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venerdì 29 aprile 2016

Non c’è nulla di scontato

DI COSA PARLIAMO QUANDO PARLIAMO D’AMORE
di Raymond Carver


Di Carver avevo letto soltanto l’antologia “Cattedrale” e questa mi sembra sulla stessa lunghezza d’onda: racconti brevi, asciutti, scarnificati, che narrano la normalità e le infelicità che si nascondono dentro di essa.
Che ti lasciano lì, sul momento, basito, inerme, ma poi, quando li ripercorri nella tua mente, ti accorgi che ti hanno lasciato qualcosa. Che non sai che cos’è, ma ha un sapore amaro, ma pure autentico e, se tutto va bene, consolatorio. Uno spiraglio di luce. Frammista a polvere, ma sempre luce.
Non c’è ironia, in queste righe. Solo distanze siderali, cose non dette e altre che preferiresti non aver sentito, perché fanno male.
Ti spiazzano, ti alienano.
Ma ti ammaliano, anche, restituendoti qualcosa che immaginavi solo tuo, ma che invece è di tutti e la condivisione rende prezioso.
E a volte ti sorprendi che non accada altro, a volte rimani pietrificato perché non ti immaginavi questa deflagrazione improvvisa, con tutto quel sangue. Si fosse trattato di un altro autore… allora magari sì, ci saresti potuto arrivare. Ma da Carver ti attendevi toni più posati, situazioni più ordinarie, più banali…
Invece…
Non c’è nulla di scontato, nemmeno l’ovvio, perché non sai mai da che parte il vento decide di soffiare.
Diciassette racconti, diciassette finestre sul mondo e sui sentimenti, di solito deteriorati, di persone che non ce la fanno più, per una ragione o per l’altra.
Di cosa parliamo quando parliamo d’amore?

A volte di noi, a volte di niente.

giovedì 28 aprile 2016

Una bestemmia e una battuta

CONSTANTINE – HELLBLAZER


Da un’idea di Alan Moore (il personaggio compare inizialmente in “Swamp Thing”), il personaggio di John Constantine, mago potente quanto astuto, cinico, cialtrone e stropicciato, fa di tutto per rendersi odioso, ma, personalmente, una pizza con lui me la farei volentieri… Anche se avrei l’ansia di restarci secca (non si sa mai)! Con tutto che, lo riconosco, le teste di beep mi sono sempre state simpatiche!
Molti autori si sono susseguiti ad interpretarlo (e il mio preferito è ovviamente Garth Ennis), creando all’interno della saga vere e proprie mini serie dotate di vita propria, filoni che privilegiano un elemento piuttosto che un altro, creando nuovi contesti e nuovi nemici o personaggi di contorno, così, adesso che c’è stato un rilancio per accaparrarsi il pubblico dei più giovani passando da “Hellblazer” a “Constantine”, non ho sentito più di tanto lo stacco. Per ora.
Se mi piacciono questi comics è perché sono adulti, scomodi, ma non senza cuore, e perché mi piace lui, John (sebbene non quanto ami Sandman o Jesse Custer), ma soprattutto perché mi solletica l’esoterismo con le sue seduzioni. Adoro i riferimenti continui a demoni e dei dimenticati, a impiastri alchemici o a temibili Grimori, adoro l’horror, l’unpolitically correct e gli impermeabili intrisi di pioggia e fumo di sigarette (per quanto non fumi)… E mi piace che il protagonista riesca a rinnovarsi di continuo, cambiando, ma rimanendo il medesimo. A volte più tormentato, a volte più folle, o spiritoso, ma sempre lui, e sempre bastian contrario, con una bestemmia e una battuta perennemente pronti sulla punta della lingua (tra le altre amenità, abbiamo visto Constantine anche in “Sandman”, “The Books of Magic” e “Justice League Dark”).
Le trame, spesso, sono sorprendenti: non sempre si riesce a prevedere l’escamotage con cui il nostro antieroe salverà la pelle, o risolverà il caos in corso… non sempre lo risolverà, e il prezzo da pagare potrà essere elevato!
A volte sangue e budella abbondano, talaltra si gioca più sull’atmosfera o sulle caratteristiche del personaggio… irrimediabilmente dannato, un po’ perché lo è e non può farci nulla, un po’ perché così è più figo e gli piace lamentarsi…
Una serie sporca, che spero non si patini troppo, adesso, ma che è sempre stata variegata e soggetta ad alti e bassi.

Per gli amanti della linea Vertigo.

mercoledì 27 aprile 2016

La felicità stilistica

NON ORA, NON QUI
di Erri De Luca


Probabilmente ho fatto il pieno: ne ho letti troppi di seguito, di libri di De Luca, troppo simili fra loro, labili, indefiniti, esistenzialisti, e non riesco più ad apprezzarli. Colpa mia, come al solito sono ingorda e brucio le cose facendone indigestione.
E sì che all’inizio mi esaltava questa immersione totale nella memoria composta di malinconia, di pesantezza, di atmosfera e distanza… Questa rincorsa a ciò che non è più, che non è neanche mai stato, forse, e che al contempo sarà per sempre, cristallizzato nel ricordo, vivo e mutevole, soggetto a reinterpretazioni e, persino, a scoperte ed agnizioni.
Prima non sentivo la mancanza di fatti o di azione, mi lasciavo rapire, trasportare e mi rilassavo, pur attraverso la nostalgia. Così si dovrebbero leggere i romanzi/racconti di De Luca, con questo spirito, aperto e riflessivo, godendo della bellezza della prosa, della composizione delle frasi, e delle verità semplici e sconcertanti in esse contenute, della scelta accurata delle parole, della precisione con cui vengono selezionate e armonizzate, del gusto dolente che si prova ad inseguire quel che non si trova…
La felicità stilistica rimane, naturalmente, ma sono i contenuti, che, se inizialmente mi sembravano intimi e preziosi, oggi mi appaiono scontati, ovvi. Estranei, addirittura.
Li percepisco come un crogiolarsi forzato in un’autocommiserazione autoindotta.
Adesso provo fastidio, noia, persino.
La perfezione della prosa, punteggiata di lessico colto come di locuzioni gergali, di per sé non mi basta, ed anzi mi sento soffocare.
Per quanto, cercando di essere obiettiva e distaccata, devo affermare che questo, in particolare, sia uno dei romanzi/racconti di De Luca più pieni e profondi, uno di quelli con più carne attorno all’osso.
Non solo è scritto bene, ma risulta pregevole altresì nella sua costruzione, nel suo alternare presente e passato, nelle sue conclusioni, poco consolatorie, ma per questo ancora più intense.

Eppure non mi va di leggerne altri, ormai, quindi… Quindi cercherò di aspettare almeno un annetto prima di comprarne un altro ;).

martedì 26 aprile 2016

Le ragazze fanno le dure

SEX AND THE CITY


O, come dico io, quattro sgualdrine e mezzo cervello!
Naturalmente alludo alla serie HBO (1998-2004) creata da Darren Star, con protagoniste Carrie, Samantha, Charlotte e Miranda.
Solo che, più che una recensione, questo è uno sproloquio, dettato dal mio sconcerto per il successo di un prodotto tanto misogino (misogino, sì) e imbarazzante, che, se pure ormai è un po’ vecchiotto, continua a spopolare. Specie tra le ragazzine lobotomizzate.
Intendiamoci, a guardarne qualche episodio sparso è pure piacevole, e lì per lì le protagoniste possono persino apparire toste e anticonvenzionali… ma provate a spararvi le sei stagioni di fila (i film sono tanto insulsi che non vale nemmeno la pena di considerarli)… E’ tutto il contrario!
Va beh, tralasciamo la circostanza che su di me le carrellate di scarpe, borse e vestiti non esercitano alcun fascino, ed anzi al massimo mi inducono a sbadigliare… Con tutto che come accidenti si fa a farsi dare consigli di moda da una tizia che gira per New York con un tutù rosa? My God!
La nota più dolente, peraltro, sono proprio le ragazze: fanno le dure, ma sono sempre lì a frignare dietro un uomo, come se non potessero vivere senza (alludo in particolare a quella scimunita di Carrie e al suo Mister Big, che, va bene, alla fine la sposa, ma solo dopo anni di prostrante zerbinaggio! Dov’è finita la tanto propugnata indipendenza femminile? E l’emancipazione? E la dignità? Bah!).
Peraltro le fighette passano da un estremo all’altro… Come possono ste operatrici di rettilineo essere così superficiali a giudicare i masculi che non le interessano? (Non ce l’ho con Samantha. Samantha è l’unica che non mi dispiace: almeno dice chiaro quello che vuole, senza pregiudizi, e ci risparmia le arie da gatta morta.) Tra i motivi per cui gli uomini vengono piantati (malamente) ci sono i più stupidi, i più gretti mai sentiti dai tempi di Ally McBeal… E magari sul momento possono pure risultare divertenti, ma danno un messaggio veramente orribile e di sicuro non ci portano verso una discussione matura, rispettosa e produttiva con l’altro sesso (viene davvero voglia di dire: “prendi una donna e trattala male”, solo che, grazie a dio, non ci sono mica solo vacche così!)… Per tacere della puntata in cui due delle quattro oche si vantano per il numero di aborti effettuati. Io non sono contraria, ci mancherebbe… E posso anche condividere l’intento sotteso, di non farne una malattia o un tabù… Ma… e gli anticoncezionali? Non ce li hanno a New York? E bisogna per forza riderne, poi?
Infine, ragioniamo… Le protagoniste sono rispettivamente una scrittrice, un avvocato, una gallerista e un’imprenditrice. In teoria, quindi, donne con una cultura, con degli studi alle spalle... Possibile che parlino solo di scarpe e peni? Se non sbaglio nelle sei stagioni vengono menzionati solo due libri: uno scritto da Carrie e uno di un suo cicisbeo… E anche le altre forme di cultura (teatro, cinema, balletto, arte…) vengono completamente ignorati, a meno che non siano funzionali ad una bottarella…
E tante ragazze hanno innalzato Carrie ad una specie di idolo da imitare: ma dai!!!
Indi, tutto da buttare?
No.
L’idea di base è interessante, inizialmente davvero controcorrente e originale (prima che si perdesse nel mare della melensaggine); il romanzo di Candance Bushnell da cui la serie è stata ispirata (e che con la stessa c’entra di striscio, specie in quanto alle protagoniste) non è brutto (anche se ormai l’ho quasi dimenticato); inoltre, apprezzo l’aria newyorkese che si respira, mentre la sigla, con la scena dell’autobus… ecco, quella è un gioiellino di sagace ironia!
E comunque ammetto che le puntate, prese singolarmente, possono regalare sorrisi, riflessioni critico-sociali e qualche emozione. Nella prima stagione, in particolare, sono incisive e stimolanti.

Sulla lunghezza, però, ci si perde… Peccato!

lunedì 25 aprile 2016

Un’atmosfera incantata

LA LETTRICE DI FIORI
di Elizabeth Loupas


Le mie aspettative erano basse: ero convinta fosse una triste e dilettantesca imitazione di Philippa Gregory… Invece, per quanto sia un drammone storico che bazzica attorno a Maria Stuarda, con tanto di suggestioni magico-romantiche in pieno stile Gregory, Elizabeth Loupas con l’autrice de “L’altra donna del Re” ha davvero poco da spartire, raggiungendo invece una sua propria ed originale dimensione.
Intanto la vera protagonista del suo romanzo non è una Regina realmente esistita, ma un personaggio inventato, la determinata Rinette Leslie di Granmuir, dedita alla floromanzia (ma senza esagerare), così come frutto di fantasia sono la maggior parte dei coprotagonisti, rendendo in tal modo la trama più avvincente e meno prevedibile, costellata da continui colpi di scena ed eventi significativi…
Anche lo stile è differente, pieno di profumi e colori, ma decisamente più vivace rispetto alla Gregory, più irruento, incalzante, particolareggiato, ma meno teso a rimarcare concetti e situazioni: le scene scorrono rapide, con continui cliffhanger.
Le vicende narrate sono avventurose, imprevedibili (omicidi, attentati, esecuzioni, furti, violenze), e gli stessi fatti che fungono da contorno non risultano troppo vincolanti, per giunta non sono nemmeno inflazionati: della Stuarda, ad esempio, si vive la giovinezza e non la prigionia e la morte, già affrontata da ogni prospettiva in film e libri.
La stessa descrizione della sovrana è affascinante: non la classica figura di donna idealizzata e forte, quanto una capricciosa fanciulletta lunatica e prepotente, con i suoi umori e le sue bizze, pur capace di grande seduzione e amabilità.
Non manca nemmeno la parentesi amorosa, ma è abbastanza dimessa e altalenante nel suo sviluppo da non stancare e né risultare irritante.
Anche la protagonista ci piace. Va bene, Rinette è la tipica eroina che alterna debolezza e determinazione, che cade e si risolleva di continuo, però seguiamo volentieri le sue peripezie, partecipando delle sue ansie e delle sue emozioni.

Una lettura piacevole, femminile, avvolta in un’atmosfera incantata a base di broccati e di feste, ma con qualche momento di brutalità, dolore e intimismo.

venerdì 22 aprile 2016

Schwarzy in tutte le salse

TERMINATOR SAGA

Discontinua, ma complessivamente strepitosa, saga fantascientifica con Schwarzy (killer cyborg proveniente dal futuro) in tutte le salse (giovane, vecchio, cattivo, buono, nudo, vestito, empatico, glaciale…) e sempre più complessi salti temporali, che per ora decido di passare in rassegna in modo succinto (e senza riassunti), alla velocità della luce, con l’intesa che, magari, in futuro, dedicherò ai singoli film lo spazio che meritano…
Dunque, cominciamo:


TERMINATOR (1984, James Cameron)
Must anni 80, assolutamente da vedere: ritmo, adrenalina, tensione e crudeltà (specie per quanto riguarda il finale…), in cui Schwarzy/T-800 è cattivissimo ed implacabile, tanto che, ai tempi (ero alle Elementari), per quanto mi ostinassi a voler vedere e rivedere il film (troppo bello!), pativo da morire! La pellicola, infatti, mi appariva desolante, sporca, e tutt’altro che consolatoria. Volevo amare Schwarzy (che già era uno dei miei eroi), ma dovevo odiarlo per forza, mentre il bel tenebroso, Kyle Reese (Michael Biehn), mi appariva così ingiustamente svantaggiato da farmi pena, idem la fragile (ancora) Sarah Connor, una giovanissima Linda Hamilton…
La trama, però, era talmente avvincente, originale e stimolante, che resistevo! Mi appariva come una ventata d’aria fresca, con la giusta dose di azione, inseguimenti, epicità, claustrofobia, ma anche innovazione…


TERMINATOR 2 – Il giorno del Giudizio (1991, James Cameron)
Bellissimo, il mio preferito! Perché qui si mette tutto a posto: Schwarzy è buono e pure simpatico, Sarah Connor diventa ca**utissima, e finalmente conosciamo suo figlio John, adolescente problematico! Per giunta arriva il T-1000, un nuovo cyborg killer, ma più evoluto, più spietato, e odiabile fino in fondo, senza remore! E poi le battute! Un sacco!!! Divertenti, mitiche, ironiche! Praticamente da impararsi mezzo film a memoria! Non deludono nemmeno la trama, perfetto seguito del capostipite, o le altre caratteristiche dell’originale (azione, emozioni, ansia), che anzi, si rinnovano e migliorano! Capolavoro!


TERMINATOR 3 – Le macchine ribelli (2003, Jonathan Mostow)
E qui ci perdiamo… La storia prosegue, il T-1000 viene sostituito da un cyborg donna, una TX, che non fa paura, ma irrita un po’, l’azione non manca, ma… manca l’anima! Il film sembra un promo, un antefatto… E poi? E poi the end.
Una mera operazione commerciale: tristezza!


TERMINATOR SALVATION (2009, McG)
Qui Schwarzy non c’è, ma troviamo Christian Bale nei panni di John Connor adulto e, finalmente, diamo un po’ più di una fugace sbirciata a quel che accade dopo il tanto sospirato giorno del giudizio… Se devo essere sincera non mi ricordo molto del film, se non l’atmosfera opprimente (peraltro in linea con la saga). Però rammento che l’avevo apprezzato… Sarà stato per la facciata presa con il 3, ma l’avevo trovato suggestivo, persino a livello concettuale. Purtroppo, però, i fasti del 2 sono cosa remota, specie in quanto ad emozioni e spasso!


TERMINATOR GENISYS (2015, Alan Taylor)
Torna Schwarzy buono e anzianello (ma dignitoso, ironico, e ben invecchiato, che riesce pure ad aggiungere spessore al T-800), torna Schwarzy cattivo (CGI), e al posto di Linda Hamilton abbiamo una ciccioncellissima Emilia Clarke (grazie a dio con le sopracciglia scure), e… torna pure Kyle Reese (Jai Courtney, meno tenebroso e più palestrato). Insomma, un po’ sequel, un po’ reboot, si fa un gran casino con avanti e indietro nel tempo, paradossi, riscritture e cancellazioni varie… Ma il film non è malaccio, si guarda volentieri, nonostante qualche calo di tensione, un’eccessiva prevedibilità e un poquito di straniante confusione… Perché, ammettiamolo, ci sono un bel po’ di trovate carine! Plausibilmente, tuttavia, questo non è ancora il capitolo finale!

giovedì 21 aprile 2016

Nerd q.b.

Sequel, Prequel, Remake, Reboot…
A VOLTE RITORNANO
Guida alle saghe dell’horror cinematografico moderno


Ossia da quelle da “La notte dei morti viventi” di Romero (1968), in avanti…
E dunque…
A parte che sovente il mio giudizio e quello degli autori va in direzioni diverse (ad esempio, mi spiace, ma per me “Cabin fever” è un filmaccio noioso e senza sugo, che non spaventa né diverte, ma fa solo venire sonno, mentre, viceversa, adoro “Drag me to hell”), a parte che a tratti mi verrebbe voglia di metter dei Critters nel letto degli autori ;), a parte i numerosi (ma non fastidiosi) errori di battitura… Beh, l’opera è davvero carina!
Per ogni saga horror (e anche qualcuna in più… che c’entra Sharknado, ad esempio?) si fa una breve introduzione per inquadrare il fenomeno e contestualizzarlo e poi, per ciascun film, abbiamo un riassunto/recensione critica, che magari mette altresì in luce curiosità e plaisanteries… Ad ogni pellicola si assegnano da uno (robaccia di serie Z) a cinque teschi (capolavoro imprescindibile), tanto per rendere più immediate le valutazioni.
Inoltre gli autori dimostrano di conoscere abbastanza bene la materia, non sono né troppo sintetici, né prolissi, ma soprattutto hanno un linguaggio effervescente, vivace, simpatico, nerd q.b., ma pure sufficientemente tecnico. E se anche abbondano le parolacce, per una volta non danno fastidio, perché sono collocate nei punti giusti, per cui, se mai, fanno colore!
A livello contenutistico non mi pare manchi niente, tutt’al più, come già evidenziato, c’è qualche saga extra (che ben venga!)…
E, chissà, magari è possibile scoprire trashatine dimenticate o amene facezie…
La Guida, tra l’altro, è a buon prezzo (15 € per circa 250 pagine), la quarta di copertina deliziosa e, sia pure in bianco e nero e usate come sfondo, il libro contiene parecchie immagini e vanta addirittura una grafica chiara e caratteri di dimensioni decenti.
Certo, si sarebbe potuto dotare ogni film di schedina tecnica (regista, titolo originale e anno di produzione sono precisati, ma sarebbe stata apprezzata qualche nozione in più sul cast, sceneggiatori e produttori, anche se, ammetto, gli elementi più importanti vengono comunque rimarcati nel “riassunto”).

Dovendo assegnare da uno a cinque teschi… Direi quattro, ben meritati!

mercoledì 20 aprile 2016

Una crisi di identità

GLI OTTI


No, perché questo è un fenomeno strano, che mi sconcerta e sconvolge (e che, se vogliamo, mi fa pure ridacchiare)…
Otta sono io, e sono la sorella maggiore.
Ho due fratelli e una sorella più piccoli – di cui uno molto più piccolo – ma ognuno dotato di nome proprio (che stravaganti che siamo, eh?)
Ciò nondimeno capita che Mater e Pater si riferiscano a mia sorella Chicca come a Otta Piccola e al Droide (Androide, o “Andea-Blé”, come ho insegnato a dire alla mia nipotina più cucciola) e al Ragno rispettivamente come a Otto e Otto Piccolo. Anche se ultimamente spesso il Ragno viene promosso a “Otto” e basta.
Ebbene, è inquietante, mica sono miei cloni!
Tuttavia… fin qui, forse, è ancora normale.
Ma recentemente avviene di peggio, perché il Mio Perfido Marito ha preso a chiamare Otto il nostro coniglietto Paco! E solo mentre lo sgrida!
“Otto!!!; Otto, comportati bene!; Otto qui non si rosicchia!”, lo apostrofa.
Eccheccavolo!
Per giunta, non lo fa in mia presenza, ma, ad esempio, mentre trafficano insieme in un'altra stanza (qualunque cosa combini il MPM, il nostro coinquilino peloso gli fa da scrupoloso assistente). Così ora Paco non è sicuro di non chiamarsi anche Otto… Se glielo dici, risponde (nel senso che ti guarda interrogativo), oppure arriva di corsa.
Solo che talvolta rispondo anche io…
Fortunatamente la mia presunzione e il mio egocentrismo mi salvano da una crisi di identità, però, insomma!
D’altro canto, accadono anche cose più gravi… Ad esempio, ho sorpreso mon amour sussurrare a Paco che io non volevo un coniglietto… Volevo un chupacabra (ossia un mostriciattolo immaginario, che succhia il sangue alle bestiole, specie le capre)!

Misericordia!

martedì 19 aprile 2016

Un ragazzino sognatore

L’INVENTORE DI SOGNI
di Ian McEwan


Raccontini per bimbi, fantasiosi, soavi, immaginifici, che hanno in comune il protagonista, l’inventore di sogni del titolo, un ragazzino di dieci anni che ha l’abitudine di perdersi nei suoi stessi pensieri, creando realtà alternative, avventure, e piccole meraviglie con suggestioni fantasy o horror, nonché la sua famiglia, composta da mamma, papà, sorellina e gatto.
Alcuni brani sono davvero piacevoli, con intuizioni felici e una certa delicatezza di fondo, che, nonostante tutto, non sa di buonismo, ma solo di umana benevolenza (ad esempio il racconto relativo al bulletto della scuola, per certi versi estremamente realistico, per altri di una sensibilità fuori dal comune), altri, invece, (ad esempio quello della bambola cattiva…), mi sanno di già sentito, di un po’ pedante, sono poco incisivi, appesantiti da troppe riflessioni, e ho faticato a concluderli, benché siano brevi, ben scritti e scorrevoli.
Il fatto è che ci sono punti in cui si gode della genuinità e del candore del mondo visto con gli occhi di un ragazzino sognatore, avvertendone la poesia e l’incanto, e tanto basta; ma ce ne sono altri in cui si percepiscono il desiderio di stupire a tutti i costi, l’artificiosità del contesto, la scarsa originalità della trama, una non sufficiente caratterizzazione del protagonista, e … beh, si rimpiange Neil Gaiman.
O anche altre opere di McEwan (Espiazione, La ballata di Adam Henry…), più adulte, complesse, ma anche più originali e autentiche.
In generale, però, questo romanzo a racconti è gradevole, grazioso, la lettura si affronta con piacere.

Il segreto, credo, sta nell'accettare semplicemente quanto ci viene offerto, senza soffermarcisi troppo, senza pretendere nulla.

lunedì 18 aprile 2016

Inconsistenze e suggestioni

I GATTI DI RIGA
di Marco Nizzoli


Che cosa cela l’animo di un gatto? Può un micio avere un padrone? E una ragazza essere come un gatto? Ed è una colpa, questa? O la colpa è nostra? Che cos’è l’amore?
Più o meno il paradigma del fumetto è questo, solo che i quesiti non ci vengono posti in maniera esplicita, quanto piuttosto “declinati”… Seguiamo allora le vicissitudini sentimentali del protagonista, un ragazzo italiano, un disegnatore, che si trova a Riga, città che ama e che anche noi impariamo a conoscere, tra un fiocco di neve e una gita al parco… Qui il giovane si innamora di Inese, una bellissima flautista, che lo ricambia, dice, ma che intanto si sollazza con quanti le capitano a tiro, senza nemmeno darsi la pena di negare più di tanto…
Che fare? Si può davvero fare qualcosa?
I disegni sono magnifici, forse appena un poco convenzionali, ma morbidi, dettagliati, con i tratteggi a matita ben visibili, che ne accrescono la dolcezza e l’atmosfera… I dialoghi no, non hanno nulla di straordinario, sono anzi improntati alla banalità, ma vanno bene ugualmente, e forse conferiscono maggior veridicità alla trama…
Trama, però, che sembra fatta di inconsistenze, di suggestioni, più che di fatti. Fatti che quando ci sono si dimostrano inconcludenti, quasi scontati. Personaggi piatti (volutamente?), che non ci conquistano.
Però…
Però spesso la vita è così…
Però talvolta noi possiamo essere così…
Se ci accontentiamo del paradigma su cui questo volume si basa, e che sviluppa e percorre… allora possiamo lasciarci affascinare e soprattutto tentare di rispondere agli interrogativi che suscita.
Che magari sono poca cosa…

Ma più facilmente no.

venerdì 15 aprile 2016

Contro l’ipocrisia borghese

LA SPIAGGIA
di Alberto Lattuada
(1954)


Film neorealista ambientato in Liguria (in località inventate, eppure riconoscibili in scorci di Finale Ligure, Spotorno, Noli e Varigotti), che ha destato il mio interesse per motivi legati a costume e società, ma che ha finito per sedurmi più che altro grazie alla profondità e sagacia insite nella trama.
Iniziamo con questa bella signora milanese, Anna Maria Montorsi (Martine Carol), che si ricongiunge alla figlioletta Caterina, a scuola dalle suore, e va in vacanza con lei al mare… Alloggia in uno degli hotel più esclusivi, desta la curiosità degli altri villeggianti, ricchi e snob, che la riconoscono subito come una donna di classe, e ammalia il Sindaco (Raf Vallone) con la sua riservata femminilità…
Solo che lei è una prostituta e quando un cliente, pure lui in vacanza al mare, la riconoscerà, la poveretta e la sua bambina verranno ghettizzate da tutti, in particolare dai supposti nuovi amici conosciuti in hotel…
Ci aspettiamo che il Principe Azzurro, alias il bel Sindaco, la tragga di impaccio?
Allora resteremo delusi… Ma anche no, perché accadrà qualcosa di meglio, di più spiazzante e arguto, ironico, preparato con cura, ma non scontato, che ci indurrà al sorriso, solleticherà riflessioni, provocando al contempo, in noi, una sensazione di calore e dolcezza… Stucchevole?
No. Lo zucchero c’è, ma non nausea, anzi, favorendo nuove dicotomie, incrementa il quantitativo di fiele.


Ottimo il cast (specie lei, Martine Carole, dalla grazia spontanea, inquieta e sofferente, ma ben caratterizzati pure i personaggi di contorno), valida la regia, e ancora di più avvincente e significativa la sceneggiatura, con un buon ritmo, per pause e accelerazioni, e un perfetto equilibrio di sentimenti e stati d’animo, melodramma e critica sociale.
Senza dubbio, con il mutare dei tempi, il film non suscita più scandalo, ciò nondimeno il messaggio contro l’ipocrisia borghese e la piccineria umana resta intatto, e piace come si affrontano argomenti spinosi senza esagerare, con moderazione, delicatezza ed eleganza, facendo leva sulla sensibilità e lo spirito di contraddizione.

Incantevole.

giovedì 14 aprile 2016

Un frasario ricercato

IL RICHIAMO DEL CORNO
di Sarban


L’argomento è la caccia umana, quella, in pratica, in cui le persone vengono predate da altre persone… E già questo mi basta per sentire il brivido dell’attrazione.
In più, qui, la faccenda può essere peggiore e resa ancora più grottesca e alienante da vari pittoreschi elementi: ad esempio, se sei una preda vieni dotato di sgargiante costume da bestia, realizzato ad arte, nei minimi dettagli, così che tu appaia qualcosa di diverso e persino più tragico e dolente: riconoscibile come uomo o donna, ma altresì identificabile come vittima predestinata, dulcis in fundo, intenzionalmente disumanizzato.
Poi ci sono “le donne felino”, cattive, feroci, dotate di artigli, ma non più di coscienza, eppure umane anch’esse… Solo alterate a livello genetico per spersonalizzarle e renderle belluine. E questo è solo un altro esempio, per tacere di come vengono utilizzate le prede dopo la cattura...
Sul piano dell’inventiva e del sadismo il romanzo, scritto attorno al 1950, decisamente in anticipo sui tempi, eccelle e assurge a classico immortale: abbastanza soft per i canoni odierni sotto il profilo della cruda violenza, ma sempre tremendo e straniante da un punto di vista squisitamente concettuale, che ti urta e sale su per la schiena.
Le caratteristiche rilevanti, peraltro, non sono solo di matrice horror, ma pure fantascientifica, infatti abbiamo salti temporali, universi quantistici (se vogliamo) e addirittura un po’ di fantastoria, nel senso che il protagonista, Alan Querdilion (che cognome spaziale!) si ritrova in una sorta di universo parallelo, centodue anni avanti al suo, in cui i Nazisti hanno vinto la Seconda Guerra Mondiale e dominano l’Europa...
La prosa di Sarban presenta un frasario ricercato, capace di rendere con precisione ogni azione, pensiero, fremito, ma scorrevole e non invadente.
Ho trovato un po’ troppo lunga la premessa, ma in termini trascurabili, che infatti non precludono nulla, mentre l’atmosfera e la descrizione degli stati emotivi sono notevoli e piacevolmente accurati.

Da leggere anche la postfazione…

mercoledì 13 aprile 2016

Un’avventura meravigliosa

DIZIONARIO GREMESE DEI PERSONAGGI FANTASTICI
di Roberto Chiavini e Gian Filippo Pizzo


L’ho comprato diversi anni fa e tutt’ora è una delle mie opere predilette e più consumate!
Intanto perché non sono molti i dizionari simili, con questa impostazione vasta e completa – e se ne sentiva proprio il bisogno –, legata al personaggio, appunto, più che alla fonte da cui proviene (se dico “Shannara” tutti capiscono a che mi riferisco, ma se pronuncio il nome di Allanon non è necessariamente facile risalire a Terry Brooks, salvo, ormai, appiccicarsi ad Internet), in secondo luogo perché è fatto abbastanza bene, sia in quanto a grafica (in particolare, ringrazio perché i caratteri sono di quelli da perderci la vista) e illustrazioni (non poche), sia in quanto a contenuti.
Okay, qualche errorino c’è, qualche assenzina pure, ma è il complesso a entusiasmarti: la possibilità di spaziare liberamente fra horror, fantascienza e fantasy, tra Serie Tv, libri (fumetti come letteratura) e film, attraverso i loro capisaldi e addentrandoti direttamente nel cuore delle storie, senza noiosi preamboli o inutili ciance…
Un dizionario, quindi, immediato, di facile consultazione, ma anche un’avventura meravigliosa e confortante in cui buttarsi a braccia aperte, che è stupendo leggere d’un fiato per scoprire nuovi mondi, ma anche per bazzicare quelli che già ami, divertendoti a fare la cuenta dei presenti.
Le singole voci, inoltre, lungi dall’essere scarne e lapidarie, hanno il pregio di offrirti un numero sufficiente di informazioni per capire se, dati i tuoi gusti, vale la pena per te di approfondire la conoscenza dell’eventuale personaggio “nuovo” (ad esempio procacciandoti il romanzo che ne narra le gesta) oppure no, oltretutto risultando già godibili nella loro struttura di base, aiutandoti a colmare lacune, ma anche regalandoti pillole di emozioni.
Variegato ed appassionante, è il paradiso di ogni nerd!

Io l’avevo scovato ai tempi dell’Università, appena pubblicato, per cui immagino che ora sia un bel po’ da aggiornare… Tuttavia, le opere più importanti ci sono e, se vogliamo, ora il volume detiene pure un discreto fascino vintage (senza contare che, almeno per quanto mi riguarda, mi aveva altresì illuminata su tanti ambiti, magari di matrice “classica”, che ignoravo e su cui da tempo bramavo una guida)…

martedì 12 aprile 2016

Non una serie per signorine

FLESH AND BONE


Miniserie televisiva in otto puntate, che io ho adorato e che il MPM ha patito assai (la morbosità lo uccide e i corpi anoressici spogliati pure)…
Va bene, il motivo principale per cui l’ho gradita è che mi piace assistere ai balletti, ma non ci si aspettino solo fiori, tutù e musica classica: se c’è una cosa che “Flesh and Bone”, alias “Carne e Ossa”, insegna è che le unghie si staccano, i piedi si rompono, che il mondo della danza è frequentato quasi esclusivamente da vipere invidiose ansiose di pugnalarti alle spalle, che competizione e ambizione sono tutto, e che se vuoi brillare non ti basta il talento, ma devi scendere a compromessi e, se le circostanze lo richiedono, saperti comportare, ossia venderti l’anima e il corpo…
Eppure non basta ancora, perché qui non ci facciamo davvero mancare niente: dall’incesto in stile Lannister (ma più malato) alla sclerosi multipla, con tanto di omicidio insensato, tratta delle bianche e sognatore pazzo nel sottoscala (che, per inciso, scrive da Dio); dall’insegnante/direttore artistico (un eccezionale Ben Daniels,) egocentrico, isterico e involontariamente umoristico (se non ti terrorizza), al mafioso russo amante dell’arte che gestisce un locale di strip-tease…
Insomma, non proprio una serie per signorine, ma un coacervo di drammaticità, sudore e sangue dalle molteplici sfumature, per giunta ulteriormente esasperato dalla laconica protagonista, Claire Robbins (Sarah Hay), che, se per certi versi ci appare positiva, innocente e incontaminata, per altri ha dei disturbi ai massimi livelli e un bel passato difficile alle spalle. Oltre alla danza, il suo unico conforto sono i libri, con cui va a dormire, letteralmente, ammucchiati sopra di lei (fortuna che non sono tantissimi) e l’autolesionismo (una tantum)… Ma non per questo è una ragazza debole, o meglio, la è, ma è anche molto di più.
Nel complesso l’opera è disturbante, crudele, ti mette dinnanzi al prezzo della trascendenza, alla sua ineguagliabile ebrezza, e ti canta la sua effimera sostanza, nonché l’atroce declino cui vai incontro quando inevitabilmente la perdi (consapevolezza, oltretutto, che ti ossessiona sin dalla tua ascesa, che tuttavia potrebbe non iniziare mai)… E per gli stessi ambivalenti motivi è pregna di fascino e bellezza, che non potranno lasciare indifferenti.

Disponibile on demand su TimVision, ringrazio Claudia Piccola per avermela consigliata!

lunedì 11 aprile 2016

Un finale che sconvolge

MAZE RUNNER 3 – LA RIVELAZIONE
di James Dashner


Sicuramente il meno interessante fra i tre romanzi della saga (senza considerare il prequel che ancora non ho letto), sia sotto il profilo dell’evoluzione dei personaggi, sia dal punto di vista della trama, che dell’azione pura: si procede, infatti, in modo quasi didascalico, sovente arrancando, a scapito del pathos e dell’emozione, e pure dell’adrenalina, che, ahimè, scarseggia, laddove imperano gli spiegoni (peraltro a base di fuffa), accentuando i difetti stilistici dell’autore. Persino la morte di due dei protagonisti non mi ha scossa, infliggendomi appena una punta di remoto dispiacere… Né si ottengono tutte le risposte che si vorrebbero, subendo, anzi, nuovi ingarbugliamenti, a volte stancanti e, ormai, persino prevedibili.
Non si può vantare né la geniale originalità del primo tomo, né la curiosità comunque instillata dal secondo con i suoi approfondimenti psicologici...
Eppure il libro non è da disprezzare, soprattutto per via del finale, che in qualche modo lo riscatta e ti sconvolge.
Va bene, è scontato, ma al contempo doveva essere quello, anche per rendere coerenti i ripetuti cambi di direzione cui abbiamo assistito… Forse, in effetti, più che scontato, è semplicemente logico. Stupenda, tra l’altro, alla luce di esso, la continua inversione di ruoli tra Brenda e Teresa, che in ultimo ci lascerà agghiacciati, riempiendoci di rammarico e di malinconia.
Questo solo sentimento, abbondante di ramificazioni e parentesi etiche, vale da solo l’acquisto del volume, che trova così una sua ridefinizione, un suo valore esistenziale ed emozionale.
L’epilogo, inoltre, è valido, non solo come conclusione del terzo tomo, ma anche per l’intera saga, che, nel complesso, giudico interessante e soddisfacente.
Poco importa che l’opera, nel complesso, descriva una sorta di parabola discendente in quanto a ispirazione: la fine mette tutto a posto, e ci infonde il desiderio di leggere anche il prequel… Nella speranza, soprattutto, di conoscere qualcosa di più, perché non si può negare che, a livello distopico, questi romanzi siano stimolanti.

…Dunque, a presto con “La Mutazione”!

venerdì 8 aprile 2016

Un romanzo colmo di grazia

IL FIGLIO DEL CIMITERO
di Neil Gaiman


L’embrione è dato da un racconto di Neil Gaiman che avevo già letto, in non so più che antologia, su questo ragazzino, Nobody, che abita in un cimitero… Dolcissimo e dark, un po’ alla Tim Burton, circondato da brave persone, peculiari e… decedute.
Poi il racconto è diventato un romanzo, un romanzo fatto di storie indipendenti, ma che si richiamano l’un l’altra, occhieggiando a “Il Libro della Giungla” di Kipling, con sempre lo stesso bambino protagonista, scampato al massacro della sua famiglia, ogni volta un poco più grande, con gli stessi fantasmatici personaggi di contorno…
Un romanzo per ragazzini, certo, denso di immaginazione e stupore, ma anche una bella avventura per grandi, con tocchi di poesia e riflessioni filosofiche sulla morte e sulla vita (o sull’amicizia, che avrà sviluppi diversi e più realistici di quelli che possiamo aspettarci, o sul coraggio), con momenti di paura (quello con i Ghoul, ma ancora di più con il ricettatore… e poi ci sono i terribili Jack…), colpi di scena, sorrisi ironici, inquietudine, e tanta magia… Che non è solo quella del Cimitero e delle creature eccezionali che lo abitano (il misterioso Silas, prima di tutti, o la piccola streghetta senza lapide), ma altresì quella connessa al crescere e allo scoprire, se stessi e gli altri, attraverso nuove e antiche prospettive, confrontandosi con i morti e con i vivi.
Non posso dire che sia una tra le opere migliori di Neil Gaiman: è carina, delicata, però a tratti faticavo ad andare avanti, forse perché fuori target, o perché abbisogno di maggior continuity, o perché tante cose le ho già sentite e non mi hanno sedotta… Tuttavia questo è un romanzo colmo di grazia, di tenerezza, di lirismo, che nasconde molte gemme sfavillanti, accenti originali, oltre a quelli tipici del genere (fiaba macabra per ragazzi), e che ha pure delle graziose illustrazioni.
Probabilmente se avessi avuto l’età giusta lo avrei apprezzato di più, ma comunque sono contenta di averlo letto.


Segnalazione: La Nicola Pesce Editore ha pubblicato la bellissima versione a fumetti “The Graveyard Book”, adattata da P. Craig Russell, che vanta tavole dello stesso Russell, ma pure di Jill Thompson, Kevin Nowlan, Tony Harris, Scott Hampton, David Lafuente, Galen Showman e Stephen B. Scott, con stili diversi, ma in armonia fra loro, a seconda del tono del racconto. Consigliatissimo!

giovedì 7 aprile 2016

Una massa informe di mostri

IL BUIO


Uno dei miei primi disegni da “adulta”, dopo anni di matita dormiente, quello che mon amour ha utilizzato per la pagina mirror su Facebook e per Twitter...
Non ha prospettiva, lo so.
Ed è sostanzialmente una massa informe di mostri, senza capo né coda (beh, alcuni la coda ce l'hanno). ...Ma io amo i mostri, come avrei potuto rinnegarlo?
L'unica peculiarità è proprio il nero che fa da sfondo, anche se nella versione scannerizzata non si vede... Avevo trovato un pennarello stranissimo, di quelli adatti a scrivere sulla lavagna in metallo e cancellabili, ma superluccicoso, e così l'ho usato: il risultato era stato piuttosto divertente, perché conferisce spessore a qualcosa di totalmente piatto, controluce cambia, e crea davvero una specie di buio multidimensionale in cui possono annidarsi creature malvagie.
Altra bizzarria: il gigantino peloso con il cappello a pois (che MPM sembra voler associare alla mia faccia)... L'ho disegnato su un fogliaccio di brutta e non sono più stata capace di riprodurlo, così ho finito per incollarlo al disegno! La mia creatura prediletta, però, è la margherita famelica, forse perché più sadica...
Lo scopo dell'opera?
Intrattenere il Ragno quando era piccolo.
Per motivi misteriosi al cucciolo piaceva vedermi disegnare/colorare, e in questo modo era più facile gestirlo... Il primo scarabocchio che avevo fatto con lui in assoluto (davvero bruttarello, ma magari un giorno lo posterò), rappresenta anche lui, tra un mostro e l'altro, in un paesaggio collinare.

Bau!

mercoledì 6 aprile 2016

Il buio dietro gli specchi

LA RAGAZZA DELLO SPUTNIK
di Haruki Murakami


Un romanzo interessante, surreale, che ricalca le caratteristiche tipiche di Murakami senza discostarsene, fondamentalmente tronco, irrisolto, ma d'altro canto non credo che avrei visto di buon occhio una soluzione diversa...
Iniziamo con il conoscere Sumire, ragazza particolare, aspirante scrittrice, aspirante lesbica, che si innamora perdutamente di questa donna, Myu (la ragazza dello Sputnik, appunto, ma solo a causa di un lapsus letterario), sposata e più grande di lei, con un pesante segreto sulla schiena. A narrarci le loro vicende il migliore amico di Sumire, innamorato di lei, non ricambiato.
E tutto procede tranquillamente, fin troppo, se non si è disposti a lasciarsi stregare dallo stile dell'autore: il romanzo è statico, pressoché privo di movimento, eppure ne percepiamo il fascino e andiamo avanti. Fino a che, bam, la faccenda precipita!
Sumire sparisce (sparisce sempre qualcuno nei romanzi di Murakami) e Myu ci svela il suo segreto.
Questa la chiave di comprensione dell'opera (che in parte ci riporta alla realtà di “After Dark”), che ci strania, ci aliena, ma che, personalmente, ho trovato di una potenza inusitata e totale.
Poco credibile?
Dipende dalla prospettiva che si vuole adottare, senza dubbio è necessario accettare regole nuove... A me però sta, chiamiamola impropriamente, “teoria della scissione”, suggestiona e ammalia, e non ho difficoltà a lasciarmi incantare, e, soprattutto, date le premesse e la conclusione, a giudicarla coerente, e questo, da un punto di vista squisitamente narrativo, è l'unico requisito essenziale perché il romanzo regga.
Certo, una volta scoperto il passato di Myu non è che succeda granché... L'opera torna ad affossarsi nella sua quieta staticità, ma io ho trovato rilassante lasciarmi cullare fra i suoi placidi marosi. Perché, per quanto drammatici siano gli eventi narrati, a me Murakami fa sempre questo effetto: mi acquieta, e fa venire voglia di scrutare il buio dietro gli specchi.

Forse è questo che facciamo per tutto il corso del romanzo... ma per un'attività del genere capisco sia necessaria una certa predisposizione. Peraltro l'autore ha decisamente scritto opere migliori, con più pathos, più immaginazione e i cui vertici onirici ci hanno condotti molto più in alto...

martedì 5 aprile 2016

Ipertrofico e cattivo

THE BOYS
di Garth Ennis e Darick Robertson


Eh, questo è un fumetto ipertrofico e cattivo… Di quelli pieni di parolacce e violenza, sadismo e robina politicamente scorretta, ma anche satira, denuncia sociale, intelligenza e godurioso spirito di contraddizione!
Ci sono i Supereroi, la versione rimaneggiata di Superman e Superamici, per capirsi, con i superpoteri e un bel po’ di benefits, solo che… il buon vecchio Ennis si diverte ad illustrarcene il lato oscuro. E con ciò non intendo solo i danni che creano involontariamente, per superficialità o colpa, a causa degli effetti collaterali dei loro superpoteri (magari ammazzando una persona)… No. Intendo che - non tutti, ma la maggior parte, pompati dalla propaganda e dalla pubblicità - sono in realtà veri e propri malvagi prevaricatori, squilibrati, egocentrici, drogati, stupratori e assassini, con alle spalle una potente Multinazionale, ancora più abbietta e delinquenziale. Olè!
E dunque chi ci salverà? Ma gli antieroi, che più sfigati non si può… Sfigati, ma dotati di coscienza, e anche atrocemente letali e spietati quando serve… Oltre che pieni di sfumature e, magari, pure loro, di più di una che dà sul nero, oltre che di un bel po’ di scheletri nell’armadio… tanto che quasi ci si domanda: ma se i Boys sono la cura, poi chi ci curerà dai Boys?
Insomma, abbiamo una feroce critica verso gli omini in calzamaglia (che poi è una scusa per criticare tutto il resto, dall’economia al potere, puntando il dito ovunque, ma dopo esserselo infilato scrupolosamente nel… ehm… per ribadire meglio il messaggio), ma anche una fantastica dose di divertimento, azione e sangue che sprizza, come nella migliore tradizione di Ennis!
Soprattutto i primi volumi sono da sollucchero, ma non si arriva mai a stancarsi, nemmeno quando la gioiosità cala in favore del dramma e la faccenda diviene più cupa, seria e strutturata. Senza contare che, più si procede, più ci affezioniamo ai personaggi, peraltro piuttosto notevoli… Tra tutti il meno affascinante è il protagonista, Hughie: simpatico, disperato q.b, ricco di empatia e sensibilità, ma che serve soprattutto a rappresentare il punto di vista dell’uomo buono e comune… il nostro. E che, come tale, trovo meno stimolante, per quanto ci serva per scatenare situazioni di delizia stellare… Tra i più stupendamente grotteschi, invece, spiccano Butcher, il leader dei Boys, e il Patriota, il cattivone, una sorta di alter ego rovesciato del povero Superman: senza limiti e senza requie (ma ci sono diversi gruppi qui, ricalcati su omonimi team Marvel e DC, che regalano emozioni)!
Ad un primo sguardo il classico fumettaccio ultraviolento, volgare e grottesco, solo più spassoso e meglio costruito… Ad un secondo: molto, molto, molto di più. Perché mette in discussione tutto, compreso se stesso, a suon di squarci brutali su quello che in apparenza è buono, bello, super e dorato. Che può essere un supereroe. Oppure una metafora.

lunedì 4 aprile 2016

Emozioni, risate e paura

PIRAMIDE DI PAURA
di Barry Levinson
(1985)


A me di Sherlock Holmes non è mai importato nulla (benché abbia trovato stupenda la Serie “Sherlock” con Benedict Cumberbatch e Martin Freeman)... Ma non mi è mai importato nulla nemmeno dei pirati, eppure “I Goonies” è uno dei miei film preferiti di sempre!!!
E così “Piramide di Paura”, alias “Young Sherlock Holmes”, che inserisco nel medesimo filone di godimento e gioia imperitura!
Il protagonista è quindi Sherlock sedicenne, insieme al fido Watson, qui nel corso del loro primo “caso” insieme! Una sorta di prequel apocrifo, dunque, ambientato ai tempi del College – 1870 –, che mescola avventura, commedia e horror, un po' sulla scia di Indiana Jones (e non per caso, visto che c'è dietro... ad esempio il buon vecchio Spielberg...), con in più un pizzico di tragedia, dramma e dolente romanticismo... frammisto all'incanto adolescenziale!
A piacermi, tuttavia, è soprattutto lui, Sherlock, per la sua intelligenza, per la sua logica, ma ancora di più per il suo carattere apparentemente freddo, che in realtà cela passioni incandescenti! E poi l'amicizia che si instaura tra lui, Watson ed Elizabeth (la dolcissima protagonista femminile), quando tutto è ancora puro e assoluto! Ed apprezzo la trama principale, con commistioni egizie ed esoteriche, a base di omicidi, cerbottane, tintinnii di campanelli e sacrifici umani, ma anche le piccole scaramucce da ragazzini che avvengono a scuola e che mettono in rilievo la fantastica personalità di Holmes...
E poi ci sono i duelli con la spada, le sequenze oniriche... Può un pollo spaventarti a morte? Siamo sempre in bilico tra orrore e buffosità, tra verità e illusione, ma.. sì, evidentemente il pollo può (anche se il top è la sequenza con i pasticcini di Watson, che mi ha fatto sbellicare per circa le prime venticinque volte in cui ho rivisto la pellicola)!
Il MPM lo detesta: da bravo estimatore di Conan Doyle sostiene che questo film sia una bestemmia... Ma io sono agnostica, e mi diverto un mondo, mentre emozioni, risate e paura si alternano in un mix perfetto che mi fa tornare bamboccina! E non solo... Trovo meravigliose e strazianti anche le allusioni inventate parametrate allo Sherlock canonico, che conferiscono, persino ex post, bellezza e spessore al personaggio: in particolare la questione di Elizabeth, del “non voglio rimanere solo”, combinate con la futura misoginia di Holmes. Wow!

Classico capolavoro anni 80 per famiglie, che magari ai tempi ti stupiva per l'immaginazione e gli effetti speciali, ma che alla fine ti è soprattutto rimasto nel cuore, cristallizzando per sempre un pezzetto della tua infanzia!

venerdì 1 aprile 2016

Sailor Nadia e la bambola di silicone

MANGA, DISINFORMAZIONE, TV SPAZZATURA


Non guardo la Tv: mi deprime, annoia, avvilisce e mi uccide i neuroni. E’ stato infatti il MPM, colpito dalle discussioni sui social più diffusi, a portare alla mia attenzione questo servizio de “Le Iene” sui Manga e la Pedopornografia... Così, incuriosita, l’ho guardato su Mediaset On Demand, e, come previsto, mi ha depressa, avvilita e ha vituperato i miei neuroni.
Tuttavia non mi ha annoiata, mi ha dato sui nervi.
Ma si può essere più ignoranti ed avere un approccio più intenzionalmente sviante e disonesto verso qualcosa che non si conosce (ciò è evidente se si considera che per sta Nadia Toffa, che conduce le interviste, i manga sono indifferentemente fumetti, anime e generica roba giapponese)?
E non ha il diritto di cronaca i limiti di verità e continenza?
La giurisprudenza dice di sì (a mero titolo di esempio: Cass. Civ., sez. III, 19 gennaio 2007, n. 1205, in senso conforme Cass. Civ., sez. III, 22 marzo 2007 n. 6973; Cass. pen., sez. V, 09 ottobre 2007, n. 42067), ma evidentemente questo a “Le Iene” non interessa.
E qui il problema non è dato solo da ciò che si afferma (facendo, peraltro, un bel minestrone), ma, ancora di più, da quel che artatamente si insinua e suggerisce.
Veniamo al servizio: l’associazione da cui parte sta Nadia Toffa è Manga = Sesso (dice anche Sesso, va bene, ma ci scivola sopra, come se avesse paura di scottarsi) = Porno = Bambine, ossia Pedopornografia = i Giapponesi sono dei pervertiti. La domanda – provocatoria e suggestiva – con cui conclude è: ma i manga sublimano un desiderio o lo scatenano?
Il servizio prende in considerazione varie realtà (manga, prostituzione, idol, bambole di silicone), le mescola e confonde senza approfondire (forse in quel locale le ragazze si limitano a parlare con i clienti, non fanno altro… ma noi non indaghiamo, ci limitiamo a trarre conclusioni affrettate e decidere che si prostituiscono, e se non lì, senza dubbio altrove), ci offre spezzoni di interviste fatte di domande suggestive (quelle che suggeriscono la risposta), cercando di glissare sulle questioni che non rispondono alla verità distorta che l’intervistatrice si affanna a cercare di dimostrare…
Ebbene, intanto trovo gratuita e vergognosa l’associazione di partenza, soprattutto perché decontestualizzata ed estrapolata dalla cultura (doppia) a cui appartiene: quella dei fumetti e quella giapponese.
Partiamo dai fumetti: si tratta di un ambito vastissimo, come dire: la letteratura.
E come in letteratura i generi sono tanti e diversificati. Quindi, contrariamente a ciò che dà per intendere il servizio, non tutti i manga sono erotici e non tutti gli erotici hanno come protagoniste ragazzine. In più in Giappone si è molto più sensibili alla differenziazione per fascia d’età (idem per gli anime), quindi non tutti i fumetti sono destinati ai bambini e agli adolescenti (nemmeno qui, del resto).
Insomma, dire manga= porno è come dire letteratura = Harmony (che è peggio).
A questo punto la Toffa insinua che le bambine giapponesi a furia di leggere i porno decidano di dedicarsi alla pedopornografia. Ma certo!!! Perché adesso le ragazzine nipponiche leggono i porno, non gli Shojo… E poi che ragionamento è, misericordia? A me piacciono gli horror, quindi vado ad ammazzare la gente? (In realtà era proprio questo che si sentiva spesso in Tv e sui giornali spazzatura quando ero al Liceo… Leggi Dylan Dog, quindi sei un’aspirante omicida… Del resto, qualche anno dopo, si diceva: se guardi Sailor Moon diventi gay… Offendendo ad un tempo le bambine, il femminismo e i gay…)
E poi c’è la cultura giapponese: è diversa dalla nostra, complessa, multiforme… Ma noi la riduciamo alle fanciulline in deshabillé, applicandovi per giunta, supinamente e acriticamente, i nostri parametri di giudizio. Questo per me è sintomo di razzismo e intolleranza.
Non solo. Non è giornalismo.
Mancano totalmente la volontà di capire, di approfondire. E soprattutto di contestualizzare.
Per tacere del fatto che si salta di palo in frasca, mettendo tutto in unico calderone (ad esempio, siamo sicure che le baby-prostitute si vestano da personaggi manga per adescare clienti? La scolara, la ninja… Non sono piuttosto icone dell’immaginario collettivo nipponico?) e contornandolo di domande tipo: Lei, signore, non vorrebbe avere rapporti sessuali con una quattordicenne?, come se significasse qualcosa. Già, perché immagino che in Italia gli uomini direbbero tutti di no… E certamente sarebbero tutti sinceri…
Pare (ma io non so il giapponese, indi non lo so) che persino le traduzioni siano sbagliate e distorte…
Ma veniamo alla domanda finale: i manga sublimano un desiderio o lo scatenano?
La risposta che vuole indurci a dare il servizio è, ovviamente, che lo scatenano, suscitando il nostro scandalo. Ma, vediamo…
Sul fatto quotidiano.it mi si dice che il reato più frequentemente commesso in Giappone è il furto della bici… Su giappopazzie.blogspot.com scopriamo che la percentuale di stupri che ci sono in Italia è di 4 volte superiore a quella nipponica.
Direi che, allora, la risposta corretta è lo sublimano.
E non ci vedo niente di male.


E adesso pongo io un quesito a sta Nadia Toffa: Preferisci che il tuo vicino di casa sessantenne ti stupri o che tenga sul divano una bambola di silicone?