LA PAZZA DELLA PORTA ACCANTO
di Alda Merini
Alda Merini, si sa, è la Poetessa dei Navigli, ma questa è un'opera in prosa che di Milano parla solo incidentalmente. Più che altro, infatti, l'autrice si concentra su se stessa e tira le somme finali. Somme tristi, intime, tra amori perduti e lunghe parentesi manicomiali, in parte frutto di una scelta deliberata, in parte imposte. Tuttavia il volume è piacevole da leggere, e scivola fluido come la poesia, anche quando non si coglie appieno il senso di quanto si sta narrando o quando quel senso ci addolora e ci turba. Peraltro, per rimediare al disorientamento dei ricordi di una vita non nostra, così soffusi e secchi da poter essere scambiati per metafora o per allegoria, è sufficiente cominciare dalla fine, ossia dall'intervista alla poetessa che c'è in coda al volume, e che ci spiegherà chi è Titano e chi Richard, per esempio, dandoci, se non una mappa, quanto meno le coordinate dei pensieri della Merini.
Pensieri profondi, dolenti, intessuti di sofferenza, ma anche pregni della bellezza della verità, della capacità di scendere fino in fondo a se stessi e poi riemergerne, se non felici, almeno più consapevoli, riottosi a qualsivoglia compromesso.
L'opera, in particolare, si suddivide in quattro sezioni: L'amore – per certi versi così libero e privo di riferimenti da fare male, per altri soprattutto un riflesso di sè e dell'essere carnalmente vivi –, il sequestro – ovviamente afferente alla permanenza in manicomio, con un prospettiva della realtà spesso rovesciata –, la famiglia e il dolore, ma non sono isole e i confini talvolta si slabbrano e gli argomenti si mescolano fra loro, riprendendosi, arricchendosi e corteggiandosi.
E' da anni che non rileggo le poesie della Merini. Questo libro mi ha fatto venire voglia di riscoprirle, ora che so tanto di più di lei.
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