1997: FUGA
DA NEW YORK
di John Carpenter
(1981)
A metà tra
fantascienza, denuncia sociale, thrilling, western e action-movie,
col retrogusto dell’exploitation, un film cult cupo, violento,
crudo e insieme beffardo e controcorrente – per quanto ormai
classico nella sua impostazione – dove 1997 significa futuro
prossimo e New York è un immenso carcere di massima sicurezza, di
fatto senza regole (a parte che chi entra dentro, eccezioni a parte,
ci rimane e cavoli suoi).
Nel suo
apparente cinismo è una pellicola incisiva, con un finale
inaspettato e “morale” ed un protagonista silenzioso e duro, che
riesce a non essere tamarro (ammetto che questa sia un’affermazione
opinabile), ma soltanto figo.
Ovviamente
parlo del mitico Jena/Snake Plissken (un giovanissimo Kurt Russell),
truce anti-eroe pluridecorato e senza paura, ma con la fedina penale
sozza, che è sempre un passo avanti agli altri, volutamente ambiguo
e perennemente in bilico tra bene e male, ma dotato di un suo codice
comportamentale, e che da solo sarebbe sufficiente per consacrare il
film all’eternità proprio in virtù della sua ambivalenza, e che
pure è l’ultimo baluardo positivo e non del tutto corrotto in
mezzo allo sconcertante crollo di ogni valore.
Con tutto
che, sebbene lamenti la mancanza di battute ironiche (che in effetti
qui stonerebbero, snaturando il senso della storia), il film spacca
in tutti i sensi: dalla trama, lineare ma ben concepita e pregna di
spunti e colpi di scena, alla colonna sonora affascinante e
d’atmosfera (composta dallo stesso regista), dalla colorita
caratterizzazione della fauna delinquenziale al viscidume del
Presidente USA da salvare (Donald Pleasence), dal carisma del Nemico,
alias il Duca, alias Isaac Hayes, alle implicazioni sociali,
simboliche e antropologiche, nonché alla fantasiosa (ma chissà)
rappresentazione del domani, delle sue sfumature, delle varie
declinazioni – legalizzate o no – della criminalità, per tacere
della partecipazione di nientemeno che Lee Van Cleef, nei panni dello
Sceriffo e dell’immancabile seduzione vintage di una pellicola
invecchiata con stile...
Chi sono i
buoni, chi i cattivi?
E’ proprio
questo il punto: in un mondo marcio non è così facile distinguerli
(tra lo Stato dittatoriale e fascistoide e il sottobosco di perduta
gente), e spesso ci sentiamo sopraffare da un senso di nera
oppressione e mancanza di speranza.
Ma, stiamo
sereni, alla fine saremo appagati e divertiti.
Piuttosto,
del film abbiamo anche un sequel (che in effetti è più che altro un
remake aggiornato) del 1996, sempre di John Carpenter e sempre con
Kurt Russell, ossia Fuga da Los Angeles. Carino, ma senza la carica
innovativa e la lugubre delizia retrò dell’originale.
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