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martedì 16 ottobre 2018

Un intimismo pacato e dolce

MI CHIAMO LUCY BARTON
di Elizabeth Strout


Forse il romanzo più bello che ho letto fino ad ora della Strout.
Per lo stile, soprattutto, che va subito al nocciolo, e racconta, in modo non lineare, ma diretto e colloquiale, della vita di Lucy Barton, del rapporto con sua madre, della sua giovinezza, del marito e della famiglia...
E ti sembra di raccogliere le confidenze di un'amica, una sincera e spontanea, che non  lesina sulla verità e ti rivela tutto, ma con delicatezza, con voce quieta e sommessa, lievemente distaccata, analizzando se stessa e le persone che la circondano, le situazioni e gli stati d'animo, sempre riuscendo, con pochi tratti sintetici – ma tutt'altro che scabri – a delineare quadri complessi, profondi, fatti di perspicacia e sensibilità, che vanno oltre quel che viene raccontato.
La storia cattura da subito, avvince, e si alligna nel filone tipico della Strout, fatto di quotidianità e dell'incedere inesorabile del tempo, senza che accadano, magari, cose eclatanti di per sè, pur essendole, strictu sensu, tutte quante, per chi ne è protagonista, non solo perché lo riguardano in prima persona, ma in quanto contribuiscono a definire lui (lei) e il mondo cui appartiene.
Rispetto al consueto, inoltre, noto una maggior scorrevolezza, una maggior semplicità, che presto si traduce in un intimismo più spiccato, pacato e dolce, che conquista, in primis sul piano umano. Anche il fatto che sia un romanzo particolarmente breve, finisce per essere una scelta vincente.
E il bello è che a leggere la sinossi mi ero detta “questo no... non mi attrae l'argomento, il rapporto madre e figlia”. 
Per fortuna che Gian me lo ha regalato! Grazie.

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