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venerdì 30 dicembre 2016

«L'Orrore! L'Orrore!»

CUORE DI TENEBRA
di Joseph Conrad


Romanzo breve e intenso, nonostante il ritmo misurato, dalle descrizioni potenti e insinuanti, dai mille riflessi inquietanti, sconvolgente, soprattutto a livello concettuale, specie se si considera che è pervaso di elementi autobiografici.
Lo conoscete tutti, è quello che ha ispirato la parte finale del film Apocalypse Now di Coppola, quella con Marlon Brandon che interpreta Kurtz, ossia il personaggio attorno a cui ruota il libro, benché il protagonista sia Marlow, il narratore.
E’ un classico, e come tutti i classici presenta una molteplicità di piani di lettura, che in questo caso sono quasi stordenti, sovrapposti l’uno all’altro…
Lì per lì, infatti, potremmo essere portati a pensare che il cuore di tenebra sia il Congo (per quanto mai venga nominato) ai tempi della colonizzazione belga, e quindi il cuore dell’Africa… Vuoi perché sconosciuto, vuoi perché pericoloso…
Ma no. Il cuore di tenebra è il nostro, quello dell’uomo bianco, che si corrompe, come quello di Kurtz, stimato e ammirato e invidiato dai conterranei, idolatrato come divinità dagli indigeni, eppure divenuto folle, tormentato e violento, poiché, appena si allontana dalle sovrastrutture della cultura occidentale e viene a contatto con il mondo apparentemente senza regole del Congo, l’uomo bianco rivela la sua vera natura... che è il male, ossia l’avidità, di denaro e di potere.
Non perché venga corrotto dai nativi.
Siamo noi ad essere già corrotti, nel nostro intimo. Marlow stesso ne sente il richiamo, ma si salva perché fugge, tenendosi il più possibile ancorato a quelle che, appunto, sono le nostre sovrastrutture.
E tuttavia il personaggio di Kurtz giganteggia, nonostante le sue immani criticità: ci avvince, ci ammalia, come ammalia Marlow a dispetto di tutte le nefandezze compiute (quelle teste impalate sono così vive nella mia memoria… e con esse gli echi cannibalici).
In superficie, dunque, trattasi di un romanzo contro il colonialismo, che spaccia la razzia e lo sfruttamento per progresso. Il colonialismo del Belgio, ma anche dell’Europa tutta, del presente (fine Ottocento), così come del passato.
Ma il romanzo è assai di più, dal momento che invece indaga la categoria stessa del male, le sue origini, il suo motore… che a quanto pare allignano nel cuore dell’uomo occidentale.
E poi ci spiega in modo acuto, moderno e lungimirante che per giudicare un popolo non possiamo applicargli i nostri parametri, in quanto ne risulterebbero compromessi e distorti, ma dobbiamo prima capire e assimilare i loro. Ossia diventare loro. Diversamente, anche solo parlando, sia pure con buone intenzioni, rischiamo di macchiarci di razzismo.
Un romanzo scritto nel 1899, eppure modernissimo.

P.S.
Consiglio l’Edizione Einaudi. Vuoi per la bellezza della traduzione, vuoi per il meraviglioso saggio introduttivo che ti aiuta a comprendere passaggi e sottintesi, oltre che il senso più profondo dell’opera.

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