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venerdì 8 luglio 2016

Un libro magico

REQUIEM
di Antonio Tabucchi


Anni fa ho avuto un periodo “Tabucchiano”, nel senso che nell’arco di un paio di settimane devo essermi scofanata sette-otto sue opere, una dietro l’altra, con ingordigia assoluta…
Lo scopo, credo, era nutrirmi delle sue sensazioni, di emozioni placide e acute, olfattive, tattili, ma filtrate nel non essere, nel vano tentativo di afferrare l’impalpabile, ovvero Tabucchi stesso, il suo paradigma.
Tra tutte le esperienze, quella che più avevo apprezzato e avevo considerato maggiormente formativa era stata “Requiem”, assai più scorrevole e incantato, per dire, di “Sostiene Pereira”, il suo successo più noto.
Ebbene, rimembro “Requiem” come un libro magico, evanescente, che ama sfuggire alle definizioni, composto di incontri e attimi, di riflessioni, ma ben orchestrate, armoniose, poetiche, e poi di dialoghi, osservazioni, discussioni…
La caratteristica principale è che questi incontri avvengono con soggetti defunti e densi di lirismo (come dimenticare il Venditore di Storie?), mentre rincorriamo un appuntamento che non ricordiamo bene se è a mezzogiorno o a mezzanotte… in ultimo approdiamo (come spesso avviene nelle opere di Tabucchi) al poeta Ferdinando Pessoa, e intanto vivacchiamo Lisbona, la assaggiamo – letteralmente – e ci ungiamo le dita, sprofondando nel dolce dolore del ritorno ad un passato, forse non del tutto compiuto…
E ci godiamo il caldo, anche quando è torrido, e ci immergiamo nel sogno, senza essere certi che lo sia, nella realtà, nell’inconscio, nelle associazioni di pensieri vaganti…
Diamo corpo alla città – che è lì, oppure no – ma non a noi stessi…
La trama è lineare, semplice, eppure non c’è, è illusione.
E alla fine non siamo più sicuri di che cosa abbiamo letto o di quel che è avvenuto dentro di noi. Non sappiamo distinguerlo.

Sappiamo solo che ci è piaciuto.

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