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martedì 26 aprile 2016

Le ragazze fanno le dure

SEX AND THE CITY


O, come dico io, quattro sgualdrine e mezzo cervello!
Naturalmente alludo alla serie HBO (1998-2004) creata da Darren Star, con protagoniste Carrie, Samantha, Charlotte e Miranda.
Solo che, più che una recensione, questo è uno sproloquio, dettato dal mio sconcerto per il successo di un prodotto tanto misogino (misogino, sì) e imbarazzante, che, se pure ormai è un po’ vecchiotto, continua a spopolare. Specie tra le ragazzine lobotomizzate.
Intendiamoci, a guardarne qualche episodio sparso è pure piacevole, e lì per lì le protagoniste possono persino apparire toste e anticonvenzionali… ma provate a spararvi le sei stagioni di fila (i film sono tanto insulsi che non vale nemmeno la pena di considerarli)… E’ tutto il contrario!
Va beh, tralasciamo la circostanza che su di me le carrellate di scarpe, borse e vestiti non esercitano alcun fascino, ed anzi al massimo mi inducono a sbadigliare… Con tutto che come accidenti si fa a farsi dare consigli di moda da una tizia che gira per New York con un tutù rosa? My God!
La nota più dolente, peraltro, sono proprio le ragazze: fanno le dure, ma sono sempre lì a frignare dietro un uomo, come se non potessero vivere senza (alludo in particolare a quella scimunita di Carrie e al suo Mister Big, che, va bene, alla fine la sposa, ma solo dopo anni di prostrante zerbinaggio! Dov’è finita la tanto propugnata indipendenza femminile? E l’emancipazione? E la dignità? Bah!).
Peraltro le fighette passano da un estremo all’altro… Come possono ste operatrici di rettilineo essere così superficiali a giudicare i masculi che non le interessano? (Non ce l’ho con Samantha. Samantha è l’unica che non mi dispiace: almeno dice chiaro quello che vuole, senza pregiudizi, e ci risparmia le arie da gatta morta.) Tra i motivi per cui gli uomini vengono piantati (malamente) ci sono i più stupidi, i più gretti mai sentiti dai tempi di Ally McBeal… E magari sul momento possono pure risultare divertenti, ma danno un messaggio veramente orribile e di sicuro non ci portano verso una discussione matura, rispettosa e produttiva con l’altro sesso (viene davvero voglia di dire: “prendi una donna e trattala male”, solo che, grazie a dio, non ci sono mica solo vacche così!)… Per tacere della puntata in cui due delle quattro oche si vantano per il numero di aborti effettuati. Io non sono contraria, ci mancherebbe… E posso anche condividere l’intento sotteso, di non farne una malattia o un tabù… Ma… e gli anticoncezionali? Non ce li hanno a New York? E bisogna per forza riderne, poi?
Infine, ragioniamo… Le protagoniste sono rispettivamente una scrittrice, un avvocato, una gallerista e un’imprenditrice. In teoria, quindi, donne con una cultura, con degli studi alle spalle... Possibile che parlino solo di scarpe e peni? Se non sbaglio nelle sei stagioni vengono menzionati solo due libri: uno scritto da Carrie e uno di un suo cicisbeo… E anche le altre forme di cultura (teatro, cinema, balletto, arte…) vengono completamente ignorati, a meno che non siano funzionali ad una bottarella…
E tante ragazze hanno innalzato Carrie ad una specie di idolo da imitare: ma dai!!!
Indi, tutto da buttare?
No.
L’idea di base è interessante, inizialmente davvero controcorrente e originale (prima che si perdesse nel mare della melensaggine); il romanzo di Candance Bushnell da cui la serie è stata ispirata (e che con la stessa c’entra di striscio, specie in quanto alle protagoniste) non è brutto (anche se ormai l’ho quasi dimenticato); inoltre, apprezzo l’aria newyorkese che si respira, mentre la sigla, con la scena dell’autobus… ecco, quella è un gioiellino di sagace ironia!
E comunque ammetto che le puntate, prese singolarmente, possono regalare sorrisi, riflessioni critico-sociali e qualche emozione. Nella prima stagione, in particolare, sono incisive e stimolanti.

Sulla lunghezza, però, ci si perde… Peccato!

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