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giovedì 30 novembre 2017

Una bestiola per ogni pagina

BESTIARIO UNIVERSALE DEL PROFESSOR REVILLOD


Almanacco Illustrato della Fauna Mondiale.
Immaginaria e scherzosa, dall'incedere postcoloniale.
Sembra un libro gioco per bambini, ma è un focolaio di inventiva e fantasie che si rinnovano formato di frasi, sillabe e illustrazioni bellissime, che variamente si compongono dando vita a combinazioni assurde, ibridi stupendi, simpatici e divertentissimi. Che, manco a farlo apposta, suggeriscono storie sempre diverse, che variano con l'umore e l'ispirazione, ma, sempre, rallegrano e fanno sorridere.
In principio sono soprattutto i disegni, stravaganti e dettagliati, a colpire: in bianco e nero, ma talmente pieni di sfumature da apparire coloratissimi, impreziositi da una patina antica, da un gusto demodé, davvero fascinoso. Quindi la scelta delle bestiole-base: accanto al comune elefante o alla tigre, ad esempio, troviamo il pesce rosso alias ciprino dorato (decisamente peculiare, con quell'occhio globoso) o la pulce, che di per sé non svetta fra gli animali più popolari, ma che senz'altro costituisce un'opzione favolosa e insolita.
Poi si arriva alle combinazioni... e si rimane sedotti e aggiogati.
Perché per ogni pagina c'è una bestiola, e ogni bestiola è divisa in tre: capo, corpo, coda, parti mobili. E se alla testa dell'armadillo, abbiniamo il corpo del cammello e il didietro del celacanto, diamo vita ad una creatura mai vista, di cui possiamo leggere il nome sotto (amelcanto?) mentre sopra c'è una sua gagliarda descrizione.  
Come?
Su YouTube ci sono un sacco di esempi... 


Una sciocchezza?
Può darsi. Ma piacevole, ingegnosa, che appaga il cuore e stimola l'immaginazione.
Unico neo: il libro è piccolino, formato bloc-notes. Certo, ha il vantaggio di essere leggero, e di non ingombrare... 
Ad ogni modo, se si è me, lo si deve avere per forza!

mercoledì 29 novembre 2017

Giusto un assaggino

THE WALKING DEAD – NEGAN E' QUI
di Kirkman, Adlard, Rathburn


Mettiamo le cose in chiaro, parlando di The Walking Dead: il fumetto è un capolavoro, che mantiene alta la tensione quanto l'approfondimento psicologico; la Serie Tv è una flebo, con, ogni tanto, una bella puntata adrenalinica.
Aggiornamento alla terza stagione, però, perché poi mi sono rifiutata di andare avanti (riguardo al comic, invece, siamo al numero 27 e attendo con trepidazione il successivo. Ogni volta. Senza esitazioni).
Detto ciò, Negan è il cattivo più interessante che vi sia mai comparso (roba che al confronto il Governatore è una mammoletta. Se avete dei dubbi, chiedete a Glenn), quindi è più che giusto che abbia conquistato un volume tutto suo, tanto più che, di solito, ruba la scena a Rick. Persino quando è apparentemente inoffensivo.
Questo speciale di “The Walking Dead”, dunque, era particolarmente atteso, e ci consente di vedere Negan alle prese con la sua vita... quella di prima (prima della zombificazione di massa). Quella in cui era un uomo normale, simpatico, spavaldo, volutamente volgare, non buono, ma neppure cattivo, rude, ma spiritoso. Non ancora psicopatico. Ma che già a pagina sedici deve fare i conti con l'epidemia. Che a pagina 44 incontra Dwight. E che a pagina 58 diventa se stesso...
La storia è giusto un assaggino, e forse finisce troppo presto, lasciandoci la voglia di andare avanti, ma, esclusa la patetica e inflazionata parentesi con la moglie malata, è caratterizzata da un montaggio serrato e da un perfetto equilibrio tra dialoghi e azione (un pregio, questo, paradossalmente, assai raro nei fumetti, che spesso tendono ad essere troppo verbosi), che ci portano a concludere di aver effettuato un buon acquisto, magnificamente scevro di retorica, anche nei suoi passi più difficili.
Per tacere del fatto che scopriamo, finalmente, le origini di Lucille... 
Insomma, forse non un capolavoro della letteratura, con qualche passaggio scontato o troppo sbrigativo, ma sicuramente un ottimo fumetto di intrattenimento, dalle encomiabili qualità narrative.
Cartonato e disponibile in due copertine.
Ma soprattutto: un fumetto in linea con The Walking Dead e non un di quegli orridi romanzi malscritti da Kirkman con Jay Bonansinga.

martedì 28 novembre 2017

Un nucleo pulsante di spettacolari eccessi

LIMONOV
di Emmanuel Carrère


La biografia vera, ma inventata, inventata, ma vera, tra alti e ancora più alti, e bassi ancora più bassi, di Limonov, scrittore e rivoluzionario, che, in realtà, non si chiama nemmeno così, ma si è scelto il nome da solo, in modo che si armonizzasse con le sue aspettative e il suo carattere.
Ed è proprio il protagonista il primo, fortissimo, motivo di interesse del romanzo: “un individuo magnifico, capace di atti mostruosi”.
Fortemente sentente, irto di contraddizioni pericolose, senza filtri, senza limiti, senza vie di mezzo, e con un mucchio di criticità difficili da digerire, oltre che con un ego smisurato, è, al contempo, un tipo estremamente romantico, carismatico e – a sorpresa – pieno di cuore, di passione e perfino di rigore morale, che determina l'allucinante modo in cui affronta le avversità, sia sul piano pratico che su quello intellettuale.
Il secondo, strepitoso, motivo di interesse del romanzo è dato dallo stile di Carrère: vivace, ironico, crocchiante, ma colto e ricercato, strutturato, accattivante, ma scevro  di orpelli inutili.
La narrazione, tra l'altro, è spumeggiante, movimentata, e ondeggia tra lucidi contesti storici, evidenziando i passaggi cruciali del mondo che va avanti con reinterpretazioni divertite, critiche e personali, e tra le vicende di Limonov, nonché dello stesso Emmanuel Carrère, tracciate con disarmante simpatia.
Riassumendo, un nucleo pulsante di spettacolari eccessi e di finissime armonie.

lunedì 27 novembre 2017

Un coniglio segreto che si chiama Ragù

I DISCORSI DI PACO


Qualche giorno fa chiacchieravo con due conoscenti, l’una con due gatti, l’altra con tre cani. Entrambe si dichiaravano innamorate delle loro bestiole, tanto che il marito/la madre le rimproverano abitualmente perché parlano con loro come se fossero delle persone.
Io muta.
Allora mi hanno chiesto se io avessi animali.
Ho risposto di sì: “Paco, il mio coniglio”.
Mi hanno chiesto se io gli parlo…
Ho risposto sì.
“E tuo marito? Non ti sgrida?”, hanno interloquito allora.
E io sono rimasta curiosamente interdetta. No… perché dovrebbe?, mi sono domandata. E solo allora mi sono resa conto perché ero stupita. La frase completa, infatti, avrebbe dovuto essere: “Perché dovrebbe? E’ lui che doppia le risposte di Paco”. Se infatti io dico “Ciao” al cucciolo, lui mi risponde (con la voce di MPM, più cavernosa per l’occasione) un educato “Ciao, Otta”.
Certo, non sempre è così affabile. A volte mi spara un bel “Ti odio, muori!”, altre fa esternazioni sul genere “Ti ucciderò! Hahaha!”. Ma in generale, è un buon coniglietto, abbastanza cortese.
Più surreali e divertenti sono i dialoghi che fa con MPM, in cui viene data la colpa a me per qualunque cosa, preferibilmente in faccende in cui non ho neppure messo il becco. Se poi esco di casa o mi chiudo in camera, MPM sussurra a Paco che io ho un altro coniglio, di là, un coniglio segreto che si chiama Ragù e a cui voglio più bene e che è più bello. Oppure una batteria di conigliette, molto graziose.  
Insomma, viviamo una realtà surreale.
Per cui, no. Se parlo con Paco MPM non mi rimprovera. 
Fa il doppiaggio. 
E talvolta persino telefonate immaginarie.

venerdì 24 novembre 2017

Quando i pomodori fanno simpatia

IL RITORNO DEI POMODORI ASSASSINI
di John De Bello
(1988)


Della serie: per anni ho desiderato di vedere questo film dell’orrore per poi scoprire che è una commedia, anzi un una pellicola demenziale.

Un po’ sequel un po’ riciclo di “Pomodori Assassini” del 1978 (del medesimo regista), narra del mondo di venticinque anni dopo la Guerra dei Pomodori, in cui il possesso di ‘sti poveri ortaggi è divenuto illegale. Il budget è bassissimo (e ci si ride pure su, perché ad un certo punto il regista finisce i soldi e ce lo dice… così arrivano gli sponsor… sic!, che sono uno dei tocchi più divertenti), ma fantasia, ironia e autoironia aiutano a non pensarci, nonostante il ritmo, per i tempi attuali, possa non risultare proprio da cardiopalma. 
L’idea stessa dei pomodori assassini, peraltro, è strepitosa, in più c’è qualche insospettabile chicca, come John Astin (alias Gomez Adams) nei panni del Professor Cancrena – con la sua magnifica risata da pazzo –, un paio di sequenze alla Benny Hill (sul serio) e… George Clooney, giovanissimo e gigione. In più, ci viene proposto un riassunto del film del 1978 (che io non ho visto, peccato, anche perché sembra “più serio”) con spezzoni di ispirata idiozia (pensate che abbiano reso i pomodori terrificanti? Non lo hanno fatto. Li hanno  ingigantiti e dotati di capacità di deambulazione. Ma non fanno paura… E, in tal senso, la situazione nel 1988 è destinata persino a peggiorare)!      
Il livello di horror è inesistente, in compenso abbiamo un pomodoro di peluche parlante, pomodonne (e pomouomini), pizze rivoltanti (anche per gli standard americani), un assistente Igor, molte buone idee e allegro meta-cinema. 
Gli effetti speciali sono terribili anche per gli anni 80, ma ci si gioca, fanno simpatia, mentre l’effetto nostalgia risolleva gli animi. E in più ninja, citazioni, trovate spassose che rimediano a illogicità, ridicolaggini e forzature, che, a loro volta,  finiremo per accettare con gioia in quanto parte del pacchetto.
E’ il caso di dirlo… nonostante tutto, delizioso!

giovedì 23 novembre 2017

Le ricostruzioni fatali di Philippa Gregory

L’EREDITA' DELLA REGINA
di Philippa Gregory


Fra i più bei romanzi della Gregory. 
Incentrato su due delle sventurate mogli di Enrico VIII, Anna di Cleves e Caterina Howard, la quarta e la quinta, oltre che sulla vipera traditrice Jane Bolena, già colpevole di aver prestato la testimonianza fatale che ha mandato la cognata Anna e il marito George sul ceppo, anni prima, alterna abilmente i punti di vista, regalandoci una ricostruzione fatale e avvincente dell'epoca e dei fatti di corte.
In particolare, a colpire è proprio il Re, Enrico VIII, che dal più bel principe della cristianità si è trasformato in un laido e maleodorante tiranno, ridicolo quanto spaventoso.
Appassionanti e molto diversificati anche i ritratti femminili: dalla dignitosa, inesperta e morigerata, ma sostanzialmente buona e intelligente, Anna di Cleves alla povera Caterina,  giovane, superficiale, civetta immatura, destinata a finir male, ma non cattiva ed anzi, se non fosse per il tragico contesto, a tratti persino quasi foriera di sorrisi e di tenerezza.
E poi c'è Jane, sì, di cui già ho detto, e che spesso ci porta alla memoria i tre fratelli Bolena, Anna, George e Maria, che abbiamo amato ne “L'Altra Donna del Re”... E ci strugge pensare a loro, a quel che è loro capitato, e che, sotto certi aspetti, finiamo per rivivere, ancora e ancora, nei momenti più tragici... Così come incontriamo, seppur di sfuggita, le figlie di Enrico, Maria ed Elisabetta, entrambe future Sovrane, alla cui storia aggiungiamo quindi un altro tassello.
Un romanzo ricco, dunque, pregno di eventi e personaggi, detentore dei soliti pregi dell'autrice, quali la buona prosa e l'ottima documentazione storica, ma meglio amalgamati, con splendidi contrasti e persino ironia, frutto del sapiente montaggio, nonché con protagoniste che non potranno che rimanere impresse.

mercoledì 22 novembre 2017

Disegnare la malinconia

NOTTETEMPO
di Luca Russo


Intanto ci sono i disegni, vere e proprie tavole pittoriche: viene voglia di isolare ogni vignetta e metterla in cornice. I colori, la composizione, l’angolazione… ogni dettaglio è ricercato e perfetto, a partire dalle prime pagine marine. E contiene qualcosa che va oltre la mera rappresentazione. Qualcosa che è malinconia, ma anche sublime ariosità, facondia, spazio dell’anima. Si percepisce anche soltanto sfogliando le pagine, senza bisogno di leggere le didascalie. 
Che, peraltro, non corrispondono a pleonastiche descrizioni, ma raccontano una storia diversa, che pure è “lei”.
Diversa perché si regge sulle sue gambe e ha vita propria.
Che è “lei” perché la fusione tra testo e immagine è così simbiotica che non può che essere quella. Che deve essere quella. Benché ad ogni rilettura cambi, deviando un poco da quello che ci pareva essere il suo percorso.
Una trama profonda, che parla di arte, di morte, di legami indissolubili, di ispirazione e di amore. Di sé e degli altri. Di passato e futuro. Un trama la cui narrazione è pluristratificata e non procede linearmente, eppure è logica e metodica, a suo modo, rigorosa, concreta. E fa male. Ma è anche di una bellezza struggente, che illumina e riempie, dando un senso alle cose (cose arcane e misteri immortali), incluse quelle (non della graphic novel, ma della vita stessa) che apparentemente non ne hanno.   
Già così l’opera sarebbe indimenticabile.
Ma a migliorarla, a renderla più potente, ci sono tocchi onirici, surreali, allegorici. Che ci ricordano Magritte, è inevitabile, ma che non rinunciano alla loro dimensione individuale, fatta, più che di stupore e immobilità, di un’oppressione ondivaga, che si spezza, e che, al contempo, risulta in qualche modo confortante, lirica, vibrante.
Un fumetto da leggere e rileggere più volte, con modulazioni diverse, a seconda del proprio stato d’animo.
Tutte indelebili.

martedì 21 novembre 2017

Un mondo fatto di nostalgia

PLAYER ONE
di Ernest Cline


Romanzo nerd per eccellenza, ricco di citazioni, strizzate d'occhio e discussioni stimolanti, dedicato, in particolare, a chi ha vissuto gli anni 80 (Star Wars, I Goonies, Blade Runner, Indiana Jones, Ladyhawke)...
In realtà, a farla da padrone sono soprattutto i videogiochi, ma anche chi, come me, li ha sempre più o meno schifati, non potrà che divertirsi a crepapelle.
L'opera, infatti, non si limita ad un appassionato elenco di ammiccamenti, ma è imperniata su una trama incalzante e piena di cuore, assai meno schematica – nonostante il dichiarato incedere videoludico – che ci si potrebbe aspettare, che degli anni 80 cattura in primo luogo l'atmosfera. Lo stile è semplice, ma coinvolgente, e, unito a personaggi carismatici, prove da superare, fortuna e gloria, costituisce spesso un linimento per l'anima per il lettore afflitto dalla quotidianità, risucchiandolo, letteralmente, in un altro mondo fatto di nostalgia e immaginazione, ma pure di emozioni intense, tensione, brama di riscatto, sense of wonder e avventura, oltre a preziosi valori morali, quali solidarietà e amicizia.
Allo stesso tempo, attenendo la narrazione ad un futuro distopico e quanto mai disastrato, il libro ci porta inevitabilmente a riflettere su un'infinità di questioni importanti e attuali, fungendo da monito, ma senza opprimerci o abbatterci, anzi, invitandoci alla positività.
La faccenda preponderante riguarda, ovviamente, il mondo online e la potenza devastante delle sue implicazioni: da una parte, infatti, una vita sotto forma di avatar virtuale permette di essere pura personalità, consentendo ai fruitori di andare oltre le limitazioni imposte da aspetto fisico, sesso, età e via dicendo, senza impedire di stringere legami autentici. Dall'altra, nonostante tutto, il romanzo tiene sempre un occhio puntato sulla realtà, mettendo in guardia dai pericoli dell'alienazione.
Ad essere onesta, però... ecco, Player One mi è davvero piaciuto parecchio e senz'altro è uno dei libri migliori letti quest'anno, ma avrei gradito una fine meno politicamente corretta e più coraggiosa, di rottura e controcorrente. Per intenderci, un po' alla “Life on Mars”. 
Certo, però, in questo caso è assai più educativo.

lunedì 20 novembre 2017

Non ci si può non innamorare di Praga

DI NOTTE SOTTO IL PONTE DI PIETRA
di Leo Perutz


Racconti magici, per atmosfera e riferimenti, e per una magia più forte e più intensa che brilla al loro interno, preziosa, imperativa, fatta di parole e di sensazioni, di alchimia ed esoterismo, nella suggestiva Praga di fine 1500.
Magici, non soprannaturali. Perché il soprannaturale è solo qualcosa che non si sa come spiegare, mentre la magia è radiosa, più rara, densa di riverberi e luccichii.  
E qui abbonda, per gli argomenti, sottesi di ironia,  di incanto e di contrapposizioni, ma altresì per l’armonia del linguaggio di Perutz, desueto e moderno, classico e immortale, che sa di fiaba e di antico, di giallo e di azzurro, con qualche sfumatura nera, ricco, corposo, ma semplice e snello, senza troppi orpelli, ma non privo di intarsi, arabeschi, decori.
Racconti, dicevo, ma che si rincorrono, in cui i personaggi sono sempre gli stessi – Mordechai Meisl, Koppel-Bar e Jackel-Narr, l’Imperatore Rodolfo II e persino Keplero, l’astronomo… - differenti per carattere ed estrazione sociale, a volte protagonisti, altre testimoni o comparse, che si avvicendano e si influenzano, sino a tracciare un affresco dal cromatismo incredibile, vivace, umbratile, che è storico, mistico, sornione, ma pure splendidamente umano.
Che dire?
Che non ci si può non innamorare di Praga, di Perutz o del suo stile insinuante, poetico, intriso di sortilegi e strizzate d’occhio, solo apparentemente placido e misurato, perché è sotto la superficie liscia che nuotano i pesci più variopinti, quelli dalle scaglie d’oro o d’argento, che possono soddisfare i desideri. 
Un libro che è puro rapimento.
Un libro che scaverà a lungo dentro di voi, anche dopo che lo avrete riposto.

venerdì 17 novembre 2017

Grace vs Grace

L'ALTRA GRACE


Miniserie televisiva tratta dall'omonimo romanzo di Margaret Atwood (che mi aspetta sul comodino, insieme ad altri 37 libri, che devo iniziare quanto prima), e che, quindi, non potevo trascurare visto quanto ho apprezzato lo stupendo “The Handmaid's Tale”, sempre tratto da un suo romanzo (che sto leggendo proprio ora). 
Non si tratta però di un'altra variazione sul tema, a dispetto del femminismo di fondo: anziché nel futuro, siamo nel passato (fine 1800) e, anziché una vittima, seguiamo una carnefice. Forse...
Il punto è proprio questo: Grace Marks, giovane domestica condannata per un delitto efferrato, è colpevole o innocente? Chiamato a scoprirlo a distanza di quindici anni è il bel Dottor Jordan, uno psicologo che interrogherà Grace per giorni, subendone il fascino. Cosa che, peraltro, capita a tutti gli uomini che le stanno intorno...
Ispirata ad una storia vera, la trama si dipana attraverso una drammatica quanto coinvolgente ricostruzione storica, fra brutalità, abusi e piccoli conforti, senza negarci, però, una, pur variamente interpretabile, suggestione soprannaturale.
L'elemento di maggior pregio, tuttavia, è proprio lei, Grace (Sarah Gadon), che in principio ci apparirà perentoria e irreprensibile, fin troppo istruita e intelligente per la sua condizione sociale, concreta e tranquilla, ma che presto acquisirà nuove sfumature che ci condurranno  in altre direzioni. 
La storia, che alterna passato e presente, detto e sottinteso, ci avvince da subito, incuriosendoci, sia in nome della verità, che desideriamo dipanare, sia perché  semplicemente, veniamo rapiti dalla protagonista e dalla sua apparente fermezza.
In ultimo, non verremo delusi, anche se non otterremo una risposta chiara e lapalissiana, essendo la fine suscettibile di almeno due interpretazioni. Sebbene...
Ma non svelo di più.
Dico solo che, per quanto la vicenda non sia feroce e innovativa come “Il Racconto dell'Ancella”, per quanto troppi elementi siano prevedibili, a dispetto di tutto, è proprio la vaghezza indistinta di tanti passaggi a risultare magnetica. Oltre, ovviamente, alla sfuggente Grace.

giovedì 16 novembre 2017

Road to Liguria

UN INCANTEVOLE APRILE
di Elizabeth Arnim


In apparenza un agile e inconsistente volumetto, fatto di magnifiche descrizioni floreali (che mi ha indotta a desiderare di acquistare quanto prima un buon manuale di botanica e a fare ricerche sullo splendido albero di Giuda), in pratica un’ode all’amore e alla felicità nelle sue molteplici sfaccettature, alla positività, alla gioia, fatta di piccole cose, di natura e di fiori, di sole e cielo terso, ma allo stesso tempo permeata di un forte sentimento, quasi panteistico, che presto, volenti o nolenti, contagia tutti, inclusi i lettori, per giunta con delicata spontaneità. 
E’ buffo perché partiamo da una realtà di frustrazione e sotterfugi che nasce in quel dell’Inghilterra anni 20, coinvolgendo quattro zitelle (comprese le due sposate e la vedova, per i nostri parametri odierni) che non si conoscono, ma che si troveranno ad andare in vacanza insieme – nella nostra Liguria – per questioni di convenienza.
E all’inizio ci infastidirà come una, Mrs Fisher, sia gretta, meschina e avvizzita, troppo severa e snob nei suoi giudizi,  un’altra, Scrap, – bella fuor di ogni paragone e afflitta dalla sua stessa bellezza – vuota e superficiale, scostante e prevenuta, e le altre due, Rose e Lottie, le sposate, patetiche e abbruttite, vuoi dal marito, vuoi dalla devozione bigotta, vuoi da un intrico di ansie e paure ingiustificate.
Ma presto ci accorgiamo di aver sbagliato a trarre le nostre conclusioni. Lottie, in particolare, si rivelerà una creatura solare ed eccentrica, che per prima fiorisce in questo incantevole aprile ligure, man mano si risveglia la natura, seguita, presto, dalle altre, e dai personaggi che si avvicendano nel romanzo, in quello che viene definito un circolo virtuoso di sentimenti, che si influenzano a vicenda, volgendo ogni negatività all’armonia.
Un romanzo semplice, dalla prosa placida e tranquilla, cosparsa di epifanie e di luminosità, con qualche momento divertente e un frasario prezioso, che ha il potere di rasserenarci, trasmettendoci, con grazia e dolcezza, quanto la vita possa essere meravigliosa. 
A patto, certo, di osservarla dalla giusta angolazione.
Perché, sembra voler dire il libro, non ci sono persone cattive, ma solo persone infelici.
Ma basta così poco per cambiare la propria condizione… un incantevole aprile, appunto.

mercoledì 15 novembre 2017

Una godibile e vivace avventura

I GOONIES
di James Kahn


Il romanzo, sì. Non il film. Che, ammettiamolo, è una novelization, ossia un prodotto successivo alla pellicola.
Di James Kahn, però, già noto per i romanzi ufficiali di Star Wars e, se non erro, di “Indiana Jones e il Tempio Maledetto”, che avevo letto in gioventù.  
Ebbene, che dire?
Che mi sono goduta il libro dalla prima all'ultima riga.
Non per i suoi pregi letterari, va bene, ma perché sono così affezionata a Mikey and Company che l'idea di rivivere le loro avventure sotto un nuovo profilo mi suonava davvero irresistibile.
E lo è davvero, in effetti, se si è sufficientemente nostalgici e nerd.
Il punto di vista è proprio quello di Mikey Walsh, il protagonista, che, in qualità di narratore, aggiunge interpretazioni personali, commenti e dettagli che, in qualche modo, finiscono per arricchire il patrimonio filmico. Cui, nei limiti del possibile, l'opera, però, è anche abbastanza fedele.
Certo, alcuni avvenimenti vengono raccontati in una successione diversa: Mikey non è onnisciente e certe cose (come il racconto di Chunk e Sloth) viene a saperle dopo, e magari ci vengono esplicitate utilizzando stratagemmi tipo gli articoli di giornale... Però è bello venire a conoscenza di particolari che nella pellicola venivano sottintesi, ma non spiegati. 
La trama presa in considerazione, oltretutto, corrisponde alla versione estesa del film, con la pausa all'emporio e la parentesi con la piovra (che non è riuscitissima nemmeno sulla carta, ma è pur sempre un pezzettino extra).
A prescindere da ciò, da nostalgia e nerditudine, il romanzo è comunque una godibile e vivace avventura per ragazzi, in cui non mancano risate ed emozioni, dolcezza e terrore, sparatorie e colpi di scena, pirati e duelli, caccia al tesoro e amicizie solide, che può essere vissuta con piacere anche se si hanno tredici anni oggi, e non qualche ieri fa.
Anzi, magari in questo caso sarà ancora meglio...

martedì 14 novembre 2017

Il Ragno e il pesce palla

IL RAGNO TORNA DALLA THAILANDIA


E' tornato intero, sano e felice, lunedì 6 novembre, con nuove foto e nuove avventure (vedi post 30 ottobre 2017)... Anche se bisogna cavargliele letteralmente fuori dalla bocca, perché è il malefico cucciolo è reticente.

Ad ogni modo, ecco, a random, che cosa ha raccontato in più di persona:

“Le spiagge sono piene di conchiglie bellissime, che si possono raccogliere liberamente. Ovunque saltano fuori scimmiette e, se possono, ti rubano gli occhiali. Per fortuna io ho sempre indossato le lenti a contatto. Ad un turista li hanno portati via, ma se non altro erano quelli da sole. Se a Kata Beach (Phuket) praticamente non esistono ladri (a parte le scimmie), a Bangkok ci sono invece cartelli ovunque, che invitano a fare attenzione ai furti, a quanto pare all'ordine del giorno.


In generale, ci sono un sacco di Budda, di templi, con tanto di guardiani, e siti archeologici di templi. Molti negozi, invece, hanno solo il soffitto e sono privi di pareti, così i ristoranti. Abbiamo assistito ad un incontro di Muay Thai con risvolti splatter... nel senso che quando l'arbitro ha fermato l'incontro, dopo un colpo ben assestato, è volato un pezzo di carne sanguinolenta vicino al ring...
Non so che cosa fosse, se l'orecchio di uno dei due contendenti o altro... Una delle isole che abbiamo visitato si chiama James Bond Island, perché lì è stato girato uno dei film di 007. Le spiagge, in linea di massima, sono stupende. Ci sono frutti strani da mangiare, alcuni molto buoni, come il longan o il mangustan, altri solo gradevoli come il rambutan. In una bancarella, però, abbiamo trovato anche scorpioni e locuste fritte. Io non ho osato assaggiarle, ma c'è, tra noi, chi lo ha fatto e si è dichiarato entusiasta. Camminare da solo per me era tremendo perché ogni due per tre qualcuno insisteva per farmi un massaggio.
Se ero  in compagnia femminile, invece, nada. Diversa, però, la questione per i Night: mentre ero con la sorella piccola e minorenne della mia amica Marty mi hanno invitato in uno di questi locali. Io mi sono schermito adducendo la presenza della bambina. Hanno fatto spallucce, dicendo di portare anche lei, che le avrebbero offerto volentieri da bere...”




Ecco, più o meno è tutto.
In realtà è più che altro un pretesto per mettere queste nuove, bellissime foto! 



P.S.
Lo so, fa un po' senso il pesce palla disseccato... Ma lo hanno trovato così sulla spiaggia e mi sembrava un peccato non metterlo!





lunedì 13 novembre 2017

Superbo e agghiacciante

SCAPPA – GET OUT
di Jordan Peele
(2016)


Film notevolissimo, specie per chi ha la fortuna di guardarlo senza sapere nulla.
All'inizio sembra “Indovina chi viene a cena” in chiave moderna. Presto ci si rende conto che siamo lontani anni luce. Anzi, che siamo lontani luce da tutto (eccetto, forse, Ira Levin), perché proprio non capiamo dove si voglia andare a parare, e nemmeno se siamo in un thriller o in un horror, se le componenti sono solo pseudorealistiche e pseudoscientifiche o se sono destinate a sfociare nel soprannaturale. 
Gli indizi non mancano, e sono leali e coerenti, ma sul momento ci sbalestrano, senza fornirci una vera pista, riducendosi piuttosto ad un campanello d'allarme che suona sempre più forte nelle nostre teste, sino ad assordarci. Fino a che non lo gridiamo anche noi, “Scappa!”, senza sapere esattamente da chi o da che cosa. Ma al contempo sperando di no, perché vogliamo capire. Sapere. Scoprire.
E il disagio sale, sale sempre di più, ma a volte pare sfoci nella paranoia e allora mettiamo tutto in discussione. Persino quelle lacrime inquietanti e quelle espressioni congelate. Persino la nostra fidanzata, che adoriamo e di cui ci fidiamo ciecamente, perché in effetti è davvero un tesoro e un'altra così non la troviamo. Persino le terrificanti, sottili incongruenze che paiono in contrasto con le altre che già abbiamo osservato. Persino il tintinnio di un cucchiaino in una tazzina da the.
La prima parte del film è la più bella, la più ipnotica. Ma le aspettative non vengono tradite nel finale, che, anzi, è superbo e agghiacciante, e tale da recare in sé, oltre alla componente di suspense e orrore, persino connotati satirici e antirazzisti, di spaventosa suggestione e originalità (nonostante il già menzionato debito con Ira Levin).  
Perfetto il cast, strepitosi il climax e l'anticlimax, la trama, l'equilibrio intrinseco della pellicola, e... E quell'asta in giardino, silenziosa, muta, che blocca lo stomaco.

venerdì 10 novembre 2017

L'arte che non decolla

LA DAMA E L'UNICORNO
di Tracy Chevalier


Apprezzo i romanzi che mescolano arte, storia e letteratura, colmando i buchi, fantasticando, ma in modo plausibile, che un po' incuriosisce e un po' insegna, tracciando, in parallelo, la vicenda di personaggi più o meno inventati.
“La Dama e l'Unicorno”, pur non essendo fra i migliori della Chevalier, non fa eccezione, e per quanto non faccia vibrare le corde del mio essere, costituisce comunque una lettura piacevole, erudendoci, altresì, su un tema ancora poco esplorato in questo genere di narrativa, ossia il ciclo di arazzi fiamminghi che, appunto, dà il titolo al libro.
Siamo, dunque, nel 1490 a Parigi.
Di interessante, oltre all'arte, c'è il moltiplicarsi dei punti di vista che qui coinvolgono più personaggi, non solo quello di Nicolas des Innocents – l'ideatore principale degli arazzi, nella ricostruzione dell'autrice – o della bella dama ritratta con l'unicorno – figlia del committente, Jean Le Viste – ma pure di altri soggetti, portatori di ruoli diversificati e complementari, che paiono, di volta in volta, “passarsi il testimone”, alternandosi nel sommare tasselli.
La scrittura della Chevalier è, come sempre, meditata e gradevole, impreziosita da vibrazioni e risonanze, la quotidianità dell'epoca descritta alla perfezione, e dà un'impressione di vitalità, di autenticità, tuttavia, la trama del romanzo, per quanto condita con scandali, passioni, e problematiche familiari, non spiega le ali, non decolla mai. Sembra sempre sul punto di, ma... niente, non ce la fa.
E' gradevole, certo, ma non ti permette di perderti in essa, non assorbe la tua realtà intessendone per te una nuova. Tu resti sempre ai margini, a spiare. Ed è affascinante, istruttivo, ma tu ti ricordi sempre di essere lì. E, quando vuoi, non hai alcuna difficoltà ad interromperti e dedicarti ad altro.

giovedì 9 novembre 2017

Il peso delle proprie scelte

ATYPICAL


Serie Tv davvero peculiare, che non è una sitcom, ma, a tratti, fa morire dal ridere (la scena del pinguino gigante di peluches che viene sgozzato è da Otta Awards), e al contempo parla di cose serie e importanti, sensibilizza, ha un sostrato intenso e drammatico, ma senza soffocare.
Il punto nevralgico, attorno cui tutto ruota, è Sam, il protagonista, adolescente autistico ad alto funzionamento che vorrebbe una ragazza, ma si innamora della sua terapeuta, in crisi col fidanzato.
Il bello di Sam è la sua assoluta sincerità, la sua incapacità di empatizzare, la sua efficienza e la sua passione per i pinguini. 
Che sono anche i suoi lati più esasperanti.
Il bello della serie, invece, è che non c'è solo lui, e vediamo come l'autismo viene vissuto, più o meno indirettamente, anche da madre, sorella e padre di Sam. 
Con coraggio e tanta buona volontà, ma senza nascondere difficoltà e momenti bui, rischi, paura e sofferenza.
Perché al centro del mondo c'è sempre Sam, anche se lui non lo chiede. E non sempre è giusto. E non sempre è facile. E spesso lui nemmeno lo vuole, o ne ha bisogno.
Personalmente adoro Casey, la sorella, ma anche Paige, che di Sam sarà invece la fidanzatina “per fare pratica”. Ognuna a suo modo è un personaggio forte, sfaccettato, scoppiettante, ma che reca in sé anche molte fragilità. Fragilità che, d'altro canto, caratterizzano ogni comprimario. Eppure siamo ben lungi dagli adolescenti fatti di vetro in stile “Tredici”. Piuttosto siamo di fronte a ragazzi (o genitori) determinati, che sanno che cosa vogliono, capaci di incassare, di sbagliare, di pentirsi. Ma anche di cadere e rialzarsi. Di ribellarsi. Di tornare a più miti consigli. E riprovarci, assumendosi il peso delle proprie scelte e delle proprie responsabilità.
Anche solo per questo “Atypical” è senza dubbio da vedere.
Se poi si aggiunge che sono solo 8 episodi da circa 35 minuti...

mercoledì 8 novembre 2017

Circondati dai granchi o dai pinguini

ATLANTE TASCABILE DELLE ISOLE REMOTE
di Judith Schalansky


Fatto di Mappe e reperibile nel settore dedicato alla cartografia di ogni buona libreria, è in realtà una raccolta di storie suggestive per viaggiare con l'immaginazione, anzi per essere direttamente teletrasportati nel luogo di destinazione e, per giunta, in medias res.
L'autrice, infatti, una “sognatrice da mappamondo” per ogni isola o isoletta che descrive cattura per noi la sua storia, ma, anziché narrarcela, ce la mostra proiettandola nel nostro cervello.
Non so quanti atlanti del genere ho letto prima di questo (luoghi maledetti, insoliti e curiosi, città perdute...). Ho lasciato le isole remote tra le ultime da visitare perché il loro mi sembrava il volume meno poetico, il più ancorato alla realtà...
La verità è che, per quanto di realtà parli, è il più immaginifico, il più struggente, dolce e commovente di tutti, aldilà degli argomenti trattati.
La prefazione, in particolare, in cui l'autrice spiega la genesi dell'opera e le sue motivazioni, trabocca di sentimento e incute profonda tenerezza.
Per cui, sì, in questo tomo si snocciolano dati, coordinate, mappe e lacerti di storia. Ma anche sogni, tensioni emotive, perle antropologiche e frammenti di sogni.
E ci spostiamo, alla velocità del pensiero, da Solitudine, nel Mar Glaciale Artico, a Pukapuka, nell'Oceano Pacifico, passando per luoghi che conosciamo (Iwo Jima, Sant'Elena, l'Isola del Cocco), per altri che non abbiamo mai sentito nominare... Visitiamo cinquanta isole remote (remote ovunque noi siamo, da ovunque partiamo), chiudendo gli occhi e trovandoci lì, circondati dai granchi o dai pinguini, oppure dal nulla... 
E poi, ammettiamolo, l'edizione tascabile è una meraviglia! Copertina arancione brillante con pagine dai bordi blu cobalto, una grafica chiara, che, per ogni isola, ci dà una pagina di informazioni nude e crude, una cartina, e due pagine di avventura...
Il tutto ad un prezzo concorrenziale.
Imperdibile.

martedì 7 novembre 2017

Non c'è atmosfera

IT
di Andrés Muschietti
(2017)


Non ci siamo.
Non mi è piaciuto né come horror, né come romanzo di formazione, né come trasposizione dell'opera kinghiana.
Intendiamoci, non è tutto da buttare.
Bill Skarsgard è spaventoso quanto seducente nei panni di Pennywise, e pure il doppiatore italiano è azzeccato: ha un modo di parlare simpatico, affabile e affabulatore, ma con qualcosa che raschia sotto e minaccia di erompere a tradimento, divorando tutto. Come di fatto accade quasi subito, con un bel morso fatto di denti fitti e acuminati. 
La prima scena, quella di Georgie, è perfetta e magnificamente brutale, con il braccino strappato e gli occhioni enormi.
Poi, però, ci stufiamo a vedere sto pagliaccio saltar fuori a destra e sinistra. Le scene si fanno monotone, ripetitive e per nulla terrificanti. Sbadigliamo persino un po'. Il peggio è che non c'è tensione, non c'è suspense, solo un senso di oppressione malsana che inficia anche le scene che dovrebbero trasmettere altro.
I personaggi stessi non sono riuscitissimi... Solo Ben, per quanto mi riguarda, ha il giusto grado di innocenza e dolcezza. Bill manca di lirismo, Beverly, oltre a non essere carina come dovrebbe – pare il clone di Molly Ringwald –, non mi dice molto... Richie, poi, nonostante sia interpretato dal mio prediletto Finn Wolfhard di Strange Things, è disastroso: benché abbia l'unica battuta decente del film, anziché spiritoso, brillante e arguto, risulta fastidioso e volgare...
Certo, se si fa il paragone con il Tv movie del 1990, questo It è quasi carino. Ma stiamo parlando di un Tv movie, appunto. Di ventisette anni fa. Trasmesso in prima serata. Che pretendiamo? 
Il confronto con il romanzo di King, per contro, è avvilente.
Non è una questione di fedeltà, è chiaro che tante cose devono essere cambiate e che si tratta di mezzi di comunicazione diversi. 
E' una questione di spirito. E qui la pellicola si fa più carente. Non c'è il legame fortemente empatico con e tra i personaggi. Non c'è la magia, la bellezza, la solidarietà, la coesione. La difficoltà e la poesia di essere adolescenti nerd (che invece, ad esempio, è stata resa così bene in Stranger Things). Non c'è atmosfera, complessità o spessore. 
A dispetto dell'incipit strepitoso, il film è stucchevole, commerciale, vuoto. Ridotto ad un prodotto ibrido, che non è carne né pesce, pensato per il consumo delle masse che nemmeno amano l'horror o il fantastico, ma semplicemente vogliono essere intrattenute. E poi passare ad altro.
Non oso immaginare come sarà la seconda parte, con i protagonisti adulti, che neppure nel romanzo mi aveva entusiasmata.

lunedì 6 novembre 2017

Molestie e faziosità

L'EMMY E KEVIN SPACEY


La vicenda è nota: Kevin Spacey, l'attore premio Oscar per “I Soliti Sospetti” e per “American Beauty”, nonché l'interprete principale della Serie Tv “House of Cards – Gli intrighi del potere” è stato accusato di molestie sessuali.
La conseguenza è che gli hanno revocato l'Emmy.
Ebbene, ecco che cosa penso:
che Kevin Spacey non mi è mai stato troppo simpatico (a parte come Frank Underwood, nel citato House of Cards, che però è un personaggio negativo);
che certamente le molestie sessuali sono un fatto grave;
che probabilmente Kevin Spacey è colpevole;
E che:
le accuse si riferiscono a fatti di mille anni fa;
Kevin Spacey non è stato processato e giudicato colpevole oltre ogni ragionevole dubbio;
teoricamente potrebbe anche essere innocente;
Ma soprattutto che, quale che sia la verità, la sua bravura come attore non è in discussione.

 Quindi che senso ha la revoca dell'Emmy???

Mica stiamo parlando di un premio per le sue ineccepibili qualità morali...

Mi sembra quel che era capitato a me a scuola, l'ultimo anno del Liceo, con la Prof. di Storia dell'Arte. 
Durante le sue lezioni i 5/6 della classe simulavano rapporti sessuali (non scherzo), facevano balletti o le tiravano cartacce e la prendevano in giro. Con gli altri professori non capitava niente del genere, ma costei non era in grado di gestire gli alunni e i miei compagni non erano tipi facili ed educati. Le lezioni di Arte non si sentivano (e io ero al primo banco).
Personalmente io mi limitavo a fare i compiti di greco per l'ora dopo. Non disturbavo nessuno, ma non facevo neanche la fatica di nascondermi o di mentire.
Peraltro, in classe ero stata l'unica nel primo quadrimestre ad aver preso due 8 e mezzo di Storia dell'Arte.
Del resto, era sempre stata una delle mie materie preferite, ero brava, e la studiavo per conto mio, senza limitarmi al programma scolastico, ma cercando di approfondire tutto, anche su altri libri e su Art e Dossier.
Negli anni precedenti (in cui si erano avvicendati diversi Prof., sempre rispettati dagli alunni) in pagella avevo 9.
Quel semestre lì, però, mi ero beccata un 8.
Come quelli che nel primo quadrimestre avevano preso due 7 e mezzo.
Mentre nell'altra sezione, l'unica alunna ad avere avuto due 8 e mezzo come me, aveva avuto 9 in pagella.
In pratica la Prof. mi aveva tolto un voto.
Avevo chiesto spiegazioni.
La Prof. mi aveva risposto che si rifiutava di darmi 9, giacché io non stavo mai attenta.
Io le avevo risposto che di stare attenta ai miei compagni che facevano i cretini non avevo voglia, che se dovevo stare a scuola pretendevo di non sprecare il mio tempo e  imparare e quindi, giacché lei non era in grado di insegnarmi, tanto valeva che studiassi altro. 
Lei, impermalita, mi aveva portato come esempio Gian (il mio amico, nonché il primo indiscusso della classe, che, però, nella sua materia aveva “solo” due 8), che stava sempre santamente a prendere appunti.
Io avevo replicato che allora era giusto che semmai mi abbassasse il voto di condotta (anche se, francamente, a fronte del comportamento degli altri compagni, non era giusto manco questo) non che mi penalizzasse così gratuitamente nella sua materia. Di fatto mi aveva tolto un voto, mentre a quelli con due 7 e mezzo, che come me avevano avuto 8 in pagella, no. E loro, di norma, le facevano il ritratto alla lavagna, la chiamavano “Down” e le tiravano la roba addosso... Quindi?
La Prof. era rimasta sulle sue posizioni, e mi aveva invitato a seguire le sue lezioni.
Io avevo risposto che sarebbe stato tempo sprecato della mia vita e che comunque, alla luce dei risultati oggettivi, evidentemente le sue lezioni non servivano granché.
A me aveva dato due 8 e mezzo, a Gian, già brillante di suo e sempre attento, due 8.
A questo punto lei, furiosa, mi aveva risposto: “Ah sì? Allora do 9 a Gian. Perché sta sempre attento”.
Al che sono morta dal ridere (Gian rideva più di me).
Ebbene, riesaminiamo la vicenda.
E' vero che non stavo attenta. E' vero pure che ero insolente, irrispettosa e insolente e che capisco benissimo che il mio atteggiamento fosse irritante. Ma è altrettanto vero che ero la più preparata in Storia dell'Arte. Che senso aveva avuto, se non una ripicca nei miei confronti, aver dato 9 a Gian, che neppure era interrogato (e per il quale comunque ero contenta, dato che era fra i pochi che stimavo), e averlo negato a me in pagella?
Nessuno, se non dimostrare quanto la Prof. era frustrata e miserabile.
Be'... lo so, io non ero accusata di molestie sessuali, però la faccenda dell'Emmy a Kevin Spacey mi sembra similare e, a mio avviso, denuncia un atteggiamento egualmente infantile e settario, fazioso sul piano ideologico.

Ammettiamo pure che Kevin Spacey sia un maniaco molestatore... questo fa di lui un attore meno valido? No. Fa di lui uno cui dovrebbe essere impedito di nuocere.
Ma che si è meritato il suo Emmy, e quindi dovrebbe poterlo ricevere.
Anche se, certo, ormai io al suo posto non lo vorrei più...