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giovedì 28 luglio 2016

La zombitudine come malattia

CONTAGIOUS – EPIDEMIA MORTALE
di Henry Hobson
(2015)


Film lento.
Eppure incisivo, commovente, di un’originalità spiazzante, che ti strazia e induce alla solidarietà e all’empatia.
Sempre a tema zombie, sì, ormai sono ovunque, ma questa volta la “zombitudine” viene trattata sotto un profilo differente, esistenziale, ovvero come una malattia. Si mettono in luce le sue implicazioni umane, dolorose, le si esaminano sotto profili che vano oltre l’orrore e la mera sopravvivenza.
Da un lato c’è il difficile percorso di chi si ammala (di norma per via di un morso), che sa di essere condannato, che vede il proprio corpo mutare, incancrenirsi, necrotizzare… processo che risulta ancora più destabilizzante se si è un’adolescente nel pieno della sua gioventù (e che continua a mettersi lo smalto sulle unghie nonostante teme che le si debba staccare il braccio marcescente).
Dall’altro c’è la sofferenza di chi resta. Amici, parenti, fratellini…
Dall’altro ancora la paura.
Di chi ti ama, e di chi non ti ama.
Di perderti, di vederti cambiare… Ma anche che tu ti avventi contro di lui e cerchi di mangiarlo. Perché sei una bomba ad orologeria, e lo sappiamo tutti.
E’ solo questione di quando esploderai.
E puoi esplodere all’improvviso.
Ciliegina sulla torta, l’ipocrisia del Governo e della società cosiddetta civile, con la quarantena obbligatoria e il cocktail mortale (e dolorosissimo) in luogo dell’eutanasia, laddove (il dottore lo suggerisce spesso) sarebbe più compassionevole un colpo di fucile in testa…
Ed è particolarmente significativo osservare Schwarzy, sia pur ormai anziano, nel ruolo del papà. Perché è impotente, come tutti, sebbene noi continuiamo ad aspettarci che spacchi il mondo e salvi sua figlia.
Ma sin dall’inizio sappiamo che non può, ed anzi la sua cieca ostinazione ci fa innervosire: in parte lo comprendiamo, ma ci sembra così egoista e miope da rasentare l’imbecillità, specie verso l’inevitabile epilogo.
I tempi sono tali che scandiscono i battiti del nostro cuore, e ogni tappa è fondamentale, aggiungendo una nuova dimensione all’intimismo e alla sofferenza.
Certo, chi si aspetta un action-movie, un picchipicchiaspaccaspacca, o anche soltanto un horror nudo e crudo, resterà deluso.
Niente azione, pochissimo splatter.
Ma chi semplicemente vuol vedere una pellicola intensa e intelligente sarà prossimo all’entusiasmo, nonostante la cocente tristezza.
Curiosità: il titolo originale è “Maggie”, il nome del personaggio della convincente Abigail Breslin. Ossia la figlia di Wade/Schwarzy.

Poetico.

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