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martedì 12 luglio 2016

Un classico senza tempo

IL POTERE E LA GLORIA
di Graham Greene


Davvero bella e profonda la tematica alla base di questo classico senza tempo!
Si parla di un prete in fuga.
Non un prete cattivo, ma, ecco, forse troppo umano… Non tanto perché è terrorizzato, e nemmeno perché si ubriaca o ha una figlia da una popolana, ma piuttosto perché ha preso i voti per i motivi sbagliati e soprattutto non si fa scrupolo di mettere in pericolo delle famiglie pur di fuggire, lasciando che i fedeli si sacrifichino per lui. Che crepino per lui, o vengano presi in ostaggio.
E ha dei rimorsi, tantissimi. E’ un uomo tormentato, in cerca di redenzione, che quasi vorrebbe morire, pur di espiare, avendo la consapevolezza di essere, in fondo, un impostore e un debole.
Eppure, la volontà di sopravvivenza ha sempre la meglio, e gli errori, i peccati, si sommano ad altri peccati. Col nostro biasimo e la nostra compassione.
Finché…
Finché la logica vorrebbe che lo facesse, che scappasse.
Ed anche noi saremmo pronti a sostenerlo, a perdonarlo.
Ed è a quel punto che lui ci stupisce, assestando al libro quel colpo di coda che gli infonde un significato superiore e lo conduce nell’alveo dell’immortalità.
Il romanzo diviene così quasi una parabola.
Una di quelle laiche, magari, spietate, senza santi e uomini probi. Ma per questo ancora più preziose, universali, stratificate, che ti fanno venir voglia di credere negli altri e in te stesso, giacché non ti condannano, ma ti offrono la speranza, scevra di ogni insipido moralismo e capace di mostrarti la grandezza di Dio e della Fede, a prescindere dal tuo orientamento religioso.
Il libro è breve, arsurato, non lineare, fatto di afa e sporcizia, di dicotomie. E della bellezza lucida e incisiva della prosa.
Che non è scarna, ma in equilibrio perfetto tra il dettagliato e l’asciutto, tra il soggettivo e l’oggettivo.
Siamo nel 1940, in Messico, ove si svolge una capillare epurazione anticattolica. Ove i sacerdoti o fuggono, o si convertono, o vengono fucilati.
Noi seguiamo le peripezie del protagonista, l’ultimo prete rimasto, e sovente ne condividiamo il punto di vista. Amiamo i personaggi che incontra, e, sia pur delineati con poche pennellate, ci resteranno a lungo impressi nella loro umanità dolente e variegata, colma di spessori. Nella loro fede commovente, unico rimedio per la misera condizione terrena, o nei loro rimorsi o propositi illusori.
Amiamo lui, il sacerdote, che pur disprezziamo.
Ci rammarichiamo per l’umanità e ci rifugiamo in essa.
E forse troviamo anche noi la salvezza.

O, almeno, la speranza.

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