Se ti è piaciuto il mio blog


web

mercoledì 31 ottobre 2018

Sulla carta nessuno può sentirti urlare

ALIEN
di Alan Dean Foster


La storia la conosciamo tutti, il film anche... Il romanzo (che poi è una novelization, vale a dire l'adattamento della sceneggiatura) magari, no.
Ma non è una novità, è stato scritto nel 1979.
La trama è la medesima della pellicola – sebbene non assolutamente fedele, atteso che ci sono delle differenza, neanche sempre marginali – ma, visto il diverso mezzo di comunicazione, permette di comprendere meglio tanto la psicologia dei personaggi, quanto le questioni umane (e non) sottese alla vicenda,  incluse le necessità di sopravvivenza del nostro alienaccio prediletto, con il quale riusciamo persino ad immedesimarci un po'. 
Certo, inevitabilmente, la parola scritta ci riporta alle scene più famose del film e ai suoi interpreti (si può immaginare Ripley diversa da Sigourney Weaver?), ma, allo stesso tempo, le ricostruisce per noi con sfumature nuove e leggermente diverse, a volte persino più piene.
Meno tensione, quindi, e più introspezione, meno ansia, ma più amarezza, solitudine, desolazione. E persino più simpatia verso il gatto Jones.
Sganciandosi, dal film, comunque (che, mi dispiace, a me ha sempre dato una certa sonnolenza... tanto più che – lo affermo a costo di rischiare il linciaggio – al capostipite di Ridley Scott preferisco di gran lunga il secondo capitolo, Aliens – scontro finale, di James Cameron), dopo l'asetticità iniziale, si rimarrà ben invischiati nella vicenda, tanto che il volume, già di per sé non troppo lungo, si finirà in un attimo. Lo stile, infatti, nonostante qualche tecnicismo, è scorrevole e rapido, e privilegia l'azione, pur contornandola di quel po' di riflessione/empatia necessaria per farcela vivere completamente.
Per i fan, e per chi, comunque, ha sempre voglia di una seconda metabolizzazione.

martedì 30 ottobre 2018

Senza sentimento e senza emozione

SOLO – A STAR WARS STORY
di Ron Howard
(2018)


Ahimé, il solito filmetto della Disney per famiglie, che, al di là dei suoi pesanti limiti intrinseci, potrebbe anche essere carino e simpatico, o quanto meno un discreto intrattenimento usa e getta, se non suscitasse il disgusto dei poveri fans storici abbeverandosi vampiricamente alla fonte di George Lucas.
Di sicuro, peraltro, non riesce ad essere peggio degli imbarazzanti episodi VII e VIII.
I difetti sono sostanzialmente tre: nessun protagonista carismatico (i comprimari rubano di continuo loro la scena), molte sbavature, e un ritmo poco mordace, con qualche momentuccio di stanca.
Il problema maggiore, però, consiste proprio nell'interprete di Han (Alden Ehrenreich): un bamboccino insipido e troppo giovane (Lando e Qi'ra sembrano i suoi genitori!), lontano dal fascino canagliesco di Harrison Ford. Per tacere di quanto è patetica l'origine del suo cognome. Purtroppo nemmeno Emilia “Daenerys” Clarke brilla nei panni di Qi'ra, risultando del tutto dimenticabile.
Per giunta, tante trovate sono pateticamente riciclate (dal detonatore termico in avanti, per quanto con esito diverso), mentre l'incontro con Chewbecca sa terribilmente di buco narrativo (La bestia? Ma non lo sanno che gli Wookies sono un popolo evoluto? E perché Han conosce la loro lingua e gli Imperiali, no? Che sono, raccomandati?). 
La verità è che, complessivamente, 'sto film sembra un compitino svolto senza amore:  in cui tutto più o meno si incastra, ma in modo meccanico, senza sentimento e senza emozione. 
Inutile.

lunedì 29 ottobre 2018

Semplice e divulgativo

GUIDA ALLA LETTERATURA DEGLI STATI UNITI


Più precisamente relativa agli anni 1945 – 2014, e, come tale, indispensabile, nel senso che è facile reperire una letteratura USA per gli anni precedenti, e per i classici in particolare, ma i tempi attuali sono di solito trascurati.
E quindi qui troviamo, in ordine alfabetico, Stephen King e Philip Roth, Alice Walker e Truman Capote, Raymond Carver e Kurt Vonnegut. Solo per fare qualche esempio...  
Di ciascuno ci vengono proposti (mediamente in sei pagine circa) poetica, chiave interpretativa, biografia, curiosità, tematiche ricorrenti e percorsi narrativi, in modo, come al solito (in riferimento alle guide Odoya), semplice e divulgativo, accattivante sotto il profilo grafico, ma critico e non superficiale, anzi, magari sarà persino possibile scoprire qualcosa di nuovo di autori di cui abbiamo letto tutto (benché non sempre è detto che condividiamo i relativi consigli di lettura), oltre, naturalmente, trovare nuovi spunti di lettura o di approfondimento. 
Inoltre, potrete, senza fatica e in modo quasi naturale, mettere un po' di sistematicità alle vostre pregresse conoscenze. 
In coda, approfondimenti storico-critici su Musica, Poesia e Teatro, in cui, più che ai singoli autori, si cerca di dare spazio alle correnti letterarie.
Della stessa serie ho comprato “Guida alla letteratura tedesca”, ma, per quel che ne so, non esiste un volume simile per la letteratura francese, inglese, spagnola o italiana... Per esempio. E, insomma, il mio auspicio è questo: che si rimedi! Perché il problema è lo stesso: tutti scrivono sui classici. Ma gli altri?
Grazie a chi vorrà provvedere.

venerdì 26 ottobre 2018

Sei romanzi in uno

IL PESO DEI SEGRETI
di Aki Shimazaki


Sei romanzi in uno, seppur la storia sia la stessa vissuta da punti di vista diversi, per cui ci sono elementi che si ripetono, ma anche sfumature che si aggiungono, fatti diversi che si incastrano e danno nuove risonanze a questioni che si credevano già conosciute... Alla lunga lo stratagemma potrebbe stancare, anche perché i singoli personaggi non sono fortemente caratterizzati, ma ciò non avviene perché si rimane comunque avvinti dalla trama e dalle sue screziature, dai suoi abissi. 
Un volume molto lieve, per quanto concerne fluidità, essenzialità e schiettezza, pacato nei toni, e quasi freddo, in certi passaggi, che possono parere superficiali, ma che, probabilmente, chiedono solo di essere ripercorsi con dignità e compostezza, come tipicamente preteso dalla mentalità giapponese, ma impegnativo e doloroso sotto il profilo storico ed emotivo. 
Non sono facili, infatti, le vicende narrate: né su piccola scala (saltano fuori abusi, tradimenti, amori frustrati, incesto, abbandono, lutto...), né su scala più ampia (parliamo della bomba di Nagasaki, ma anche del terremoto del 1923 in Giappone, nonché dei conflitti con la Corea) e forse solo grazie allo stile apparentemente asettico, ma elegante e delicato, riusciamo ad andare avanti. Perché se cedessimo al dramma, saremmo perduti.
Il testimone passa di generazione in generazione, e spesso ci lascia basiti, senza fiato, mentre ci addentriamo in un vortice di accadimenti che non ci vengono presentati in modo lineare, ma vanno arricchendosi man mano, come completando caselle che prima parevano invisibili, sino a formare un quadro avvincente, ma desolante e triste, sebbene non privo di riscatto.
Da leggere, ma non se si è in un momento di particolare fragilità.

giovedì 25 ottobre 2018

Dissacrante e cattivo come pochi

RICK & MORTY


Tre stagioni di puro, spaziale, frenetico divertimento per un totale di 31 strepitosi episodi!
Cartone Animato vietato ai minori, dissacrante e cattivo come pochi, a metà fra “Ritorno al Futuro” e “Doctor Who”, con in mezzo una bella iniezione di demenzialità e due cucchiaioni di unpolitically correct e un pizzico di goduto splatter trucidello. In altre parole... un capolavoro!!!
A MPM non piace, lo trova sciocco, senza senso, ma, a mio avviso, è perché non lo sa guardare: intanto ci sono alcune trovatine a livello immaginifico che sono esplosive, citazioni fantascientifiche e non, pensate geniali, ammiccamenti dotti, e tocchi di classe magnifici. 
In secondo luogo... non ho mai visto qualcosa che fosse più coraggioso, graffiante e non disgustoso (sì, va be', qualche momento scatologico c'è, e Rick rutta di continuo, cosa abbastanza ributtante, ma rispetto a South Park, per dire, siamo tra signori), per giunta, sovente ingentilito da recrudescenze drammatiche o desolanti, che fanno cambiare registro e tono, sia pure per pochi istanti cruciali.
Rick, poi, è un personaggio incredibile, pieno di verve, di risorse, ma anche interessante sotto il profilo umano, perché proprio quando si rivela all'apice della sua grettezza, ecco che salta fuori un altro lato della sua personalità, quasi buono e generoso... In quanto a Morty, invece... Be', lui è uno stupido ragazzino imbranato, a volte dolce e sensibile, a volte decisamente no, ma come spalla del nonno genio è fantastico e i due insieme generano un'alchimia meravigliosa. E anche il resto della famiglia (padre, madre, sorella), con le sue debolezze e contraddizioni, è piuttosto riuscito. Per tacere, poi, delle trame: nonostante la mania citazionistica sono imprevedibili, originali e articolate, con continui squisiti ribaltamenti. E così la mitologia, che nel corso della serie va elaborandosi, alla base del Cartone Animato: fatto di multiversi, cambi di realtà e personaggi pittoreschi. 
Imperdibile.

mercoledì 24 ottobre 2018

Il comportamento screanzato di mio fratello

MALEDETTO DROIDE!
(LA LAUREA DEL RAGNO II)


Contraddirmi mi piace, quindi, anche se torno a casa ora, (20.58) dopo una dura giornata di lavoro (be', al mattino a Savona mi sono divertita... e un po' anche al pomeriggio, giacché ho delle brave colleghe), faccio esattamente il contrario di quel che ho riferito nel post di ieri, ovvero scrivo roba che verrà pubblicata immediatamente... Per spirito di contraddizione, appunto, ma anche perché urge denunziare il comportamento screanzato del mio fratello più malvagio e sadico: l'Androide!
Ebbene, ecco che cosa è accaduto. 
La sera del 22, il giorno prima della fatidica Laurea del Ragno, avevo chiamato il cucciolo per fargli gli “in bocca al lupo”. Lui aveva risposto di essere un po' agitato: che se si ripeteva il discorso da solo lo sapeva benissimo, ma, anche solo davanti a Mater, risultava invece impacciato e si impappinava. Liquidata la cosa come normale e non preoccupante, io lo avevo incoraggiato, archiviando mentalmente la faccenda come trascurabile.
Il giorno seguente, come ho già spiegato, non ho potuto presenziare alla cerimonia a causa di impegni lavorativi. Il cucciolo, peraltro, precisando che sarebbe passato al più tardi entro le 10,30, mi aveva assicurato che appena finito mi avrebbe telefonato. 
Alle 10.34 non avevo ancora notizie, quindi ho inviato un messaggio ad Androide per ricevere informazioni. 
Il malefico fratello, ha risposto, lapidario come al solito: - E' andato nel panico e lo han segato.
Ecchecavolo! Naturalmente ho pensato ad uno scherzo (il Droide è lo stesso che, quando mia nonna ultranovantenne gli chiedeva se aveva la ragazza, rispondeva sorridendo di preferire le prostitute), così ho scritto: - Non è vero, non dire scemenze. E poi: – Allora? E di nuovo: - Maledetto Droide! Seguito da un più imperioso: – Dimmi qualcosa, svergognato!
Droide, dopo avermi fatto opportunamente attendere, ha ribadito: - E' vero, lo stiamo consolando.
Si consideri che nel frattempo io avevo già scritto al Ragno, alla Zia Ella, a mio cugino, a Babbo Natale... E che nessuno mi rispondeva.
Io ho comunque insistito: - Piantala, infame, dimmi come va! Non segano alla Laurea!
Droide: - Ha fatto scena muta.
Io: - Non ci credo – E comunque alla Laurea non segano.
Ma il tarlo del dubbio ormai aveva cominciato a strisciare subdolo dentro di me, assumendo contorni spaventosi. Pensavo all'agitazione del Ragno la sera prima. Pensavo che a Giurisprudenza anni prima uno era stato effettivamente cacciato il giorno della Laurea, accusato di aver copiato la tesi dalla sua stessa Relatrice. Pensavo che magari rispetto ai miei tempi le cose potevano essere cambiate. My God!
Droide ha rincarato la dose: - Lui lo hanno segato.
Io, mezza impanicata, ho insistito: - Eddai, sono in Tribunale... E poi: - Non posso manco telefonare che sono in udienza, tra poco chiamano il mio processo. - Avanti, maledetto! - Com'è andata? 
Silenzio. 
Non solo dal Droide, da parte di tutti. 
Niente messaggi, niente notizie.
Niente di niente.
Ho cominciato a sudare freddo. 
Ho immaginato il piccolo angosciato e tremante, senza la sua adorata sorellina al fianco (poco importava ci fossero altre 29 persone, mica erano me). 
Nessuna risposta.
Nessun fiato. 
Fino a che lo spietato Androide, al culmine della sua crudeltà, ha aggiunto: - Dovevi venire per saperlo. 
E, finalmente, ha confessato. Che il piccolo ce l'ha fatta. Che è stato bravissimo. Che ha preso un bel voto. 
Certo, intanto erano trascorsi venti minuti.
Gesù.
Maledetto Droide!!!

martedì 23 ottobre 2018

Dottor Ragno e sorella Otta

LA LAUREA DEL RAGNO


Oggi, ore 9.30 circa. La Magistrale in Economia e Commercio. 
E bravo il mio cucciolo (d'ora in poi Dottor Ragno)!
Quello che mi dispiace è che io, ovviamente, me la perderò (come ho già ribadito, scrivo i post con lauto anticipo, non in tempo “reale”) causa rogne lavorative (e il bello è che il giorno doveva essere il 16 o il 18 e per quelle date c'ero senza problemi, ma poi, dannazione, l'hanno invece fissata per il 23).
Era stato così anche per la Triennale – seppur con motivazioni diverse – ma quella, per quanto mi riguarda, vale come il due di picche, quindi non mi ero rammaricata più di tanto. Questa volta, sì, che diamine! 
Ed è buffo, perché la mia, invece, non l'avevo festeggiata... E così nessuno dei miei amici. Peraltro, noi l'avevamo vissuta come un'ovvia formalità necessaria per andare avanti con il nostro percorso lavorativo, senza romanticismo e senza pathos, non come un traguardo esistenziale. Ma se è il tuo fratellino, tanto più piccolo di te, la faccenda cambia, perché l'hai visto crescere da capo e un po' sei cresciuta con lui. 
E poi il cucciolo mi ha dedicato la tesi... A me e a Mater.
Certo, se andiamo a vedere, solo perché non ci siamo rifiutate di leggerla (però si consideri che un elaborato in Economia è una delle cose più pallose dell'universo)... Per giunta, il mostriciattolo, ha scritto: “Alla mia dolce sorella Otta e alla mia cara Mamma”. Ebbene, questo è sarcasmo, nemmeno troppo velato, con un tocco nerd.
“Dolce sorella” è come Tyrion Lannister chiama sua sorella, la Regina Cercei, ne “Il Trono di Spade”. E com'è noto i due si odiano a morte, anzi, letteralmente, Cercei ha messo una taglia sulla testa di Tyrion. 
So che il Ragno non mi odia (del resto, io mica voglio decapitarlo), ma quando mi chiama così, “dolce sorella”, ha sempre un sorrisetto malefico.
“Cara Mamma”, invece, fa il verso a “Mammina Cara”, il film del 1981, ispirato alla vita di Joan Crawford, che, a giudicare da quanto ne dice la figlia Christina, possiamo tranquillamente annoverare tra le madri peggiori della storia mondiale. 
E allora perché mi esalto tanto per 'sta dedica?
Perché il Ragno è proprio mio fratello. Più mio fratello di tutti (nel senso che con Androide e Chiccachu, per quanto siamo più vicini per età, i punti in comune non sono tantissimi).
E poi perché ci sono i ringraziamenti, che sono stupendi: “Dico grazie alla Otta, la quale, fin da quando ero piccolo, cerca continuamente di allargare la mia cultura generale, in particolare letteraria e cinematografica, a volte perfino riuscendoci”.  
Insomma, sono molto contenta per il mio pargolo. E molto orgogliosa.
Congratulazioni!!!

P.S.
Io nella mia tesi non avevo fatto né dedica né ringraziamenti. Ma se ci ripenso ora penso che avrei potuto scrivere una roba tipo: “Dedico la mia tesi a Dio. Ma sono agnostica.”

lunedì 22 ottobre 2018

Una lezione da imparare

CICALA
di Shaun Taun


Lo so, di primo acchito sembra un libro illustrato per infanti, con pochissime scritte e disegni bellissimi.
E le scritte sono pure essenziali e volutamente un po' sgrammaticate.
Ma non fatevi ingannare, questa non è una storia per bambini.
È una storia per adulti, invece, con echi kafkiani, che inizialmente ti squaglia il cuore dalla tenerezza. O fantozziani, se si preferisce. Ma sfrondati del grottesco e incrementati della poesia. 
Incrementati esponenzialmente della poesia.
E per la poesia non servono tante parole. E pure la grammatica è superflua.
E sia va avanti, e ci viene il magone, sempre più pesante.
E poi si arriva alla fine...
E qui Fantozzi non c'entra più, tanto meno Kafka. 
E nemmeno le parole, in fondo, servono ancora.
E proprio quando credevamo che il nostro cuore si sarebbe spaccato in due, arrivano bellezza incommensurabile e ironia e felicità allo stato puro.
E una lezione da imparare, se vogliamo.
Una lezione preziosa, simpatica, divertente, fatta di colori e di vita, di riflessioni profonde, di ribaltamenti, di ingegno e di grande saggezza. 
Che ci farà riflettere e rimarrà a lungo nell'aria.
Molto più a lungo del tempo che avremo impiegato per leggerla.
Anche se, a quel punto è probabile che vorremo ricominciare da capo.
E forse questa volta, arrivati alla fine, ci limiteremo alla contemplazione, mentre il nostro animo sboccerà e si fa leggero, spiccando il volo e inebriandosi di meraviglia, pervaso da una nuova stupenda consapevolezza.
Tok! Tok! Tok!
Sublime.

venerdì 19 ottobre 2018

Un coniglio, una missione

PACO E LE PANTOFOLE


Da sempre il nostro cucciolo ha un rapporto conflittuale con le pantofole. 
A quelle di MPM – a forma di cagnolino – ha cavato gli occhi, staccato il naso, e ogni tanto le stupra. 
Altre volte ama sdraiarcisi in mezzo, come un pascià fra le sue concubine. Altre se le trascina in qualche punto della casa, così, per il gusto di farlo.
Con le mie, però, le cose vanno peggio.
Sono nere, come Paco. E, come MPM ripete sovente, paiono fabbricate con il pelo dei suoi fratelli.
Non è così, ovviamente.
E non sono nemmeno pantofole di coniglio (ci mancherebbe).
Però... quando Paco ci si piazza in mezzo non si distinguono le pantofole da lui.
Sembra che io abbia tre piedi.
Non so che cosa ne pensi il piccolo, ma la sua missione è palese: demolirle. 
Oh, sì.
A volte con le mie estremità dentro.
Anzi, c'è più gusto in quel caso.
Le morde con rabbia e strappa via brandelli di pelo, come se azzannasse un rivale. Se provo a spostare il piede, lui lo insegue e il morso successivo è più cattivo ancora. Altre volte le graffia e poi ci si avventa contro con fare assassino.
Insomma, per farla breve, fino qualche settimana fa avevo delle bellissime pantofole nere, molto comode e calde.
Ora ho due cosette spelacchiate, che sembrano reduci da un film dell'orrore.
Per ciabatte.
Paco, dal canto suo, le sta guardando con un misto di lubricità e sadismo.
Non so quanto dureranno ancora.
Ma se potessero chiederebbero asilo politico in qualunque altra casa.

giovedì 18 ottobre 2018

Attraverso una boccia di vetro

LA QUINTA ONDA – IL MARE INFINITO
di Rick Yancey


Secondo tomo della trilogia, decisamente meno interessante del primo. 
Passata la novità, minore l'approfondimento dei personaggi – nonostante si aggiungano altre soggettive, e in particolare quella di Ringer – il volume si fa ripetitivo e noioso, senza mordente, percorso dalla volontà di trascinarsi per inerzia. Nemmeno i momenti drammatici disseminati lungo il percorso aiutano a ridestare l'interesse sopito, tanto meno i perfidi alieni. E si avvertono impietosamente tutti i limiti della letteratura Young Adult, specie se, come me, non si è più Young.
Lo so, i secondi volumi spesso sono quelli di passaggio, la cui funzione è soprattutto preparare la scena per quella che sarà la conclusione. E non posso affermare che non accada nulla, può darsi, quindi, che la faccenda nell'ultimo volume si risollevi. Vi saprò dire. Ma il punto è che non ho tutta sta voglia di leggere la fine.
Lo stile è scorrevole, seppur meno ironico, ma ho faticato a finire questo romanzo, che, devo dirlo, un po' mi ha sfiancata. È che l'impressione generale, tra una paturnia e una riflessione, tra un'ipotesi e una congettura, è che non succeda niente. Ma non è così, lo ribadisco. 
Seguiamo il flusso di coscienza dei protagonisti, e l'azione non manca, per quanto abbia uno spazio minore che nel primo tomo, ma il punto è che non ci importa veramente di nessuno, per cui, anche se i nostri sono in pericolo o dovremmo temere per la loro vita, ci sentiamo, in generale, abbastanza indifferenti al loro destino. Come se, anziché partecipare delle loro emozioni, li guardassimo attraverso una boccia di vetro. Le varie voci, poi, ci sembrano indistinte, tutte uguali. Quasi che a caratterizzarle fossero solo fattori esterni e casuali e non connotazioni precise.
E, in ultimo, ci voleva tanto ad individuare il narratore già ad inizio capitolo? Anche solo spendendone il nome, al posto del titolo? 
Non si arriva a fare confusione, ma un po' questo sistema fa perdere dettagli.
Nemmeno il titolo mi piace.
Ci aggiorneremo con “L'ultima Stella”. 
Ma non a breve.

mercoledì 17 ottobre 2018

Lo scandalo e il disgusto

RAW – UNA CRUDA VERITA'
di Julia Ducournau
(2016)


O, in alternativa, come una pellicola mi si è ritorta contro. 
Mea culpa.
Intanto perché l'ho pescata da un video su You Tube, nel quale mi sono imbattuta per caso, in cui si segnalavano 10 film che avevano suscitato lo scandalo e il disgusto degli spettatori, sino ad indurli a stare male o a precipitarsi fuori dalla sala. Dal momento che alcuni dei controversi successi elencati mi sono piaciuti molto – Madre! - e  altri comunque rientrano nella mia lista di roba da guardare – Antichrist – non ho potuto non appuntarmi l'unico di cui non avevo mai sentito parlare e che mi sembrava perfetto per torturare un po' e amorosamente il MPM, vegetariano e amante dei conigli.
La trama, infatti, parla di una studentessa di veterinaria vegetariana, obbligata, in uno di quegli stupidi riti iniziatici universitari, a mangiare un rene di coniglio crudo... Da tale momento inizierà a sentire la necessità di nutrirsi di carne umana, diventando una tormentata cannibale.
Ebbene, come dicevo la pellicola mi si è ritorta contro. 
Perché MPM ha patito, fino a minacciare il divorzio, e io ho patito altrettanto, se non di più.
Non per i maltrattamenti (finti) agli animali.
Per tutto.
Il film è coraggioso e originale, senza filtri e senza remore, ma seriamente malsano e mi ha disturbata parecchio, tanto che mi sforzavo, durante la visione, di distrarmi con altre occupazioni perché proprio non ce la facevo a guardare. 
Non fa paura, è solo trucido e triste, con qualche raptus di cattiveria ad inasprirlo un po'. Una delle ultima scene, in particolare – senza fare spoiler, diciamo quella del risveglio – mi ha scioccata. Non tanto per la cruenta brutalità, quanto per il dolore, il disagio e la disperazione.
In effetti, se devo dare un giudizio “tecnico”, questo non può essere negativo. Nonostante il finalino ad effetto un po' banale (che comunque non arriva ad inficiare la storia), nel complesso la sceneggiatura regge. È feroce, ma non priva di approfondimenti psicologici, di sfaccettature, di contestualizzazione, di risvolti non meramente fini a se stessi che possono essere forieri di discussioni stimolanti. È il carico di desolazione che fatico a sostenere, la solitudine, l'isolamento emotivo.
Perciò, ecco: il film è notevole, interessante, audace, e sfrutta punti di vista inediti. Ma non mi sento di consigliarlo.
Nemmeno agli stomaci forti.
Perché... beh, perché fa troppo male e soffoca ogni spiraglio di luce.

martedì 16 ottobre 2018

Un intimismo pacato e dolce

MI CHIAMO LUCY BARTON
di Elizabeth Strout


Forse il romanzo più bello che ho letto fino ad ora della Strout.
Per lo stile, soprattutto, che va subito al nocciolo, e racconta, in modo non lineare, ma diretto e colloquiale, della vita di Lucy Barton, del rapporto con sua madre, della sua giovinezza, del marito e della famiglia...
E ti sembra di raccogliere le confidenze di un'amica, una sincera e spontanea, che non  lesina sulla verità e ti rivela tutto, ma con delicatezza, con voce quieta e sommessa, lievemente distaccata, analizzando se stessa e le persone che la circondano, le situazioni e gli stati d'animo, sempre riuscendo, con pochi tratti sintetici – ma tutt'altro che scabri – a delineare quadri complessi, profondi, fatti di perspicacia e sensibilità, che vanno oltre quel che viene raccontato.
La storia cattura da subito, avvince, e si alligna nel filone tipico della Strout, fatto di quotidianità e dell'incedere inesorabile del tempo, senza che accadano, magari, cose eclatanti di per sè, pur essendole, strictu sensu, tutte quante, per chi ne è protagonista, non solo perché lo riguardano in prima persona, ma in quanto contribuiscono a definire lui (lei) e il mondo cui appartiene.
Rispetto al consueto, inoltre, noto una maggior scorrevolezza, una maggior semplicità, che presto si traduce in un intimismo più spiccato, pacato e dolce, che conquista, in primis sul piano umano. Anche il fatto che sia un romanzo particolarmente breve, finisce per essere una scelta vincente.
E il bello è che a leggere la sinossi mi ero detta “questo no... non mi attrae l'argomento, il rapporto madre e figlia”. 
Per fortuna che Gian me lo ha regalato! Grazie.

lunedì 15 ottobre 2018

Il troppo stroppia

INSATIABLE


Serie Tv in dodici episodi, politicamente scorretta, amorale e gratuita, ma così tanto che ha scatenato un sacco di proteste che ne hanno determinato la cancellazione.
In realtà, a dispetto della protagonista malvagia, la Serie parte alla grande, rivelandosi demenziale al punto giusto, simpatica, effervescente, ma anche spassosamente graffiante e opportunamente dissacrante, con molte idee fuori dagli schemi narrativi e di comportamento.
Il problema è nel prosieguo...
Perché se all'inizio i personaggi esageratamente sopra le righe ci paiono simpatici e ben caratterizzati, e siamo disposti ad amarli esattamente come sono, se il grottesco ci sembra accettabile e così il livello di assurdità oltre il limite, ad un certo punto il telefilm parte completamente per la tangente senza più ritrovare la bussola e virando sullo squallido. Non ci si fa mancare niente: dagli strambi triangoli amorosi agli esorcismi, solo che... il troppo stroppia. 
E pazienza per qualche momento di calo di tensione a metà serie. E pazienza se Patty, la protagonista, è sempre più ingiustificabile e odiosa. Quello che non riusciamo a digerire, nonostante il politicamente scorretto ci piaccia da matti, è la perdita di coerenza narrativa, la mancanza di equilibrio, che trasforma l'ironia e la satira in un guazzabuglio di boiate fracassone. 
E non so se l'intento sia stupire a tutti i costi o se, semplicemente, ad un certo punto si sia smarrita la capacità di tirare il freno. Ma quel che prima pareva ardito e anticonvenzionale, ad un certo punto diventa frusto e, nel tentativo affannoso di rimanere in piedi, comincia ad ammassare eccessi, a fare e a disfare, e diviene stucchevole, trito, noioso oltre a sfidare sempre più spesso il buongusto e il buon senso.
Non dico di non dargli una possibilità. Solo di non farsi illusioni.

venerdì 12 ottobre 2018

Convenzioni e buone maniere

LO SCHIAFFO
di Christos Tsiolkas


Due sono i motivi di interesse principali: la vertigine della scrittura – gastrica, persino rude, talvolta, ma incisiva, particolareggiata e fluida – e la capacità di costruire una storia stratificata e complessa attorno ad un evento da nulla, che, effettivamente, assume proporzioni gigantesche.
Lo schiaffo, infatti, è quello che viene dato ad un bambino diverso dal proprio figlio da un altro genitore esasperato dal comportamento del viziatissimo infante in occasione di una festa in giardino.
Quella che ne segue è una questione di stato che, a cascata, fa crollare tutti i birilli: famiglie perfette, che sono in realtà ben lungi dall'esserlo, disfunzionalità sociali e personali, meschinità e problemi sepolti sotto un mare di convenzioni e buone maniere, la difficoltà di essere adolescenti, la difficoltà di non esserlo più, delle promesse infrante, delle speranze naufragate, della routine, che ammanta la felicità di una patina grigia, fino a che essa non è più felicità e che ci rende incapaci di apprezzarla...
Un romanzo che indaga la psicologia dei suoi personaggi in modo capillare e profondo, che scava fino all'osso le dinamiche familiari e amicali, cogliendone molti aspetti emblematici, che scatena discussioni e ragionamenti, e che sicuramente, oltre a tutto ciò, è anche piacevole da leggere, nonostante l'amarezza e l'indignazione che spesso provoca – volutamente – nel lettore, come a pungolarlo. 
Da esso è stata tratta la Serie Tv “The Slap” (si veda post 19 aprile 2018), che solo in parte – mi riferisco al remake americano, non avendo visto la versione originale australiana – riesce a ricalcare la complessità del romanzo, tagliando, modificando e semplificando – anche sul piano concettuale, ad esempio smussando le differenze sociali dei protagonisti – troppi punti salienti dell'opera di Tsiolkas, fino ad approdare, in molti casi, persino ad una conclusione differente.
L'augurio è che lo leggano 'ste madri psicopatiche e insicure che allevano i figli oggi: quelle che se la maestra sgrida i pargoli che hanno tirato i capelli alla compagna  devono precipitarsi a rimproverare la maestra, perché: “come si è permessa?”.

giovedì 11 ottobre 2018

Una trama che resta

NUVOLE DI FANGO
di Inge Schilperoord


Ne consiglio la lettura a chiunque voglia qualcosa di più di un libro da leggere, ma desideri una trama che resta, che smuove le acque e lo spirito. 
Di solito non faccio riassunti, ma qui la storia è talmente peculiare che si rende necessario un accenno: Jonathan è un pedofilo, scarcerato perché le prove a suo carico sono risultate inquinate, ma colpevole di aver abusato una bambina. Tuttavia Jonathan è deciso a rigare dritto, a rimettersi in carreggiata. Torna dunque a vivere dalla madre e decide di occuparsi di lei e del suo vecchio cane, Milk. Solo che anche la piccola vicina di casa, Elke, da sempre afflitta dalla solitudine, richiede costantemente le sue attenzioni e invoca la sua amicizia... 
Nonostante le tematiche impegnative il romanzo non è pesante come si potrebbe temere, nemmeno a livello emotivo, risultando prevalenti il fascino letterario e la pacatezza dei toni, dimostrandosi, in definitiva, soprattutto analitico, puntuale e ben scritto. 
Certo, per tutto il tempo non fai che paventare un finale terribile. 
E arriva, infatti. 
Ma non nei termini in cui potresti aspettarti. Ed è proprio questa imprevedibilità circolare a dare un tono in più all'opera, a renderla non solo scottante e desolata, ma altresì geniale. Perché in qualche modo ti offre una prospettiva nuova, che ti porta ad immedesimarti in ciò che non credevi possibile, e che ritenevi – forte della tua realtà in bianco e nero – mostruoso e disumano, e che invece, ahimè, emerge essere  umanissimo, tragico e quasi incolpevole, pur restando assolutamente nei confini della tua prima definizione. 
Solo che poi giungiamo alla fine, appunto, e la prospettiva viene ribaltata di nuovo, con un abile colpo di coda. E allora, anziché continuare a puntare il dito, finiamo per sospirare e mettercelo in tasca. Perché non sappiamo più che cosa dire. E, finalmente, scopriamo di preferir riflettere e rielaborare. 
Chapeau!

mercoledì 10 ottobre 2018

Quando il destino si rivolta

ANNA DAI CAPELLI ROSSI – LA BAIA DELLA FELICITÀ
di Lucy M. Montgomery


Dove finalmente Gilbert e Anna si sposano e vanno a vivere felici e contenti nella loro casetta dei sogni, lontano da Avonlea, e dove conoscono tanti nuovi incantevoli personaggi con le loro manie e le loro criticità, benché Marilla, Davy e la Signora Lindt ogni tanto facciano capolino nella loro quotidianità.
...E proprio quando stai per infilarti un dito in gola per l'eccesso di stucchevolezza, ZACK, che il destino si rivolta e arriva anche un po' di cruda realtà.
Nel complesso il romanzo è gradevole, ma, per quel che mi riguarda, siamo ben lontani dalla favolosa eccentricità che emanava Anna bambina. Indubbiamente resta una ragazza eccezionale, ma da lei mi aspettavo qualcosa di più (e così Gilbert, oso affermare) che ridursi a fare la moglie del Dottore. Inoltre si accusa la mancanza dei vecchi comprimari: quelli nuovi sono simpatici, ma non siamo affezionati a loro, né realmente entusiasti all'idea di frequentarli, per giunta le storie di tragica infelicità, miracolosamente risolte dalla presenza della nostra eroina, cominciano a stancarci, e paiono un modulo che si ripete.
E si va avanti, dunque, tra descrizioni mielose e ridondanti e bizzarrie forse troppo calcate. E tutto scorre abbastanza prevedibile (persino la morte, non priva, nonostante tutto, di scopo e significato narrativo, per quanto si presenti un po' improvvisa un po' gratuita), mentre ogni tanto si affaccia la noia e l'eccesso di zucchero ci provochi dolori di stomaco e carie ai denti.
Forse sono troppo severa. Forse dovrei porre l'accento su altri pregi del romanzo.
Ma, se devo dirla onestamente, sto andando avanti per inerzia e per nerditudine, ma mi pare che, ormai, la saga di Anna si sia un po' usurata.
Ci rivedremo comunque con “La Grande Casa”.

martedì 9 ottobre 2018

Ballare sul filo del rasoio

UNSANE
di Steven Soderbergh
(2018)


A metà tra thriller e horror, devo riconoscere che mi ha abbastanza colpita e parecchio disturbata, soprattutto perché passa da essere un film di genere ricco di pregi formali ad una pellicola originale, con una trama che sbilancia e sorprende, oltre ad osare più di quanto mi aspettassi, capace di toccare temi attuali e spinosi, risolvendoli in modo anticonvenzionale e non del tutto politicamente corretto.
Certamente molto dipende altresì dalla protagonista (interpretata dall'ottima Claire Foy), che risulta convincente, ma anche antipatica, fredda e spietata al punto giusto. Anzi, forse persino un paio di punti più in là.
È proprio attorno a lei che si costruisce la nostra sorpresa.
Per quanto è distaccata e anafettiva all'inizio, per come ci sembra vittima di un sistema assurdo poi, fino a farci dedurre che è pazza – comprensibilmente, visto anche il meccanismo malato in cui rimane incastrata – per poi farci cambiare idea, e quindi, quando cominciamo a tifare per lei, a ingenerarci nuove perplessità.
Ed è splendido questo filo di rasoio su cui balliamo. E ancora più splendido quando la lama recide ogni nostra certezza, facendoci capire da che parte stare... Nonostante, dati certi comportamenti, siamo sempre dibattuti tra l'ammirazione e la repulsione.
Non riusciamo ad affezionarci alla protagonista, e nemmeno ad empatizzare con lei. Eppure non possiamo che scusarla, che sforzarci di comprenderla. Anche quando ci viene voglia di strozzarla e quasi pensiamo che si meriti tutto.
Un film di intrattenimento realizzato con maggior attenzione registica del solito, qualche bel passaggio lisergico, alienante q.b., che non può non rimanere impresso.
Girato con l'I-phone?
Sì, ma non è necessariamente un punto a sfavore, nel senso che l'autore riesce comunque ad imprimere alla pellicola una personalità artistica e algida, evidentemente ricercata ed in linea con gli umori e le atmosfere gelide ed estranianti della trama.

P.S.
Nel cast figura anche Matt Damon... In una parte che non ci si aspetterebbe, ma che si rivela azzeccatissima. Proprio nella misura in cui non la è.

lunedì 8 ottobre 2018

Una partitura ariosa

L'ETA' DELL'ORO
di Cyril Pedrosa e Roxanne Moreil


Sontuoso. 
Con tavole enormi, una partitura ariosa e libera, senza vincoli, disegni accurati e spigolosi, che occhieggiano alle miniature, e colori pazzeschi, che paiono negativi, intrisi della stessa poesia.
Ma pure i contenuti sono validi: dialoghi fluidi, genuini, di una scorrevolezza ispirata, che guida le pagine una dietro l'altra, come un fiume impetuoso, sino alla fine, senza pause, se non quelle imposte dal ritmo stesso del racconto.
Solo che la fine non è il termine, ma la conclusione del primo volume.
Quindi, non possiamo dire più di tanto sulla trama, non sappiamo in che modo si evolverà, ma di sicuro al momento si presenta come promettente e ben strutturata, a cui, man mano si va avanti, si aggiungono nuovi elementi di base ad introdurre sottofiloni, suscettibili di esaurirsi in poche vignette come di aprire le porte a complicazioni notevoli, intrecciandosi tra loro.
Per il resto, la storia è avventurosa, classica sotto certi versi (questioni ereditarie, tradimenti, fughe romanzesche), innovativa sotto altri (l'opera è dotata di un'anima femminista e progressista, a tratti quasi politicizzata), a dispetto dell'ambientazione medioevale. 
Altra qualità vincente è data dai personaggi: non sono mai solo ciò che appaiono. Al di là dei colpi di scena e degli apparenti stereotipi, è soprattutto la costruzione graduale del loro carattere, fatta di affermazioni, smentite e puntualizzazioni, a rivelarsi interessante, tanto più che conferisce loro spessore, senza farli apparire come meri interpreti di un ruolo precostituito (la principessa, il cavaliere, la madre...).
È ancora presto per azzardare pronostici – tra l'altro non so quanti siano i volumi in previsione – ma le premesse sono ottime, mentre i disegni di Pedrosa da soli valgono senz'altro l'acquisto.

venerdì 5 ottobre 2018

La gelosia delle fanciulle tradite

L'INGANNO
di Thomas Cullinan


Da restarci stecchiti. 
Inizia come il più innocuo dei romanzi, quasi il sogno di ogni uomo: rinchiuso in un collegio femminile, con deliziose fanciulle che si contendono la sua attenzione, che si prodigano in riguardi e coccole e si prendono cura di lui.
E' quel che accade al soldato John McBurney, giovane e carino, benché schierato dalla parte del nemico, quando viene ferito nel corso della Guerra di Secessione e salvato dalle belle ragazze del Sud. E va tutto alla grande, tra canzoni e manicaretti, fino a che... 
Fino a che il rosa si tinge di rosso e non si scatena la gelosia a causa della propensione del nostro eroe a tenere il piede in più scarpe.
E le fanciulle, tradite, decidono di vendicarsi.
No, davvero, Annie Wilkes al confronto è una dilettante. Anche perché il romanzo di Cullinan è di parecchio precedente a “Misery” di Stephen King e quindi merita la palma dell'originalità. E poi qui non siamo al cospetto di una maniaca frustrata, ma di innocenti ragazzine, più tre adulte, con la testolina piena di sogni, paure e buoni propositi. Tanto per rendere il tutto un poco più agghiacciante.
Interessante anche la narrazione: le ragazze si alternano offrendoci il loro punto di vista, rivelandoci retroscena e dettagli sempre diversi, mentre la tensione a poco a poco sale, dando corpo ad un thriller intimo, venato di romanticismo, ma annichilente.
Da questo romanzo è stato tratto (con qualche libertà) l'omonimo film del 2017 di Sofia Coppola e, ancora prima (nel 1971) “La notte brava del soldato Jonathan”, diretto da Don Siegel (con il superfigo Clint Eastwood al posto del poco carismatico  Colin Farrell).

giovedì 4 ottobre 2018

Poco amore per il genere

DISINCANTO


La nuova serie a Cartoni Animati di Matt Groening. In teoria, sulla scia di Futurama, ma in versione fantasy venata di horror. In pratica no.
Perché, anche se a me, tutto sommato, non è parsa malaccio, siamo comunque ben lontani dai fasti e dall'imprevedibilità di Futurama. Le ragioni principali sono due: i personaggi che non spaccano (giusto il demone gatto si salvicchia, ma a stento) e il poco amore per il genere: Futurama dileggiava la fantascienza nella stessa misura in cui la amava, qui pare che non ci sia un'equivalente conoscenza/passione per il fantasy.  
Altra novità della serie avrebbe dovuto essere la trama orizzontale: non episodi autoconclusivi, dunque, ma un po' di continuity... Che però, nella fattispecie, è piuttosto fiacca: c'è la stessa idiotissima scena ripetuta quasi ogni puntata. Punto. Che, nella prima stagione, non va a parare da nessuna parte, non si sviluppa...
Al di là di ciò, tra i lamenti scoraggiati di MPM, per quanto gli riconosca che pure la parte comedy sia un po' carente, a me Disincanto non è dispiaciuto.
I disegni sono quelli alla Groening, impreziositi da vertiginose panoramiche, la colonna sonora è incalzante e simpatica (ed in effetti questa a mon amour è piaciuta), e, benché non facciano sbellicare, le scenette e le trovate spesso sono carine, anche se raramente hanno il coraggio di osare fino in fondo. Nel senso che sono dissacranti, sì, ma solo un pochino, e con educazione. 
Ad ogni modo, nonostante qualche momento stagnante, mi sono goduta le dieci puntate... ma, se fossero state di più, forse sarei stata meno benevola.

P.S.
E' pur vero che se avessi redatto questa recensione in agosto, prima di vedere Rick e Morty, probabilmente sarei stata assai più generosa.

mercoledì 3 ottobre 2018

Convinzione assassina e ostentato disprezzo

LA VENDETTA DEL CODICE FISCALE


Una vendettina piccina picciò, giusto per non soccombere allo spappolamento dell'anima a cui ti porta il dover sopportare certi soggetti quotidianamente.
In sostanza, una mia collega mi ha chiesto di ricevere con lei una cliente, in qualità di testimone, atteso che costei ha la tendenza a travisare la realtà.
Il problema è che io la tizia in questione proprio non la sopporto: è maleducata, sgarbata e arrogante come pochi, sgradevolissima, e, personalmente, a mordermi la lingua non sono mai stata brava. In effetti, sbuffo quasi ogni volta che viene nominata. Che non ci sia o che sia invece fisicamente presente.
La mia collega dice che non importa: mi chiede di presenziare, non di essere paziente.
Ah, be'... allora.
Allora mi diverto. 
Si badi che io la cliente in questione la conosco da un annetto circa, e non la tollero dal primo giorno. Apostrofa gli altri per cognome, senza titolo od ingentilimento di sorta, al massimo con un “ooooohh” davanti, ma definisce se stessa “signora”. Viene senza appuntamento, un giorno sì e l'altro pure, pretendendo sempre di essere ricevuta immediatamente. Una volta ha perso le sue chiavi nell'ingresso (in realtà le aveva lasciate a casa) e voleva che io (“la ragazza”!!!) passassi la scopa per cercarle (e non lo aveva manco chiesto a me, di passare la scopa: aveva parlato di me in terza persona, come se fossi stata trasparente). Ovviamente le avevo riso in faccia, rispondendole che “la ragazza” non passa la scopa a casa sua, figurarsi altrove e certamente non per lei. 
Questo tanto per contestualizzare: torniamo al ricevimento.
La mia collega mi chiede di farle lo spelling del codice fiscale della cliente.
Io lo faccio. 
Ma a modo mio e prima sogghigno. Quindi, inarcando un sopracciglio, declamo: “P di Piattola, F di Falsa, I di insopportabile, D di Dannosa, M di maleducata, N di Nociva”...
La mia povera collega, imbarazzatissima, non sa dove guardare.
Io abbaio le lettere con convinzione assassina e ostentato disprezzo.
La tizia, lì davanti, commenta: “Io di solito sento usare i nomi di città...”
La mia collega, che non sa più dove guardare, e forse temendo che risponda io, replica salomonica: “Ognuno ricorre a quel che trova più comodo...”
Io mi limito ad uno sguardo di spregio.
Ma spero che la prossima volta la mia collega chieda a qualcun'altro di ricevere con lei Miss Sgradevolezza.
Oppure, che, quantomeno, ci sia da fare lo spelling di qualcosa...

martedì 2 ottobre 2018

Un vero e proprio lenimento per l'anima

IL RICORDO DEI SOLI GEMELLI
di Laura Facollo


Il romanzo d'esordio di una fanciulla albenganese laureata in psicologia e con un talento speciale per le copertine: scritto come una poesia e assai ricercato a livello terminologico, è evocativo al massimo, con un lessico desueto, ma semplice, ed uno stile estremamente scorrevole, persino liquido, che è pura suggestione. 
In effetti, pare un sogno lucido, fatto di rifrazioni e movimenti tellurici dell'anima, e corrisponde ad un viaggio iniziatico che apre le porte della percezione, le espande, le amplifica, le sublima, interiorizzando il misticismo su cui si edifica.
È sicuramente un'opera spirituale, che arricchisce il lettore, trasmettendogli Amore. Amore cosmologico, universale, nel senso più ampio e meraviglioso, che ti fa sentire in pace con te stesso e con l'universo. Un vero e proprio lenimento per l'anima, malinconico, ma dolce, che confina con l'infinito. 
È statico, eppure dinamico, ed in perenne divenire. 
Al contempo è un libro estremamente colto, pieno di riferimenti, tanto che le pagine sono sostanzialmente divise in due: sopra il testo, e sotto le note, per comprendere  agevolmente i molteplici riferimenti (dall'Ermetismo al Re Giallo di Chambers, da Lovecraft ad Aleister Crowley, ma anche alla psicologia, a Isabella Santacroce, a  Richard Bach, alla mitologia e alla fisica quantistica...). 
Presso la Fumetteria Inkiostro di Alassio, è possibile, se si ha molta fortuna, imbattersi personalmente nell'autrice... o, anche se non si ha fortuna, comprare una sua copia autografata o commissionarle una dedica.
Con tanti auguri e la speranza di leggere presto qualcos'altro di suo.

lunedì 1 ottobre 2018

Le somme finali

LA PAZZA DELLA PORTA ACCANTO
di Alda Merini


Alda Merini, si sa, è la Poetessa dei Navigli, ma questa è un'opera in prosa che di Milano parla solo incidentalmente. Più che altro, infatti, l'autrice si concentra su se stessa e tira le somme finali. Somme tristi, intime, tra amori perduti e lunghe parentesi manicomiali, in parte frutto di una scelta deliberata, in parte imposte. Tuttavia il volume è piacevole da leggere, e scivola fluido come la poesia, anche quando non si coglie appieno il senso di quanto si sta narrando o quando quel senso ci addolora e ci turba. Peraltro, per rimediare al disorientamento dei ricordi di una vita non nostra, così soffusi e secchi da poter essere scambiati per metafora o per allegoria, è sufficiente cominciare dalla fine, ossia dall'intervista alla poetessa che c'è in coda al volume, e che ci spiegherà chi è Titano e chi Richard, per esempio, dandoci, se non una mappa, quanto meno le coordinate dei pensieri della Merini.
Pensieri profondi, dolenti, intessuti di sofferenza, ma anche pregni della bellezza della verità, della capacità di scendere fino in fondo a se stessi e poi riemergerne, se non felici, almeno più consapevoli, riottosi a qualsivoglia compromesso.
L'opera, in particolare, si suddivide in quattro sezioni: L'amore – per certi versi così libero e privo di riferimenti da fare male, per altri soprattutto un riflesso di sè e dell'essere carnalmente vivi –, il sequestro – ovviamente afferente alla permanenza in manicomio, con un prospettiva della realtà spesso rovesciata –, la famiglia e il dolore, ma non sono isole e i confini talvolta si slabbrano e gli argomenti si mescolano fra loro, riprendendosi, arricchendosi e corteggiandosi.
E' da anni che non rileggo le poesie della Merini. Questo libro mi ha fatto venire voglia di riscoprirle, ora che so tanto di più di lei.