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martedì 31 maggio 2016

Affascinante e stordente

KILL MY MOTHER
di Jules Feiffer


Jules Feiffer mi piace da matti, questo hanno trillato i miei archivi mentali quando ho scorto il suo volume nella mia fumetteria di riferimento… Solo dopo averlo sfogliato, tuttavia, mi è venuto in mente che di lui avevo letto solo storie brevi e incisive sulle pagine di qualche rivista antologica – che potrebbe essere Linus come Comic Art, non mi ricordo – ma nulla possedevo col suo nome stampigliato in copertina: “Kill My Mother”, pertanto, doveva essere mio, e, appagata la mia sete di possesso, me ne sono compiaciuta anche per altri motivi.
Intanto c’è la trama: intricata, sorprendente, Noir, ma in modo classico e non convenzionale insieme, due faide familiari “unilaterali” e al femminile, sovrapposte e intrecciate, costellate di personaggi bislacchi – anche loro: tipici del genere, quanto fuori canone – e di colpi di scena imprevedibili, se non veri e propri cambi di scenario, direzione, e obiettivo, che però seguono un filo conduttore ben definito, che ci porterà ad approdare nel lido voluto, permettendoci di comprendere che – per quanto a volte la sensazione abbia potuto apparirci quella – l’autore non ci ha lasciati in balia della sua immaginazione o di sbandamenti umorali, ma ci ha condotti esattamente dove voleva fin dall’inizio (oppure è stata la storia a condurre lui)!
Poi ci sono i disegni: espressivi, personali, longilinei, ma soprattutto dinamici all’inverosimile, tanto che ci pare quasi di coglierne il movimento con la coda dell’occhio, appena passiamo alla vignetta successiva, se non addirittura di vedere i personaggi danzare sulla pagina.
Per il resto, l’azione e i dialoghi scorrono repentini, con impetuosa naturalezza e ritmo sostenuto; la vicenda è stratificata e vibrante; lo humor sempre in agguato, e così il dramma e le agnizioni!
Unico neo, forse, i presupposti psicologici delle protagoniste, sovente un po’ fragili. Ma può essere un’impressione, una parvenza ingannevole, dovuta alla velocità intergalattica a cui tutto si muove…

Affascinante e stordente.

lunedì 30 maggio 2016

Squisitamente spaventoso

THE VISIT
di M. Night Shyamalan
(2015)


Ove si narra della visita dei nipoti, Becca e Tyler, quindici e tredici anni, ai nonni materni, mai incontrati prima, mai visti neppure in foto o sentiti al telefono, e ciò a causa di antichi rancori, che li hanno resi, di fatto, due soggetti estranei alla famiglia.
Ebbene, sono entusiasta.
E il bello che conoscevo già la fine (sono stata vittima consenziente di spoiler), ma già sapevo, dopo aver guardato il trailer, che avrei amato questo film a prescindere, soprattutto grazie alla trama e all’orrore “d’atmosfera”, che cresce pian piano, insinuandosi nelle crepe della realtà, fino a stravolgerla e a sovvertirla, inducendoci a pensare che possiamo formulare qualsiasi ipotesi in merito, sia pure di matrice fantastica…
La soluzione, tuttavia, è sotto il nostro naso, coerente, logica, ma non ovvia, i cui indizi, come in “The Village” o ne “Il sesto senso”, ci vengono forniti dal principio, benché casualmente.
Ed è potente l’escalation, la tranquillità e la simpatia che divengono dubbio, e poi disagio, e poi ansia, e quindi paura, e infine terrore selvaggio… E che magari sfumano, senza addivenire alla tragedia paventata (entra nel forno, dice la nonna alla nipotina), oppure ti travolgono e paralizzano, in piedi, in cucina, oltrepassando ogni limite, ma senza sforare nella banalità…
Non credo che la definizione di “horror” sia calzante, si tratta piuttosto di un thriller… Ma strutturato in modo eccellente, con interpreti notevoli.
Eccetto la madre – che peraltro ha un ruolo marginale – non mi sono noti i loro volti, non li ho mai focalizzati prima, ciò nondimeno gli attori danno vita a personaggi eccezionali e ricchi di spessore… Dai due amabili (e terribili) vecchietti ai ragazzini: non i soliti adolescenti senz’anima, ma due persone autentiche, dotate di sentimenti, non sempre ostentati, di profondità e insicurezze.
Persino la scelta dell’ormai inflazionato finto documentario non risulta stancante: semmai, invece, aiuta a dare un senso alla storia, a sottolineare ciò che viene mostrato, offrendo ai protagonisti la possibilità di confessarsi e confessare, schiudendo alla telecamera la parte più nascosta di sé.
Solo dell’odioso Rap di Puntina di Diamante avrei fatto a meno…

Spaventoso. Anche se, ricordo, la paure è sempre squisitamente soggettiva…

venerdì 27 maggio 2016

Tic..Toc...Tic...Toc...

ANNUNCIO: DIETRO LA PORTA TURCHESE


Ci siamo quasi: tutte le risposte!
Come ogni anno il 16 giugno – per festeggiare il Bloomday – uscirà su Amazon il mio nuovo romanzillo in versione eBook. Si intitola “Dietro la Porta Turchese” ed è il terzo romanzo che compone la trilogia iniziata con “Corpi Nudi”.
Solo che ormai non è più una trilogia (ma di questo vi dirò più avanti)... Ad ogni modo, il librigno risponde a tutte le domande poste nei primi due tomi. Certo, ne pone anche delle altre, ma, volendo, l'opera potrebbe davvero concludersi qui, per cui, se uno non vorrà leggersi il resto, può fermarsi.
La narrazione inizia dalla fine di “Corpi Nudi”, quando Gabriel salpa dopo aver consegnato il diario, ma ritroviamo anche Gaëlle, e scopriamo che cosa le è successo dopo aver varcato, appunto, la Porta Turchese ed essere entrata nell'Albero...
Al momento, in verità, il lavoro non è ancora completato, ma solo perché voglio rileggere e correggere tutto un ulteriore volta prima di affidarlo al Mio Editor/Perfido Marito e perché devo ancora stendere dedica e postfazione.
In compenso, la copertina è già stata scelta (magari prossimamente pubblicherò gli scarti, perché il mio fotografo di quest'anno ha pure frequentato un corso apposito prima di essere reclutato), il più fatto e io mi sono divertita più del solito!
Qui sotto un'anteprima della copertina (ancora “vergine”, ossia senza titolo etc.), con la foto originale non ancora impiastrata da me (non potevo metterla pari pari: necessitava di essere “fantasizzata”, anche se, in effetti, il prodotto finale è più suggestione che esattezza rappresentativa).
Bax.

giovedì 26 maggio 2016

Arrivano The Punisher ed Elektra

DAREDEVIL 2


Finita la prima stagione, finita la seconda, mi sento in dovere di integrare il post di mesi fa, stilato mentre ero appena al sesto-settimo episodio!
In primis devo rilevare che la serie continua a crescere, divenendo progressivamente più incalzante: Devil (Charlie Cox) diventa se stesso, la dicotomia tra supereroe e vigilante si accentua sempre di più, le sue prospettive umane e lavorative peggiorano, ma soprattutto crescono i comprimari, Foggy e Karen, acquisendo maggior spessore e dimostrandosi decisamente più in gamba di come ci apparivano in principio. I rapporti fra loro tuttavia si complicano, rifuggendo qualsivoglia schema narrativo, così come anche i cattivi divengono più affascinanti, senza seguire un percorso lineare, a partire da Wilson Fisk (Vincent D’Onofrio), di cui scorgiamo la fragile umanità, ma altresì la cieca brutalità, e che presto, in carcere, diverrà il feroce Kingpin.
Ma soprattutto, nella seconda stagione, arrivano The Punisher ed Elektra.
Il punto è che ho letto qualche fumetto di Daredevil e non mi ha mai detto granché. Invece, per motivi lontanissimi fra loro, ho amato da matti sia il Frank Castle di Ennis, sia l’Elektra di Miller... per cui già li aspettavo con animo diverso.
E se Frank (Jon Bernthal, alias Shane in “The Walking Dead”) si conferma lui, sia pure più cupo e tormentato (e il contrasto con Devil è quasi imbarazzante per quanto quest’ultimo risulti idealista fin quasi all’idiozia e sempre pronto a farsi caricare di botte, laddove il primo, pur in fin di vita e senza superpoteri, non si faccia mettere i piedi in testa da nessuno), il personaggio di Elektra viene in parte riscritto, ma da più mani, che ne sottolineano, di volta in volta, sfumature diverse ma non incompatibili.
La verità è che, come direbbe il MPM, alla fine il personaggio meno interessante è ahimè proprio il protagonista, per quanto di per sé non sia male. Il punto è che i comprimari sono talmente bravi che potrebbero reggere la serie anche senza di lui, magari rendendola persino più avvincente!
Per il resto, i pregi del telefilm restano gli stessi: superbi e realistici i combattimenti, passaggi processuali intensi ed emozionanti (il processo a Frank arriva a ricordarci il film “Codice d’Onore”), atmosfere sporche e claustrofobiche che rendono magnificamente il disagio della città… E “La Mano”, a proporsi come nuovo, terribile nemico. Il ritmo, però, aumenta, e se inizialmente lamentavo la lentezza delle puntate, ora filano via spedite!
Da segnalare il ritorno di Stick e qualche simpatico ammiccamento… ad esempio guardate un po’ chi proporrà a Foggy una nuova assunzione!

Da non perdere!

mercoledì 25 maggio 2016

Un modo unico di concepire la giustizia

L'AVVOCATO CANAGLIA
di John Grisham


L’unico altro romanzo di Grisham che ho letto, per giunta in gioventù, è “Il rapporto Pelican”. Ricordo che la storia mi era piaciuta, ma mi era parso che il libro non aggiungesse o togliesse molto – specie a livello emozionale – al film con Julia Roberts, e avevo concluso che lo scrittore non facesse per me. Troppo funzionale, troppo piatto. E poi non sono un’amante dei legal thriller.
Quando mi hanno regalato questo romanzo, tuttavia, sono stata contenta: erano passati un mucchio di anni, offrire un’altra possibilità all’autore mi sembrava doveroso, e poi, chissà perché, il titolo mi faceva sorridere…
Ebbene, l’ho apprezzato.
Intanto questa volta non si riesce a rimanere indifferenti al protagonista, l’avv. Sebastian Rudd, che suscita necessariamente empatia. Non tanto con le sue vicende personali (il rapporto con la ex moglie, il figlio, il pugile…) di cui non mi importa nulla e che di nulla mi sanno, quanto piuttosto con il suo modo di concepire la giustizia (critico, sostanziale, con qualche necessaria elasticità) e di essere avvocato (coraggioso, sui generis, ma efficace. Canaglia perché, pur di ottenere un risultato “giusto” è disposto a perpetrare azioni dubbie)… La verità è che le scene legate ai processi sono molto più coinvolgenti ed esaltanti di quelle d’azione o di vita familiare. L’interesse, quindi, per quanto si tratti certamente di intrattenimento, è soprattutto a livello sociale: l’impostazione, per quanto molto legata, per forza di cose, alle peculiarità americane, è caratterizzata da una volontà di denuncia verso lo stato di polizia venutosi a creare dopo l’11 settembre, i pregiudizi del popolino – che si ripercuoto sulla composizione della Giuria –, sugli obiettivi e la superficialità di tanti Giudici e Procuratori, i quali, spesso, sono influenzati da interessi politici, più che agire per la ricerca della verità… Non che ci vengano sottoposti continui pistolotti, piuttosto si assiste a fatti che le dimostrano.
L’opera, strutturata come un romanzo a racconti, è immediata, senza cali di tensione, e procede con un ritmo sempre più serrato, raggiungendo il suo apice, per quanto mi riguarda, nel racconto dei due coniugi anziani (mi pare il terzo)…
La prosa è così veloce ed esatta da apparire quasi liquida, perché, letteralmente, ti scorre fra le dita senza che tu riesca afferrarla, ma non è priva di corposità.

La speranza, a questo punto, è che Sebastian Rudd torni in un eventuale seguito!

martedì 24 maggio 2016

Le bizzarre avventure di una Casa Editrice

THE EDITOR IS IN


E' un'iniziativa davvero carina, in onda su Sky Arte HD ogni giovedì 20.50... Più vivace di un documentario, più frizzante, surreale e variopinto, ha come protagonista un personaggio Bonelli, trattato un po' come una star, un po' alla stregua di un impiegato, alle prese con il suo colloquio con l'Editor (interpretato da Alex Cendron, ossia un attore in carne ed ossa), con il quale di norma l'eroe di turno polemizza per le ragioni più svariate (dalla periodicità della sua testata al numero di cadute da cavallo che gli toccano mensilmente...) o viene messo al corrente delle regole (bizzarre e fantasiose, ma non prive di logica) della Casa Editrice (ad esempio: se incontri il tuo nemico mortale in sala d'aspetto, non puoi ucciderlo, mentre nei sotterranei c'è un'area di contenimento per i personaggi marginali neutralizzati). Per ora si sono visti Tex, Morgan Lost e Lilith, ma abbiamo diritto ad altri 9 incontri...
Ogni episodio dura circa 10 minuti, denota ironia, una certa immaginazione e sintetizza le caratteristiche più incisive di ogni eroe, mostrandocelo dietro le quinte, in situazioni atipiche ed inedite, che però rispettano le prerogative dell'originale cartaceo, scherzandoci su, in un gioco metanarrativo semplice, ma gustoso.
In realtà, spesso, le cose più divertenti accadono in sala d'attesa, dove possiamo assistere alle gag di Kit Carson che fa il cascamorto con Julia, a Gregory Hunter che pulisce, o a Tex, Zagor e Adam Wild (questi ultimi dalle voci tremende) che bullizzano Morgan Lost, in quanto nuovo arrivato!
L'animazione non è eccezionale, ma al contempo è perfetta proprio nei suoi limiti, che anzi, evidenziano i bozzetti mentre l'eroe di turno si muove, come a voler sottolineare che si tratta, appunto, non di un cartone animato, ma di un disegno, normalmente destinato a restare immobile.
Alla fine di ogni puntata, per ciascun personaggio, vengono riportati i numeri del fumetto citato...

Un'iniziativa carina, come dicevo, divertente per gli habitué, che avranno occasione di sghignazzare e apprezzare gli ammiccamenti, ma sostanzialmente divulgativa e rivolta, credo, soprattutto ai profani, che così avranno modo, nella maniera più immediata, di farsi venire voglia di conoscere nuovi mondi immaginifici, individuando subito quelli più vicini alle proprie inclinazioni...

lunedì 23 maggio 2016

La burocrazia italiana

KAFKA IN OSPEDALE


Quando si ha a che fare, per qualsiasi motivo, con la “burocrazia” italiana, capita spesso di provare le stesse sensazioni che regalano le opere di Franz Kafka: frustrazione, confusione, claustrofobia, rabbia...
Ecco un esempio (non inventato) di ambiente ospedaliero:

Intanto tu ti ci sei recata solo per un innocuo colloquio, ed è un puro caso se sei digiuna, in anticipo di tre ore e munita di accompagnatore.
Ti presenti comunque all'accettazione e qui – sorpresa! – ti informano che devi fare un esame di cui manco conosci il nome.
Quando tu, uscendo dall'uovo di Pasqua, chiedi lumi, l'infermiera insiste che ti hanno detto tutto ieri al telefono. Tu replichi di non aver ricevuto alcuna telefonata e che sei qui per tutt'altro motivo. Questa insiste, sostiene che sei stata chiamata ieri a casa... “Ma io”, rispondi tu costernata, “ieri non ero a casa e non ho dato a nessuno il numero, che per giunta non è sull'elenco! Avete solo il cellulare!”
La replica dell'infermiera è un intelligente e rassicurante: “Ah!”.
Ma tu l'esame devi farlo comunque.
Va beh, okay, almeno eviti di tornare di nuovo (l'ospedale non è proprio dietro casa, impieghi un'ora e mezza circa di macchina per raggiungerlo).
Fai l'esame. La dottoressa che procede è bravissima e scrupolosa, ma ci sono complicazioni e il risultato è che tu ne esci tutta bucherellata, dolorante, con due medicazioni, e il ghiaccio per tenere a bada il dolore.
L'infermiera (non la stessa dell'accettazione, una gentile e premurosa) ti spiega che devi tenere assolutamente il ghiaccio fino a sera.
Tu le fai presente che tra un'ora hai un colloquio qui in ospedale, che poi devi tornare all'accettazione e quindi hai il viaggio di ritorno da scontare... Come fai?
“Eh”, sospira l'infermiera, “in reparto non possiamo darti più del ghiaccio che ti abbiamo già consegnato e che tra un'oretta sarà sciolto... Ma non preoccuparti, vai in farmacia e ti compri il ghiaccio secco”.
Va bene.
Provvedi a fare il colloquio nell'altro padiglione, nel frattempo il tuo prode accompagnatore muove a pietà un'infermiera caritatevole e ti procaccia dell'altro ghiaccio sottobanco. L'infermiera, tuttavia, non manca di redarguire il tuo amico facendo presente quanto ciò sia contro ogni regola e natura, diffidandolo dal domandarne ancora, e sostenendo che lei potrebbe essere scorticata viva qualora emergesse la sua infame colpa. Tu effettui il cambio, sconcertata, pensando che, tutto sommato, forse puoi sopravvivere anche senza ghiaccio, onde evitare di indurre una povera donna allo scorticamento.
Sbagli.
Con il ghiaccio ancora freddo torni all'accettazione. Devi solo consegnare dei documenti, calcoli di impiegare non più di un minuto. Ottimista...
Per fortuna il tuo accompagnatore, più previdente di te, ti abbandona, con l'intento di andare a procacciarsi del ghiaccio alla farmacia dell'ospedale (avete scorto il cartello indicatore mentre tornavate all'accettazione).
Un'ora e mezza dopo sei ancora in attesa di consegnare i documenti, il ghiaccio si è sciolto, e il tuo accompagnatore non è ancora tornato.
E tu sei piegata in due per il male cane. Kaiser!!!
Ma devi avere fiducia: il tuo povero amico non è fuggito, solo che gli è capitato di tutto!
Prima gli hanno fatto fare il giro dell'oca all'interno dell'ospedale (grandino, dentro ci si sposta con il pulman). Dopo molte peripezie ha trovato la farmacia interna, ma qui gli hanno comunicato che senza ricetta medica non puoi comprare il ghiaccio (sic)!!!
Alla fine il giovine è dovuto uscire dal complesso (ripeto, è grandino, tipo piccola città), e avventurarsi all'esterno, in una zona che non conosce per niente, in cerca di una farmacia...
Tuttavia, finalmente, torna, e tu, dicevamo, sei piegata in due dal male, ancora in sala d'attesa, ignorata e sconfitta, e ormai temi di assumere le sembianze di uno scarafaggio, come Gregor Samsa (“La Metamorfosi” docet)...
Sostituito il ghiaccio hai iniziato il processo di resurrezione, ma, esasperata, ti decidi a chiedere all'accettazione quanto dovrai ancora aspettare (con il ghiaccio acquistato hai un'autonomia di tre ore, e c'è il viaggio da considerare, devi di nuovo mandare il tuo amico in missione?). Essendo a novanta (per il male), induci la donna a compassione e questa (alleluja) si decide a farsi consegnare i documenti. E, già che c'è, ti pure fa parlare con un dottore in zona, per le amenità di contorno.
Costui, assai poco simpaticamente, ti apostrofa osservando che l'infermiera, poverina, si è lamentata che sei nervosa... Gli rispondi che avevi male, più che essere nervosa.
Il dottore, scocciato, replica: “E allora? Non poteva farsi dare del ghiaccio in reparto?”
Gli spieghi che in reparto il ghiaccio non lo possono dare, che nella farmacia dell'ospedale nemmeno, senza ricetta – perché, hey, serve pure per il ghiaccio – e che il tuo accompagnatore per compiere l'impresa è dovuto uscire dal complesso, con i tempi che ne conseguono...
La replica del dottore è: “Ah!”.

Al che ti guardi intorno aspettandoti di essere interpellata come Josef K. e tratta in arresto (“Il Processo” docet).

venerdì 20 maggio 2016

Titoli che bramo

LIBRI CHE MI ISPIRANO…

Ossia che vorrei comprare, ma non prima di aver dimezzato quelli attualmente in corso di lettura (al momento sono a quota diciassette, ma il punto è che sto trascinando alcuni titoli faticosamente da mesi, andando avanti di… tipo dieci pagine la settimana), per cui mi balocco con l’idea, imponendomi di trattenermi per non aggiungere troppa carne al fuoco…
E dunque, tra più ambiti, ci sono:


“I capelli di Harold Roux” di Thomas Williams, Fazi Editore. Mi aveva attirato la copertina – bellissima – e poi qualche frase letta qua e là su Twitter. Tuttavia, indagando, è emersa una trama che non mi garbava granché, così ho deciso di rinunciare, fino a che… ho letto “Il Bazar dei brutti sogni” di King, ove viene esplicitamente dichiarato che il romanzo in questione è forse il più bello esistente in assoluto sulla scrittura!!! (O qualcosa del genere…) Insomma, considerato che con King ho molti gusti in comune, direi che ormai è chiaro che non posso vivere senza e che era azzeccata la mia impressione iniziale! E poi la Fazi è nota per pubblicare romanzi peculiari e interessanti, che non sono i soliti best seller, quanto piuttosto porte spalancate su altri mondi…


“I Melrose” di Edward St Aubyn, Ed. Neri Pozza. Su consiglio di una collega intellettualmente stimolante, che, quando le ho domandato di indicarmi un bel romanzo, non ha esitato un attimo. Ha precisato di averlo letto qualche tempo fa, e di aver divorato parecchie opere nel frattempo, ma nessuna le è rimasta altrettanto nel cuore! E poi anche verso la Neri Pozza nutro molta stima, i suoi volumi sono profondi, sofisticati e… con una carta fantastica, dalla porosità particolare (ottima da sniffare).


“Romanzo Criminale” di Giancarlo de Cataldo, Ed. Einaudi. Lo so, andava “di moda” qualche anno fa, ed allora non mi interessava. Poi mi sono imbattuta in una serie di recensioni negative e… sarà bizzarro, ma mi hanno indotta a curiosare per scoprire se è davvero così brutto e mal scritto. San Tommaso docet.


“Herzog” e “Le avventure di Augie March” di Saul Bellow, Oscar Mondadori. E’ da un po’ che voglio conoscere quest’autore, viene citato spesso in opere che mi piacciono, per giunta è un classico, e ignorarlo è da svergognati. Devo colmare la lacuna!!!


Brighton Rock” di Graham Greene, Oscar Mondadori. Dopo “Il potere e la gloria” (che presto recensirò) ho bisogno di altro Greene. Questo titolo promette davvero bene.


“Dove sei Mathias?” di Agota Kristof, Ed. Casagrande. Amo questa autrice e non sopporto che ci sia qualcosa di suo che non ho letto. Ben sapendo, tuttavia, che sarà molto più triste, poi, di aver letto tutto…


“La pazza della porta accanto” di Alda Merini, Ed. Bompiani. Apprezzo la poetessa. Attraverso questo romanzo vorrei conoscere la donna.


“I racconti di Mala Strana” di Jan Neruda, Edizioni Utet. Un po' perché leggo Dampyr, per lo più ambientato a Praga, e un po' per approfondire meglio il quartiere più misterioso di questa città.


Con questo chiudo. Non perché la mia lista sia terminata (ho cinquantuno titoli che bramo, al momento), ma perché gli elenchi troppo lunghi ammorbano e non voglio esagerare!

giovedì 19 maggio 2016

La migliore di tutte

MULAN
di Barry Cook e Tony Bancroft
(1998)


Ispirato ad una leggenda cinese, è uno dei Cartoni Disney che preferisco in assoluto, poco importa che la protagonista sia bruttarella: Mulan è la migliore di tutte!!! Una delle prime eroine Disney, infatti, che si arrangia da sola, ma non a mezzo di magia e fortuna, né tanto meno con l'effimera bellezza, piuttosto con la sua intelligenza. Mushu, infatti, il draghetto che le viene affiancato per sottrarla a morte e disonore, è più che altro un pasticcione!
In realtà, però, non sono tanto le tematiche sociali ad interessarmi (per quanto, in effetti, a livello di “pari opportunità” ci sarebbe ampiamente da discutere), ma proprio la trama e i personaggi!
Intanto, adoro che la storia sia costellata di momenti epici, in cui veramente ci si esalta, e che le problematiche vengano risolte usando il cervello, e che, al contempo, ci sia tanta attenzione per i momenti padre/figlia/o: con pochi tratti (per lo più si gioca sugli sguardi) si riesce a rendere un'universale profondità di sentimenti! Molto struggente, infatti, la figura del papà di Mulan, che, sotto alcuni profili, trova la sua specularità in quella del Generale, padre di Li Shang (il più figaccione degli eroi Disney). Mi piace anche il rapporto che si delinea fra Mulan e i suoi amici, sia per quanto riguarda la sua piccola posse (lei, il grillo, Mushu e il cavallo) sia nei confronti dei compagni d'arme, Xiao, Chien-Po e Ling, e poi in ordine alla sua comprensiva famiglia (altro personaggino notevole, nonostante le propensioni macchiettistiche, è la nonna).
Stupenda la canzone “farò di te un uomo”, sia per la musica che per abbinamento alle immagini, divertente e grandiosa ad un tempo (le altre canzoni, invece, le avrei tagliate volentieri).
Ci sono poi, come sempre, momenti divertenti, in questo caso davvero riusciti (la prova con la mezzana è esilarante), alternati a sequenze drammatiche... Efficace risulta la resa dei cattivi: 'sti Unni fanno davvero paura, inoltre possiamo contare su molte scene d'azione, e persino su qualche virtuosismo con le arti marziali.
Più di tutto, però, il film vanta un ottimo ritmo, tantissime emozioni e una storia semplice, ma colma di coraggio e passione!

Curiosità per i fumettofili: tra i disegnatori spicca Régis Loisel (il cui tratto è peraltro riconoscibile)...

mercoledì 18 maggio 2016

Interessante per chiunque

IL CONCETTO DI TEMPO
di Martin Heidegger


Al Liceo Heidegger non era nel programma, indi non l'ho studiato sui libri di scuola... Tuttavia, ai tempi dell'università, ho avuto occasione di assistere ad una conferenza incentrata su di lui e mi sono innamorata: il mio filosofo d'elezione è sempre stato Nietzsche, ma Heidegger è talmente vicino al mio nichilismo di fondo!
Ho dunque deciso di leggere “Essere e Tempo”, la summa del suo pensiero, ma sono stata diffidata: è un volume impegnativo e non solo per il poderoso numero di pagine, ma per la complessità dei pensieri ivi espressa. E ciò secondo l'opinione, non di un comune mortale, ma di Gian, laureato in filosofia!
A questo punto ho deciso di optare per un approccio più soft e ho scoperto che la Adelphi pubblica diversi librini di Heidegger, brevissimi, e quindi più accessibili, che in nuce si presentano come delle “prove generali” del capolavoro cui aspiro.
“Il concetto di Tempo”, in particolare, consta di una settantina di pagine, è dotato di un bel riepilogo/dizionario con i termini più importanti, e racchiude una conferenza del filosofo che poi andrà a costituire uno dei capitoli centrali di “Essere e Tempo”.
Non dico che sia proprio facile da leggere, ma nemmeno difficile: basta rimanere concentrati.
Il registro è sufficientemente discorsivo, i ragionamenti presentati con un certo schematismo, e soprattutto vengono spiegati un pezzetto alla volta, procedendo per gradi. Non ci sono nemmeno troppi riferimenti specifici a studiosi precedenti (più che altro ad Agostino, il cui pensiero, però, è abbastanza immediato)... Insomma, anche se sono arrugginita ho seguito agilmente le speculazioni del Nostro, e credo non avrebbe difficoltà nemmeno un lettore totalmente digiuno di filosofia (i punti fondamentali, infatti, vengono rimarcati di continuo).
Considerando, poi, che riflettere sul tempo equivale, sostanzialmente, a riflettere sull'esistenza, oso affermare che l'argomento sia interessante per chiunque!
Certo, non ci si aspetti di discorrere semplicemente del più e del meno... Il punto di partenza di Heidegger consiste nel distinguere il tempo in oggettivo – che non ci interessa, in quanto appannaggio della scienza e della natura, e quindi misurabile, ma sostanzialmente in modo arbitrario e autoreferenziale – e soggettivo, che è appunto quello su cui ragioniamo, relativo all'interiorità dell'io. Il quale, però, a sua volta, non è sufficiente da solo, e va approfondito...
Ci addentriamo, così, in un percorso che è sempre più affascinante, ma man mano più tecnico. Tuttavia, lo ribadisco, non difficile da seguire se si resta concentrati (per aiutarmi meglio, io ho trovato utile sottolineare i concetti chiave, e quindi armarmi preventivamente di matita).
Il mio piano, quindi, è di leggermi sti librini e poi passare all'opera magna.
Con calma, ma con dedizione...

Omaggi.

martedì 17 maggio 2016

Di me ti puoi fidare

ROVER RED CHARLIE
di Garth Ennis e Michael Dipascale


Non amo i cani, eppure, dopo aver letto questo fumetto, per un istante ne ho quasi desiderato uno.
E chi pensava che Ennis, che pure adoro, potesse dare così tanto, in termini di amore? Un'opera commovente, apocalittica, epica... che ti spacca il cuore!
Gli uomini impazziscono, tutti, e si danno fuoco o si suicidano, spesso avventandosi anche contro i loro animali domestici. Tre cani, tre amici, Charlie, il più intelligente, Red, sciocco ma intrepido e leale, e Rover decidono di fuggire insieme in cerca di un futuro, sopravvivendo a svariate peripezie...
La cosa più pazzesca è che qui i protagonisti sono cani autentici, con i loro limiti e ingenuità: nessuna traccia di antropomorfismo, di morale, di retorica: i cani sono cani, si annusano il sedere, violentano le consimili (ma senza cattiveria) se non sono castrati, sono carenti di vocaboli e di concetti fondamentali, e sono consci di non possedere le sofisticate capacità dei gatti.
I cani sono cani, niente più. E per questo sono bellissimi.
A colpire è anche quel che abbaiano di solito: “sonouncanesonouncanesonouncane”. Ossia un'orgogliosa affermazione di sé, ma anche una rassicurante promessa: di me ti puoi fidare, sono un cane! Tutto lì. Puro. Semplice. Perfetto.
Non mancano efferatezze, violenza e sadismo, come tipicamente di Ennis. Ma abbiamo anche momenti di comicità e di tenerezza, che stanno in perfetto equilibrio fra loro, sostenendosi e impreziosendosi a vicenda. Non è che il registro cambi, infatti, è solo che... così è la vita: ricca, dolorosa, emozionante, divertente. Inoltre ci viene offerta una straordinaria panoramica su come è possibile essere cani, in senso positivo e negativo (non è che il migliore amico dell'uomo sia sempre buono, ad esempio... A volte brama vendetta, a volte è solo piccolo, inutile ed egocentrico), patetico o maturo.
E anche gli altri animali sono interessanti, e sempre credibili, con i loro limiti e caratteristiche (indimenticabili i soffiosi, e tenerissime le povere coccodelle), pucciosi e cartooneschi, e al contempo autentici, grazie ai bei disegni di Dipascale...
Bella anche la storia in senso più ampio: la maturazione etica e l'acquisizione di consapevolezza da parte di questi animali, che conquistano la loro libertà, prima in senso fisico, poi interiore e filosofico, un po' come Buck ne “Il richiamo della foresta” di Jack London.

Un fumetto meraviglioso, immediato, come non mi capitava da tempo, che ti viene voglia di ricominciare a leggere subito, appena l'hai finito, e che è universale, indicato per tutti, inclusi i non lettori.

lunedì 16 maggio 2016

Stomaco e cuore

CECITA'
di José Saramago


Romanzo che non lascia indifferenti, questo, che turba e sconvolge, ma incuriosisce, lacerandoci l'anima.
Siamo in Portogallo e l'epidemia inizia piano, con un uomo che, inspiegabilmente diviene cieco... Un passante lo riaccompagna a casa, gli ruba l'auto, e diviene cieco a sua volta... Si va avanti così, infettando tutti, fino a che un oculista dà l'allarme e i contagiati vengono rinchiusi in un manicomio in disuso, dove si dovrà lottare prima con la paura e la malattia, poi con le condizioni igieniche disastrate, fino a che non inizieranno le violenze vere e proprie, perpetrate da ciechi a danno di altri ciechi. Unica immune a questo assurdo morbo la moglie del medico, non più giovanissima, che deciderà comunque di seguire il coniuge in manicomio...
Non conosciamo i personaggi per nome: i nomi non hanno più senso non potendo attribuire loro un volto. Ci limitiamo ad assistere a questa tragedia umana fatta di sopraffazione, indifferenza, brutalità, ma anche di coraggio e solidarietà, in cui tutto viene portato allo stremo.
Ci sono passaggi che risultano davvero faticosi da digerire, e più volte mi sono imposta una pausa per poter andare avanti. L'opera, tuttavia, è interessante anche per questo, sotto il profilo antropologico, etico e filosofico, e, purtroppo, il quadro che ne emerge, crudo e tremendo, ci suona altresì realistico. La scrittura è eccellente, misurata. Non sguazza nell'orrore (per fortuna, perché ce n'è già fin troppo), ma semplicemente lo denuncia, cercandone la radice, in modo quasi oggettivo.
Unici nei – voluti e dal valore simbolico, ma ugualmente fastidiosi – l'uso della punteggiatura e la mancanza di capoversi: i dialoghi sono privi di virgolette e dei due punti, le pagine si presentano come rettangoloni compatti... la lettura è faticosa, gli occhi si confondono, bisogna abituarsi. Ci si riesce solo grazie al magnetismo della trama, e anche così sono stata tentata qualche volta di abbandonare.
Superato questo scoglio, però, si procede rapidamente... Se si hanno stomaco e cuore abbastanza saldi.

Capolavoro.

venerdì 13 maggio 2016

Le atroci conseguenze

CERNOBYL – LA ZONA
di Francisco Sanchez e Natacha Bustos


Mi ricordo della tragedia di Cernobyl, con l’esplosione della centrale nucleare e le sue atroci conseguenze. Ero in terza elementare e a scuola ne avevamo parlato tanto, rabbrividendo e soffrendo a distanza.
Eppure, di recente, proprio grazie a questo volume, ho realizzato che c’erano un sacco di aspetti che ignoravo: dall’orrore del quotidiano alla faccenda degli animali domestici soppressi a tradimento, dai ritorni clandestini, nonostante la radioattività, ai volontari che non erano esattamente tali...
In “Cernobyl – La Zona”, benché si trascurino volutamente gli aspetti morbosi ed eclatanti, ci viene spiegato tutto, sia pure con garbato lirismo, senza invettive o dita puntate, attraversando il prima, il dopo e il durante, ma rinunciando a seguirne la cronologia.
Anziché spaventarci e suscitare clamore, dunque, la graphic novel ci aiuta a comprendere i lati umani della vicenda, quelli che spesso restano sullo sfondo, invisibili, e ciò sfruttando un ottimo montaggio, dai toni nostalgici, che certamente sfiora la brutalità dell’evento, ma tra un silenzio, un’allusione ed un non detto, fatto di immagini scarne, più che di parole, mostrando in presa diretta, più che raccontando, e dandoci così l’opportunità di “vedere”.
Inutile dire che l’opera è eccellente, commovente, coinvolgente e profonda, valida a livello narrativo come documentaristico, capace di avvicinarci davvero, finalmente, a quello che è successo, tuttavia in modo non pedissequo, arrivando comunque a offrirne un’interpretazione personale, valorizzando così la componente del racconto, che è quello di tutti, ma è unico. Riuscendo, quindi, in sostanza, a renderlo vero, evitando di riportarlo in modo asettico e oggettivo, ma regalandogli un volto, anzi più di uno.
Seguiamo infatti le vicissitudini di una famiglia – nonni, genitori e figli – attraverso i vari punti di vista e salti temporali. Non indugiamo su nulla, eppure cogliamo ogni sfumatura, senza rimanere come beoti a bocca aperta, ma facendola nostra, sentendola bruciare sulla pelle e sotto di essa. Senza capire, addirittura, all’inizio, senza capacitarci o voler credere, persino noi che siamo consapevoli, almeno sino a che non vi siamo costretti, in quanto l’evidenza non ricorre a giri di parole, e sempre speriamo che si sbaglino circa i divieti, i tumori e i decessi…
E ci sono le imposizioni del governo e la radioattività.

Ma anche delle persone che sono invenzione, forse, personaggi… ma che, immaginarie o no, finzione o no, sono anche esseri umani autentici, in quanto archetipo. E in fondo, ci rendiamo conto, potremmo essere noi.

giovedì 12 maggio 2016

Il giro del globo

IL DESTINO NON USA LA FORCHETTA
di Renato Zerbone


Il titolo è bellissimo, l’autore è albenganese ed è un esordiente, anche se il romanzo è ambientato… ovunque tranne che ad Albenga! Ed infatti partiamo dalla Colombia per arrivare in Irlanda e poi toccare la Svezia, e poi… ovunque, dicevo, facciamo quasi il giro del globo!
Un’opera avventurosa, dunque, ma non in senso classico, suggestiva, filosofica, se vogliamo, con qualche spunto mistico, omicidi, tensione, stupri (davvero tanti), parentesi romantiche (o improntate al sesso) e… un unguento portentoso, che fa gola alle case farmaceutiche, e che ha origini… divine (ma non senza ironia)!
Romanzo corale, con tantissimi personaggi che si passano il testimone, intrecciando le proprie vicissitudini tra loro, sfiorandosi, o innescando i meccanismi del destino, appunto, che andrà a ripercuotersi sugli altri.
Certo, il nostro punto di riferimento è principalmente Chepe, un ragazzo colombiano, in fuga dai debiti, che presto vedrà morire la fidanzata tra le sue braccia, ma non tutto ruota attorno a lui, anzi, ci sono molte vicende che ne prescindono completamente.
Lo stile è semplice, ma ricco di dettagli, con una punta grezza a conferirgli un nonsoché di peculiare. Scorrevole, con molti brani interamente dialogati, porta il lettore ad andare avanti senza fatica, pur richiedendo attenzione, a causa dei frequenti cambi di scena e di contesto.
A volerlo esaminare criticamente, la prima cosa che salta all’occhio è la cura con cui è stato redatto, probabilmente dovuta ad un elevato numero di riletture, che quindi ci induce a fare i complimenti all’autore per il lavoro duro, la costanza e la passione!
L’elemento più interessante, tuttavia, è dato dai frequenti mutamenti di direzione della trama, dalle contrapposizioni concettuali e dal fatto che sia difficile prevedere dove si voglia andare a parare: morti improvvise, fortuite, si alternano a ritorni inaspettati che avevamo scambiato per parentesi esemplificative…
Edizioni Sensoinverso, disponibile sulle piattaforme online e da INKiostro ad Alassio!

P.S.

Su YouTube, il book trailer!

mercoledì 11 maggio 2016

Un percorso di crescita interiore

LOLA VERSUS
di Daryl Wein
(2012)


MPM ama i film indipendenti, io non sempre e non a priori.
Questa volta, però, sono stata contenta di aver accolto i suoi suggerimenti, perché la pellicola in oggetto è sincera, insolita (nonostante la trama di repertorio) e teneramente agrodolce. Ci sono alcuni punti in cui si riesce a rendere con autenticità una dimensione di smarrimento e confusione, in cui ci sentiamo non amati, rifiutati, sventurati, ma poi pure colpevoli e arrabbiati. Altri in cui si ride a crepapelle in modo genuino grazie alle situazioni bislacche, eppure naturali, quasi ordinarie, in cui di volta in volta ci ritroviamo, senza sapere bene che cosa fare o che cosa accadrà…
E se in principio solidarizziamo con Lola (Greta Gerwin), classica ragazza della porta accanto, con il viso simpatico e un po’ di panciottina, piantata dal fidanzato storico quasi sull’altare, poi ci accorgiamo di averla sopravvalutata e che lei non è proprio la ragazza d’oro che credevamo… Eppure ci piace lo stesso, le vogliamo bene, benché Lola, già egocentrica e ossessiva di suo, cominci a combinarne di tutti i colori, arrivando a “scaderci”, persino, in alcune occasioni, mentre progressivamente va alla deriva, perdendo ogni riferimento.
Ecco perché “Lola Versus”: la protagonista si sente in contrapposizione con tutti, anche se, di fatto, deve solo sforzarsi di capire chi è, che cosa vuole, e imparare a prendersi cura di se stessa, magari partendo dagli altri, ma senza strumentalizzarli…
Un percorso di crescita interiore, dunque, realizzato con sensibilità e leggerezza, con ironia e delicatezza, favorito da un ottimo cast che ci fa pensare non ad un film, ma di essere precipitati nella vita di qualcuno, di cui, per un po’, abbiamo l’impressione di far parte…
Da segnalare, in particolare, la bravura di Zoe Lister-Jones (già vista ne “I miei peggiori amici”), che interpreta Alice, la migliore amica di Lola.
Solo la trama è un po’ debole di per sé, un po’ esilina e prevedibile… Ma non ce ne accorgiamo più di tanto perché sorretta da una serie di scene che ci conquistano senza remore, incatenandosi tra loro e facendo risplendere tutto quanto.

Film ottimo per tirarsi su il morale, come per riscoprire la bellezza dell’amicizia.

martedì 10 maggio 2016

Un pezzettino dell'infanzia

THE ART OF HE-MAN AND THE MASTERS OF THE UNIVERSE


Era mio fratello Androide che li collezionava, non io, ma li amavo lo stesso, perché ci sono un mucchio di mostri bellissimi e fantasiosi, e, adesso, perché rappresentano un pezzettino della mia infanzia...
I miei prediletti erano Mantenna, Megator (il gigantaccio che pareva Hulk ingrugnito e con i capelli lunghi) e gli Uomini Serpente: tutti cattivi! Ma ce n'erano molti altri con cui simpatizzavo e di cui, ahimè, non conoscevo il nome! L'Art Book in questione, quindi, mi ha attirata da subito, specie considerando che si presenta in una veste lussuosa, cartonata, di grande formato, che a sfogliarla rivela tavole enormi e dettagliate, spesso magistrali esempi di grazia pittorica!
E poi, oltre che un acquisto necessario, mi pareva un ottimo modo per colmare le mie lacune!


E in effetti, benché sia piacevole da esaminare per qualunque amante della heroic fantasy, questo godurioso librone per nerd ha superato le mie aspettative! Prende in considerazione qualsivoglia aspetto relativo ai Masters: dai giocattoli progettati e mai realizzati (per fortuna, in qualche caso!), alla linea delle action figure della Mattel, ai film, ai cartoni animati, ai fumetti (con tanto di scontro con Superman), ai reeboot più recenti! Ci vengono spiegati retroscena, obiettivi, “esperimenti” e dietro le quinte, riportate interviste, reazioni, materiale inedito, varianti, nonché la versione originale di alcuni personaggi (o altri cui poi si è rinunciato), ma si privilegiano le immagini e ci sono tante pagine doppie, disegni a profusione, schizzi, mappe, bozzetti, e qualche allegro extra, ad esempio un po' di scenari su cui piazzare un rodovetro con He-Man e Skeletor, per aiutarci a comprendere i trucchi e le economie richiesti dalla produzione televisiva.
La cosa più commovente però (per motivi nostalgici) è lo spazio dedicato agli albetti allegati ai primi giocattoli o la riproduzione degli adesivi del Castello di Greyskull o il playset di Eternia (troppo bello quando lo montavamo sul tappeto in sala, vicino alla Villa Paradiso d'Estate dei Mio Mini Pony!)... Ogni tanto vengono a galla un po' di incongruenze e qualche pasticetto (ad esempio, un disegnatore era convinto che il Castello di Greyskull appartenesse a Skeletor), e talvolta sono quasi epifanie! Naturalmente si parla anche di Hordak, e di She-ra, la sorella di He-man (senza esagerare, per fortuna). Le pagine che preferisco sono però quelle in cui vengono schierati tutti i personaggi con tanto di nome: esaltantissime e supercomplete!!!

Un'opera fondamentale per ogni appassionato!

lunedì 9 maggio 2016

Aspettando non Godo(t), anzi...

TRENITALIA: UNA M…


Quale sarà la parolina misteriosa? Meraviglia? Magnificenza?
Ai lettori l’ardua sentenza…

Domenica 8 maggio devo prendere il treno presto, per cui sabato controllo gli orari su Internet, onde evitare sorprese (che ottimista, come se le F.S. non ne riservassero sempre e comunque!). Insomma che opto per quello delle 6.23 da Alassio. Benone!
Punto la sveglia alle 5.30, mi alzo a fatica (mi sono coricata alle 00.30 circa, ma verso le 3.00 mi sono alzata causa insonnia, riuscendo a riappisolarmi solo l’ora successiva) e mi trascino in stazione, modello zombie, dopo aver tirato giù dal letto pure il Mio povero Perfido Marito.
Arrivo alle 6.15 e controllo il monitor con arrivi e partenze: non c’è niente. Va beh, mi dico, ordinaria amministrazione: sarà fuori servizio. Scruto, allora, l’orario affisso sulla parete per conoscere il binario: ho un discreto carico di fumetti, tra cui otto cartonati, e non mi sento di spostarmi all’ultimo secondo. Solo che… boh. Il mio treno risulta non circolare né sabato, né durante i festivi. Oggi è domenica, dicevo. Ce n’è anche un altro, stesso orario, stessa destinazione, ma viaggia solo al sabato. Ergo? Niente treno?
Mi trascino su una panchina perché comunque ho le braccia prossime al crollo e verifico su Internet, sito ufficiale di Trenitalia. Mi rassereno: il treno c’è. Data 08/05/2016, partenza 6.23, come previsto. E’ il regionale n. 11341. Clicco su Maggiori Dettagli, scopro l’orario delle varie fermate e che il servizio di seconda classe non è prenotabile. Okay, manca poco. Ho due romanzi meco, inizio a leggere.
Immersa fra le pagine di Moravia e abituata come sono ai ritardi standard tra i 10 e i 20 minuti non bado subito alla circostanza che non seguono annunci né locomotive.
Del resto, i ritardi sotto i venti minuti spesso non vengono nemmeno segnalati, indi no problem. La mia panchinella è all’aperto, mi godo l’aria primaverile e il canto degli uccellini (dovrei dire i versi sgraziati dei gabbiani e il ridicolo tubare dei piccioni, ma sono di buon umore. Ancora).
Verso le 6.45, tuttavia, si alza il vento e l’aria primaverile si raggela. Decido di ripararmi nel gabbiotto chiuso, ma non posso, c’è un clochard che vi alloggia. Dorme nel suo lettuccio sul pavimento.
Torno alla mia panchina. Starnutisco.
Starnutisco.
Starnutisco.
Mi soffio il naso.
Intanto una signora clochard si apparecchia il tavolaccio di pietra sul primo binario, presumo per la colazione (che io ho saltato per far prima), un altro scatarra alacremente vicino al distributore automatico. Ha la decenza di sputare nel cestino dei rifiuti, ma emette il rumore dell’inferno dei tisici.
Io ho freddo, accipigna. Guardo l’ora, le 6.55.
Il mio treno doveva arrivare 32 minuti fa.
A questo punto capisco: gli orari riportati sul sito di Trenitalia sono ingannevoli, falsi e bugiardi. Ho il primo treno alle 7.57. Tra un’ora. Se ho fortuna.
Il clochard vicino alle macchinette rutta sonoramente e riprende a scatarrare. Mi domando se ciò abbia una valenza simbolica.
Sto congelando.
E ho sonno, un sonno invalidante.
Che dire?
Indovinate, ora, la parolina iniziale?

P.S.
Ecco alcune amenità che ho trovato girellando in rete mentre aspettavo Godot:
e i siti:

E sono solo i primi…

venerdì 6 maggio 2016

Anche i Nazistacci hanno un cuore

LA CRUNA DELL'AGO
di Ken Follett


Spy-story per antonomasia, nonché primo successo di Ken Follett, ben costruita, rapida, incalzante ed efficace, con un elemento di imprevedibilità, l'amore, che aggiunge un pizzico di pepe e ci garantisce il lieto fine... Della serie, anche i Nazistacci hanno un cuore.
Non amo i thriller, l'ho già detto e ribadito, e fra questi le storie di spie, in particolare, occupano il gradino più basso nella scala dei miei interessi. Se avevo letto questo romanzo (secoli fa), infatti, era solo perché all'epoca mi piaceva l'autore, che, in questo caso, non mi aveva delusa...
La trama, infatti, ricca di commistioni e riferimenti storici (sovente reinterpretati), con la Seconda Guerra Mondiale a fare sia da sfondo che da motore narrativo, è avvincente, scritta in modo impeccabile, eliminando il superfluo e facendola scorrere a velocità inaudita... Seguiamo, dunque, le efferratezze di questa spia tedesca, Die Nadel, l'Ago, intelligente, inafferrabile, che uccide con uno stiletto e che di norma non ci pensa due volte... Ma i servizi segreti britannici gli sono alle calcagna, e per fortuna, poiché da ciò dipendono le sorti della Guerra (anche se, ad essere onesta, cattivo o non cattivo – ma è cattivo, ci sono pochi dubbi – io non riuscivo a non parteggiare per lui, per l'Ago).
Una lettura di intrattenimento piacevole, ricca di suspence e di azione, specie da che si giunge sull'isola della tempesta, perchè l'elemento umano si fa preponderante, la vicenda diviene ancora più concitata e cominciano a fioccare i colpi di scena!
E poi perché incontriamo il personaggio più inaspettato (benché non mi ci sia affezionata), Lucy, che abita sull'isola insieme alla famiglia, ossia marito e figlio, l'unica capace di... O beh, vedrete!

Il romanzo non mi ha coinvolta e appassionata come “I Pilastri della Terra”, ma è meglio concepito, con più ritmo e maggior imprevedibilità, inoltre è adatto ad un pubblico più vasto, ed anzi, apprezzabile da qualsivoglia tipo di lettore.