problema di diritti (???)… Che senso hanno, infatti (salvo che per fare pubblicità a Soldi o per la questione dei diritti, appunto) tutti sti riferimenti a “Nero.”, sempre di Soldi, che certo non è una delle opere migliori o più rappresentative di Sclavi, specie considerando che gli altri romanzi, ad esempio (“Tre”, “Dellamorte Dellamore”, “Le etichette delle camicie”…) vengono a mala pena menzionati? Gli stessi riferimenti a Dylan Dog sono di maniera, o relativi a Dylan come fenomeno di costume, ma non ne ricercano l’anima, non analizzano i sinallagmi tra Dylan e Sclavi. Non a fondo.
Che sia una scelta deliberata per non annoiare i non fan? Sicuri che invece non li avrebbe coinvolti e avvinti? MPM, pur bazzicando da sempre il mondo del fumetto, non è mai stato un estimatore di DD e per quanto, in generale, abbia comunque apprezzato il documentario (peraltro emozionandosi davvero solo allorché è comparso, con la sua simpatia e modestia, Alfredo Castelli), credo avrebbe preferito qualcosa di più tecnico, che magari avrebbe potuto indurlo a colmare le sue lacune…
Così non viene voglia di recuperare o rileggere le opere di Sclavi.
Viene solo una voglia pazzesca di conoscerlo, che tuttavia, ahimè, non possibile soddisfare.

Non per noi miseri mortali.