SEX
AND THE CITY
O,
come dico io, quattro sgualdrine e mezzo cervello!
Naturalmente
alludo alla serie HBO (1998-2004) creata da Darren Star, con
protagoniste Carrie, Samantha, Charlotte e Miranda.
Solo
che, più che una recensione, questo è uno sproloquio, dettato dal
mio sconcerto per il successo di un prodotto tanto misogino
(misogino, sì) e imbarazzante, che, se pure ormai è un po’
vecchiotto, continua a spopolare. Specie tra le ragazzine
lobotomizzate.
Intendiamoci,
a guardarne qualche episodio sparso è pure piacevole, e lì per lì
le protagoniste possono persino apparire toste e anticonvenzionali…
ma provate a spararvi le sei stagioni di fila (i film sono tanto
insulsi che non vale nemmeno la pena di considerarli)…
E’ tutto il contrario!
Va
beh, tralasciamo la circostanza che su di me le carrellate di scarpe,
borse e vestiti non esercitano alcun fascino, ed anzi al massimo mi
inducono a sbadigliare… Con tutto che come accidenti si fa a farsi
dare consigli di moda da una tizia che gira per New York con un tutù
rosa? My God!
La
nota più dolente, peraltro, sono proprio le ragazze: fanno le dure,
ma sono sempre lì a frignare dietro un uomo, come se non potessero
vivere senza (alludo in particolare a quella scimunita di Carrie e al
suo Mister Big, che, va bene, alla fine la sposa, ma solo dopo anni
di prostrante zerbinaggio! Dov’è finita la tanto propugnata
indipendenza femminile? E l’emancipazione? E la dignità? Bah!).
Peraltro
le fighette passano da un estremo all’altro… Come possono ste
operatrici di rettilineo essere così superficiali a giudicare i
masculi che non le interessano? (Non ce l’ho con Samantha. Samantha
è l’unica che non mi dispiace: almeno dice chiaro quello che
vuole, senza pregiudizi, e ci risparmia le arie da gatta morta.) Tra
i motivi per cui gli uomini vengono piantati (malamente) ci sono i
più stupidi, i più gretti mai sentiti dai tempi di Ally McBeal… E
magari sul momento possono pure risultare divertenti, ma danno un
messaggio veramente orribile e di sicuro non ci portano verso una
discussione matura, rispettosa e produttiva con l’altro sesso
(viene davvero voglia di dire: “prendi una donna e trattala male”,
solo che, grazie a dio, non ci sono mica solo vacche così!)… Per
tacere della puntata in cui due delle quattro oche si vantano per il
numero di aborti effettuati. Io non sono contraria, ci mancherebbe…
E posso anche condividere l’intento sotteso, di non farne una
malattia o un tabù… Ma… e gli anticoncezionali? Non ce li hanno
a New York? E bisogna per forza riderne, poi?
Infine,
ragioniamo… Le protagoniste sono rispettivamente una scrittrice, un
avvocato, una gallerista e un’imprenditrice. In teoria, quindi,
donne con una cultura, con degli studi alle spalle... Possibile che
parlino solo di scarpe e peni? Se non sbaglio nelle sei stagioni
vengono menzionati solo due libri: uno scritto da Carrie e uno di un
suo cicisbeo… E anche le altre forme di cultura (teatro, cinema,
balletto, arte…) vengono completamente ignorati, a meno che non
siano funzionali ad una bottarella…
E
tante ragazze hanno innalzato Carrie ad una specie di idolo da
imitare: ma dai!!!
Indi,
tutto da buttare?
No.
L’idea
di base è interessante, inizialmente davvero controcorrente e
originale (prima che si perdesse nel mare della melensaggine); il
romanzo di Candance Bushnell da cui la serie è stata ispirata (e che
con la stessa c’entra di striscio, specie in quanto alle
protagoniste) non è brutto (anche se ormai l’ho quasi
dimenticato); inoltre, apprezzo l’aria newyorkese che si respira,
mentre la sigla, con la scena dell’autobus… ecco, quella è un
gioiellino di sagace ironia!
E
comunque ammetto che le puntate, prese singolarmente, possono
regalare sorrisi, riflessioni critico-sociali e qualche emozione.
Nella prima stagione, in particolare, sono incisive e stimolanti.
Sulla
lunghezza, però, ci si perde… Peccato!
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