CONTAGIOUS
– EPIDEMIA MORTALE
di Henry Hobson
(2015)
Film
lento.
Eppure
incisivo, commovente, di un’originalità spiazzante, che ti strazia
e induce alla solidarietà e all’empatia.
Sempre
a tema zombie, sì, ormai sono ovunque, ma questa volta la
“zombitudine” viene trattata sotto un profilo differente,
esistenziale, ovvero come una malattia. Si mettono in luce le sue
implicazioni umane, dolorose, le si esaminano sotto profili che vano
oltre l’orrore e la mera sopravvivenza.
Da
un lato c’è il difficile percorso di chi si ammala (di norma per
via di un morso), che sa di essere condannato, che vede il proprio
corpo mutare, incancrenirsi, necrotizzare… processo che risulta
ancora più destabilizzante se si è un’adolescente nel pieno della
sua gioventù (e che continua a mettersi lo smalto sulle unghie
nonostante teme che le si debba staccare il braccio marcescente).
Dall’altro
c’è la sofferenza di chi resta. Amici, parenti, fratellini…
Dall’altro
ancora la paura.
Di
chi ti ama, e di chi non ti ama.
Di
perderti, di vederti cambiare… Ma anche che tu ti avventi contro di
lui e cerchi di mangiarlo. Perché sei una bomba ad orologeria, e lo
sappiamo tutti.
E’
solo questione di quando esploderai.
E
puoi esplodere all’improvviso.
Ciliegina
sulla torta, l’ipocrisia del Governo e della società cosiddetta
civile, con la quarantena obbligatoria e il cocktail mortale (e
dolorosissimo) in luogo dell’eutanasia, laddove (il dottore lo
suggerisce spesso) sarebbe più compassionevole un colpo di fucile in
testa…
Ed
è particolarmente significativo osservare Schwarzy, sia pur ormai
anziano, nel ruolo del papà. Perché è impotente, come tutti,
sebbene noi continuiamo ad aspettarci che spacchi il mondo e salvi
sua figlia.
Ma
sin dall’inizio sappiamo che non può, ed anzi la sua cieca
ostinazione ci fa innervosire: in parte lo comprendiamo, ma ci sembra
così egoista e miope da rasentare l’imbecillità, specie verso
l’inevitabile epilogo.
I
tempi sono tali che scandiscono i battiti del nostro cuore, e ogni
tappa è fondamentale, aggiungendo una nuova dimensione all’intimismo
e alla sofferenza.
Certo,
chi si aspetta un action-movie, un picchipicchiaspaccaspacca, o anche
soltanto un horror nudo e crudo, resterà deluso.
Niente
azione, pochissimo splatter.
Ma
chi semplicemente vuol vedere una pellicola intensa e intelligente
sarà prossimo all’entusiasmo, nonostante la cocente tristezza.
Curiosità:
il titolo originale è “Maggie”, il nome del personaggio della
convincente Abigail Breslin. Ossia la figlia di Wade/Schwarzy.
Poetico.
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