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venerdì 29 luglio 2016

Come può King permettere ciò?

LO STUPRO DI ROLAND


Ultimamente vengono diffuse in rete le prime immagini della versione cinematografica de “La Torre Nera” di Stephen King, il cui protagonista, Roland di Gilead, figlio di Steven, è il mio amore immaginario prediletto insieme a Sogno degli Eterni, alias Sandman di Neil Gaiman.
Nei romanzi Roland viene sostanzialmente descritto come un clone più figo e più tormentato di Clint Eastwood giovane, così come appariva negli western... In particolare si insiste sul suo sguardo freddo e sui suoi occhi azzurro ghiaccio...
Ora, com'è che l'attore scelto per interpretarlo è Idris Elba? Ci droghiamo? O abbiamo semplicemente i cuori a forma di salvadanaio? Come può King permettere ciò?
Sì, certo, Mr. Elba è un bell'omaccione, e in “Luther” l'ho anche apprezzato parecchio... Ma, sul serio, che c'entra con Roland? E' perché c'è una “r” nel nome?
No, perché, a parte l'ovvio, ossia che Mr. Elba è un tantinello troppo abbronzato, i due soggetti non collimano per niente!!!
Uno è una sorta di orsacchiottone tenero, muscoloso e gigante, con gli occhioni da cucciolo, che ti vien voglia di coccolare, dell'altro, affilato nell'arida pietra, è terrorizzante persino il sorriso, figuriamoci lo sguardo!!! Idris Elba trasmette umanità e calore, Roland è freddofreddofreddo!!!
Insomma, trattasi di una scelta scriteriata e criminale!
E dunque... perché?
Mon amour mi ha dato una spiegazione bizzarra che include James Bond e stupidi contratti hollywoodiani, ma io protesto! Urrà per 007-Elba!!! Alla fine l'unico che rispettava i canoni di Fleming era Daniel Craig, e un po' di rinnovamento sarebbe il benvenuto (anche se non capisco perché rinnovamento voglia sempre dire “colorazione”)... Ma Roland? E' cinematograficamente vergine, e non si può non rispettare quella che è la sua caratteristica più peculiare, e che per giunta ha altresì una forte valenza intrinseca! E' una bestemmia, e qui di certo non bastano un paio di lenti a contatto per rimediare (a meno che adesso non si pensi pure di farlo extraterrestre)! Roland non può essere interpretato da Idris Elba! No! E' tutto sbagliato e va in direzione opposta rispetto al suo stesso percorso di maturazione interiore!!! Piuttosto dategli un altro nome, fatene un altro pistolero che si muove negli stessi mondi!
Mi spiace, ma non è giusto: allo stupro! Allo stupro!
Piuttosto a Elba fate fare Babbo Natale o Elvis! O, perché no, Alice nel paese delle Meraviglie (tanto, a questo punto...)!
Santo Cielo, ci manca solo che la regia venga affidata a J. J. Abrams...

P.S.
Se non altro Matthew McConaughey nei panni dell'Uomo in Nero è perfetto. Ma non so se sarà sufficiente a non farmi boicottare sta bestemmia...


Sofferenza e dileggio.

giovedì 28 luglio 2016

La zombitudine come malattia

CONTAGIOUS – EPIDEMIA MORTALE
di Henry Hobson
(2015)


Film lento.
Eppure incisivo, commovente, di un’originalità spiazzante, che ti strazia e induce alla solidarietà e all’empatia.
Sempre a tema zombie, sì, ormai sono ovunque, ma questa volta la “zombitudine” viene trattata sotto un profilo differente, esistenziale, ovvero come una malattia. Si mettono in luce le sue implicazioni umane, dolorose, le si esaminano sotto profili che vano oltre l’orrore e la mera sopravvivenza.
Da un lato c’è il difficile percorso di chi si ammala (di norma per via di un morso), che sa di essere condannato, che vede il proprio corpo mutare, incancrenirsi, necrotizzare… processo che risulta ancora più destabilizzante se si è un’adolescente nel pieno della sua gioventù (e che continua a mettersi lo smalto sulle unghie nonostante teme che le si debba staccare il braccio marcescente).
Dall’altro c’è la sofferenza di chi resta. Amici, parenti, fratellini…
Dall’altro ancora la paura.
Di chi ti ama, e di chi non ti ama.
Di perderti, di vederti cambiare… Ma anche che tu ti avventi contro di lui e cerchi di mangiarlo. Perché sei una bomba ad orologeria, e lo sappiamo tutti.
E’ solo questione di quando esploderai.
E puoi esplodere all’improvviso.
Ciliegina sulla torta, l’ipocrisia del Governo e della società cosiddetta civile, con la quarantena obbligatoria e il cocktail mortale (e dolorosissimo) in luogo dell’eutanasia, laddove (il dottore lo suggerisce spesso) sarebbe più compassionevole un colpo di fucile in testa…
Ed è particolarmente significativo osservare Schwarzy, sia pur ormai anziano, nel ruolo del papà. Perché è impotente, come tutti, sebbene noi continuiamo ad aspettarci che spacchi il mondo e salvi sua figlia.
Ma sin dall’inizio sappiamo che non può, ed anzi la sua cieca ostinazione ci fa innervosire: in parte lo comprendiamo, ma ci sembra così egoista e miope da rasentare l’imbecillità, specie verso l’inevitabile epilogo.
I tempi sono tali che scandiscono i battiti del nostro cuore, e ogni tappa è fondamentale, aggiungendo una nuova dimensione all’intimismo e alla sofferenza.
Certo, chi si aspetta un action-movie, un picchipicchiaspaccaspacca, o anche soltanto un horror nudo e crudo, resterà deluso.
Niente azione, pochissimo splatter.
Ma chi semplicemente vuol vedere una pellicola intensa e intelligente sarà prossimo all’entusiasmo, nonostante la cocente tristezza.
Curiosità: il titolo originale è “Maggie”, il nome del personaggio della convincente Abigail Breslin. Ossia la figlia di Wade/Schwarzy.

Poetico.

mercoledì 27 luglio 2016

Una versione baby degli X-Men

LA CASA PER BAMBINI SPECIALI DI MISS PEREGRINE
di Ransom Riggs


Un romanzo con molti pregi, ma altrettanti difetti. Che ha il neo, soprattutto, di sembrar essere costruito attorno alle fotografie d’epoca, anziché di utilizzarle per abbellire il testo, e che, quindi, indulge in troppi momenti pretestuosi e gratuiti, invertendo quelle che dovrebbero essere le sue priorità (anzi le priorità di ogni romanzo che si rispetti).
Ma cominciamo dal principio.
L’aspetto del volume è eccezionale: suggestiva la copertina, eccelso l’effetto vintage, le pagine antichizzate, e ancora di più le foto d’epoca, che tuttavia trasmettono altresì (a me, almeno) un acuto senso di disagio, di morbosità artefatta e malata.
Pure lo spunto di base è notevole, con delle belle ambientazioni, e dei protagonisti affascinanti, nonostante gli eccessivi stereotipi di base (Enoch, il creatore di Homunculi, è stato l’unico a scuotermi un po’. Per via del suo insolito potere, ma anche per il brutto carattere).
C’è molto lirismo e molta dolcezza fra le pagine e lo stratagemma degli anelli temporali è fantastico!
Tuttavia talvolta i passaggi risultano troppo semplici, i colpi di scena prevedibili, i personaggi ovvi nelle loro determinazioni e sviluppi. Ma pazienza, è bello lasciarsi trasportare dalla corrente. E pazienza se i piccoli protagonisti sembrano una versione baby degli X-Men: sono carini, in alcuni casi persino simpatici, sebbene ci sia sempre un’atmosfera di desolazione in agguato, che comunque contribuisce alla bellezza della narrazione.
I cattivi, inoltre, o meglio le loro origini, sono già sentite, ma stuzzicanti.
No, la pecca maggiore, l’unica veramente grave, è data dalla carenza di ritmo.
La trama incuriosisce, ha una sua delicatezza, un suo lirismo di fondo, benché l’incanto dell’infanzia – che dovrebbe essere ai massimi gradi – si percepisce appena, e in modo tiepido.
Il problema è che la prosa dopo un po’ si affossa da sola, stagna, stanca.
Come se gli eventi si succedessero l’uno all’altro per inerzia, senza che siano stati calibrati in modo efficace, ma semplicemente vomitati sulla carta.
Statici, anche quando rappresentano il movimento.
Il punto è che l’autore non trasmette emozioni, te le racconta, ma senza mostrarle, riporta gli accadimenti e basta. Non ci tocca davvero. Ed abusa delle descrizioni.
E’ un vero peccato.

Ma giacché l’opera ha altre caratteristiche meritevoli, non mi lascerò scoraggiare ed andrò avanti con gli altri capitoli di questa trilogia…

martedì 26 luglio 2016

Un classico che non fa per me

IL GIORNO DELLA CIVETTA
di Leonardo Sciascia


Non so che farci, proprio non mi piace.
Lo so. È un classico, un capolavoro, non privo di una certa coloritura e connotato da un’enorme importanza sociale, significativo, illuminante, dai molteplici risvolti… ma io non lo digerisco.
Un po’ è l’argomento che non mi prende, la Mafia, l’omertà, etc., un po’ il genere, i gialli/polizieschi non mi attizzano proprio, un po’ lo stile dell’autore: frasi troppo lunghe, involute, spezzate, in cui mi perdo e soprattutto perdo interesse.
Nemmeno i personaggi mi appassionano.
Che devo farci?
La prima volta l’ho letto in terza Media. Mi ha annoiata a morte, e a tratti il mio cervello si è scollegato, così che non ho compreso appieno tutti i passaggi.
Qualche anno fa ho deciso di concedergli una seconda possibilità, convinta che la colpa fosse mia, che alle Medie non fossi stata nella giusta disposizione d’animo o fossi troppo giovane (anche se il romanzo è brevissimo, e l’avevamo letto tutti in classe, come libro di narrativa ufficiale, senza contare che a molti era piaciuto), immatura, piena di pregiudizi…
Purtroppo, però, non è cambiato niente.
Ho faticato ad arrivare alla fine.
Certo, ogni tanto sono incappata in un brano apprezzabile o in una frase che mi ha colpito, in una bella riflessione, in una descrizione sfolgorante, e ho apprezzato la fine, dolente e ineluttabile…
Ma poi?
La trama mi è evaporata in testa, mi è rimasta solo qualche eco vacua.
Aspetterò un’altra decina di anni e poi sarà la volta della terza possibilità.
Ma sono scettica.

E non credo ne concederò una quarta, nonostante sia una zuccona testarda...

lunedì 25 luglio 2016

Smaccatamente anni 80

STRANGER THINGS


Presentata come una serie a metà fra “Twin Peaks” e “I Goonies”, è effettivamente una perfetta sintesi fra le due opere, per la quale mi sento di strillare: al capolavoro! Al capolavoro!, per il semplice fatto che, ehi, lo è!
Unico rammarico: che siano soltanto otto episodi!
E pensare che il trailer mi aveva fatto passare la voglia di vederli… temevo fossero le solite menate con gli alieni, invece… Invece no, c’è il Sottosopra!
Non rivelo nulla della trama, dico solo che l’ambientazione, l’atmosfera e i personaggi sono favolosi!
La prima è smaccatamente anni 80, dalle musiche (stupende) alla pellicola “da videocassetta”, ai riferimenti alla cultura pop (in primis “Il Signore degli Anelli” ante Peter Jackson), e già per questo ci sale la nostalgia e l’universo ci appare fatato e migliore… I personaggi, invece, partono alla grande già dal primo episodio, specie i ragazzini, opportunamente nerd. Più li conosciamo più ci affezioniamo, desiderando di essere uno di loro, perché, in fondo, forse, ai bei tempi lo siamo stati… Ben caratterizzati, genuini, i cui rapporti sono in continuo fermento – tra accuse, screzi e disaccordi – benché sia evidente il forte legame di amicizia che li unisce.
E a seguirli ci sembra di tornare all’infanzia, in un mondo nostro, fatto di magia e Demogorgoni, in cui ci sentiamo restituire qualcosa che un tempo ci apparteneva, con la differenza che qui, beh, il Demogorgone arriva sul serio…
E poi ci sono gli adolescenti, inizialmente irritanti (eccetto Jonathan, che infatti è un escluso), problematici, confusi, concentrati su se stessi, ma che presto sapranno riscattarsi, persino quell’idiota di Steve (che non è così idiota, in fondo)! In quanto agli adulti… gli adulti sono la realtà, con la sua stanca banalità e con le sue delusioni e difficoltà, ma anche qui abbiamo delle sorprese, ad esempio lo sceriffo: in principio pare il solito rubastipendio, invece è in gamba e porta con sé antiche lacerazioni…
Gli interpreti sono strepitosi, specie Winona Ryder (Joyce, la madre di Will, uno dei ragazzini), espressiva al massimo, e i ragazzini (tutti, compresa Undici, che adoro, anche se il mio preferito è Mike), mentre la trama, costruita in modo divino, atto a saltare ogni eventuale parte noiosa, per quanto non originalissima, è comunque estremamente interessante e capace di tener desta l’attenzione ogni secondo, lasciandoci in bilico tra struggimento, sorriso, spasso e tensione!
In effetti, se la stupida vita vera non mi avesse interrotta, mi sarei sparata gli otto episodi uno in fila all’altro, mai sazia!

La conclusione, lo ammetto, per quanto soddisfacente, può apparire un po’ frettolosa… ma non sarà forse per prepararci alla nuova stagione? Io confido di sì, e non vedo l’ora di vederla!

venerdì 22 luglio 2016

L'arte della demonizzazione

POKEMON GO

Ci sono stati i film dell’orrore, Dylan Dog… persino Ranma ½. Adesso è il turno di Pokémon Go. Ma io sono stufa, odio le demonizzazioni, e ritengo sia opportuno finirla di scaricare sull’immaginazione l’inadeguatezza propria e dei propri figli cerebrolesi, ed iniziare a responsabilizzarsi.
E’ stato MPM a sottopormi il servizio di Rai 1 dedicato all’argomento, tanto più che a me, di per sé, non interessano né i videogiochi, né le app per i cellulari, né tantomeno i Pokémon (sebbene, lo ammetto, le prime due serie animate le avevo vistucchiate, so canticchiarne le sigle, e ho pure giocato alle carte per intrattenere il mio ex cuginetto piccolo. Ex perché ormai è più alto di me di almeno una testa abbondante e diversamente occupato).
Il servizio in oggetto, tuttavia, è volutamente sviante, e va detto.


Tralasciamo le bestialità linguistiche tipo Pòcball (che quasi possono essere considerate solecismi) e concentriamoci sul sottotesto alla base del servizio… ma come stiamo? Incolpiamo un videogioco della scemenza della gente? Mamme non lasciate giocare i vostri figli con i Pokémon perché per colpa loro la mia bambina (di cent’anni) è finita sotto un’auto?
Se mia figlia viene investita perché è distratta non è per i Pokémon, ma per il suo scarso buon senso e la sua inesistente educazione stradale! La prossima volta chi accuserà? Una foto? Una mail? Un passerotto?

Zubat in volo per Alassio

In quanto poi a chi cerca Pokémon nei cimiteri è un fatto di creanza e sensibilità, che evidentemente non tutti hanno, ma non può essere imputato a Pikachu & friends! Non è giusto! E’ come per Internet: può essere un valido diffusore culturale, come un triste strumento di appiattimento mentale, dipende dall’uso che se ne fa.

Una delle "prede" di Fabio

Bisogna che ci responsabilizziamo noi, non che demonizziamo strumenti e immaginazione. E’ quest’atteggiamento diseducativo e infondatamente autoassolutorio a fare più danni, e diviene vieppiù fastidioso quando ad assumerlo sono i mezzi di informazione che, così facendo, assecondano e incrementano tendenze sbagliate. E ciò anche a voler soprassedere elegantemente su montaggi sleali e osservazioni qualunquistiche…
Senza contare che non mi sembra che il fenomeno sia circoscritto ai bambini… Da quel che vedo in giro spopola anche fra i cinquantenni! Non capisco come sia possibile, ma questo è irrilevante. De gustibus non disputandum est. Ad ogni modo, meglio Pokémon Go della Tv spazzatura o della mania per i gossip…

La Monalda del MPM

E, siamo onesti, se l’inseguimento dei mostri avviene in un prato può essere divertente e salutare per tutti!

giovedì 21 luglio 2016

Privo di spessore

UT
di Paola Barbato e Corrado Roi


Tante promesse, fondamentalmente robaccia.
Peccato.
Ci sono suggestioni, qualche bello spunto fiabesco (per quanto assai poco originale), un'ambientazione interessante, gli insetti, i disegni di Corrado Roi, ma... Non si va da nessuna parte. Il fumetto è fatto di inconsistenze, a tratti risulta confuso e poco comprensibile, ripetitivo, noioso... E le tavole, per quanto di per sé affascinanti, non aiutano a orientarsi nel garbuglio narrativo...
Non mi aspettavo granché da parte di Paola Barbato, che come autrice di Dylan Dog ha già dimostrato di essere pedante, verbosa e troppo spesso orrendamente stucchevole, ma speravo che con un personaggio diverso si destreggiasse meglio, o almeno che Roi le permettesse di elevarsi oltre, ma niente...
Non che questo sia il peggior prodotto Bonelli.
Non lo è, ed è dotato – per essere un Bonelli – di una sua personale straordinarietà.
Ma è stato tanto decantato che mi aspettavo qualcosa, per una volta. Invece, al di là dei nomi ricercati e dell'estetica accurata, ci ritroviamo dinnanzi i soliti protagonisti stereotipati, facilmente riducibili ad una scheda di informazioni, piatti e senz'anima. Per quanto si affannino per tentare di convincerci che ne possiedono una.
Peccato, dicevo.
Perchè le idee alla base – di Roi, non della Barbato – sono buone e l'ambientazione e l'atmosfera degne di interesse (apprezzo la reiterpretazione del mondo in chiave post-apocalittica, e anche gli esseri cresciutelli alla “Nine”, così come la faccenda degli insetti, dei cloni e del cannibalismo, nonché le molte citazioni – anche se a volte sanno un po' di plagio). Ma oltre non c'è nulla, e la storia non decolla mai, anzi, barcolla. Siamo sempre lì, a inseguire e sospirare, aspettando i Tartari... o almeno che capiti qualcosa. Che accade, sì, in fondo accade... ma senza nemmeno indurci a levare lo sguardo. Perché quando iniziamo un numero nuovo, l'unica cosa di cui ci importa è finirlo in fretta, per passare a qualcos'altro.
La violenza e la crudeltà, semplicemente buttate lì, tra una pagina e l'altra, infatti, al massimo ci fanno sbadigliare. I dialoghi sono improntati alla banalità. I sentimenti e le sensazioni restano sulla superficie. Le trame e i personaggi sono privi di spessore.
L'impegno c'è, l'arte pure. Manca il talento letterario.
Almeno per ora.

Ma siamo a quattro albi su sei...

mercoledì 20 luglio 2016

Specchi nello specchio

L'UOMO CHE GUARDA
di Alberto Moravia


D'accordo, non è il Moravia potente e fulminante di “Agostino”, “Gli indifferenti” o “La Ciociara”, però è piacevole da leggere, e, pur aumentando il livello di pruderie, non si riduce al mero intrattenimento fine a se stesso.
All'accusa di pornografia, dunque, io rispondo di no.
Il romanzo è infatti ricco di rimandi colti, di specchi nello specchio, di corrispondenze e sdoppiamenti. E, al di là del tema della scopofilia, peraltro risolto in modo peculiare e tutto sommato abbastanza elegante, oltreché analizzato nelle sue premesse, l'opera vive di una dimensione intellettuale, in cui il sesso è più occasione che fulcro, decostruendo e ricostruendo le esperienze – incluse quelle che dovrebbero essere tattili o sentimentali – non solo attraverso la vista, ma sopprattutto all'elaborazione della mente, filtrata dalle sovrastrutture e dai riferimenti culturali.
E tutto viene spiegato per filo e per segno, prendendoci per mano, con una prosa essenziale, calda e un po' sorniona, in certi passaggi quasi condiscendente, verso di noi e verso se stessi. Eppure, anche così, le conclusioni non risultano immediate, ma abbisognano di riflessione e di essere metabolizzate, discusse, definite.
E benché il tema sia un po' malsano, condito con adulterio ed incesto, riesce a non crearci disagio, ma piuttosto curiosità. Per i meccanismi psicologici innescati, ma anche per il modo in cui li decodifichiamo, per come ci vengono proposti, in un'escalation assurda, ma al contempo logica e giustificata sul piano narrativo.
E se l'approccio è in principio lento e misurato, presto ci sembrerà di precipitare, di perdere i limiti e le connessioni.
Ma in un certo senso di ritrovarli.
Ha il sapore di un'avventura erotica alla Crepax e, contestualmente, di una seduta psicanalitica.

Da riscoprire.

martedì 19 luglio 2016

Tutto sommato è un bravo ragazzo

DEADPOOL
di Tim Miller
(2016)


Ottimo film supereroistico, accattivante sin dai credits iniziali, in perfetto equilibrio tra commedia e tragedia, che sbaraglia i canoni Disney ed entusiasma sotto tutti i profili...
E ciò nonostante le volgarità gratuite.
Alcune, ad essere onesti, ci stanno anche, ma della maggior parte avrei fatto a meno: se Deadpool è un supereroe per adulti, infatti, è per ben altri motivi, non certo per le parolacce!
Piuttosto per le tragedie che si porta dietro, per l'unpolitically correct (non legato necessariamente al linguaggio), e – grazie a dio e agli autori – perché non ha la smania di farci ridere a tutti i costi in ogni momento, trasformando ogni scena in ridicola farsa.
A parte ciò, la trama è carina, epica e dissacrante in giusta misura, con graziose guest star che rendono l'amalgama più gustoso e frizzante, molti momenti topici, apprezzabili citazioni nerd, dialoghi riusciti, buon ritmo (anche se io avrei un po' tagliuzzato la prima parte) e combattimenti esaltanti, con un dinamismo allegro, ma senza eccesso di svolazzamenti.
Deadpool stesso – nonostante Ryan Reynolds non sia proprio in cima alla mia personale classifica di attori stimati e benché all’inizio mi pareva ostentasse troppo risultando poco genuino e meno graffiante – finisce per piacere parecchio, con il suo fare ammiccante, cinico e disincantato, le sue sventure personali (prima, dopo e durante) e la sua naturale testa di beep... Tutto sommato è un bravo ragazzo, ma prima di arrivarci, come per gli orchi e le cipolle, ci sono molti strati... E gli strati fanno parte del divertimento!
In effetti, nonostante le frequenti parentesi drammatiche, il film è complessivamente spassoso, benché non così fuori dagli schemi come prometteva la pubblicità…
Però, suvvia, è il meglio che ci viene proposto da molti anni e di certo ha poco da spartire con le commedie Disney!

Curiosità: il MPM mi ha fatto notare i “legami di nascita” con Wolverine, in riferimento al laboratorio in cui Wade Wilson è stato “curato” e alla prima apparizione di Deadpool… che io avevo totalmente rimosso. Ma sarebbe d’uopo andarsi a ripescare “X-Men Origins: Wolverine” del 2009, con Hugh Jackman e Liev Schreiber …

lunedì 18 luglio 2016

Un romanzo terrorizzante

CELL
di Stephen King


Questa volta il mostro sono i cellulari: dando corpo ad una delle paure più diffuse negli anni 2000, King ci regala un'opera in cui i telefonini, attraverso un impulso elettrico, devastano il cervello degli utenti, trasformandoli in una sorta di gusci vuoti, aggressivi, schizzati e cattivi, per giunta in costante evoluzione e presto dotati di una terrificante coscienza collettiva...
Tra i romanzi pubblicati dal Maestro negli ultimi quindici anni, questo è uno di quelli che ho preferito, specie nella sua prima metà.
L'inizio, infatti, è magnificamente calibrato, spingendoci nell'orrore a poco a poco, attraverso gli occhi del protagonista, Clay Riddell, che, ovviamente, rifugge l'utilizzo dei cellulari e, quando la catastrofe deflagra, si trova lontano da casa.
Deve quindi tornarci nella speranza di ricongiungersi con moglie e figlio... Come da canone, durante il viaggio affronterà di tutto, stringendo però anche nuove importanti amicizie...
Il romanzo è altamente drammatico, fatto di umanità e sentimenti, descrizioni efficaci e acume psicologico, oltreché di uno scenario sempre più apocalittico, estremamente interessante... Conta poco che King abbia già sviscerato l'argomento in “L'ombra dello scorpione”: i presupposti e gli sviluppi sono diversi, in quanto a trama, personaggi e riferimenti (qui decisamente meno fiabeschi), e soprattutto è differente il sentire, che, in questo caso, è privo di lenimento e povero di speranza.
A colpirmi è stata in special modo la dannata ricerca del figlio: un ragazzino sveglio, sui dieci anni, che per certi versi mi faceva pensare al Ragno, all'epoca suppergiù dodicenne. Diavolo, se avevo sofferto!
Patisco sempre nel corso di questo genere di avventure, mi prostrano, ma questa in particolare, a dispetto del contesto fantascientifico, suonava così disperata e realistica, specie sotto il profilo umano, che la percepivo letteralmente urticarmi la pelle!
Per tacere della questione dell'umanità impazzita e sostanzialmente zombizzata...
Un romanzo terrorizzante, che ti aggredisce su due fronti; sia in modo diretto ed evidente, mentre leggi, sia in modo subdolo, persistente, che ti striscia dentro ad altri livelli e come tale è ancora più difficile da lasciarsi alle spalle, inquinandoti la coscienza.
Appassionante, intelligente, orginale e rapidissimo, con qualche momento di dolcezza.

Con un finale un po' frettoloso, forse, ma che è azzeccatissimo e non rovina nulla.

venerdì 15 luglio 2016

Colori che bucano gli occhi

LUMINA – A WORLD AT THE EDGE OF LIGHT
di Linda Cavallini e Emanuele Tenderini


Abbacinante!
Questo ho pensato appena aperto il volume: i colori mi hanno bucato gli occhi e mi sono entrati direttamente nel cervello, mentre le sfumature, i giochi di luce, i riflessi mi hanno definitivamente conquistata… I disegni sono carini – ricordano in parte in manga, in parte la Disney – con una partitura che passa disinvolta da immense tavole doppie ad una moltitudine di vignette, ma è la magia cromatica a farla da padrone, presumo grazie all’impiego esperto della computer graphica, di altissimo livello tecnico!
In quanto alla storia, invece, per ora è un coacervo di buone promesse: di stampo fantasy, protagonisti due ragazzini, ha un gran ritmo, un montaggio dinamico e quasi da film, dialoghi serrati e parecchie scene d’azione. Unico neo – che non è un vero neo, ma ha il potere di rendermi insofferente – la parte ambientata a scuola: il vuoto – intellettuale e contenutistico – sotteso ai discorsi adolescenziali dei minus habens (ossia del ragazzo medio) è reso con tanto realismo e genuinità da nullificarmi i neuroni quasi quanto una di quelle riviste femminili da parrucchiere… E’ voluto, s’intende, ma proprio per questo fa male.
La trama, peraltro, in apparenza ha uno sviluppo abbastanza classico, rispettoso dei canoni del genere, ma, pur sostanzialmente limitandosi ad un’introduzione di contesto, luoghi e personaggi, è ricca di allusioni stratificate che sembrano rimandare ad una costruzione elaborata, studiata nei dettagli, che, tuttavia, potrebbe riservare qualche cocente sorpresa…
Invero, in alcuni punti ci si sente piacevolmente travolti da riferimenti contrastanti, da realtà che cozzano, per cui è probabile che la faccenda – che indubbiamente si chiarirà nei volumi successivi – sia davvero destinata a diventare complessa e stimolante.
In parole povere: chissà, forse nel prosieguo i colori – meravigliosi e fuori dal comune – verranno addirittura soverchiati dalla storia, le cui premesse, in effetti, seppur non proprio originali, traboccano di potenzialità.

Notazione: c’è anche la serie prequel/parallelo in corso, World of Lumina – Shani, di Maurizio Carnago, Paola Amormino e Lorenzo Lanfranconi… In formato economico, ma di pari bellezza, che, per cogliere tutto, è indispensabile leggere a breve distanza: l’ultima pagina di entrambe le testate, infatti, pur diversamente interpretata, è esattamente la stessa!

giovedì 14 luglio 2016

Un riciclo spassionato

DIETRO LA PORTA TURCHESE: POSTFAZIONE


Ho due scuse per questo riciclo spassionato: la prima è che sono particolarmente stanca, la seconda è che non è facile scrivere i post in anticipo, perché ciò implica il dover incedere alla cieca… E già io sono miope!
Ad ogni modo, riporto senza vergogna la postfazione che ho piazzato in fondo al volumetto (la mia, non quella di Rheya e Ligeia) sia in quanto necessaria, sia perché sono veramente distrutta e così mi risparmio un post…

Ho concepito questa come una trilogia e “Dietro la Porta Turchese” come il suo capitolo finale.
Lungo il cammino, tuttavia, mi sono accorta che non lo è.
Un po' perché, nonostante in principio avessi stabilito così, mi sembra una crudeltà non assistere a quello che deve accadere. Un po' perché ho ancora un paio di briscole da giocare (tenute in serbo sin da “Corpi Nudi”, ma che poi non hanno trovato il momento giusto per saltar fuori).
Il motivo più importante, però, è che non riesco a lasciare la Costa: la storia va espandendosi e mi sembra di avere un sacco di cose ancora da raccontare... Ho in mente il futuro di molti personaggi, colpi di scena, agnizioni, decessi, e ci sono questioni che vorrei approfondire, fili rimasti in sospeso...
Qualcosa sul blog avevo già anticipato, ad ogni modo, ecco il programma:
Intanto, rifletterci.
Ho un altro romanzo in cantiere, che nulla c'entra con l'opera in oggetto. E poi sto lavorando ad una seconda antologia di Raccontini Malati...
A quel punto (ma nulla è certo quando si parla di ispirazione) tornerò sulla Costa... E vorrei dedicarmi alla redazione de “Il Terzo Taccuino” (il protagonista sarà il figlio del Sindaco di Dulac, Roque Guismond) e successivamente andare avanti con la battaglia finale...
Questo dovrebbe essere l'ultimo volume.
Ancora due, dunque. Una pentalogia.
A meno che pure la Setta di Adonai decida di far sentire la sua voce in un tomo a se stante...
Vedremo.
Omaggi e felicità.”


Bau!!!

mercoledì 13 luglio 2016

On Air

DIETRO LA PORTA TURCHESE: ECCOCI!!!


Sì, perché se questo post è uscito, significa che, sia pure in ritardo, mon amour ce l’ha fatta, ha mantenuto integro il suo corpo, e siamo in digitale, pronti per essere letti su Amazon!
W!!!
(Come sempre il MPM metterà qui a lato il link col il collegamento immediato.) Piuttosto, sotto riporto la sinossi… E’ la stessa che trovate su Amazon, ma visto che quest’anno l’ho scritta io, con l’egocentrismo che mi contraddistingue, le do maggior rilevo rispetto al consueto…
Anche perché, va a sapere che il Mio Perfido Editore non me la modifichi a tradimento ;)!
Sinossi:

Finalmente tutte le risposte!!!

Il terzo volume della saga iniziata con “Corpi Nudi” e “L'immemore” arriva al suo epicentro e, oltre a colmare un bel po' di lacune, risponderà a tutti gli interrogativi principali!
E dunque scopriremo chi ha creato le fanciulle del mare, come, a quale scopo e perché il mondo si sia ridotto così... Che ne è stato di Gabriel e Gaëlle, e l'identità delle misteriose Rheya e Ligeia, mentre ritroveremo i Gaumont-Mercier ed Étoiles-sous-la-mer...
Un'avventura suddivisa in tre parti, che scava nel passato e nel presente assumendo diverse prospettive, ognuna rivelatrice di qualcosa...


Come al solito sono gradite recensioni e commenti (a lettura ultimata, s’intende), a patto che siano sinceri! Grazie a tutti!!! E baci!

martedì 12 luglio 2016

Un classico senza tempo

IL POTERE E LA GLORIA
di Graham Greene


Davvero bella e profonda la tematica alla base di questo classico senza tempo!
Si parla di un prete in fuga.
Non un prete cattivo, ma, ecco, forse troppo umano… Non tanto perché è terrorizzato, e nemmeno perché si ubriaca o ha una figlia da una popolana, ma piuttosto perché ha preso i voti per i motivi sbagliati e soprattutto non si fa scrupolo di mettere in pericolo delle famiglie pur di fuggire, lasciando che i fedeli si sacrifichino per lui. Che crepino per lui, o vengano presi in ostaggio.
E ha dei rimorsi, tantissimi. E’ un uomo tormentato, in cerca di redenzione, che quasi vorrebbe morire, pur di espiare, avendo la consapevolezza di essere, in fondo, un impostore e un debole.
Eppure, la volontà di sopravvivenza ha sempre la meglio, e gli errori, i peccati, si sommano ad altri peccati. Col nostro biasimo e la nostra compassione.
Finché…
Finché la logica vorrebbe che lo facesse, che scappasse.
Ed anche noi saremmo pronti a sostenerlo, a perdonarlo.
Ed è a quel punto che lui ci stupisce, assestando al libro quel colpo di coda che gli infonde un significato superiore e lo conduce nell’alveo dell’immortalità.
Il romanzo diviene così quasi una parabola.
Una di quelle laiche, magari, spietate, senza santi e uomini probi. Ma per questo ancora più preziose, universali, stratificate, che ti fanno venir voglia di credere negli altri e in te stesso, giacché non ti condannano, ma ti offrono la speranza, scevra di ogni insipido moralismo e capace di mostrarti la grandezza di Dio e della Fede, a prescindere dal tuo orientamento religioso.
Il libro è breve, arsurato, non lineare, fatto di afa e sporcizia, di dicotomie. E della bellezza lucida e incisiva della prosa.
Che non è scarna, ma in equilibrio perfetto tra il dettagliato e l’asciutto, tra il soggettivo e l’oggettivo.
Siamo nel 1940, in Messico, ove si svolge una capillare epurazione anticattolica. Ove i sacerdoti o fuggono, o si convertono, o vengono fucilati.
Noi seguiamo le peripezie del protagonista, l’ultimo prete rimasto, e sovente ne condividiamo il punto di vista. Amiamo i personaggi che incontra, e, sia pur delineati con poche pennellate, ci resteranno a lungo impressi nella loro umanità dolente e variegata, colma di spessori. Nella loro fede commovente, unico rimedio per la misera condizione terrena, o nei loro rimorsi o propositi illusori.
Amiamo lui, il sacerdote, che pur disprezziamo.
Ci rammarichiamo per l’umanità e ci rifugiamo in essa.
E forse troviamo anche noi la salvezza.

O, almeno, la speranza.

lunedì 11 luglio 2016

Malato, malsano, disturbante

TUSK
di Kevin Smith
(2014)


Dio, che schifo!
No, sul serio: era da tanto che non stavo così male durante la visione di un film…
Okay, io sono abbastanza sensibile. Sono una di quelle che se vede i primi Fantozzi patisce anziché ridere (se vede gli ultimi, vuol dire che è legata ad una sedia con una pistola puntata alle tempie), però, Gesù, sta roba è tremenda! E l’horror è pure il mio genere d’elezione!
Non il torture porn, però.
Quello, in effetti, mi disgusta… E’ malato, malsano. Disturbante.
E qui direi che quasi ci siamo.
Una sorta di versione alternativa di “The Human Centipede”, solo che, anziché il Mad Doctor, abbiamo un serial killer che cerca di trasformare le vittime in tricheco.
Giuro!
E io non ce la faccio. Il protagonista sarà pure antipatico, arrogante e superficiale, ma io mi immedesimo a prescindere. E vederlo sbavare mi induce il vomito.
Anche i suoi occhi umani nel corpo deformato del tricheco, con le pieghe della pelle e le cuciture bene in mostra, mi fanno ribrezzo.
Per tacere della tortura psicologica… Della faccenda del pesce crudo, delle lezioni di nuoto con il serial killer, della consapevolezza annichilente dell’irreversibilità di quello che ti sta capitando…
C’è qualche dialogo interessante, si sente l’autorialità dietro la macchina da presa. Ma il livello di sadismo è troppo per me, la trama banale e prevedibile in ogni suo passaggio, le velleità umoristiche fastidiose, e la verbosità eccessiva (anche se le citazioni – da Tennyson a Coleridge, passando per “Alice nel Paese delle Meraviglie” e “Star Wars” – sono godibili), con eccessive volgarità che non divertono.
In definitiva, l’opera mi risulta prima piatta e pallosetta (a voler essere gentili), seppur con qualche tocco felice, poi insopportabile e mortificante (oltreché ancora noiosa).
Gesù, se ripenso agli occhi di Justin Long mi viene voglia di accecarlo (Jeepers Creepers docet).
E il bello che ho sempre annoverato Kevin Smith tra i miei registi preferiti…
Unico particolare gioioso, Guy La Pointe che interpreta Guy La Pointe. E che in realtà è Johnny Depp (sempre alle prese con lo stesso personaggio, che si chiami Cappellaio Matto, Tonto o Willy Wonka, qui meno riuscito del consueto).
A MPM il film è piaciuto.
Ma una volta, l’anno scorso, l’ho beccato a guardare “Il contadino cerca moglie” e non ha manifestato la dovuta vergogna.
Mu, curiosità: a parte che nel cast ci sono le figlie di Robert Rodriguez, e degli stessi Depp e Smith, questo è il primo capitolo di una trilogia.

Dubito che vedrò mai gli altri due.

venerdì 8 luglio 2016

Un libro magico

REQUIEM
di Antonio Tabucchi


Anni fa ho avuto un periodo “Tabucchiano”, nel senso che nell’arco di un paio di settimane devo essermi scofanata sette-otto sue opere, una dietro l’altra, con ingordigia assoluta…
Lo scopo, credo, era nutrirmi delle sue sensazioni, di emozioni placide e acute, olfattive, tattili, ma filtrate nel non essere, nel vano tentativo di afferrare l’impalpabile, ovvero Tabucchi stesso, il suo paradigma.
Tra tutte le esperienze, quella che più avevo apprezzato e avevo considerato maggiormente formativa era stata “Requiem”, assai più scorrevole e incantato, per dire, di “Sostiene Pereira”, il suo successo più noto.
Ebbene, rimembro “Requiem” come un libro magico, evanescente, che ama sfuggire alle definizioni, composto di incontri e attimi, di riflessioni, ma ben orchestrate, armoniose, poetiche, e poi di dialoghi, osservazioni, discussioni…
La caratteristica principale è che questi incontri avvengono con soggetti defunti e densi di lirismo (come dimenticare il Venditore di Storie?), mentre rincorriamo un appuntamento che non ricordiamo bene se è a mezzogiorno o a mezzanotte… in ultimo approdiamo (come spesso avviene nelle opere di Tabucchi) al poeta Ferdinando Pessoa, e intanto vivacchiamo Lisbona, la assaggiamo – letteralmente – e ci ungiamo le dita, sprofondando nel dolce dolore del ritorno ad un passato, forse non del tutto compiuto…
E ci godiamo il caldo, anche quando è torrido, e ci immergiamo nel sogno, senza essere certi che lo sia, nella realtà, nell’inconscio, nelle associazioni di pensieri vaganti…
Diamo corpo alla città – che è lì, oppure no – ma non a noi stessi…
La trama è lineare, semplice, eppure non c’è, è illusione.
E alla fine non siamo più sicuri di che cosa abbiamo letto o di quel che è avvenuto dentro di noi. Non sappiamo distinguerlo.

Sappiamo solo che ci è piaciuto.

giovedì 7 luglio 2016

I dolori del giovane MPM

DIETRO LA PORTA TURCHESE: SLITTIAMO DI NUOVO :-(


Shame! Shame! Shame!
MPM è ancora a pagina 55 del processo di ebokkizzazione, indi per oggi, nonostante le mie trepidanti aspettative: niente, non ce la si fa! Il mio romanzillo annuale, “Dietro la Porta Turchese”, verrà di nuovo rimandato! Peggio della tela di Penelope!
Desolazione e tristezza.
MPM sostiene che la colpa sia mia: ho cambiato troppe volte carattere, facendo, specie nella prima parte, mini capitoli micragnosi… le stringhe dei codici si ribellano, le pagine si chiudono, lui si addormenta! L’Apocalisse si scatena!
La verità è che il MPM è da rottamare.
La verità è che se non si dà una mossa provvederò sul serio in questo senso!
No, non è vero. Povero tesoro…
Oltretutto quando mi fa gli occhioni da cucciolo (sia pure da cucciolaccio colpevole) non posso resistere e devo perdonarlo!
Insomma, si rimanda di una settimana…
Si rimanda al 13 luglio, quindi (6 giorni, invero), che tra l’altro è il mio favoloso genetliaco, nonché giorno di festa nazionale nell’Ottamondo, unico dì, in fin dei conti, davvero degno di sostituire il Bloomday!
Yeeehhh!
Possiamo addirittura autoconvincerci che MPM sia in combutta con la Provvidenza!
Solo che non è così.
MPM è colpevole!
Shame!
Perciò la regola è questa, ed è ufficiale: MPM si impegna a far uscire il mio librino per il 13 glorioso luglio, io mi impegno a lasciarlo vivere serenamente fino ad allora (vessazioni vietate). Se per il 13 mon amour sarà di nuovo inadempiente, io sarò costretta a tagliargli un pezzo del suo corpo a mia scelta, delle dimensioni che preferisco.
Si accettano suggerimenti.
La faccenda potrebbe essere divertente… e il MPM più motivato.
A parte ciò, ci scusiamo con tutti e mon amour si genuflette sulle ceneri in segno di costrizione.
Al 13! Oppure… alla ghigliottina!!!

Ha ha ha!

mercoledì 6 luglio 2016

Da la Bibbia all’Iliade, a La Divina Commedia…

DIARIO MINIMO
di Umberto Eco


Una raccolta di scritti fulminei, brevissimi, redatti, all’incirca, tra gli anni 60 e 70, ma sempre attuali, all’insegna dell’ironia e dell’ammiccamento, tra il divertissement, il saggio, la notazione e la parodia…
Imperdibili!
Si comincia con Nonita, che occhieggia a “Lolita” di Nabokov (Humbert, Humbert…), invertendone i canoni, si continua con la Fenomenologia di Mike Bongiorno (all’epoca, anni 60 circa, all’apice del successo), ossia alla fenomenologia del mediocre, cui però tutti ambiscono, che invidiano, osannano, ammirano… Proprio perché è quel che è! Si procede con l’Elogio a Franti, il cattivissimo ragazzaccio di “Cuore” di Edmondo de Amicis, finalmente visto da una prospettiva inedita, e si conclude – alla grande – con le sganasciosissime Dolenti Declinare (rapporti di lettura all’editore), ove vedremo bocciare, sovente senza possibilità di appello, i capolavori della letteratura mondiale, in quanto – ahimè – impubblicabili…
Da la Bibbia all’Iliade, a La Divina Commedia…
Solo che in mezzo c’è di tutto, questi sono solo i brani che ho prediletto io… Ma, per dire, pure la recensione di “Lady Chatterley” è uno spasso, così l’articoletto su “I Promessi Sposi” di Joyce…
Un libro colto, dunque, ma anche scherzoso, ameno, il cui segreto è conoscere l’argomento e i riferimenti, altrimenti si rischia di smarrirsi…
Ma anche di incuriosirsi e scoprire nuovi appigli intellettuali, perché, si sa, l’ignorante non è tanto chi non sa, ma chi non vuol sapere…
Ebbene?
Non mi resta che recuperarmi il Secondo Diario Minimo, e, già che ci sono, portarmi avanti con “La bustina di Minerva”…

Per solleticare la pancia e il cervello!

martedì 5 luglio 2016

LE RUTILANTI EMOZIONI DELLA SESTA STAGIONE

IL TRONO DI SPADE 6


Non riuscendo ancora a staccarmi dalle rutilanti emozioni di questa splendida sesta stagione, ecco che riassumo – in ordine di godimento – quelli che per me sono stati i momenti di maggior giubilo (PERCIO’ ATTENZIONE SPOILER!!!)…


  1. Arya che serve i figli in pasto a Walder Frey e poi lo sgozza, guardandolo crepare. Ho dovuto rivedere la scena tre volte, tanto è stata eccezionale (sia pur di ellena memoria);

  1. Hodor che “Hold the Door”, spezzandomi il cuore. Non tanto per il presente, quanto per le implicazioni che ciò ha avuto in tutto il suo passato. La scena, tuttavia, è struggente e bellissima, indi la inserisco qui;

  1. La trattazione della resa dei Padroni, con Verme Grigio che risparmia il terzo (epica, ironica, faceta);

  1. Ser Davos che dialoga con la magnifica Lady Mormont (adoro sta ragazzina!!!);

  1. L’acclamazione di Jon Snow a Re del Nord (ma il merito è sempre di lady Mormont…);

  1. Tormund che cerca di sedurre Brienne (da sbellicarsi);

  1. Cersei che fa saltare per aria l’Alto Passero (sebbene mi sia spiaciuto per Margaery);

  1. Il Mastino che si spartisce i condannati a morte con Beric Dondarrion;

  1. Tyrion nominato Primo Cavaliere della Regina (il mio prediletto…)

  1. Ramsay Bolton sbranato dai cani (ci voleva proprio!);

  1. Arya inseguita dalla ragazza che serve il Dio dei Mille Volti (modello T 1000) e poi il combattimento che non si vede, e poi l’annuncio dell’imminente ritorno a Grande Inverno;

  1. Daenerys che si prende Vaes Dothrak (l’avrei collocata più in alto, se non fosse che è sostanzialmente una ripetizione e che era abbastanza prevedibile);

  1. Gregor Clegane mentre strappa la faccia all’adepto dell’Alto Credo (detesto quei fanatici);

  1. Margaery Tyrell (la beniamina del MPM) che dà la rosa a sua nonna, la Regina di Spine (povere piccule…)

E quelli più bui…

  1. Quell’idiota di Edmure Tully che consegna Delta delle Acque a Jaime Lannister (MPM è stato picchiato, in tale frangente, per consentirmi di sfogarmi…);

  1. Gli stupidi cavalieri che disobbediscono a Brynden il Pesce Nero;

  1. La battaglia per riprendere Grande Inverno (okay, poi sono arrivati i cavalieri della Valle, ma lì per lì ho davvero sofferto!);

  1. La morte del Gigante, tenerissimo e coperto di frecce peggio di San Sebastiano;

  1. La recita cui ha dovuto assistere Arya, con la decapitazione di Ned e le Nozze Rosse… La rappresentazione grottesca, irrispettosa e falsata mi ha urtata più della “verità”.



Con la speranza che il buon Martin si dia una mossa con sti libri… Ma lo dico piano, o ucciderà qualche altro Stark (va beh, magari Sansa…)!