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venerdì 23 dicembre 2016

Picchi di violenza e sentimento

SOGNO NUMERO 9
di David Mitchell


Non mi ha presa subito.
In principio faticavo ad orientarmi, sentendomi subissata da un eccesso di input e trovandomi dislocata in un sistema di regole capovolte e a se stanti, che non mi sembrava di poter afferrare.
Ma sono andata avanti, un po’ per fiducia, un po’ perché… beh, la bellezza e l’immaginazione erano palpabili, intense, la fascinazione complementare allo smarrimento, e sentivo che c’era della sostanza alla base e non solo il vuoto gusto di stupire.
Ed ecco che allora, a dispetto di parentesi, digressioni e ribaltamenti continui, ho potuto godere con pienezza e appagamento di un romanzo che va oltre la parola scritta, ma è pure un’esperienza lisergica ed extracorporea, in quanto combina elaborazioni mentali, reminiscenze e azione come vetrini in un caleidoscopio.
Originale, raro, fantasmagorico, con picchi di violenza e di sentimento, che sublimano la vita e la verità, le radici e il senso dell’universo, fino a confonderli e creare nuovi microcosmi. Destinati a esplodere e a tornare all’ordinarietà del quotidiano. Che tuttavia ordinario non è, dipanandosi in modi imprevedibili e rapidi, fino al ripiegamento su se stesso come a rinnovate, improvvise deflagrazioni.
Il protagonista – che dapprima ci sembra un folle psicopatico, ma che è solo un ragazzo di vent’anni con un passato difficile e molta fantasia – si chiama Eiji Miyake e viene a Tokyo in cerca del facoltoso padre che lo ha abbandonato... Ovviamente gli capiterà di tutto e di più, con noi al seguito, a decifrare le sue ingarbugliate vicende e i suoi ricordi, a conquistare, avvicinarsi, comprendere e perdere tutto.
Per certi versi, e a prescindere dall’ambientazione, ci ricorda il miglior Murakami (di cui, ad esempio, viene compiutamente citato “L’uccello che girava le viti del mondo”), per altri se ne distanzia, risultando più denso, scioccante, “catramoso”.
Da leggere, però.

Anzi, da affondarci le dita e immergerci il cervello.

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